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lunedì 8 ottobre 2012
Maria Goretti vista da Guerri
Maria Teresa Goretti nacque a Corinaldo (Ancona) il 16 ottobre del 1890. Sua madre Assunta era stata abbandonata neonata nella “ruota” della Casa degli Esposti di Senigallia e affidata in seguito ad una coppia di Corinaldo, persone indigenti ma di “buona condotta”, erano “rigorosi in fatto di morale e la salvaguardavano dai divertimenti cattivi e dalla vita cattiva, abituandola ai dolori e alle privazioni della vita”. Assunta sposò Luigi, garzone di un podere lì vicino e ben presto arrivarono i figli, sei, uno dopo l’altro: Maria Teresa (da sempre chiamata Maria) fu la seconda. All’epoca la media di figli era di 4-5 per matrimonio, a fronte di una mortalità infantile elevatissima: un bambino su cinque moriva prima di compiere 5 anni. Nelle Marche la percentuale saliva ad uno su quattro, e ciò era dovuto più all’ignoranza dei genitori che all’arretratezza della medicina. Data la situazione, la Chiesa aveva stabilito che i neonati dovessero essere battezzati “entro le 24 ore”: che almeno l’anima si salvasse. Scriveva un medico lombardo alla fine dell’Ottocento: “Io veggo ne’ miei paesi essere immensa la mortalità de’ bambini nella stagione invernale e penso che l’egoistico pregiudizio comandato dai preti ai nostri villici, di farli trasferire al sacro fonte battesimale appena usciti alla luce e sotto qualsiasi rigore atmosferico, sia la principal sorgente della strage loro”. In quell’epoca un individuo su due era analfabeta (molti di più se si considerano solo le donne), la vita media era di 17 anni, comprese le morti infantili; arrivava a 60 anni se valutiamo la vita media di chi sopravviveva ai primi 5 anni. Il mondo dorato, tutto trine e galanterie della Belle Epoque, era un mondo riservato a pochissimi, isole circondate da un popolo lacero e aggressivo. Alcuni dati: nel decennio 1891-1900, con una popolazione che era metà di quella attuale, gli omicidi volontari furono quasi 4000 all’anno contro i 1400 dei nostri “feroci” anni Settanta; i “fatti di sangue” fra il 1890 e il 1911 raggiunsero i 2 milioni; alle voci “rapine, estorsioni e sequestri di persona” abbiamo il 25 per cento in più di oggi, e assai di più erano i galeotti. Era questa la bella epoca di Maria. I Goretti si trasferirono ben presto nel Lazio, a Paliano (Frosinone), nella speranza di migliorare le loro condizioni di vita, e qui conobbero un’altra famiglia marchigiana, i Serenelli, originari di Torrette, vicino ad Ancona, famiglia composta dal padre Giovanni e dai due figli Vincenzo e Alessandro. Ma la vita era durissima, si lavorava dall’alba al tramonto e a cena non si riusciva a mettere insieme una fetta di polenta. Dopo varie proteste con conseguente licenziamento da parte del padrone del terreno, i Goretti e i Serenelli si trasferirono nell’Agro Pontino (Roma). Le Paludi Pontine, un’estensione di circa 50 chilometri per 30 fra Anzio, Cisterna, Terracina e il Circeo, avevano resistito a numerosi tentativi di bonifica nel corso dei secoli. La zona, con l’acqua stagnante brulicante di miliardi di insetti, l’aria malarica, il caldo insopportabile in estate, la totale mancanza di igiene e la fame, era un autentico inferno: le statistiche parlano di circa 1500 morti all’anno su una popolazione di poche migliaia. Questo era il mondo di Maria, un mondo di silenzi e duro lavoro nei campi, di disperazione e abbrutimento, di miseria e ignoranza. In queste condizioni non si può parlare di “fede” ma di credenze popolari, di superstizioni, divieti e fobie: Assunta aveva trasmesso a Maria una profonda avversione per qualunque contatto fisico, considerato peccato: “Più volte io avevo raccomandato alla Maria di tenere bene coperta la Teresa [appena nata] specialmente quando c’erano i fratelli, e le avevo detto che stesse attenta, perché altrimenti si offendeva il Signore, come pure avevo detto che essa non guardasse i fratelli, perché era peccato”. D’altronde era questa la concezione del sesso e del corpo umano che si aveva all’epoca, di cui abbiamo testimonianza in un noto manuale per confessori nel quale si legge: “E’ peccato mortale il dilettarsi deliberatamente in qualsiasi emozione carnale, ancorché eccitata casualmente. Pericolosi sono anche i movimenti disordinati. E’ lussuria: i pensieri voluttuosi, i baci, i contatti e gli sguardi impudichi, gli abbigliamenti femminili, le pitture e le sculture che sono indecenti; le danze, i balli e gli spettacoli. Non v’ha dubbio che mortalmente peccherebbe quella donna che anche senza passione di libidine, permettesse che la si toccasse nelle parti genitali, o vicine ad esse, o nelle mammelle, imperocché evidentemente si esporrebbe a pericolo venereo e certo prenderebbe parte alla libidine altrui; è perciò tenuta a respingere subito chi la tocca, rimproverarlo, percuoterlo, allontanare con forza le di lui mani, fuggire, o gridare se potesse mai avere speranza di soccorso”. Il mezzo migliore per sfuggire ai pericoli della carne è pensare alla morte, al giudizio di Dio, all’inferno, all’eternità”. Nel 1901-1902 Alessandro Serenelli aveva 18-19 anni e non aveva mai toccato una donna. Sfogava la sua voglia di sesso