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venerdì 7 maggio 2010


 

«Una piccola epitome di Inghilterra». La comunità inglese di Livorno negli anni di Ferdinando II: questioni religiose e politiche

Stefano Villani

Questioni di storia inglese tra Cinque e Seicento


S.Villani, «"Una piccola epitome di Inghilterra".
La comunità inglese di Livorno negli anni di Ferdinando II: questioni religiose e politiche»,
Cromohs, 8 (2003): 1-23,
< URL: http://www.cromohs.unifi.it/8_2003/villani.html >

  

La "preistoria" della comunità inglese di Livorno dagli anni '70 del '500 al 1621

1. La storia di Livorno è anche la storia delle sue comunità straniere e un capitolo importante della storia ideale di questa presenza forestiera, nel suo vivacissimo e conflittuale intreccio di rapporti mercantili, sociali e religiosi, è indubbiamente rappresentato dalle vicende, ancora largamente da indagare, della sua comunità inglese.
Com'è noto, il piccolo villaggio fortificato di Livorno, venduto dai genovesi a Firenze nel 1421, andò acquistando progressivamente nel corso del XVI secolo sempre maggiore importanza e il progetto di costruzione della nuova città, che avrebbe preso effettivo avvio con la posa della prima pietra la mattina del 28 marzo 1577, procedette di pari passo con la promulgazione di una serie di provvedimenti legislativi per attirare uomini a Livorno. Tra questi si segnalano per importanza reale e simbolica gli editti del 30 luglio 1591 e del 10 giugno 1593, passati alla storia come le costituzioni livornine che, garantendo ampie libertà sociali e religiose ai «mercanti di qualsivoglia nazione», furono emanati in primo luogo per attirare a Livorno (e a Pisa) gli ebrei e i marrani che a causa delle persecuzioni dell'Inquisizione fuggivano dalla penisola iberica. Si costituì così l'importantissimo insediamento ebraico livornese: a fine '600 circa il 15% della popolazione livornese era di origini ebraiche. Ma accanto agli ebrei provenienti da Spagna e Portogallo nel corso degli anni furono attirati dalle ampie guarentigie previste dai provvedimenti granducali anche numerosi altri stranieri. Sin dagli anni '70 del '500 arrivarono a Livorno numerosi marinai e artigiani greci che trovarono occupazione nell'industria mercantile e a loro si aggiunsero presto doviziosi mercanti dando vita, nel '600, a una comunità vitale e vivace. Probabilmente a fine '500 si stabilirono a Livorno i primi gruppi di mercanti armeni, di artigiani francesi (i marsigliesi specializzati nell'industria del sapone), di marinai corsi, di capitani e mercanti fiamminghi. Attorno a questi primi nuclei si andarono costituendo nel corso degli anni vere e proprie comunità (o «Nazioni») che in molti casi si sarebbero strutturate dotandosi di propri statuti e di organi di autogoverno[1].

2. Negli anni '70 del '500 approdarono nel porto di Livorno le prime navi inglesi. Portavano stagno, piombo, tessuti, salmoni e aringhe direttamente dall'Inghilterra, tutte merci che venivano vendute a Livorno e negli altri porti italiani per consentire poi l'acquisto nei porti dell'Egitto, della Turchia e dell'Italia meridionale di cotone, sete, vino, olio, spezie e uva passa da rivendere in patria. Il volume del commercio mediterraneo, dopo i primi pionieristici viaggi navali, andò progressivamente sviluppandosi e i mercanti che commerciavano con i paesi dell'area mediterranea costituirono nel 1581 la Turkey Company e nel 1583 la Venice Company. Le due compagnie, fondendosi, dettero vita nel 1592 alla Compagnia del Levante[2].
La presenza di navi mercantili inglesi nel Mediterraneo subì un forte incremento a partire dal 1604 quando venne siglato il trattato di pace anglo-spagnolo di Londra che rese meno pericolose le rotte mediterranee per gli inglesi. Fu in quegli anni che a Livorno fecero la loro apparizione anche capitani inglesi che si ponevano più o meno apertamente al servizio del granduca Ferdinando I come corsari, magari perché resi «disoccupati» dalla pace col nemico spagnolo (i nomi dei pirati e corsari Ward, Richard Gifford, Robert Thornton tornano costantemente nelle cronache dei primi due decenni del '600)[3]. Di pari passo con l'apparire delle loro navi nel mar Mediterraneo iniziò l'insediamento di mercanti inglesi a Livorno[4].

