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lunedì 28 dicembre 2009


LA REGINA SANTA


 


 

Matilde


 

Matilde di Ringelheim è considerata sia dalla chiesa cattolica che dalla chiesa evangelica la santa protettrice delle ricamatrici.

Viene ricordata e celebrata nella data della sua morte il 14 marzo.

Morì , infatti, nel monastero di QUEDLINBURG ,dove si era ritirata ,nel 968.

La particolarità ,quasi eccezionale, di questa santa ,è che fu regina ,e che regina ,e moglie e madre di re ed imperatore.

Matilde è la figlia del conte di Westfalia ,il sassone Teodorico ,grande elettore dell'impero germanico ,e di Rainilde di Frisia ,una delle donne più ricche e potenti del suo tempo.

La sua data di nascita non è certa e viene collocata intorno all'895, a Enger ,un possedimento della famiglia in Turingia.

La bambina ,appena svezzata ,viene affidata alla nonna che è badessa nel suo monastero di Herford.

Non dimentichiamo ,che per tutto il medioevo e anche in epoche successive i monasteri erano piccoli regni con situazioni di potere e ricchezze del tutto simili ai regni temporali.

La madre badessa era signora incontrastata sia del monastero che dei territori in possesso del monastero.

Erano dei veri e propri feudi che "sistemavano" si,figlie non maritabili, ma nello stesso tempo continuavano a gestire poteri di dinastia e casato ,a volte in forma anche più forte , che nel feudo, ducato contea o baronia che fosse, esterni.

La piccola cresce quindi in un clima rigidamente religioso, non sembra però, anche bambina , vivere con disagio le regole del monastero:ama pregare e si adegua con gioia ai ritiri ed agli orari non proprio "comodi" della comunità.

Sogna forse di prendere i voti come la nonna,che si chiama Matilde come lei.

Il padre Teodorico, però,ha altri progetti per lei ,progetti che sono finalizzati ad ingrandire i territori della famiglia e a rafforzarne il potere.

Nel 909 Matilde esce dal monastero e sposa Enrico I,duca di Sassonia,detto L'Uccellatore ,figlio di Ottone il Magnifico.

Il ducato di Sassonia è il più potente e prestigioso tra gli elettorati tedeschi e nel 919 .alla morte di Corrado I di Franconia, Enrico L'Uccellatore diventa re di Germania :Matilde è regina.

La regina mantiene comunque un atteggiamento pio e profondamente devoto :durante tutto il regno del marito si occupa di opere di carità ed è sollecita e generosa verso i poveri (allora assai numerosi) e fa erigere a proprie spese numerosi ospedali e rifugi per i più disgraziati e deboli.

Fa costruire numerosi monasteri, tra i quali quello di Grona,vicino a Gottinga , Pohlde e Nordhausen,tuttora famosi luoghi di culto.

Già da viva è venerata in tutta la Germania per la sua bontà.

Dal matrimonio con Enrico, per altro felice, nascono cinque figli: tre maschi e due femmine .

Il primogenito Ottone I di Sassonia ,sarà imperatore di Germania dal 961.

Edvige ,la terzogenita, data in moglie a Ugo il Grande ha dà lui un figlio ,Ugo I,conte di Parigi e fondatore della dinastia Capetingia.

Enrico ,il marito ,muore nel 936 .

Matilde sostiene apertamente la candidatura a re di Germania del figlio minore Enrico ,ma i grandi elettori puntano sul più energico Ottone.

Ottone diviene re e lei reggente al suo fianco ,fino al ritorno del giovane sovrano dall'Italia,dove si è recato per essere incoronato imperatore.

La sua mi8ssione di regina è così terminata e Matilde può tornare al vecchio e mai dimenticato sogno:prende i voti e si ritira in monastero , nell'amato Nordhausen .

Dopo qualche anno si trasferisce nel monastero di Quedlimburg dove muore in santità nel 968.

Subito dopo la morte,per acclamazione del popolo tedesco viene dichiarata santa.


 


 

Susanna Franceschi

sabato 26 dicembre 2009

Melisenda


 

La regina di Gerusalemme

Nel Medioevo possiamo conoscere molte donne che regnarono e rappresentarono un centro di potere.

Solitamente queste donne furono regine o reggenti a causa di morti o di guerre che avevano temporaneamente privato il regno di figure maschili:furono donne che regnarono in forma talvolta fittizia,con il potere forte maschile alle spalle,o,in altri casi,regnarono"a tempore"in attesa che il legale pretendente crescesse o tornasse dalla guerra.

Ci furono donne,però,che regnarono a tutti gli effetti,senza la necessità di una protezione o di un supporto maschile.

Donne che furono veramente potenti,rispettate e temute.

Ne ricordiamo in particolare tre:Urraca di Castiglia,Eleonora D'Aquitania e Melisenda :la regina di Gerusalemme.

Melisenda nasce a Gerusalemme dalla principessa armena Mafia e dal potentissimo re templare Baldovino II,re di Gerusalemme.E' il 1105 e dopo di lei Baldovino e Mafia avranno altre tre figlie femmine:Alice(che sarà principessa d'Antiochia),Hodierna(contessa di Tripoli),Ivette(badessa di Betania).

Dal matrimonio di Baldovino non nascono figli maschi e il re subito elegge la primogenita Melisenda a sua unica erede per il potente regno di Gerusalemme.

Melisenda è educata sin da bambina a diventare regina,ma non regina moglie di re,regina dal potere unico e assoluto.

Baldovino cresce la figlia come una capace e forte successore,le dà un'istruzione ed un'educazione in tutto simile a quella di un maschio ed inoltre Melisenda,nella sua nomina ad erede unica ,trova l'appoggio incondizionato dell'Alta Corte di Gerusalemme:il consiglio reale che comprendeva clero e nobiltà.

Baldovino è però,nonostante tutto ,uomo e padre dell'età medioevale,ed ancor di più,re medioevale e quindi ritiene opportuno fortificare e consolidare con un'alleanza il potere di Melisenda su Gerusalemme.

Baldovino,a suo merito,voleva solo un marito per Melisenda,non un consorte re che governasse.

Non voleva un uomo che con la forza del censo o della personalità ,offuscasse il potere della figlia,voleva ,da buon padre ,un uomo che la sostenesse,la proteggesse al bisogno e che,soprattutto le facesse fare dei figli per garantire la dinastia.

La scelta di Baldovino cade su Folco V D'Angiò,valoroso comandante crociato e ben messo economicamente.Folco aveva più di quarant'anni,contro i ventiquattro di Melisenda ed era di una bruttezza,a sentire i cronisti del tempo"orripilante."

Melisenda era bellissima ed era per di più innamorata perdutamente e perdutamente corrisposta,di un altro ,il bel cugino Ugo di Le Puiset.

Il matrimonio non nasceva sotto buoni auspici.

Folco ,inoltre ,si rivelò più ambizioso del previsto e per tutta la durata dei negoziati matrimoniali insistè per diventare coregnante al fianco di Melisenda.Alla fine re Baldovino acconsentì a firmare questa clausola,sia perché Folco avrebbe portato denaro fresco alle casse di Gerusalemme,ed insieme truppe crociate,sia perché il suo sponsor era il re di Francia in persona.

Il matrimonio fu celebrato nel 1129 e dopo.solo un anno nacque il principe Baldovino,l'erede del casato.

Subito il re tornò alla carica per estromettere il genero dal potere e nominò Melisenda unica custode del piccolo principe estromettendo Folco da ogni futura pretesa.

La mossa indispettì oltremisura il brutto Folco,ma forse ancor di più lo indispettirono i numerosi e sfacciati tradimenti della giovane e bellissima moglie.

Diciamo che due bocconi di tal genere non sono cosa da inghiottire con disinvoltura.

Folco ,però,capì che doveva attendere momenti più favorevoli per una vendetta.

Come sempre in ogni vita,i momenti favorevoli arrivarono.

Nel 1131 muore Baldovino e Melisenda e Folco salirono al trono come regnanti congiunti.

Subito dopo,con il sostegno militare dei suoi cavalieri crociati,Folco esclude dalla concessione di titoli e dai patrocini Melisenda:di fatto nel medioevo era togliere qualsiasi forma di potere ad un regnante.

