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mercoledì 28 dicembre 2011
Una delle scelte più indovinate del grande sovrano inglese Enrico II fu quella del suo cancelliere nella persona di Tommaso Becket, nato a Londra da padre normanno verso il 1117 e ordinato arcidiacono e collaboratore dell'arcivescovo di Canterbury, Teobaldo. Nelle vesti del cancelliere del regno, Tommaso si sentiva perfettamente a proprio agio: possedeva ambizione, audacia, bellezza e uno spiccato gusto per la magnificenza. All'occorrenza sapeva essere coraggioso, particolarmente quando si trattava di difendere i buoni diritti del suo principe, del quale era intimo amico e compagno nei momenti di distensione e di divertimento.
L'arcivescovo Teobaldo morì nel 1161 ed Enrico II, grazie al privilegio accordatogli dal papa, poté scegliere Tommaso come successore alla sede primaziale di Canterbury. Nessuno, e tanto meno il re, prevedeva che un personaggio tanto "chiacchierato" si trasformasse subito in uno strenuo difensore dei diritti della Chiesa e in uno zelante pastore d'anime. Ma Tommaso aveva avvertito il suo re: "Sire, se Dio permette che io diventi arcivescovo di Canterbury, perderò l'amicizia di Vostra Maestà".
Ordinato sacerdote il 3 giugno 1162 e consacrato vescovo il giorno dopo, Tommaso Becket non tardò a mettersi in urto col sovrano. Le "Costituzioni di Clarendon" del 1164 avevano ripristinato certi abusivi diritti regi decaduti. Tommaso Becket rifiutò perciò di riconoscere le nuove leggi e si sottrasse alle ire del re fuggendo in Francia, dove visse sei anni di esilio, conducendo vita ascetica in un monastero cistercense.
Conclusa con il re una pace formale, grazie ai consigli di moderazione di papa Alessandro III, col quale si incontrò, Tommaso poté far ritorno a Canterbury, accolto trionfalmente dai fedeli, che egli salutò con queste parole: "Sono tornato per morire in mezzo a voi". Come primo atto sconfessò i vescovi che erano scesi a patti col re, accettando le "Costituzioni", e il re questa volta perse la pazienza, lasciandosi sfuggire una frase incauta: "Chi mi toglierà di mezzo questo prete intrigante?".
Ci fu chi si prese questo incarico. Quattro cavalieri armati partirono alla volta di Canterbury. L'arcivescovo venne avvertito, ma restò al suo posto: "La paura della morte non deve farci perdere di vista la giustizia". Egli accolse i sicari del re nella cattedrale, vestito dei paramenti sacri. Si lasciò pugnalare senza opporre resistenza, mormorando: "Accetto la morte per il nome di Gesù e per la Chiesa". Era il 23 dicembre del 1170. Tre anni dopo papa Alessandro III iscrisse il suo nome nell'albo dei santi.
venerdì 23 dicembre 2011
archeologia
I carboidrati complessi: in Toscana
si cucinavano cereali già 30mila anni fa
La scoperta di macine preistoriche rivoluziona quanto si sapeva sulla «paleo-dieta» tra gallette preistoriche e zuppe nutrienti
Siamo in un giorno imprecisato di circa 30mila anni fa, a Bilancino, fra le colline di quello che oggi chiamiamo Mugello, in Toscana. Un Homo sapiens sapiens, simile a noi come aspetto, sta riducendo in polvere le radici di una pianta di palude che cresce rigogliosa nei dintorni, la "Tifa": la farina che otterrà potrà essere facilmente conservata e trasportata e servirà per preparare l'impasto di una "galletta" preistorica o una zuppa molto nutriente, ricca di carboidrati complessi. Le due piccole pietre di arenaria che quell'uomo del Paleolitico superiore ha usato per macinare le radici sono rimaste sepolte fino a poco tempo fa, quando sono state rinvenute da un gruppo di archeologi dell'Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria. A prima vista sembravano due pietre qualsiasi ma Anna Revedin e Biancamaria Aranguren, le due ricercatrici responsabili dello scavo, si sono accorte che non era così osservandone la forma e gli avvallamenti, che indicavano tracce d'uso: si trattava infatti di una primitiva macina e di un macinello, e l'analisi degli amidi trovati sulle pietre ha svelato che la pianta usata per dare la farina era appunto la Tifa palustre. Prima di questa scoperta nessuno sospettava che l'uomo primitivo fosse in grado già 30mila anni fa di trasformare i vegetali selvatici in prodotti "raffinati", si credeva che i carboidrati complessi fossero stati introdotti nella dieta umana circa 20mila anni dopo, nel neolitico, con l'arrivo dell'agricoltura e dell'allevamento.