3. Le autorità granducali fin da subito videro con favore questo insediamento e a questo proposito è significativo che copia delle livornine del 1591 e 1593, con l'invito agli stranieri a stabilirsi a Livorno e la promessa di una relativa "tolleranza" religiosa, furono inviate anche alla regina Elisabetta I[5]. Ben presto la comunità iniziò ad organizzarsi. Nel 1597 venne nominato il primo console della nazione inglese a Livorno nella persona dell'irlandese Raymond Dawkins, già residente nella città, cui alcuni anni dopo subentrò l'inglese Thomas Hunt[6].
Entrambi i consoli furono accreditati dalla Trinity House, una corporazione marittima di soli piloti: la lettera patente con cui il granduca dichiarava console il Dawkins venne concessa su richiesta di sei capitani inglesi presenti nel porto e, significativamente, in essa non si fa alcuna menzione dei mercanti inglesi che risiedevano in città. Fu solo nel 1621, alla morte di Hunt, che il console della nazione inglese venne designato dalla Levant
Company nella persona del mercante inglese Richard Allen. La nomina avvenne non senza conflitti con la Trinity House che avrebbe preferito al suo posto il capitano Robert Thornton e la questione venne risolta dall'intervento formale del re Giacomo I, intervento, questo del sovrano, che dimostra l'importanza ormai acquisita da Livorno come snodo fondamentale del commercio inglese nel Levante[7]. Se nel 1600 più o meno arrivava una nave inglese al mese, nel 1620 questo numero era infatti ormai più che raddoppiato[8].

4. È con ogni probabilità solo con gli anni '20 del '600 che si può iniziare a parlare propriamente di una comunità inglese strutturata a Livorno e si può forse utilizzare proprio il 1621 e la nomina a console della nazione inglese di Richard Allen come cesura cronologica tra una prima fase della presenza inglese a Livorno, pur importante ma dai caratteri ancora incerti e indefiniti, e una nuova fase in cui la presenza delle case mercantili inglesi in città andò progressivamente acquistando importanza sia per l'economia cittadina sia per il mondo economico e politico inglese.
Se nei decenni a cavallo della fine del '500 gli inglesi a Livorno erano in massima parte capitani – spesso proprietari delle loro navi –, a partire dagli anni '20 la nazione inglese è composta essenzialmente da agenti commerciali di compagnie con sede a Londra e da doviziosi mercanti e armatori, diventando nel giro di pochi anni la più importante delle comunità inglesi in Italia e superando per consistenza numerica quelle di Venezia, Genova e Napoli[9].

Una comunità divisa: cattolici e protestanti

5. Tutte le comunità straniere presenti a Livorno, com'è ovvio, riproducevano in piccolo le divisioni e le differenziazioni religiose dei paesi di provenienza. La nazione greca livornese era perciò divisa al suo interno tra membri cattolici (di rito greco) e Ortodossi[10]. La nazione armena era divisa tra una minoranza levantina di religione cattolica e una maggioranza persiana di religione monofisita[11]. Una minoranza cattolica era presente nella comunità protestante degli olandesi e una minoranza protestante fu senz'altro presente – anche se nascosta da prudenti atteggiamenti nicodemiti – nella cattolica comunità francese e dopo la revoca dell'editto di Nantes del 1685 non furono pochi gli ugonotti che trovarono rifugio a Livorno[12]. Nella seconda metà del XVII secolo poi la comunità ebraica conobbe una lacerante divisione tra "ortodossi" e seguaci di Sabbatai Sevi, l'ebreo di Smirne che nel 1666 venne identificato dai suoi sostenitori come l'atteso Messia[13]. Anche la comunità inglese di Livorno, sin dai primi anni di esistenza, fu divisa al suo interno tra cattolici e protestanti anche se, almeno sino agli anni '20 del '600, sembrerebbe che la maggior parte degli inglesi dimoranti a Livorno fosse cattolica o, comunque, si conformasse esteriormente al cattolicesimo[14].
Di fatto a Livorno veniva concessa ai mercanti protestanti la possibilità di professare la propria religione senza essere molestati, a condizione però di non fare proselitismo o di non dare «scandalo» con il loro comportamento. Pertanto anche un rapido sguardo alle carte dell'Inquisizione di Pisa e Livorno, attualmente conservate presso l'Archivio diocesano di Pisa, mostra che i non numerosi documenti riguardanti inglesi residenti a Livorno sono in massima parte brevi verbali che registrano abiure dal protestantesimo e conversioni al cattolicesimo. Generalmente interventi di tenore differente da parte dell'Inquisizione si riscontrano solo in presenza di denunce di italiani contro inglesi con cui si segnalavano manifestazioni pubbliche di adesione al protestantesimo quali il mangiare la carne nei giorni di precetto o il pronunciare frasi irriverenti nei confronti della Chiesa cattolica. Anche in questi casi però raramente si andava al di là della registrazione della denuncia e dell'audizione di alcuni testimoni.