Ma aveva sottovalutato sia l'amore della corte per la figlia di Baldovino,sia lo strapotere dell'Alta Corte che si vedeva minacciata dallo straniero mai accettato e mai rispettato.

Folco addirittura accusò pubblicamente la regina di adulterio con il famoso e bel cugino Ugo.

Ora molto probabilmente la cosa era vera e durava da anni,ma il dirlo pubblicamente ebbe l'effetto opposto a quello che il disgraziato Folco aveva sperato.L'accusa fu ritenuta calunnia infondata e l'Alta Corte ne fece pretesto per una rivolta di palazzo contro il D'Angiò.

La vittoria della vivace e disinibita Melisenda fu totale e ben presto si tornò a vedere il suo sigillo personale sui decreti.

Per dovere di cronaca i due si riconciliarono anche e fecero un altro bambino Almarico.Allora come oggi un bambino che fu usato come toppa ad un matrimonio fallimentare da sempre.

Ma la caccia era ai tempi sport molto praticato ed a volte risolutore di infelicità e dubbi:Folcò morì di un tragico incidente di caccia nel 1143.

Melisenda prese il lutto subito ,sia in pubblico che in privato,lutto che non le impedì minimamente di avere un buon numero di vigorosi amanti.

Altre vicende politiche impegnative attraversarono da questo momento la vita della regina,non ultimo il rapporto conflittuale con il figlio Baldovino.Ma le questioni della gestione del potere ,che per altro lei seppe affrontare in modo superbo ,esulano dallo scopo di dare un immagine dell'eterno femminino che emana anche dalle donne che hanno fatto e modificato la storia.

Più interessante per noi è,invece,parlare della storia d'amor cortese che coinvolse Melisenda.

L'amore che sconvolse e portò alla morte un famoso trovatore dell'epoca:Jaufrè Rudel.

Per spiegare semplicemente cosa rappresentavano nel XII secolo i trovatori,l'esempio più calzante è quello di una rock-star internazionale dei nostri tempi.

Jaufrè era uno dei più bravi e famosi cantori del XII secolo.

Ci sono rimaste poche sue liriche di dolcezza e struggente tono melanconico.

Fu il creatore del tema dell'Amor de Lonh(amor lontano)che dedicò alla sua passione per la bellezza di Melisenda della quale aveva potuto ammirare le fattezze solo in una miniatura.

L'amore era tanto forte ed intenso che il trovatore iniziò il suo viaggio dalla Francia per andare a vedere l'amata a Gerusalemme.

Ma sulla nave si ammalò,probabilmente di scorbuto .

Arrivato a Gerusalemme l'infelice poeta morì al momento di vedere la regina che,lusingata da tanta passione,aveva accettato di incontrarlo.

Ma anche Melisenda morirà di li a poco:nel1161 fu probabilmente colpita da un ictus che compromise le funzioni della memoria e del movimento.

Ancora bella,ma completamente assente ed incosciente,morirà assistita dalle sorelle l'11 settembre dello stesso anno.

La regina di Gerusalemme,la donna che fece innamorare fino alla morte il grande trovatore,riposa nel Santuario di Nostra Signora di Iosafat a Gerusalemma

venerdì 25 dicembre 2009


STREGHE NEL MEDIOEVO FINO AL XIV SECOLO


 
 

Quando dice che la caccia alle streghe non appartiene all'epoca medievale, si corre il rischio di equivocare. Non è che nel Medioevo non si credesse alle streghe, o che non le si perseguitassero o che addirittura ci fossero sentimenti benevoli nei loro confronti. Per di più, sia la bolla Summis Desiderantes (1484) che il famoso Malleus Maleficarum (1486) appartengono tecnicamente al Medioevo, che viene fatto terminare, convenzionalmente, nel 1492. Ma dal momento che le epoche non tramontano e non sorgono nell'arco di un giorno, in realtà già il Quattrocento, con l'umanesimo, la nuova concezione del passato, percepito come ben distinto, la nuova arte, il neoplatonismo, la letteratura, appartiene alla nuova epoca che si è venuta preparando nel corso del Trecento. Allo stesso modo il Medioevo prepara gradualmente le premesse per la caccia alle streghe. Intese come persone che hanno la facoltà di compiere incantesimi, spinte dal demonio, per danneggiare altri, anche se ci sono state riportate ricette stregonesche per scopi benefici, quali influenzare il tempo per aiutare i raccolti, guarire uomini e animali, filtri d'amore e così via. La caccia alle streghe è un'operazione sistematica condotta in via ufficiale da agenti ecclesiastici con facoltà di investigare, raccogliere le accuse, interrogare, torturare, raccogliere le confessioni e far eseguire la sentenza (affidata al braccio secolare perché ecclesia abhorrit e sanguine, la chiesa rifugge dal sangue), per lo più una condanna al rogo, anche se qualche "fortunato" poteva essere strangolato o impiccato prima.

Nell'alto Medioevo la credenza nelle streghe, non necessariamente seguaci del diavolo, doveva essere diffusa se sia Rotari, nell'Editto del 643, che Carlo Magno, nella Capitulatio de partibus Saxoniae, condannano chiunque uccida una donna perché la ritiene una strega. Anche la pratica della divinazione è condannata in quanto superstizione non degna di un vero cristiano e Liutprando stabilisce pene pecuniarie per chi si rechi, o mandi un proprio servo o gli permetta di recarsi per proprio conto, da chi pratica quest'arte illegittima. Il Canon Episcopi, falsamente attribuito al concilio di Ancira (314), ma più probabilmente capitolare franco, ammonisce vescovi e loro ministri a bandire, e "solo" a bandire, chiunque pratichi la divinazione e la magia, inventate dal diavolo, ma per quanto riguarda le streghe, cioè

"…certe donne depravate, le quali si sono volte a Satana e si sono lasciate sviare da illusioni e seduzioni diaboliche, [che] credono e affermano di cavalcare la notte certune bestie al seguito di Diana, dea dei pagani (o di Erodiade), e di una innumerevole moltitudine di donne; di attraversare larghi spazi di terre grazie al silenzio della notte profonda e di obbedire ai suoi ordini come a loro signora e di essere chiamate certe notti al suo servizio…"

afferma che si tratta semplicemente di donne ingannate dal demonio, che le allontana dalla fede cristiana facendo loro credere di compiere, ma non compiere davvero, le cose che raccontano. C'è sempre il diavolo ad ispirare i sogni di queste donne, ma esse non hanno stipulato un patto. Al diavolo non è riconosciuto il potere di mutare qualcosa sul piano fisico: può tormentare con sogni e visioni lo spirito della gente ma spetta solo a dio, il creatore, cambiare l'aspetto delle cose. Il Canon Episcopi fu legittimato dalla Chiesa quando Graziano lo inserì nel suo Decretum, primo nucleo del diritto canonico. La cosiddetta "società di Diana" o della "signora del gioco" che compare in questo testo è chiaramente un retaggio degli antichi culti pagani, dove Diana, pur avendo ormai perso le sue caratteristiche di vera e propria divinità, rimaneva un essere sostanzialmente benevolo, quasi una sorta di spiritello. La mancanza di un patto col diavolo, la cui possibilità di realizzazione era severamente negata dalle autorità ecclesiastiche, giustificava anche l'assenza di una persecuzione qualora non sopravvenissero caratteri più forti che facessero pensare all'eresia. Ma un'accusa di stregoneria ancora non esisteva. In sostanza, potremmo dire che le "streghe" erano considerate delle folli.

Un'altra delle prerogative che saranno attribuite alle streghe è quella di provocare grandine e cattivo tempo per rovinare i raccolti altrui, opinione decisamente smentita, ancora una volta bollata come superstizione del popolo sciocco ed ignorante, non degna dei cristiani, da Agobardo, divenuto in seguito santo, nel Liber contra insulsam opinionem de grandine et tonitruis (Libro contro un'insulsa opinione sulla grandine e i tuoni, 820).

