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sabato 29 maggio 2010


GIOVANNI MARINI:IL POETA DEI GIUSTI


 

Di GIUSEPPE GALZERANO


 

Ricordando Giovanni Marini

La sera del 23 dicembre 2001 un infarto ha stroncato

prematuramente, a 59 anni, la vita di Giovanni Marini, il "poeta dei folli e dei

giusti". Al suo rientro la madre l'ha trovato privo di vita. La notizia è stata

diffusa dalla stampa locale del 27 dicembre 2001, a tumulazione avvenuta e per

questo nessuno dei compagni e degli amici ha potuto rendere a Giovanni Marini

l'estremo saluto. È "sopravvissuto" quasi trent'anni a una sentenza di morte

pronunciata nei suoi confronti dai fascisti di Salerno. L'anarchico Giovanni

Marini, nato il 1 febbraio 1942 a Sacco, un paesino all'interno del Cilento,

"doveva" morire una sera d'estate di molti anni fa. Era il 7 luglio del 1972

quando sfuggi a una vile aggressione fascista, nel corso della quale perse la

vita una dei suoi aggressori, il giovane Carlo Falvella. La città di Salerno in

quelli anni fu teatro di moltissime azioni fasciste, come incendi, devastazioni

di sedi e aggressioni a militanti della sinistra, fino ad un assalto alla

redazione del quotidiano "Il Mattino". Giovanni Marini era impegnato in una

contro-inchiesta su uno strano incidente stradale che aveva provocato la morte

di cinque anarchici calabresi, Giovanni Aricò, Annalisa Borth, Angelo Casile,

Francesco Scordo, Ligi Lo Celso, avvenuto il 27 settembre 1970 sull'autostrada

nei pressi di Ferentino, a pochi chilometri da Roma, dove i nostri compagni si

recavano per consegnare i risultati di una loro inchiesta sulle stragi fasciste,

che avevano cominciato ad insanguinare l'Italia. Le carte e i documenti degli

anarchici di Reggio Calabria non furono mai ritrovate. Nell'incidente, avvenuto

all'altezza di una villa di Valerio Borghese, fu coinvolto un autotreno guidato

da un salernitano, che procedeva con i fari posteriori spenti. Pare che

l'autista avesse simpatie fasciste. Marini doveva accertare se era stato un

incidente casuale oppure organizzato e per questo aveva ricevuto molte minacce

telefoniche, ma non sappiamo a che cosa approdarono le sue indagini. Nella

prima serata del 7 luglio 1972 a Salerno si consumò l'ennesima provocazione da

parte di Carlo Falvella e di Giovanni Alflinito, due militanti del MSI. Falvella

per provocare una sua reazione, incontrandolo, gli diede una gomitata, ma Marini

che passeggiava in compagnia di Gennaro Scariati, nato nel 1955 a Salerno, non

reagì. E ben fece perché il lungomare di Salerno era strapieno di fascisti

pronti ad intervenire per dar man forte ai camerati certamente mandati in

avanscoperta. Più tardi Marini e Scariati, ai quali nel frattempo si era

aggiunto per puro caso il giovane Francesco Mastrogiovanni, nato nel 1951 a

Castelnuovo Cilento (Sa), ridiscendendo tranquillamente Via Velia per andare a

teatro, incontrarono nuovamente i due giovani missini. Ai due Mastrogiovanni

disse di lasciarli in pace e per tutta risposta vide luccicare la lama di un

coltello che lo ferì alla gamba, svenne e cadde sul marciapiedi. A questo punto

intervenne Giovanni Marini, che riuscì a disarmare gli aggressori e,

impossessatosi del coltello che aveva ferito Mastrogiovanni, nella colluttazione

ferì Carlo Falvella, un giovane fascista di 21 anni. I fascisti – di fronte

all'imprevista e coraggiosa reazione – se la diedero a gambe, limitandosi a

soccorrere i loro due camerati e poco dopo Falvella morì all'ospedale.