masturbandosi di continuo ma era allo stesso tempo terrorizzato dagli ammonimenti dei confessori scatenati contro i giovani “che si toccano”: gli dicono che potrà più generare, che il suo midollo spinale diventerà acqua, che ingobbirà e che forse rimarrà anche paralizzato: “Non vi ha vizio più nocivo, sotto qualunque aspetto, ai giovani, e specialmente se maschi” dice il manuale per i confessori “perché presi da questa prava consuetudine, indurano lo spirito, inebetiscono, dispregiano la virtù, disdegnano la religione; la loro indole diventa malinconiosa, incapace di energia, inetta a qualsiasi proposito tenace; le forze del corpo mancano, gravi infermità sopravvengono, si appalesa una caducità prematura, e spesso si muore di morte vergognosa”. Alessandro era un ragazzo chiuso, silenzioso, con evidenti problemi di personalità; diverse volte aveva tentato di avvicinare Maria, senza riuscire nel proprio intento. Fino al fatale 5 luglio 1902, quando prende dalla cassetta degli attrezzi una specie di lungo chiodo quadrangolare lungo 23 centimetri e mezzo, con il manico d’osso, e va in cerca della ragazzina, la vede, l’afferra, la trascina in casa e la costringe a sdraiarsi su un basso panchetto di legno lungo un metro. E qui la vista, per la prima volta forse, della cucca (o pentecana) fa impazzire l’adrenalina del ragazzo: finalmente farà scarpetta, il suo sogno si avvera, deve solo mettere u' cellu lì dentro. Ma non ci riesce e non per la resistenza di Maria ma per una sua incapacità organica a farlo, e allora afferra il punteruolo e la colpisce quattordici volte di cui cinque proprio sotto l’ombelico. Per Alessandro fu, come sanno bene gli psichiatri che si occupano di questi delitti, un coito traslato, una scarpetta col punteruolo nell’impossibilità di usare lo strumento apposito. Il punteruolo che sfonda e riemerge, che sfonda e riemerge nelle carni gli dà un’estasiante sensazione di possesso, fino a portarlo all’orgasmo. Poi si placa, getta il punteruolo dietro il cassone e, convinto di averla uccisa, va in camera sua e si sdraia sul letto. I soccorsi per Maria arrivano dopo alcune ore, viene trasportata al più vicino ospedale ma le sue condizioni appaiono subito disperate: viene operata per due ore (senza anestesia e senza nessuna protezione antisettica) al polmone sinistro, al diaframma, all’intestino: morirà dopo altre lunghe ore di atroce agonia. La prima preoccupazione di Assunta è di sapere se “oltre l’averla ammazzata non l’avrà anche disonorata”. Il medico la rassicura: “Sta’ tranquilla, che essa è proprio come è nata”. Assunta ringrazia il Signore. Intanto l’Italia viveva anni di cambiamenti: le prime automobili, la luce elettrica, il cinema, la psicoanalisi… perfino riviste e romanzi avevano contenuti sempre più “turpi e immorali”, secondo la Chiesa. Inoltre il pericolo che le idee degli anticlericali toccassero e corrompessero perfino le masse popolari, la cui religiosità si basava proprio sul rispetto dell’autorità ecclesiastica e su forme di superstizione (culto dei santi patroni, processioni, miracoli), spinse gli esponenti della chiesa locale a promuovere la causa di Maria, scelta come rappresentante della “più sublime delle virtù” contro “le virtù di bagasce sacrificatesi turpemente sull’ara di Venere”. Il processo di beatificazione, molto lungo e travagliato, rallentato dalla mancanza di qualsiasi elemento che provasse la santità della ragazzina, subì una improvvisa accelerazione nel 1943, dopo lo sbarco degli americani a Roma: i liberatori portano nella capitale della cristianità i chiari segni del loro accompagnarsi col demonio, tra cui danze oscene e musiche scostumate, anticoncezionali, nuovi modelli di vita… e allora occorrono degli argini, la religione ha bisogno di esempi e una vergine e martire è quel che ci vuole per dare l’esempio contro la corruzione dei costumi. Tutto fu quindi fatto con velocità estrema: le testimonianze in favore della sua santità furono ampiamente “aggiustate” e molti fatti inventati di sana pianta, i ricordi di Alessandro e Assunta (interrogati più volte) modificati e manipolati al fine di dare di Maria l’immagine che si voleva. Si trovarono anche dei malati guariti per la sua intercessione. Maria fu proclamata beata il 27 aprile 1947 da Pio XII. La successiva canonizzazione avvenne il 24 giugno 1950. Alessandro, dopo il delitto, venne subito arrestato condannato a 30 anni di carcere con un processo velocissimo, scontò una parte della pena a Regina Coeli, poi a Noto, nel sud della Sicilia, in seguito in Sardegna. Passava il tempo a masturbarsi e non è difficile credere che, ancora illibato, in lui esplose di nuovo il bisogno della carne. Il carcere lo portò all’omosessualità e probabilmente, data la sua impotenza, il suo destino fu quello di diventare la donna dei suoi compagni di cella. Fu liberato con due anni di anticipo, per buona condotta, aveva 47 anni ma ne dimostrava 70. Quando ottenne il permesso di lavorare, cominciò a girare di fattoria in fattoria, ovunque ce ne fosse bisogno. Più tardi sacerdoti e passionisti gli trovarono lavoro come domestico in vari santuari e monasteri, per ultimo il convento dei cappuccini di Macerata. Morì senza conoscere donna, a 89 anni.