A partire dal XII secolo, nonostante Giovanni di Salisbury continui ad affermare che il sabba è pura fantasia, proprio mentre Graziano completa il suo Decretum (1140), cominciano a confondersi l'idea della società di Diana e quella dell'esistenza di donne capaci di danneggiare il prossimo tramite l'arte magica, quest'ultima già esistente in età classica (si vedano ad esempio Erichto nella Farsaglia di Lucano oppure Canidia negli Epodi di Orazio o ancora Moeri nell'Ecloga VIII di Virgilio). La chiesa continua a considerarle però mere illusioni, evidentemente ancora impegnata a dimostrarsi "superiore" alle "superstizioni" dei pagani. Nello stesso periodo si pongono le basi per la nascita dell'Inquisizione, quando vari sinodi ecclesiastici, fino al IV Concilio ecumenico lateranense nel 1215, decretarono di avvalersi del braccio secolare per la repressione delle eresie, sulla base della riscoperta, avvenuta proprio in quel periodo, del diritto romano, vale a dire del Corpus Iuris Civilis di Giustiniano, che attribuiva allo stato il compito di combattere i riti non ammessi. Il XII secolo è anche un secolo di fermento religioso, con la comparsa di movimenti eretici di massa, tra cui il più noto è quello dei Catari, nato attorno al mille, movimento preoccupante per la chiesa fin da subito (nel 1017 furono condannati al rogo 10 eretici) e combattuto aspramente per tutto il XII secolo con guerre e stragi. Pur essendo i Catari un movimento sociale e religioso in piena regola, ad essi venivano attribuite anche alcune azioni che in seguito diverranno tipiche delle streghe: il patto col diavolo, il bacio della vergogna, la trasformazione del diavolo in gatto (Alain de Lille, autore del Contra haereticos suis temporis, Contro gli eretici di questo tempo, afferma erroneamente che la parola Catari deriverebbe da cato, cioè gatto, animale nelle cui sembianze apparirebbe Lucifero alle riunioni dei Catari, ricevendone il bacio sul posteriore). In occasione della lotta ai Catari si rafforzò l'inquisizione, che il papato avocò a sé mentre prima spettava ai vescovi, affidandola prima ai monaci cistercensi e in seguito ai francescani ma soprattutto ai dominicani, i quali istruivano appositamente i loro teologi. I vescovi erano stati anche accusati di essere troppo lassisti nella ricerca dei possibili eretici.

L'inquisitor era un magistrato straordinario che si presentava all'autorità temporale locale con le proprie credenziali e da questa otteneva il permesso di nominare un proprio collegio composto da notai, soldati, un vicario, guardiani delle carceri. Non era obbligato ad attenersi alle norme della procedura civile, quindi non teneva in considerazione eventuali privilegi o la possibilità d'appello. Poiché le prove erano indiziarie e testimoniali, occorreva che l'imputato confessasse e possibilmente abiurasse, cosa che poteva essergli estorta con l'intimidazione, il carcere e la tortura, autorizzata da Innocenzo IV con la bolla Ad Extirpanda (1252), che attribuiva al vescovo la facoltà di concedere, volta per volta, il nulla osta a procedere. L'esecuzione finale era, come già abbiamo detto, affidata al potere esecutivo civile, passibile di scomunica qualora si fosse rifiutato di procedere: le pene potevano essere pecuniarie, corporali, capitali e talvolta si obbligava il condannato a portare un marchio d'infamia. Questo tipo di inquisizione si diffuse tra il XIII e il XIV secolo, ma la sua funzione nella lotta alle eresie si esaurì attorno al XV secolo.

Il primo documento che riporta un processo contro le streghe è il Consilium di Bartolo da Sassoferrato (1314 – 1357), cui il vescovo di Novara chiede un parere riguardo a come vada giudicata una strega sotto processo a Orta. La figura della strega è molto diversa da quella della società di Diana: la donna ha ammesso di aver calpestato una croce, di essersi inginocchiata davanti al diavolo e di aver provocato, ammaliandoli, la morte di alcuni bambini, in seguito al quale fatto le madri l'avrebbero denunciata (impossibile non chiedersi come siano saltate fuori queste confessioni). Bartolo però si dimostra scettico su quest'ultimo fatto e si rimette alla chiesa e ai teologi perché stabiliscano se effettivamente sia possibile causare la morte di qualcuno servendosi di incantesimi. Consiglia perciò al vescovo di trattare la donna come un'eretica, da condannare o da salvare a seconda che si penta o no. Il primo rogo di strega è del 1340, ancora con l'accusa di eresia, il che significa che ancora non esisteva una procedura penale specifica per le streghe.

Manuela Simeoni

La riproduzione dei contenuti del sito, qualora non espressamente indicato, è permessa a condizione di citare il sito ed eventualmente l'autore del brano citato. Per ulteriori informazioni: info@giornopaganomemoria.it

lunedì 21 dicembre 2009

Ildegarda di Bingen


 

E' interessante a livello storico notare come il periodo più buio per la libertà femminile fu anche il più fecondo nel creare ed evidenziare figure femminili di grosso spessore intellettuale e politico.

Se in quest'epoca definita "buia",ma in realtà densa di grossi avvenimenti e di rivoluzioni di pensiero,da una parte le donne venivano oppresse in matrimoni mai scelti e completamente dominate dalla figura di marito –padrone,è anche vero che in altri insospettabili luoghi emersero figure di grande spessore.

Monasteri e conventi,abazie furono i contesti in cui le donne del medioevo riuscirono ad emergere in un mondo decisamente maschilista:è infatti nel convento che la donna,liberata dal dovere coniugale e dalla servitù dei numerosi figli accede al sapere ed al sapere si dedica.

Non è questo il contesto per affrontare i motivi che portarono a questo fenomeno,ma è certo attraverso questa premessa che si può capire la figura della monaca Ildegarda.

Ildegarda nasce da numerosa e nobile famiglia a Bermersheim in Germania nell'Assia-Renana.

Ha dieci fratelli ed è probabilmente desinata alla vita claustrale dalla nascita.

A 5 anni comincia ad avere visioni,che d'altra parte sono tpiche espressioni dell'epoca storica,a sette viene mandata da una zia che viveva in clausura nel convento benedettino di Disiboderberg e qui viene educata,e per educata si intende introdotta alla conoscenza e all'amore per il sapere.

A quattordici anni prende i voti monacali,ma non abbraccia la clausura perché già sente forte in sé la vocazione di lavorare nel mondo in una visione scientifica.

Diviene ben presto nota soprattutto per i suoi atteggiamenti anticonformisti, è un personaggio forte e controcorrente e la sua voce intellettuale supera le mura del convento.

Si occupa di teologia,musica e soprattutto è appassionata di medicina.

Ildegarda è una giovane donna di natula fragile e cagionevole e sperimenta su se stessa l'esperienza della malattia e del dolore fisico:in straordinaria modernità di intuizione scientifica elabora una visione terapeutica che preannuncia da vicino quella della medicina olistica.

Ildegarda dice che per riacquistare benessere psico-fisico,e lei ritiene indivisibili le due posizioni,l'uomo deve attingere le energie dal mondo circostante e che la malattia dipende spesso dalla disarmonia con il mondo esterno.

E'evidente anche un'anticipazione teorica rispetto alle posizioni della psicoanalisi e della psicosomatica.

Ildegarda si occupa anche di terapia e di farmacologia:è suo il più completo compendio di fitoterapia,addirittura anticipa le indicazioni della recentissima medicina di genere,personalizzando la posologia del rimedio a seconda che ad assumerlo fosse un uomo o una donna.

I suoi "rimedi" sono basati sulla teoria dei temperamenti,sul caldo e sul freddo,sull'umido e sul secco,e su un bilanciamento rispetto ad una carenza o ad un eccesso di sostanza.

Alcune delle sue intuizioni,se non tutte sono tuttora utilizzate:Ildegarda suggerisce mentuccia(menta) per l'acidità gastrica e per la nausea cumino usato largamente ancor oggi dalla scienza farmacologica,per la tosse e le malattie da raffreddamento il tanaceto ed l'estratto di foglie di salice.

Molto ancora sarebbe da trattare sulla Ildegarda medico,ma probabilmente occorrerebbe una biografia completa.

Ildegarda fu però anche altra figura e ne accennerò purtroppo brevemente:fonda il monastero di Bingen e ribalta con abilità intellettuale il concetto di vita monastica orientando anche il pensiero di Roma su una vita di predicazione aperta all'esterno ed al sociale

Nel sinodo di Treviri il papa EugenioIII legge alcuni suoi scritti e la riconosce autorità della chiesa romana.