6. Ovviamente non era difficile per protestanti inglesi valicare l'indefinita e astratta linea che divideva i comportamenti considerati leciti da quelli ritenuti scandalosi dall'Inquisizione. I margini di effettiva libertà religiosa di cui potevano godere a Livorno i protestanti inglesi erano infatti frutto di numerosi e variabili fattori. Da un lato c'erano le autorità medicee sia locali sia centrali che volevano favorire in ogni modo la doviziosa comunità di mercanti senza però entrare esplicitamente in conflitto con le autorità ecclesiastiche e in primo luogo con l'Inquisizione. Dall'altro lato c'era la Chiesa cattolica con le sue molteplici articolazioni che spesso avevano atteggiamenti diversificati: non era raro che le istituzioni ecclesiastiche e inquisitoriali locali avessero un atteggiamento più "indulgente" nei confronti di atteggiamenti anticattolici da parte degli inglesi di Livorno di quello delle autorità centrali, meno immediatamente condizionate dalle ragioni della politica. Ragioni della politica che – non va dimenticato – portarono spesso il governo inglese ad intervenire a sostegno delle richieste dei mercanti livornesi. Questa molteplicità di fattori dava talvolta vita a un gioco di ipocrisie, finzioni e astuzie spesso difficilmente decifrabile. E in questo gioco ebbero spesso un ruolo fondamentale i preti cattolici inglesi o irlandesi che nel corso degli anni a Livorno risedettero sia per dare un sostegno religioso ai cattolici inglesi sia per esercitare forme di controllo sui protestanti. Nei primissimi anni del '600 la presenza a Livorno del sacerdote Edmund Thornell, fatto giungere in Toscana da Anthony Standen, ambigua figura di cattolico inglese a mezzo tra l'ambasciatore e la spia, provocò un incidente diplomatico che condusse all'arresto dello stesso Standen e al suo ritorno in patria. Allo stesso modo la presenza e l'attivismo del sacerdote cattolico Richard Sherwood negli anni che vanno dal 1607 al 1610 provocò la risentita protesta dell'ambasciatore inglese a Venezia Wotton[15]. Negli anni '50 del '600 l'irlandese William Mergin, un sacerdote irlandese da tempo riparato a Livorno per sfuggire alle «persecuzioni suscitate contro di lui» dai protestanti, si guadagnò la fama di aver ridotto «molti eretici alla vera credenza»[16].

7. Nel complesso però la comunità inglese poté godere a Livorno di libertà ampie in ambito religioso. E se vi furono casi di inglesi processati e condannati dall'Inquisizione questi, come già abbiamo detto, non sono numerosi. Nell'aprile del 1600, ad esempio, Thomas Honte venne incarcerato dall'Inquisizione per aver criticato la venerazione delle immagini e per aver sostenuto che fosse vano recarsi in pellegrinaggio a Loreto. L'inglese venne rilasciato nel maggio, non senza prima essere stato torturato[17]. Nell'estate del 1609 un marinaio di nome William Davies venne processato dall'Inquisizione per aver seppellito a Livorno un suo connazionale secondo i riti protestanti. Incarcerato, il marinaio riuscì fortunosamente a fuggire con uno stratagemma e, tornato in Inghilterra, pubblicò nel 1614 un breve testo in cui narrava le sue peripezie[18]. Nel 1610 il mercante Christopher Streamer, residente a Livorno, venne accusato di non credere né a Dio né al demonio, né al paradiso né all'inferno e di aver sostenuto che solo gli asini o i pazzi hanno una religione dato che tutte le cose vengono dalla natura e che le leggi e la religione sono state create per ingannare gli uomini. Torturato nel palazzo di giustizia di Livorno e poi condotto a Pisa, Streamer riuscì a evitare la carcerazione solo in virtù della sua decisione di convertirsi al cattolicesimo[19]. I casi di condanne di mercanti inglesi residenti Livorno però, come abbiamo detto, sono estremamente rari e andranno progressivamente diminuendo nel corso degli anni, cosa questa che non vuol dire affatto che, pur con le articolazioni che abbiamo descritto sommariamente, sia le autorità politiche sia quelle inquisitoriali non continuassero ancora a '700 inoltrato a esercitare sulla nazione inglese un controllo che portò non di rado ad aspri conflitti anche col governo inglese[20].