Il ritrovamento ha perciò "ridisegnato" l'evoluzione dell'alimentazione umana, che ha sempre avuto un'enorme influenza sull'evoluzione delle capacità e della vita sociale dell'uomo. Inizialmente l'uomo si nutriva della carne delle carogne, raccoglieva tuberi, radici, bacche, frutta, uova e catturava soltanto piccoli animali, come tartarughe o molluschi. Poi, circa un milione di anni fa, imparò a costruirsi armi più efficaci e poté cacciare animali più grandi, diventando più robusto e forte. «Un passaggio importantissimo fu l'uso del fuoco per cuocere la carne, attorno ai 500mila anni fa: la cottura rende la carne più digeribile e riduce l'energia necessaria ad assimilare i nutrienti, questo ha costituito un vantaggio evolutivo enorme», spiega Anna Revedin, ricercatrice all'IIPP. Lo conferma uno studio apparso di recente sulla rivista PNAS, secondo cui il passaggio dalla carne cruda a quella cotta ha consentito all'uomo preistorico di ottenere più facilmente energia dalla dieta, aprendo la strada a un rafforzamento del fisico e al miglioramento delle capacità cerebrali. Di certo, come scrive l'antropologo Richard Wrangham che ha condotto la ricerca, «Se vogliamo capire le caratteristiche anatomiche, fisiologiche e comportamentali di una qualsiasi specie animale, uomo compreso, dobbiamo guardare alla sua dieta». Imparare a macinare piante selvatiche e ricavarne farine significò, ad esempio, avere un prodotto ricco di carboidrati complessi, nutriente e facile da trasportare: una svolta per l'uomo preistorico, che poteva così affrancarsi per lunghi periodi dalla necessità della caccia, sopravvivendo meglio anche a mutamenti climatici e ambientali sfavorevoli. «La scoperta, oltre a svelare che le attività di raccolta e trasformazione di cibi vegetali avevano un ruolo importante quanto la caccia, dimostra che in Europa c'erano le competenze e le tecnologie per sfruttare l'agricoltura ben prima del suo avvento - spiega Revedin -. Quando l'uomo ha iniziato a coltivare i campi e allevare gli animali tutto è cambiato: da una struttura corporea robusta, necessaria per affrontare la caccia dei grossi animali, si è passati a un fisico più impoverito. L'uomo del neolitico mangiava meno carne, era in balia delle carestie; inoltre, vivendo in gruppi stanziali più numerosi per coltivare le terre, era più soggetto alla diffusione di malattie. La possibilità di fare scorte di cibo maggiori e conservare prodotti raffinati come le farine, unita alla maggiore sedentarietà, ha però contribuito all'incremento demografico». Secondo molti ricercatori l'uomo tuttavia non si è ancora completamente adattato all'agricoltura, e la prova sarebbe nell'attuale diffusione di intolleranze ad alimenti sconosciuti prima del neolitico: l'intolleranza al glutine dei cereali, ad esempio, o quella al lattosio del latte di animali da allevamento.