Donna di riconosciuta intelligenza conferisce alla pari on principi e vesovi ,anticipando la posizione di Caterina da Siena,sfida Federico il Barbarossa nell'epistolario con l'amico

Bernardo da Chiaravalle.

Supera i limiti del suo tempo praticando(1169-dato non accertato) esorcismo su un uomo e la pratica è tuttora monopolio maschile.

Ancora è musicologa e musicista e rimangono famose le sue

Opere"O rubor sanguinis" e "Ave generosa".

Morirà a Bingen,il"suo convento"nel 1179.

Papa Giovanni Paolo II nell'occasione dell'800 anniversario la dichiara "donna forte ed esemplare" e "fiore della Germania".

Non è mai stato intrapreso nessun processo di beatificazione


 

Susanna Franceschi.


 


 


 


 


 


 


 


 


 

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domenica 20 dicembre 2009

Elizabeth Barton

La visionaria che intimorì Enrico VIII


 

Il momento che precedette il formale divorzio da Caterina D'Aragona e il nuovo matrimonio con Anna Boleyn fu per l'Inghilterra ,ma anche per il re ,un periodo di travaglio morale,di incertezze e di paura.

La transizione di poteri tra Roma e la Corona evolverà nel dramma dello scisma che distaccherà il paese dalla supremazia papale e di fatto lo isolerà politicamente dal resto dell'Europa.

Tra decisioni meditate,atti impulsivi d'orgoglio e tentativi diplomatici ci fu però anche una donna,una donna umile e sconosciuta ,che orienterà il pensiero del sovrano,non tanto per le immediate e ormai doverose prese di posizione politica,quanto sul vicino futuro.

Re Enrico si apprestava ormai a sposare la Boleyn con cui aveva un legame da anni.

Anna non era un tipino facile:prepotente,aggressiva ,a tratti isterica,sempre presupponente e superbiosa.

Anna non era amata né dal popolo né tanto meno dalla corte e nell'ultimo periodo,proprio a causa del suo forte carattere ,un po' meno anche dal re.

Vero è che gli inglesi continuavano ad amare Caterina e a momenti anche Enrico sembrava rimpiangere la dolcezza

e la sottomissione piena di dedizione dell'aragonese.

Ma quale uomo ,ieri ed oggi,non apprezza tali virtù di una donna?

Elisabetta Barton fu la donna che per un periodo alimentò la nostalgia per la Regina Caterina e quasi strutturò nel popolo opposizione feroce ad Anna ed anche al sovrano e mise la Bolena in una condizione di perdita di potere.

Elisabetta Barton definita "la devota fanciulla del Kent"e' stata in seguito assunta dalla chiesa romana al titolo e ruolo di mistica.

Nella realtà storica la donna non fu affatto una mistica,ma una visionaria con probabili allucinazioni in una condizione di lucida schizofrenia.

Le doti spirituali,definiamo così le sue visioni,si erano manifestate verso i sedici anni e la giovane aveva subito,incoraggiata dalla famiglia ,preso i voti.

Era diventata suora nel convento dell'abazia del Santo Sepolcro di Canterbury.

Per anni era stata una specie di oracolo del villaggio,dispensava consigli e prevedeva futuri fausti o infausti a chi lo richiedeva.

A causa di tutte queste predizioni e premonizioni la sua fama crebbe a dismisura e coloro che le richiedevano letture di futuro e consigli ,cominciarono ad arrivare da tutte le contee vicine.

Naturalmente Elisabetta,a sostegno della veridicità delle sue azioni e parole,asseriva che le erano ispirate direttamente da Dio che le compariva regolarmente e proprio Dio ispirava le sue parole.

Dio le aveva anche mandato visioni del Paradiso e dell'Inferno.

Non c'è bisogno di dire che tali visioni accadessero durante i quotidiani episodi di trance che avevano sempre numerosi spettatori.

Durante le frequentazioni della fanciulla in tali luoghi naturalmente venivano indicati anche i nomi delle varie anime che ,nel presente ,o nel futuro,vi avrebbero soggiornato.

Fino a questo punto poteva rappresentare uno dei tanti episodi di patologia psichiatrica con fruizione religiosa,ma ad Elisabetta venne in mente di mettere bocca nella vicenda reale.

E bocca ce la mise e ad alti toni:illuminata dal Signore disse che Enrico aveva messo la propria anima a disposizione del demonio abbandonando Caterina e se avesse sposato Anna avrebbe messo a repentaglio anche la propria vita.

La sua era una condizione di peccato mortale,Dio lo aveva abbandonato e come re abbandonato da Dio non era degno di regnare.

Queste parole pronunciate dalla donna amata dal popolo ed ,a suo dire ispirate direttamente dal Padre Eterno,furono per Enrico peggio della scomunica del pontefice.

Enrico era seriamente spaventato anche dalla possibile veridicità di queste parole:non dobbiamo dimenticare che,questo sovrano ricordato spesso per la sua crudeltà,era un uomo molto emotivo e facile preda di impulsi e paure,come di frequenti innamoramenti.

Il re la chiamò addirittura a corte e ,per imbonirsela,le offrì addirittura di nominarla badessa.

Elisabetta non si impressionò minimamente:e come poteva una che aveva il filo diretto con Dio,vendersi per un'abazia?Cominciò a vantare poteri soprannaturali:era in grado di comandare il vento e di alzare le onde del mare,di più:poteva liberare le anime dal Purgatorio..

Enrico era impressionatissimo,ma il colpo di grazia lo ebbe quando la monaca gli disse di aver visto Anna conversare con i demoni e far patti con loro

Enrico sapeva che già il popolo,ma anche la corte cominciava a parlare di questo ed oltre alla preoccupazione per la propria anima subentrò,senz'altro,la più realistica preoccupazione per il suo regno e il suo potere.

Anna ingoiò amaro,ma non ancora regina potè far poco nei confronti di tali allucinate maldicenze.

Non era tipo però da dimenticare o da sorvolare ed arrivò il momento che forse la Barton aveva sottovalutato.

Appena Enrico sposò Anna le profetiche parole della suorina presero il tono della vera minaccia politica.

La Barton in pieno delirio cominciò a predire che il re sarebbe stato deposto ed esiliato con la volontà di Dio e ovviamente spedito all'inferno

.Su pressione anche e soprattutto di Anna,Enrico non potè più soprassedere e la fece arrestare insieme ad alcuni suoi complici. Era il 1533.

Nella Torre Elisabetta parve rinsavire e dichiarò di essere stata manipolata e che non tutte le sue dichiarazioni erano vere.

Ma Anna ormai voleva il suo silenzio definitivo ed anche il re era preoccupato dei possibili esiti di altre "visioni"della suora.

D'altro canto erano stati condannati a morte come oppositori fior di gentiluomini e per molto meno.

Elisabetta Barton viene condannata a morte e muore nel 1534,ma i suoi feroci attacchi alla Bolena hanno lasciato una traccia negativa ed un dubbio in tutti gli inglesi,ma quel che è peggio ,anche in Enrico.

S.F

venerdì 18 dicembre 2009


TRIM CASTLE

Trim è forse il primo castello in pietra d'Irlanda.
E' definito dagli irlandesi il "re dei castelli"ed è stato uno dei simboli più forti dell'orgoglo indipendetista irlandese che risale all'età medioevale.
Trim si trova nella suggestiva contea di Meath ed è stato costruito lungo il fiume Boyane.
E' menzionato nella epopea poetica normanna"La canzone di Dermot e Eral".
La sua costruzione imponente viene iniziata dal grande Hugh De Lacy nel 1173.
Il castello fu però bruciato e distrutto completamente nello stesso anno dal feroce guerriero gaelico Ruadhri Ua Conchohoir.
Ruadry era il lotta di clan con i De Lacy per la supremazia delle baronie del nord.
Nonostante la disfatta di Trimm re Hugh risultò vittorioso e il suo potere,ma sopratutto l'assoluta fedeltà del popolo irlandese, spaventò anche la corona inglese che per un certo periodo temete addirittura che il De Lacy si proclamasse re d'Irlanda e svincolasse il territorio dalla giurisdizione di Londra.
Ciò non accadde ,ma Trim rimase nell'immaginario del popolo come il simbolo della forza e della libertà irlandese.
Il castello fu completato dal figlio di Hugh,re Walter De Lacy nel 1204,furono aggiunte le torri in legno ,la Sala del Gran Consiglio e il ponte levatoio.
.Ma la gloria di Trim termina con la dinastia dei De Lacy:nel tardo XIII Joanna de Geneville,ultima erede dei De Lacy sposa Roger Mortimer e la proprità passa a questo casato.
Quando l'ultimo erede maschio dei Mortimer muore nel 1425 il castello comincia a cadere nell'abbandono.
Addirittura nel 1530 il re d'Inghilterra ne fa un alloggiamento per due sue reparti di stanza nella contea.
Ultimo tragico sberleffo del destino per il castello che era stato l'orgoglio d'Irlanda.