Un nuovo elemento di divisione: realisti e parlamentari a Livorno

8. Nella comunità inglese di Livorno, divisa tra cattolici e anglicani, si verificò negli anni '40 del '600 un'ulteriore frattura tra i sostenitori di Carlo I e quelli del Parlamento[21]. Il residente toscano a Londra Amerigo Salvetti scriveva il 27 marzo 1643 a Firenze per far sapere che quel giorno erano andati da lui «diversi di questi mercanti, che hanno casa, et che negoziano a Livorno per sapere» che cosa avrebbe fatto il granduca qualora Carlo I avesse chiesto di «arrestare» a Livorno «gli effetti di quelli che qui contribuiscono al Parlamento». Questi propositi del re avevano creato non poco scompiglio tra i mercanti inglesi di Livorno che chiesero al governatore della città di far loro sapere quali sarebbero state le sue intenzioni nel caso in cui alle minacce del sovrano avessero fatto seguito i fatti. Il governatore si affrettò a rassicurare i mercanti affermando che a suo parere Carlo I si era limitato a lanciare una minaccia generica tant'è che sino a quel momento non era stato fatto alcun passo verso le autorità granducali. In effetti di lì a poco, nell'estate del '43, a Londra si seppe che il sovrano inglese aveva effettivamente inviato a Livorno come suo agente un mercante di nome Robert Sainthill, che già aveva frequentato la piazza di Livorno per ragioni commerciali alla fine degli anni '20 del '600. I mercanti «della Compagnia di Levante» che avevano «casa et negozio in Livorno» si recarono immediatamente dal residente toscano per avere informazioni in proposito e per far sapere che se questo agente fosse stato ufficialmente riconosciuto, avrebbe senz'altro potuto «pregiudicare ai loro interessi col predominare sopra delle lor persone et mercanzie». I mercanti fecero poi sapere al Salvetti che erano assolutamente «resoluti di non essergli sottoposti, in caso che ottenesse simile carica, né di volere altra protezione che quella di Sua Altezza della quale restano sodisfattissimi» e lo supplicarono pertanto di far sapere al granduca di Toscana che anche nel caso in cui questi avesse riconosciuto il Sainthill come agente inglese sarebbe però stato opportuno non concedergli alcuna «sorpintendenza sopra di loro et lor mercanzie». Il Salvetti si affrettò a rassicurare i mercanti dicendo che avrebbe comunicato a Firenze «questo lor desiderio», ma che comunque potevano star sicuri che il granduca «haverebbe sempre continuato la sua solita protezione, senza permettere che si facesse nessuna innovazione nel suo porto di Livorno et dominio a lor pregiudizio». Salvetti comunicava a Firenze che i mercanti si erano mostrati «molto sodisfatti» di queste assicurazioni e che pertanto pensava che avrebbero continuato ad «augumentare quel commerzio; perché se bene sono gente che andranno dove il profitto li tira, vogliono altresì essere rispettati et accarezzati dove vanno».
Per quanto riguarda il Sainthill, Salvetti diceva di non aver sentito «per ancora che Sua Maestà habbi fatto resoluzione di tenere costì una suo agente» ma che pensava effettivamente che «il Signor Santhill per sfuggire il pericolo della sua contumacia verso del Parlamento» avrebbe effettivamente fatto in modo di ottenere questo incarico[22].