Mastrogiovanni, sanguinante per la ferita alla gamba, dovette ricorrere

all'autostop per recarsi in ospedale. Marini si costituì subito dopo e fu

dichiarato in arresto insieme con Mastrogiovanni e con Scariati, che si costituì

dopo alcuni giorni e venne prosciolto in istruttoria, mentre Mastrogiovanni sarà

scarcerato ma imputato per rissaNonostante un manifesto della federazione

provinciale del PCI di Salerno che definiva Marini uno "sciagurato",

all'anarchico salernitano – sfuggito ad un'aggressione fascista – andò subito la

solidarietà del movimento anarchico e della sinistra extraparlamentare (una

prima sottoscrizione a loro favore fu fatta dal sottoscritto tra i compagni che

partecipavano alla manifestazione per il centenario del Congresso

dell'Internazionale svoltosi a Rimini nel 1872). < Falvella fu seppellito con

tutti gli onori dovuti a chi cade nel corso di una battaglia e lo stesso Giorgio

Almirante – che precedentemente, in un comizio a Firenze, aveva incitato allo

"scontro fisico" – e altri esponenti missini si recarono a Salerno. < >Intanto

Marini, descritto come un mostro, una belva anarchica assetata di sangue, per

punizione peregrinava incessantemente da un carcere all'altro e a Caltanissetta

fu destinato in una buia e umida cella. E non smise mai di denunziare le

incivili e aberranti condizioni di vita riservate ai carcerati. >Il processo

iniziò a Salerno per il 28 febbraio 1974. Il collegio difensivo era costituito

dal senatore comunista Umberto Terracini, dagli avvocati Giuliano Spazzali,

Gaetano Pecorella e Francesco Piscopo del foro di Milano e dall'avv. Marcello

Torre di Pagani (ricordo che poco dopo l'arresto, di mia iniziativa, mi ero

recato a Potenza per proporre all'avv. Tommaso Pedio di assumere la difesa, ma

non lo trovai e poi seppi del collegio difensivo). <br>Tra i difensori degli

aggressori, l'avv. Alfredo De Marsico, già ministro della Giustizia di Benito

Mussolini e uno dei collaboratori del famigerato codice Rocco, e gli avvocati

salernitani Dino Gassani e Giacomo Mele, esponenti missini di rilievo e di

provata fede. < Il 13 marzo 1974 il tribunale di Salerno, adducendo motivi di

ordine pubblico, sospende il processo spostandolo a Vallo della Lucania, dove

riprende il 30 giugno del 1974. Fu seguito da numerosi compagni e compagne

venuti da ogni parte d'Italia anche per testimoniare e manifestare solidarietà a

Marini, oltre che dagli inviati dei maggiori quotidiani italiani (chi scrive lo

seguì per "l'Internazionale" di Ancona, "Espoir" di Tolosa e "Le Monde

Libertaire" di Parigi). A Vallo della Lucania, il PM Zarra chiese la condanna di

Marini a diciotto anni di carcere. Invece il tribunale – presieduto dal giudice

Fienga – lo condanna a dodici anni, con tre anni di sorveglianza e

all'interdizione dai pubblici uffici, assolvendo Mastrogiovanni e il missino

Alfinito dall'accusa di rissa. Al processo d'appello – che si tiene a Salerno

dal 2 al 23 aprile 1975 – la condanna viene ridotta a nove anni di carcere, dei

quali ne sconta sette. < Quando viene scarcerato Gerardo Ritorto, presidente

socialista della Comunità Montana del Vallo di Diano di Padula, mio tramite, gli

offre un lavoro che accetta. <br>Marini però portava nelle sue carni le

insanabili ferite della detenzione e della persecuzione carceraria e, purtroppo,

vedeva dappertutto "nemici" e così un giorno sfasciò dei mobili in un ufficio

della Comunità Montana. Venne arrestato e licenziato. Uscito distrutto

dal carcere, purtroppo Marini si era illuso di trovare un suo "mondo", senza

rendersi conto che molte cose erano cambiate, che i valori politici si erano

assottigliati e sopravvivevano presso una piccola minoranza o si erano

addirittura perduti. Così una volta fuori, persa la serenità, Giovani Marini

– pur avendo vissuto il periodo della detenzione con una grande coerenza e

combattività – è andato via via autoemarginandosi dalla vita e dal movimento

anarchico. Aveva trovato un conforto nella poesia e già durante la

detenzione il volume "E noi folli e giusti", pubblicato nel 1975 dall'editore

Marsilio, aveva ottenuto un lusinghiero successo arrivando a vincere il Premio

Viareggio per la poesia. Continuava a scrivere poesie e di tanto in tanto

pubblicava per proprio conto dei libricini, che mandava per lo più in dono ad un

ristretto gruppo di amici (li stampava presso la stessa tipografia dove stampo

le mie edizioni, dove qualche volta lo incontravo). A Salerno lo si

incontrava raramente che trascinava faticosamente il suo corpo acciaccato e

dolorante, e per la città Marini era un estraneo e una figura scomoda.

<br>"Lascia agli altri, a noi tutti la sofferenza di pensarlo e ripensarlo", ha

scritto in un articolo per "Il Mattino" del 28 dicembre 2001 Ernesto Scelza –

assessore Ds alla provincia di Salerno, uno degli amici di allora – che

continua: "Per alcuni rimaneva quello della tragica aggressione del 1972, per

molti un problema, per troppi un ingombro. Giovanni Marini è stato

contraddizione lacerante. Sensibilità esasperata, nervi scoperti, tensioni

emotive e nevrosi scoperte. Ha vissuto i nostri tempi, come da sempre gli ultimi

fra gli uomini sono dannati a vivere i propri (…) Tenero e spietato, con sé e

con tutti. Era semplice fino alla perversione. Era la vita che amava e che

sempre ci sfugge". <br>Franca Rame, in un'intervista a Barbara Cangiano,

pubblicata da "La Città" del 28 dicembre 2001, sottolinea la sua generosità e

sulla base di una generica e vaga confidenza – che sarebbe stata fatta da Marini

"preferì addossarsi le colpe per non far finire nei guai un compagno più giovane

che, proprio perché minorenne, avrebbe scontato anche una pena minore". <br>La

cosa non è nuova, perché emerse anche al processo d'appello di Salerno, ma non

fu presa in considerazione, proprio perché generica e inconsistente. <br>Il

destino ha voluto che Giovanni Marini morisse da solo, nella lontananza dagli

amici e dai compagni, che non lo avevano di certo dimenticato ed erano comunque

partecipi delle sue vicende umane

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