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giovedì 17 dicembre 2009

 

Giovanna di Castiglia  la regina pazza

 A cura di: Susanna B. Franceschi

 
 

La storia di Giovanna di Castiglia è senz'altro una delle storie più drammatiche della storia medievale.

Giovanna folle per amore o Giovanna donna emancipata ed intelligente schiacciata dal dovere di stato e da regole morali e sociali che non riusciva ad accettare?

La controversia divide gli storici  da sempre ed i suoi stessi biografi contemporanei dettero spesso versioni diverse e contrastanti dei suoi comportamenti.

Ma  il percorso esistenziale di Giovanna va senz'altro inserito sia nella sua epoca, ma soprattutto nella regole e negli scopi politici della sua famiglia.

Giovanna nasce nel 1479 a Toledo da isabella di Castiglia e da Ferdinando di Aragona  regnanti di spagna.

Dico regnanti perché, avvenimento raro per quei tempi, isabelle e Ferdinando pur unificando la spagna in un unico regno, mantennero per patto matrimoniali, i poteri uguali e divisi nei rispettivi regni: Castiglia e Aragona.

Anche la nascita a Toledo è già premonitrice di un percorso legato ad un  ineluttabile percorso politico.

Isabella, figura forte che dominerà figli e marito per tutta la vita, usava partorire i suoi figli in città sempre diverse della spagna, giungendo gravida agli ultimi mesi in groppa ad una mula.

Oggi la chiameremo strategia di comunicazione o valorizzazione di immagine.

Ma isabella sapeva che farsi vedere da tutti i suoi sudditi sempre, ma in particolar modo al momento del parto dei principi avrebbe rafforzato la nuova monarchia.

Giovanna fu la terza di cinque figli: tutti destinati dalla nascita a ricoprire posti strategici negli stati dell' Europa.

Tutti divennero re e regine, basti pensare alla sorella di Giovanna, Caterina che divenne dopo la vedovanza dal principe Arturo moglie di Enrico VIII d'Inghilterra.

L'infanzia di Giovanna fu l'infanzia solitaria ed infelice dei piccoli principi sacrificati nel loro bisogno d'amore, come tutti i bambini, al dovere della ragion di stato.

Era una bambina silenziosa e poco socievole, divenne un adolescente ribelle problematica con un grosso e spesso espresso conflitto con la figura della grande madre.

Fu indubbiamente nell'adolescenza che cominciarono a manifestarsi segnali di quel disturbo alimentare, oggi definito bulimia ed anoressia che la accompagnerà tutta la vita.

Ma nel 1496 Giovanna viene data in sposa a Filippo detto il bello, figlio di Massimiliano d'Asburgo, e questo evento sconvolgerà definitivamente la vite della principessa di Castiglia.

Il matrimonio nato come alleanza strategica di due potenti regni diventa da subito rapporto di amore e di forte passione. Giovanna è innamoratissima del bel marito e lei vissuta nella bigotta corte spagnola è sconvolta dalla passione dei sensi.

Giovanna ha 19 anni, il bello 23.

La corte fiamminga appare nuova e sconcertante alla giovane spagnola che non si farà mai accettare dalla nobiltà.

Ma lei ha occhi solo per il suo Filippo e lui le basta.

In 10 anni Giovanna partorisce 6 figli, tra i quali quel Carlo che diventerà Carlo v sul cui impero non tramontava mai il sole

Ma se l'amore è eterno per alcuni. non lo è per altri.

E se eterno lo fu per Giovanna non lo fu altrettanto per Filippo.

Il giovane principe, che le cronache descrivono come degno del suo soprannome, cominciò presto ad avere giovani ed innominate amanti, a frequentare da solo o con amici osterie e a dedicarsi ad ogni piacere.

Non era cosa che Giovanna, principessa di Castiglia potesse accettare di buon grado.

Le scenate si ripetevano eclatanti anche nelle occasioni ufficiali.

Giovanna urlava, tirava oggetti, si buttava per terra, non mangiava per giorni.

Filippo rispondeva a volte con indifferenza, a volte, sempre raccontano gli storici contemporanei, alzando le mani sull'infelice creatura.

La leggenda della follia d'amore di Giovanna cominciò a correre per l'Europa ed arrivò fino alla severa corte spagnola preoccupando isabella e Ferdinando che vedevano in tutto ciò una destabilizzazione del loro disegno.

Giovanna, isabella gravemente malata di tumore all'utero, era infatti stata designata erede della Castiglia.

I reali invitarono la coppia, Giovanna e Filippo, in spagna, al fine di conoscere possedimenti e di farsi riconoscere dal popolo.

Giovanna accettò di malincuore temendo un tranello per non farla tornare in fiandra assieme all'amato.

Filippo ambizioso vide nel viaggio e nelle stranezze di Giovanna, l'ipotesi di divenire unico re di spagna.

Nel corso della visita la situazione psicologica della principessa precipitò: le scenate di gelosia e i digiuni seguiti da abbuffate notturne si moltiplicarono.

Ormai era per tutti "la loca".

Morta isabella Ferdinando reggente a nome di Giovanna della Castiglia, le impedisce di seguire Filippo nel viaggio di ritorno in fiandra e la rinchiude nel castello della Mata di Medina.

E' il colpo di grazia.

Nel 1506 Filippo muore probabilmente di complicanze virali.

Giovanna si rifiuta di far seppellire il marito che viene imbalsamato e conservato vicino a lei.

La ormai regina di Castiglia parla per ore con il cadavere, lo accarezza, lo bacia: nessuna donna glielo potrà più strappare. finalmente Filippo è suo, solo suo.

Quando è costretta ad abbandonare Burgos, dove è prigioniera del padre, per un epidemia di peste, costringe il seguito a portarsi dietro il cadavere di Filippo.

Ferdinando stanco di tanta follia e consapevole del pericolo per l'unità spagnola di questa sovrana la rinchiude nella fortezza di Tordesillas.

Giovanna ci rimarrà 46 anni.

A conferma della sua follia rifiuterà per 46 anni la confessione e i sacramenti.

Suo figlio Carlo v che quasi non l'ha conosciuta è ormai imperatore, altri suoi figli e figlie sono sui troni di Europa. sua nipote maria, detta la sanguinaria, è regina d'Inghilterra.

Muore vestita di stracci, irriconoscibile, nel1515.

Sulla sua tomba si recherà solo il nipote Filippo II°.

Le sue ultime lettere denunciano il pensiero chiaro, consapevole e doloroso di una donna che era vissuta in un epoca troppo distante dalla sua sensibilità e dalle sue potenzialità intellettive.

Oggi Giovanna sarebbe stata definita una sindrome bipolare con alterazioni del comportamento alimentare: quello che viene definito il fuoco sacro, la patologia dei geni

 

 

martedì 15 dicembre 2009

IL MATRIMONIO NEL MEDIOEVO


 

Parlando di donne(e con le donne è poi inevitabile parlar di uomini),non si può non affrontare la condizione o lo status che più nel medioevo,e per molti versi anche oggi,condizionava e strutturava la loro vita sociale:il matrimonio.

Affrontando lo studio della condizione femminile nel medioevo si rileva che l'unica forma di sopravvivenza sociale e di possibilità di esistenza di una donna era il matrimonio.

L'alternativa era il convento,ma accedere a questi luoghi spesso significava dover investire economicamente.

I conventi ,tranne in pochi casi in cui le suore e le novizie erano vere e proprie schiave,esigeva per l'entrata una dote.