9. Come aveva previsto il Salvetti, Sainthill di lì a pochi mesi, nell'autunno del '43, si recò in Toscana in qualità di agente di Carlo I. La sua presenza a Livorno creò presto qualche attrito con la comunità dei mercanti inglesi[23], come quando ad esempio gli venne contestato di aver impedito l'esecuzione di un mandato «che un inglese haveva fatto a' Parlamentarij per sussidio delle guerre contro il Re». In seguito a ciò il 9 aprile 1644 le autorità granducali ribadirono che non si approvava che l'agente volesse arrogarsi «autorità sopra gli Inglesi di Livorno, e di tenervi le parti regie» e che Sua Altezza non voleva «nel suo stato queste distinzioni di Parlamentarij e Regij» e intendeva «veder egualmente volentieri tutti gli inghilesi dell'uno, e l'altro partito, senza permettere, che alcuno per tal contro molesti quelli dell'altro»[24]. La stessa cosa venne ribadita con vigore quando di lì a pochi mesi, nel luglio del '44 «il capitano Lord Marlebours» attaccò, senza peraltro riuscire ad avere la meglio, la nave inglese Buonaventura partita dal porto di Livorno e diretta a Londra, eseguendo ordini precisi di Carlo I che lo aveva invitato a «predare le nave, e vasselli parlamentari». Il governatore scrisse preoccupato a Firenze che «questa novità» aveva reso molto inquieti gli inglesi allora residenti a Livorno ed espresse il timore che trovandosi nel porto «vasselli di conto di mercanti parlamentari, è facil cosa et i marinari dell'una e dell'altra parte si scontrino per terra, in porti, o per la darsena e si dichino del male l'uno contro l'altro, s'imputino di ribelli, o traditori, e venghino alle mani, e forse anche i vasselli che sono alla spiaggia»[25]. Ancora una volta il granduca, che da una parte non voleva essere creduto più favorevole «al Parlamento che al re» ma dall'altra doveva garantire per ragioni commerciali la neutralità del porto dichiarò che non avrebbe permesso ad alcuno di essere «mal trattato, o molestato» nel porto e che sarebbe intervenuto «contro trasgressori, quando anche bisognasse» utilizzando il cannone[26].

La presenza di predicatori protestanti inglesi negli anni '40 e '50 del '600

10. Nonostante ricorrenti tensioni, negli anni successivi il conflitto tra realisti e parlamentari presenti in città si mantenne sempre a livelli accettabili per le autorità cittadine. L'arrivo di Sainthill aprì però anche un fronte di polemiche riguardo ai limiti della tolleranza praticata a Livorno nei confronti della comunità inglese[27].
Poco tempo dopo l'arrivo di Sainthill, intorno all'ottobre del 1643 giunse a Livorno anche un ministro anglicano che, oltre a fornire assistenza alla famiglia dello stesso Sainthill presso cui dimorava – iniziò ad agire come predicatore per la nazione inglese. La cosa non passò inosservata e l'Inquisizione nel gennaio del '44 elevò presso il granduca una protesta formale, per il tramite del arcivescovo di Pisa. Nei mesi seguenti fu un susseguirsi di incontri e di scambi epistolari tra il mercante inglese, il granduca e il governatore di Livorno e di continue proteste da parte della Congregazione del Sant'Uffizio, del vicario dell'Inquisizione a Livorno e del arcivescovo di Pisa. Sainthill infatti pretendeva di tenere presso di sé il predicatore in virtù dell'immunità che teoricamente gli garantivano le sue funzioni di agente del sovrano inglese. Ferdinando II, che pure per favorire la nazione inglese sarebbe stato favorevole a far rimanere il ministro a Livorno, non aveva però alcuna intenzione di esporsi sino al punto di concedere ufficialmente questo permesso e rispondeva in maniera sfuggente alle richieste del Sainthill, dando al contempo istruzioni generiche al governatore di Livorno. Quest'ultimo si trovava quindi nella scomoda condizione di dover agire con gli inglesi in maniera da non «disgustare» una nazione che – per usare le sue parole – era «di tanto benefizio al traffico ed alla mercatura» e al contempo da rassicurare le autorità religiose della città che si sarebbe rimosso lo scandalo della predicazione protestante.

11. Di fatto tutto si sarebbe risolto con l'invito fatto al Sainthill sia dal granduca sia dal governatore ad usare maggior prudenza se non fosse intervenuto un fatto nuovo. Nel gennaio 1644 su un giornale inglese era apparsa la notizia che a Livorno un bambino era stato battezzato secondo il rito protestante insieme a un commento violentemente anticattolico e dai toni millenaristici. Quando nell'aprile di quell'anno la notizia della pubblicazione di questa notizia in Inghilterra giunse alla Congregazione del Sant'Uffizio, l'inquisitore di Firenze venne incaricato di chiedere risolutamente al granduca di far cessare simile «grave disordine». Fu così che il granduca, non potendo evidentemente più continuare a minimizzare la portata degli avvenimenti livornesi dette l'ordine a Sainthill di allontanare al più presto il «predicante» protestante che lasciò Livorno il 14 maggio del 1644.
Sainthill evidentemente non si rassegnò all'epilogo della vicenda e alla fine del 1644, ovvero pochi mesi dopo l'allontanamento forzato del primo predicatore, ne fece giungere un altro. Anche in questo caso la notizia della presenza di questo ministro anglicano – si trattava di Richard Weller, già Fellow dell'Emmanuel College di Cambridge – mise in allarme l'Inquisizione, costringendo il granduca a chiederne l'allontanamento. E così, dopo solo un paio di mesi di permanenza a Livorno, anche il Weller nel febbraio del '45 fu costretto a lasciare la città[28].