Sull'argomento c'è grande dibattito. «Certo è che lo studio delle abitudini alimentari degli uomini preistorici non è fine a se stesso ma può avere implicazioni importanti per l'uomo moderno, che dovrebbe capire meglio come è fatto e a che cosa è "più adatto" - osserva l'archeologa -. Probabilmente l'evoluzione culturale è stata più veloce di quella genetica e non siamo riusciti, o almeno non del tutto, ad adattare la nostra fisiologia alla nuova dieta ricca di cereali e carni e latte di animali d'allevamento: la carne della selvaggina cacciata dai nostri antenati più lontani, ad esempio, è ben diversa da quella ottenuta da mucche, capre o pecore allevate nei pascoli con metodi industriali. Non è perciò un caso se da qualche tempo ha preso piede la "paleodieta" che suggerisce di tornare, nei limiti del possibile, a un'alimentazione più simile a quella dell'uomo preistorico per la quale saremmo geneticamente più adattati». Si tratterebbe, in sostanza, di mangiare carni magre (meglio ancora la selvaggina) e tutto ciò che Madre Natura offriva prima che cominciassimo a coltivare i cereali: bacche, frutta fresca e secca, verdura soprattutto cruda, niente zuccheri, farine, cereali raffinati o a maggior ragione cibi industriali. Non facile da seguire, va detto. Revedin, che ha provato su se stessa una dieta più vicina a quelle "del cavernicolo", afferma: «Non si può certo vivere come 40mila anni fa, ma si può "temperare" la nostra dieta con suggerimenti presi da allora: nel mio caso ridurre drasticamente i carboidrati, mangiare carni magre provenienti da allevamenti meno intensivi e muoversi di più ha avuto un effetto indubbio di miglioramento del benessere. Non dico di eliminare i cereali, ma forse può essere opportuno limitarne l'uso o magari cercare fonti di carboidrati alternative che non siano gli attuali grani ricchi di glutine». Le gallette di Tifa pare siano buonissime: le ricercatrici hanno seccato le radici, le hanno macinate e poi con la farina hanno preparato gallette su focolari simili a quelli che usava l'uomo preistorico. Il risultato, dicono, è gradevole. «Dalla dieta dei nostri antenati possiamo prendere spunti per non dimenticare le nostre origini e ritrovare un rapporto più equilibrato con il nostro corpo e con l'ambiente», conclude Revedin.
Alice Vigna
13 dicembre 2011 (modifica il 20 dicembre 2011)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
venerdì 16 dicembre 2011
Ragni DAL MIO LIBRO PAURE ARCHETIPE ED ALTRO ANCORA
Il piccolo ragno si mosse velocemente sfiorando appena la punta della sua scarpa.
Si ritrasse d'istinto con il cuore che le balzò feroce nel petto.
"Sciocca,stai tranquilla,non è l'ora,non è ancora il loro momento"Girò la testa per vedere se le finestre e la porta erano chiuse e se le tavole di legno che aveva messo a sostegno dei vecchi infissi,reggevano.
Non vide fori ,le tavole erano ben fissate così come le aveva inchiodate ,come tutte le mattine faceva da mesi.
Si mosse con esperienza nella stanza buia:conosceva ogni spigolo,ogni angolo,sapeva in una memorizzata mappa della sua mente,la disposizione di ogni sedia o mobile:lo scafale in cui era il libro era nell’angolo opposto rispetto al fornello.
Lì era al sicuro rispetto a fiamme o calore dei cibi che riscaldava.
Il libro:tutto ciò che era e rimaneva,qualcosa di prezioso quasi come i barattoli di fagioli o la carne conservata o le ormai quasi esaurite gallette.
Lui era il libro,la sua voce ,il suo pensiero,il ricordo perduto e sfumato.
Lo prese e si dispose seduta sul materasso per la consueta lettura.
Le pagine le apparirono più fragili del solito,scricchiolava la carta,pronta a frantumarsi,pareva,ad un contatto più intenso.
La pagina era la 236:non amava quella pagina:le sue parole non coincidevano con nessuna sua conoscenza.
Quello di cui si parlava non aderiva a nessuna immagine che la sua mente avesse registrato:un lago.La pagina 236 non diceva cosa dovesse essere un lago,però parlava anche di cielo e lei sapeva cos’era il cielo ,anche se quel cielo non era quello che lei poteva vedere.