Ora è vero che la dote veniva chiesta anche per il matrimonio, ma in questo caso la famiglia della giovane poteva avere dei vantaggi:nel caso di nobili buone alleanze,per i poveri braccia in più per il duro lavoro della terra.

Il matrimonio era quindi una soluzione preferenziale nel disgraziato caso di avere una o più figlie femmine.

Il matrimonio ,in qualsiasi società e cultura è riconosciuto come forma strutturata e legale di unione tra uomo e donna.

Troppo lungo e fuorviante per il tema trattato ,affrontare le origini della nascita del matrimonio.

Al di là del riferimento al problema del patronimico ,che si può far risalire al passaggio dal nomadismo alla stanzialità delle prime comunità agricole,l'etimologia stessa ci può offrire delle indicazioni:dal latino mater-patrimonium.

Nulla a che vedere con l'attuale connotazione della condizione:di amore o anche di attrazione fisica o di semplice simpatia nel matrimonio per millenni non se ne parlerà neppure.

Il matrimonio fu considerato ,ai primordi della nascita della chiesa ,solo un contratto civile che soggiaceva alle leggi dello stato ed era strutturato da una serie di regole.

Solo nell'alto medioevo la presenza di un sacerdote che semplicemente benediva la coppia fa si che l'evento inizi ad assumerla forma di rituale religioso.

Per tutto il periodo di mezzo comunque il matrimonio rimane prevalentemente un contratto civile,anche se a partire dal sec IX si affermò la consuetudine di redigere l'atto davanti ad una chiesa o ad un'abazia.

Se ciò avveniva,seguiva all'atto notarile una breve cerimonia religiosa con formule e preghiere specifiche.

Tutto questo non implicava affatto l'indissolubilità del matrimonio o il suo carattere religioso.

Il divorzio o la rottura del contratto era una pratica frequentissima e non creava né scandalo né allontanamento dalla chiesa.

Le due cose erano vissute come separate dal clero stesso.

Le regole per il divorzio erano molteplici e duttili,anche se proprio nel IX secolo si ha la massima estensione di divieti esogamici e di matrimoni tra consanguinei.

Il passaggio del matrimonio da atto civile regolato da leggi dello stato e dalla volontà dei contraenti a evento religioso(di sacralità si parlerà solo molti secoli dopo)è datato dalle vicende sia politiche che personali che segnarono il regno di Filippo I:in seguito a questi avvenimenti che avevano creato soprattutto problematiche dinastiche,al matrimonio viene data una prima organizzazione canonica.

Di lì a pochi anni papa Alessandro III lo inserisce a pieno titolo della liturgia ecclesiastica.

Papa Alessandro definisce il matrimonio un patto in cui gli sposi contraenti sono i ministri e la sessualità il completamento necessario di quest'atto,finalizzando quest'ultima alla procreazione.

Nelle campagne e sopratutte tra le persone più povere il matrimonio rimarrà a lungo solo un atto civile,magari da svolgere davanti ad un luogo sacro.

Questo esclusivamente per motivi economici essendo la tariffa notarile notevolmente più bassa di quella ecclesiale.

S.F

domenica 13 dicembre 2009


Il FORMAIAGE


 

Comprendere la vita delle donne ed anche ,naturalmente ,degli uomini che vissero l'età di mezzo,è anche comprendere tutta una serie di usanze,rituali ed obblighi che,visti con i nostri occhi di cittadini del secondo millennio,ci possono sembrare assurde o per lo meno bizzarre.

Una delle leggi più incisive nella vita contadina del periodo fu senza dubbio la legge del Formaiage.

Nel x secolo,dopo l'affermazione delle signorie rurali viene in uso presso i feudatari di imporre l'obbligo di una tassa particolare ai loro contadini,il Formaiage .

Questa tassa,perché proprio di tassa si trattava e non di balzello,consisteva in una cifra più o meno elevata che si doveva pagare quando un servo o un bracciante desiderava sposare una donna che apparteneva ad un'altra signoria.

La tassa veniva pagata all'atto di chiedere al signore il permesso e non veniva restituita anche se,in un secondo momento e per motivi vari,compreso il capriccio del feudatario,il permesso veniva negato.

Come ben si può derivare,conoscendo l'estrema povertà in cui vivevano i servi e i contadini,questa spesa gravava non poco sulla decisione e la possibilità di sposarsi.

D'altro canto non sempre era facile trovare una sposa nel cerchio del proprio territori in quanto la popolazione,falcidiata da malattie e cattiva nutrizione oltre che guerre varie,non era numerosa.

La tassa pesò sulle popolazioni rurali per tutto il medioevo e sopravvisse,nel nord Europa anche in pieno rinascimento.

E' probabilmente dal Formaiage(termine francese) che nasce la celebrata leggenda dello"ius primae noctis",coiè il diritto del signore di giacere con la sposa del suddito la notte delle nozze.

Questa usanza non è accreditabile da nessun riscontro storico ed è totalmente priva di fondamento.

Con una considerazione del tutto personale,posso ipotizzare che molti servi avrebbero senza dubbio preferito lo "ius",ad una tassa che spesso indebitava la famiglia per anni.

venerdì 11 dicembre 2009

Giovanna D'arco :una santa tradita.


 

Una normale ragazzina di 17 anni, completamente aderente alle richieste sociali della sua epoca, il 1400, e della sua terra, la Francia.

Sapeva tosare velocemente e senza danno una pecora, sapeva tenere al pascolo il suo gregge, filava e tesseva la lana per quei pochi vestiti che ,allora, una famiglia contadina poteva permettersi.

Sarebbe, probabilmente, diventata una buona madre di famiglia: un marito pastore come lei,o meglio ancora contadino, un figlio dopo l'altro per tutta l'età fertile e, tra morti e vivi, ne avrebbe allevato un esercito.

Qualche festa paesana, molte processioni, la Santa Messa ogni festivo comandato: non sarebbe probabilmente mai uscita da Domrèmy, il suo villaggio.

Ma il destino ha giochi improvvisi ed imprevedibili: la banale ragazzina della provincia diventerà infatti guerriera ,santa ispirata, martire sul rogo come strega ed eretica ed infine patrona di Francia.

Ma cominciamo,come sempre nella Storia e nelle storie, dal principio.

Giovanna nasce a Domrèmy nel 1412 .

La sua è una famiglia di contadini e pastori, né più ricca , né più povera di tanta altre: diciamo che se la cavavano benino per i tempi e, soprattutto, mangiavano tutti i giorni.

E' la figlia minore , più coccolata degli altri, una bimba silenziosa, ubbidiente ,ma anche testarda: il padre e i fratelli sopportano le stranezze: è la più piccola e la madre, dopo tutti quei figli, è stanca e la lascia fare.

Si occupa delle pecore: le porta al pascolo e nei prati,nel dolce far nulla del pastore quando gli animali brucano c'è la sua libertà.

La Francia è un paese occupato .

A seguito della sanguinosa guerra dei Cento Anni è sotto la dominazione inglese: ai contadini, chiaramente, non importa nulla poiché ,da sempre, un padrone è uguale all'altro.

Fondamentale era il controllo della città di Orleans , sulla Loira, per la sua posizione strategica.

Nel 1422 (Giovanna ha 10 anni) muore il re d'Inghilterra Enrico V e gli succede il re bambino Enrico VI, nello stesso anno muore anche il detronizzato re francese Carlo VI e comincia a rompersi il precario equilibrio politico.

L'erede legittimo al trono del giglio Carlo VII rifiuta di abdicare e si nomina re di Francia .

Come vuole la tradizione deve essere incoronato a Reims,ma la città è in mano agli Inglesi.

E' Reims che deve essere liberata,come simbolo della Francia,come sede della monarchia .

Il conflitto secolare stava per volgere ad una conclusione logica e scontata: gli inglesi vittoriosi e forti sul piano militare non si erano minimamente integrati nel tessuto sociale, si erano si comprati a suon di terre ,donazioni e titoli ,il clero e gli intellettuali,ma erano invisi e mal sopportati dalla potentissima nobiltà della Borgogna.

Carlo VII ,dopo l'impeto di orgoglio,attende con fatalismo la caduta dell'ultimo baluardo:Orleans.