12. Sempre nel 1645, l'Inquisizione, venuta a sapere che Robert Sainthill aveva affittato a Calci la villa di Crespignano (a pochi chilometri da Pisa), invitò il parroco del paese a far sì che i suoi parrocchiani non avessero rapporti con gli eretici inglesi e a operare per ottenere da parte del padrone della villa la rescissione del contratto di affitto[29]. Questa villa sembra essere stata, all'incirca negli anni che vanno dal '45 al '50, uno dei luoghi maggiormente frequentati dai mercanti inglesi residenti a Livorno. Qui, nell'estate del 1648, morirono a distanza di pochi giorni sia il mercante Nicholas Abdy sia il fratello di Robert Sainthill, Peter, un ex parlamentare realista che, costretto all'esilio, nel maggio del 1646 aveva raggiunto suo fratello in Toscana. E il funerale di quest'ultimo – celebrato con un suntuoso banchetto funebre al quale parteciparono sia italiani sia inglesi venuti apposta da Livorno – non passò inosservato. Infatti ancora una volta l'Inquisizione protestò per il carattere pubblico di questi riti protestanti. Nel gennaio del 1649 il vicario del Sant'Uffizio di Livorno e il nunzio di Firenze inoltrarono le loro proteste al granduca sia per la presenza a Livorno di «un gentilhuomo inglese», che predicava presso la casa del mercante Samuel Bonnell e che addirittura aveva celebrato pubblicamente un matrimonio secondo i riti protestanti, sia per il fatto che «i cadaveri d'heretici» venissero «condotti con lumi alla sepoltura». Oltre verosimilmente al banchetto funebre in onore di Peter Sainthill, è possibile che le autorità ecclesiastiche toscane fossero preoccupate del fatto che proprio in questi anni gli inglesi di Livorno avessero iniziato a edificare monumenti funerari in pietra sulle sepolture degli inglesi che morivano a Livorno e che venivano seppelliti in un campo non recintato alle porte della città: la prima tomba in pietra del cimitero degli inglesi di cui si ha notizia è del 1646 e fu edificata sulla sepoltura del mercante Leonard Digges[30]. Nel febbraio del 1649 venne formalmente comunicato al nunzio papale a Firenze che il "predicante" di casa Bonnell, il cui cognome veniva indicato in alcuni coevi documenti come «Duerim», era stato allontanato da Livorno.

13. Apparentemente, dopo il suo allontanamento, per nove anni non vi furono segnalazioni all'Inquisizione riguardanti la presenza di predicatori anglicani a Livorno, anche se, come vedremo, grazie a tutta una serie di fonti inglesi sappiamo che non furono pochi i ministri anglicani che transitarono a Livorno in quegli anni. Si ritornò a parlare di predicanti inglesi nell'estate del 1658 quando venne denunciata la presenza di un ministro inglese alloggiato nella casa del mercante James Man – forse proprio lo stesso che già era stato costretto a lasciare Livorno nel 1649 – che in un primo momento si nascose a Lucca e poi lasciò definitivamente l'Italia nell'agosto del '58. Nel dicembre di quello stesso anno venne denunciata la presenza di ben due ministri anglicani a Livorno: il primo, Daniel Harcourt[31], dimorava in casa di James Man, diventato evidentemente il punto di riferimento degli ecclesiastici anglicani di passaggio a Livorno un po' come Sainthill lo era stato nei primi anni '40; il secondo era Eleazar Duncon, un noto intellettuale realista già cappellano di Carlo I, che frequentava le case dei mercanti William Mico e Thomas Dethick. Stando alla denuncia fatta da William Mergin all'Inquisizione, entrambi predicavano ogni domenica di fronte a un folto pubblico di inglesi «errori et heresie esecrandi» specialmente «contro la veritate de' santi», contro il papa definito anticristo e «contro il Purgatorio» e intorno alla metà di dicembre 1658 celebrarono presso la casa del mercante Giles Lytcott il funerale di un capitano inglese con enorme afflusso di inglesi e di italiani[32]. Mergin infine concluse che, per quanto era a sua conoscenza, Harcourt aveva lasciato Livorno mentre Duncon era rimasto in città[33]. Nonostante l'intervento formale delle autorità ecclesiastiche presso il granduca nel marzo del '59, Duncon rimase in Toscana, tra Pisa e Livorno, anche nei mesi seguenti e morì a Livorno nel 1660 proprio in procinto di partire alla volta di Londra subito dopo la Restaurazione[34].