Non importava,doveva comunque adempiere al compito:leggere e ricordare e ,forse,ripetere il suo ricordo a qualcuno.
Se mai ci fosse stato un qualcuno.
Il ragnetto si era spostato proprio sotto il tavolo e stava immobile senza dimostrare la minima intenzione di arrampicarsi e affrontare la conoscenza del piatto che lei aveva lasciato ben ripulito.
Non era il momento,presto,l’ora non era ancora arrivata,anche se non si poteva mai sapere se i ragni potessero così,pur solo per capriccio,sconvolgere la precisa cronologia da anni conosciuta.
Si immerse nella lettura sforzandosi,come sempre di far diventare immagini le parole :poiana,cosa poteva essere?Certo era una cosa che si muoveva,anzi volava,forse era animale vivo,come ragni,ma non era certo un ragno .
I ragni si ,lei li conosceva bene,tutti:colori,razze,abitudini,quelli più feroci,gli innocui,i maschi,le femmine che potevano depositare milioni di uova in un anfratto delle pareti:ed era poi morte sicura.
Le poiane no ,non sapeva i colori che potevano avere.
Tanti anni prima suo padre aveva ,in una piccola scatola di legno ,sei o sette bastoncini con una punta meravigliosa.
A volte,molto raramente,prendeva un foglio ,già usato e usato a centinaia di volte,e la invitava a far scorrere i bastoncini e ,nell’immaginar le cose,farle vivere sul foglio.
I bastoncini lasciavano tracce e il padre ,con la memoria del padre suo ,le guidava la mano e a volte uscivano fuori segni che potevano dare un volto alle parole del libro.
Ma suo padre era morto troppo presto per lasciare la memoria nella sua mente o,forse,lei era ancora troppo piccola per la memoria.
Sua madre non aveva la memoria e non l’amava:la riteneva cosa superflua.
Lei era impegnata ad una guerra sistematica e produttiva contro i ragni,e in fondo aveva avuto ragione.
Se erano sopravvissuti non era certo per la memoria di suo padre,ma per la costante battagli di sua madre.
Il leggere la impegnava:rileggeva le pagine senza fine,con determinazione e metodo.
Ogni singola parola doveva penetrare nella sua mente e non importava la comprensione e il piacere:era un antico rito necessario e indispensabile,questo aveva tramandato la memoria.
La carta ormai fragilissima sembrava sgretolarsi ,ma aveva imparato la leggerezza del tocco per non danneggiare il libro.
Mai si era posta il problema di cosa sarebbe stato quando il libro non ci sarebbe stato più:il libro era tutto ciò che rimaneva dei tempi e senza il libro la memoria non sarebbe più stata e senza memoria non ci sarebbe stato più motivo di vita.
Alla terza volta che rileggeva la pagina capì che era il momento di uscire:il libro regolava il tempo senza errori.
Lo chiuse delicatamente e lo ripose sullo scafale dopo averlo avvolto nella sua pezza bianca.
Si mise il cappuccio e sopra il cappuccio la mantella che proteggesse bene anche le spalle ,mise i guanti e calzò le soprascarpe di incerato bianco.
Il padre le aveva detto che erano antiche come il libro e che appartenevano agli uomini che vennero attraverso il fuoco e che proprio quei calzari fecero si che attraversassero il fuoco.
Mise la scala appoggiata al muro per arrivare ad aprire l’abbaino del rifugio:era ora,poteva star fuori 45 minuti prima che il calore bruciasse dentro il suo corpo e sciogliesse i suoi organi.
Serviva acqua e prese con sé il contatore per verificare quanto calore fosse nell’acqua:antiche usanze che in realtà non sapeva bene se fossero utili o no.
Si avvicinò alla scala,il piccolo ragno era ancora immobile ai piedi del tavolo:con indifferenza lo schiacciò lentamente con la punta del piede,poi ripassò sopra a quel che rimaneva pigiando bene con il tallone.
Mise il piede sul primo gradino della scala e cominciò a salire:fuori l’enorme sole collassato cominciava ad illuminare appena la terra facendosi largo nell’oscurità profonda