Dopo capisce che sarebbe stata la fine :ma è rassegnato, passivo ,non ha quella carica carismatica che avrebbe fatto di lui un re condottiero.

Ma ci penserà il destino mettendo sulla sua strada Giovanna.

E' un episodio traumatico che segna la svolta del destino di Giovanna e della Francia.

Un giorno,di ritorno come sempre dai pascoli, Giovanna assiste ad una scorreria degli inglesi nel suo villaggio.

Si nasconde in una credenza dell'ampia cucina,è terrorizzata ,fa meno rumore che può ,non la scoprono ,ma da quel suo rifugio assiste ad uno scempio.

I soldati violentano brutalmente la sorella diciottenne e poi la uccidono con ferocia.

Giovanna è sconvolta , non mangia ,comincia ad avere visioni:sente la voce di Dio che la chiama alla battaglia contro gli occupatori inglesi .

La moderna medicina psichiatrica definirebbe la condizione come "evoluzione dissociativa di tipo paranoide in soggetto bordeline su base traumatica" ,allora si pensò ad un intervento divino.

I genitori di Giovanna sono però spaventati da questo cambiamento della figlia e decidono di allontanarla dal paese.

La mandano dagli zii i un villaggio vicino sperando in un miglioramento.

Niente da fare: Giovanna ha eliminato in sé ogni dubbio sulla chiamata divina e scende in campo in aiuto del re Carlo.

"Vi porto notizie dal nostro Dio.Il Signore vi renderà il vostro regno,voi sarete incoronato a Reims e scaccerete i vostri nemici.

In questo senso io sono il messaggero di Dio:concedetemi la possibilità ed io organizzerò l'assedio di Orleans" :queste furono le sue parole a Carlo.

Carlo ,inaspettatamente, le crede o le vuole credere :non ha molte scelte e quella folle fanciulla potrebbe catalizzare truppe stanche e demotivate.

La mette a capo dell'esercito , almeno formalmente a capo :i veri comandanti sono pari del regno e ben esperti nelle armi e nelle strategie, come Gilles De Rais ,uomo forte e geniale che divenne da subito protettore ed amico di Giovanna.

Giovanna si presenta in campo con un'armatura bianca ed un proprio vessillo.

La Pulzella affascina le truppe ed impressiona entrambi gli eserciti :è sempre schierata con i suoi uomini, combatte ,mangia ,dorme con loro protetta da quel suo alone di santa verginità.

La prima battaglia per liberare Orleans è vinta:Giovanna si prepara a sferrare l'attacco definitivo.

Il valore con cui viene condotta la battaglia è grande,ma la Pulzella, sempre in prima fila, è trafitta da una freccia ,gli uomini esausti ed impauriti di aver perso l'appoggio divino si ritirano.

Ma altrove le truppe francesi riportano solo vittorie e gli inglesi sono ormai militarmente ideboliti.

Alla vista di tanta carneficina,qualcosa si spezza nel delirio di Giovanna e la Pulzella

Contatta il re inglese per proporre di ritirare l'esercito.

La lettera è del 1492:altro miracolo( almeno per i credenti di allora),il re d'Inghilterra accetta di ritirarsi.

Molto probabilmente Enrico VI vide nella lettera di Giovanna una buona opportunità per ritirarsi dai territori che avrebbe comunque perso,salvando la faccia in nome della fede.

Carlo è finalmente incoronato a Reims.

Tutti sono soddisfatti e la Francia esulta ,ma non Giovanna.

Il suo delirio si fa più forte e le" voci" non le consentono di smettere la sua battaglia.

Contro ogni parere,Gilles De Rais tentò con ogni mezzo di farla desistere,marcia verso Compiegne dove ha luogo una tragica battaglia.

E' fatta prigioniera dai Borgognoni che sostengono gli inglesi,ma in realtà Carlo ,il suo re l'ha venduta.

E' infatti ormai convinto che l'esaltazione di Giovanna non solo non è più funzionale ai suoi progetti,ma anche pericolosa:la ragazza è incontrollabile.

Giovanna prigioniera si risveglia in una cella inglese e lì le compare sotto forma di visione la sua Coscienza che ha le sembianze di un uomo incappucciato.

Parla della sua visione e delle "voci" per tutto l'interrogatorio ed è ormai facile dimostrare che è una strega.

Durante il processo spesso si ferma è comincia a dialogare con la Coscienza,che lei dice,è presente accanto a lei.

Niente e nessuno può e vuole salvarla.

Muore bruciata sul rogo,tra gli insulti della folla accorsa,nella piazza centrale del mercato di Rouen: è il maggio 1431.

Nascosto tra la folla ed impotente,Gilles assiste alla sua morte. Susanna Franceschi


 


 


 


 

martedì 8 dicembre 2009

STREGONERIA : DAL SIGNIFICATO AL SIGNIFICANTE.


 


 

La stregoneria è un fenomeno le cui origini e radici si perdono con le origini dell'uomo e dei primi agglomerati umani. La conno tazione della stregoneria assume valori e riscontri sociali diversi a seconda dell'epoca storica,della collocazione geografica e della cultura religiosa nella quale viene inserita.

Ma se vogliamo iniziare ad indagare su questa forma culturale trasversale a popoli e civiltà estremamente diverse tra loro ,secondo me,dovremmo iniziare da una disamina etimologica del nome.

Il significato dei nomi e la loro origine dà spesso alla storia la possibilità di orientarsi e di definire la loro rappresentazione dentro una cultura.

Nella tradizione latina-mediterranea il termine"stregoneria"è collegato a "strix" (uccello notturno)e probabilmente le radici sono nella lingua etrusca.In lingua francese la derivazione è "sorcier-sorciere", che individua la capacità delle streghe e stregoni di predire la sorte e individua nel fenomeno il valore religioso della divinazione.

Più complesso il significato nella tradizione linguistica anglosassone : "wizard-witch"deriva dal sassone " wicca-wicce" e corrisponde a saggio-saggia .

In tutta la cultura nord europea la stregoneria aderisce ad un modello positivo di saggezza e di capacità di orientare scelte e giudizi verso il bene .

Pensiamo ad esempio al mito di re Artù e alla figura di mago Merlino .

La leggenda,di origina gaelica pone Merlino come sapiente mago immortale che guida il re a scelte per il bene del suo popolo.

La stessa mitologia nordica non conosce il termine "strega",ma solo "fata",cioè donna che sostiene positivamente gli uomini nel percorso della vita anche,ma non solo, con l'aiuto del sortilegio.

Da queste poche definizioni potremmo orientarci per comprendere la diversità di vissuto sociale che hanno avuto,nell'Europa medievale streghe e stregoni.


Grande è la violenza che sta nell'indifferenza e nell'abbandono

lunedì 7 dicembre 2009

GINEVRA :UNA REGINA TRA STORIA E LEGGENDA


 

La figura della regina Ginevra di Camelot appartiene a quella terra di confine che si colloca tra storia e leggenda.

Poche sono le notizie che la riguardano nel grande poema epico anglico della Tavola Rotonda

.Di Ginevra si conosce la sua condizione di amata sposa e regina di Artù,si sa che fu amata con passione dal primo cavaliere della Tavola,Lancillotto,l'uomo senza macchie e votato più di ogni altro cavaliere al suo sovrano e alla sua missione:ritrovare il Graal,la coppa nella quale Cristo bevve all'ultima cena.

Si sa,di conseguenza,che l'amore clandestino tra la regina e il primo cavaliere macchiò questi,immacolato fino a quel momento,del peccato più grande:il tradimento verso il suo signore e verso Dio,e che causò la distruzione di quell'insieme di ideali di coraggio e di lealtà che avevano dato vita alla Tavola e al pacifico regno di Camelot.

Ginevra viene dipinta come una donna frivola e civetta che non esita,per la propria vanità e lussuria a rovinare non uno,ma due eroi e a lasciare il suo regno nella rovina ed in preda alle aggressioni del nemico.

Ancora una volta la figura della donna viene ad essere collocata in una posizione di tentatrice demoniaca,portatrice e fautrice di rovina per gli uomini .

Ma chiunque abbia dimestichezza con la storia sa che,come per tutti i personaggi che appartengono da una parte all'ipotesi di realtà storica e dall'altra al mito,tanto più sono le controversie ed i dibattiti su di essi,tanto più grandi le mistificazioni,tanto più probabile è l'ipotesi della loro importanza presso il loro popolo di origine e nella loro cultura.