14. Le vicende del 1643-44, del 1645, del 1648-49, del 1658-59 sono emblematiche perché mettono in evidenza i limiti della "tolleranza" concessa agli stranieri a Livorno. Come abbiamo visto, oltre alle prediche pubbliche si ritenevano anche scandalosi battesimi, matrimoni, funerali fatti secondo i riti protestanti. Ma la vicenda è anche interessante per i rapporti diretti che ha con le contemporanee vicende politico-religiose inglesi. Come abbiamo visto, Sainthill era di fatto il rappresentante politico di Carlo I in Toscana. Allo stesso modo sia Samuel Bonnell sia James Man erano convinti realisti, che non esitarono a prestare ingenti somme di denaro al sovrano in difficoltà. Dopo lo scoppio della guerra civile, furono parecchi gli ecclesiastici anglicani costretti all'esilio che vissero per un certo periodo di tempo a Livorno. I ministri protestanti facevano infatti parte di quell'ampia schiera di ecclesiastici anglicani, che privati in patria dei loro benefici in quanto sostenitori del sistema episcopale, presero la via dell'esilio e elessero Livorno come loro rifugio, trovando ospitalità presso mercanti di simpatie realiste. Se del primo predicatore di casa Sainthill, che tanti grattacapi dette a Ferdinando II tra il 1643 e il 1644, non conosciamo il nome, sappiamo quello di tanti altri. Di Richard Weller, di Daniel Harcourt, di «Duerim» e di Eleazar Duncon abbiamo già parlato. Sappiamo poi che Anthony Bockenham, già Fellow del Pembroke College di Oxford, si fermò a Livorno nel 1652, che Herbert Astley, futuro decano di Norwich, vi rimase tra la fine del 1653 e l'autunno del 1654, che Anthony Hawles, già cappellano del conte di Pembroke e cappellano del re, visse a Livorno sei anni per far ritorno in Inghilterra nel 1657, dopo essere stato a Smirne e Costantinopoli per un anno e mezzo, che il ministro John Pullen era a Livorno alla fine degli anni '50 e che Robert Le Grosse, già rettore di una parrocchia londinese, visse molti anni a Livorno ospite di James Man e di suo fratello George[35].

Il Commonwealth e il Protettorato: Charles Longland "agente" del governo inglese (1651-1660).

15. La nuova situazione politica venutasi a creare in Inghilterra con l'avvento della Repubblica portò all'ordine del giorno la questione della concessione formale di libertà di culto agli inglesi nei paesi cattolici. In tutti i numerosi trattati internazionali siglati dal nuovo potere politico inglese si cercò infatti di inserire delle clausole che stabilissero chiaramente la possibilità per i mercanti inglesi residenti all'estero di godere della libertà di culto. La stessa richiesta venne formalmente fatta anche al granduca di Toscana.
Almeno a partire dalla fine del 1651 il governo repubblicano inglese riconobbe a Livorno un suo agente nella persona di Charles Longland[36]. La sua figura si affiancò a quella del console Morgan Read, un cattolico che nella prima metà degli anni '30 del '600 era succeduto a Allen e che manifestò sempre apertamente le sue simpatie realiste[37]. Il Longland, nominato inizialmente agente dell'Ammiragliato inglese con la funzione cruciale di fornire assistenza alla flotta inglese allora presente nel Mediterraneo per proteggere le navi mercantili, progressivamente assunse l'importantissima funzione di informatore al servizio di John Thurloe, il segretario di Stato inglese: era in corso la guerra anglo-olandese e il 14 marzo 1653 a largo di Livorno si combatté una battaglia navale che vide la peggio per gli inglesi[38].