Questo vale a maggior ragione per le figure femminili.

Tutto un alone di leggenda avvolge la figura di questa donna che appare veramente frutto della fantasia popolare,ma tutti i personaggi,o almeno i più importanti,che gravitano intorno a lei ,possiedono un riscontro nella realtà.

Il marito sovrano,il grande Artù è probabilmente vissuto nel V o VI secolo dopo c Cristo in Britannia.

E' interessante notare che negli antichi poemi Artù non viene mai definito con il termine celtico di sovrano,ma piuttosto di "re della guerra";questa dizione ci fa presupporre che con alta probabilità Artù agli esordi della sua ascesa ,era un mercenario che veniva di volta in volta assoldato da re di tribù o clan per guerre intestine allora frequenti nella divisa Britannia.

.Questo andrebbe anche a chiarificare la sua gloria successiva di unificatore della varie tribù bretoni.

Le origini di Artù si possono riassumere in tre ipotesi fondamentali:la prima riguarda la possibilità che Artù fosse un guerriero celto probabilmente figlio cadetto di re Uther Pendagron,la seconda fa coincidere la figura del creatore di Camelot con Riotanno re dei Brettoni nel V secolo,la terza che Artù fosse un romano britannico,cioè uno di quei comandanti che furono abbandonati nell'isola angla con la famosa VI legione.

Se condividiamo,come io la condivido,questa terza ipotesi,Artù si sarebbe chiamato in origine Lucio Artorio e

Avrebbe sfruttato la sua abilità militare formatosi alla grande scuola di Roma per divenire"il re della guerra"cioè un guerriero mercenario così abile e forte da poi riuscire ad avere un proprio esercito e a diventare addirittura sovrano di vasti territori.

Spiegherebbe inoltre la raffinatezza che creò alla sua splendida corte del castello di Camelot,raffinatezza che certo non apparteneva ai rudi guerrieri celti o britanni.

Ma spiegherebbe anche il suo incontro con Ginevra.

Artù è chiamato ad aiutare(e chi se non un capo di truppe mercenarie poteva essere chiamato a sostegno di un assedio non sussistendo nessun carattere di legame parentale o alleanza in corso?)re Leodagon che è assediato dai suoi nemici di clan da tempo e sta per soccombere.

Artù arriva a sorpresa e sbaraglia senza difficoltà gli assedianti

.In questo momento è ancora definito" re delle guerre".

Leodagon offre ai liberatori un sontuoso banchetto ed è durante la festa che Artù vede per la prima volta Ginevra.

Se c'è un dato su cui tutti i successivi narratori sono in accordo è che Ginevra è bellissima ed è inevitabile che Artù se ne innamori alla follia da subito.

Chiede quindi a Leodagon la figlia in sposa e il re,ormai avanti con gli anni,acconsente con gioia.

Leodagon aveva degli ottimi motivi per accettare la proposta di Artù,il primo motivo era che con un genero di quella stazza militare nessun clan vicino si sarebbe sognato di guerreggiare con lui,il secondo era che si liberava di una figlia con un buon matrimonio,forse insperato.

Non dobbiamo scordarci che le ipotesi di vita per una donna nel medioevo erano o il matrimonio o la clausura religiosa e spesso la scelta religiosa costava economicamente di più alla famiglia ,senza neppure il tornaconto delle alleanze.

Il matrimonio è deciso,ma a questo punto subentra una figura amata e nota della saga di Artù:Merlino.

Merlino verrà trasferito nella leggenda come mago,ma è una descrizione riduttiva della figura.

Merlino è probabilmente un druido,anzi tutte le descrizioni su di lui confermano questa ipotesi.

I sacerdoti druidi non erano maghi,o perlomeno non nell'accezione oggi comune del termine.

Erano degli uomini di sapere in un mondo,quello celtico e britannico che non aveva ancora una cultura della scrittura.

I druidi erano coloro che sapevano,e come dice Lacan diversi secoli dopo,avendo la conoscenza in un mondo di ignoranti,avevano un potere enorme.

Merlino era il druido di Artù,il suo capo spirituale,il suo consigliere.

In questo caso Merlino dice che il matrimonio con Ginevra è ottima cosa,ma si farà dopo che Artù avrà sconfitto i Sassoni che stanno mettendo a ferro e fuoco la Britannia.

Qui mi vorrei lanciare in una ipotesi che alcuni mi potrebbero contestare:Merlino come consigliere fa un ottima proposta strategica,se Artù è solo il "re delle guerre",vincendo gli invasori sassoni potrà arrogarsi il titolo di sovrano e di unificatore delle tribù,a quel punto il matrimonio con Ginevra,figlia di re e di pura stirpe britannica sarà utile per rafforzare la sua corona.

Artù parte con il suo esercito e in pochi giorni sbaraglia l'esercito sassone,torna da Leodagon e sposa Ginevra.

Comincia il mito,si entra nell'epopea della Tavola rotonda.

Ginevra è colei che infonde forza e coraggio al sovrano.

Se Merlino rappresenta il saggio e scaltro consigliere,Ginevra rappresenta colei che attraverso amore e dedizione dona quella serenità a Artù che gli permetterà di governare e di rendere forte il suo popolo.

La regina è sempre al fianco del re,è con lui nella creazione di Camelot e della sua corte,è al suo fianco anche nella fondazione della Tavola Rotonda.

Questo particolare è assai importante per comprendere la figura di Ginevra:la tavola è rotonda perché tutti i nobili cavalieri,e il re tra loro,sono alla pari ed ugualmente uniti nell'ideale cavalleresco,e Ginevra,eccezionale per una donna,è tra loro accanto al suo signore e ai cavalieri.

Ginevra siede alla Tavola non solo per la sua nobiltà di censo,ma perché è riconosciuta pura e nobile nell'animo,come un uomo(e nel medioevo non era fatto frequente)e perché le sue parole sono ascoltate con attenzione dal sovrano e dai cavalieri.

Il suo stesso nome celtico :Gwena,ha un triplice significato,bella,donna e regina nell'animo.

L'ombra del peccato tocca,nel mito,Ginevra,con il tradimento compiuto con il più puro dei cavalieri,il più giovane e valoroso:Lancillotto.

Se leggiamo però attentamente il racconto ,fatto a posteriori,dai narratori del ciclo della Tavola,lo possiamo inscrivere in una antichissima tradizione celtica ancora presente in alcune zone rurali del nord del paese.

In questo mito si parla di una donna bellissima rappresentante la Dea Terra che si trova ad essere amata da due uomini che si sfidano per il suo amore,uno è un uomo più anziano con cui la Dea ha avuto un lungo rapporto e a cui è legata da glorie passate,l'altro un uomo più giovane vigoroso ed irruente che arriva improvvisamente da terre lontane.

Questo mito rappresenta il ciclo delle stagioni ,con l'uomo anziano che simboleggia l'inverno,ed il giovane che è la primavera che arriva improvvisa e tutto rallegra con la sua colorata irruenza.

La Dea Terra è,nel suo ciclo continuo,successivamente preda del vecchio inverno o della giovane primavera.

A ragione di questa equivalenza simbolica è il ritorno dell'amore per Artù dopo la passionalità per Lancillotto e quindi il riproporsi fatale della natura nei suoi cicli.

Ginevra quindi nella sua nobiltà d'animo,è nel mito della Tavola la donna che,non solo infonde fiducia e speranza,ma anche Madre Terra,cioè colei che porta equilibrio nel ciclo della vita.

Ginevra è inoltre colei che non darà figli ad Artù,e la sua verginità,probabilmente non un attributo fisico,ma di animo,fa si che divenga simbolicamente madre di tutti ,,Madre Terra appunto.

Questa figura di donna ha forse rappresentato nella tradizione celtica una figura più incisiva di quella del marito Artù che è stata trasfigurata ed ingigantita nel romanzo d'amor cortese in epoca più tarda ,quando gli antichi miti della Dea Terra erano stati dimenticati e le donne avevano assunto una posizione di inferiorità sociale e la cultura cattolica aveva riversato sul femminino l'ipotesi a priori del peccato sessuale