16. Il 31 dicembre 1654 l'ammiraglio Robert Blake si presentò con la sua flotta a Livorno e in quest'occasione venne chiesto ufficialmente il permesso per la comunità inglese residente in città di avere un proprio ministro. Il 25 gennaio del 1655, alla partenza di Blake da Livorno, Longland consegnò infatti una lettera scritta da quest'ultimo al granduca in cui si faceva formalmente questa richiesta[39]. Il 13 febbraio il granduca rispose al generale Blake di provare «estremo rammarico» nel non poter accogliere «le instanze» per concedere «l'esercitio publico della loro religione a quelli della natione inglese in Livorno». Scriveva il granduca al Blake: «come V. E. intenderà da qualsivoglia informato mediocremente dello stile che si prattica comunemente in Italia, la concessione sarebbe singolare et soggetta a molti inconvenienti, da' quali sono certo, ch'ella mi vorrà vedere lontano» ma concludeva significativamente ricordando che con gli «inglesi habitanti ne' miei stati, fuora della publicità dell'esercitio, vo largheggiando, et chiudendo l'occhi» e che avrebbe potuto riconsiderare la questione solo se «a Napoli, o a Genova, o in altro luogo d'Italia si introducesse l'uso di simile concessione»[40].
Longland tornò all'attacco poco meno di un anno dopo quando, saputo che a Lisbona il re aveva concesso alla comunità inglese l'esercizio pubblico del culto in città, pensò che il granduca avrebbe potuto a quel punto fare un'analoga concessione alla comunità britannica di Livorno. Dopo aver accennato la questione al segretario del granduca il 29 ottobre 1655, Longland scrisse al segretario di Stato Thurloe chiedendogli di sollecitare il Protettore a rinnovare la richiesta che Robert Blake aveva fatto circa un anno prima[41]. Tornando nuovamente sulla questione tre settimane dopo, in una lettera al Thurloe Longland riferì di aver sentito dire che Urbano VIII, allo scopo di favorire il commercio inglese nel porto di Civitavecchia, aveva di fatto già concesso libertà di religione ai mercanti inglesi e si diceva sicuro che il papa avrebbe persino potuto concedere l'edificazione di una chiesa protestante se solo se ne fosse fatta domanda. Longland faceva quindi sapere a Thurloe di aver già scritto ad alcuni mercanti inglesi residenti in quella città per invitarli a fare formalmente tale richiesta, commentando che, anche nel caso in cui il papa non l'avesse accolta, il solo fatto di aver domandato questo permesso avrebbe comunque rappresentato una sorta di precedente a dimostrazione del fatto che gli inglesi osavano professare la loro religione anche a Roma[42]. Non sappiamo se vennero fatti passi formali da Londra nella direzione auspicata da Charles Longland né se i mercanti inglesi di Civitavecchia avessero effettivamente domandato al papa il permesso di avere un luogo di culto alle porte di Roma. Longland comunque il 5 febbraio 1656 scrisse a Londra che in occasione di un colloquio col granduca gli aveva nuovamente fatto presente la necessità per gli inglesi di avere una chiesa. E che, ancora una volta il granduca aveva risposto che avrebbe preso in considerazione la proposta solo quando altri stati italiani lo avessero permesso[43].

17. Anche se non si arrivò alla concessione di un cappellano protestante per la comunità inglese, giova però ricordare che ancora una volta che Livorno negli anni della guerra civile prima e dell'Interregno poi vide la presenza simultanea di più predicatori anglicani. Alla fine degli anni '50 del '600 poi la città fu tappa obbligata di molti viaggi missionari organizzati dai quaccheri nell'area mediterranea. Lì, nell'estate del 1657, si fermarono per alcuni giorni John Perrot e John Luffe prima di proseguire il viaggio che li avrebbe condotti nelle carceri dell'Inquisizione a Roma, lì sostò nell'inverno del 1657 George Robinson diretto a Gerusalemme, lì si fermarono alla fine del 1658 Sarah Cheevers e Katharine Evans partite alla volta di Alessandria, e lì infine, si fermarono nel 1661 John Stubbs, Henry Fell, Daniel Baker e Richard Scosthrop, diretti verso l'Estremo Oriente. Accanto a questi di cui conosciamo il nome sappiamo di altre decine di quaccheri che si trattennero per periodi più o meno lunghi a Livorno[44]. La sosta in città dei missionari quaccheri venne da loro spesso utilizzata per tentare di diffondere tra i mercanti inglesi, ma non solo tra questi, materiale di propaganda. Sappiamo ad esempio che alcuni quaccheri andarono a parlare nella Sinagoga di Livorno e che tennero addirittura un'assemblea presso la vigna di Origen Marchant, un mercante francese originario de La Rochelle che, a partire dal 1620, si era stabilito a Livorno[45]. Terra di rifugio per anglicani in fuga dal regime repubblicano e tappa delle missioni quacchere nel Mediterraneo, Livorno fu dunque in Italia uno dei luoghi dove maggiormente circolarono notizie di prima mano sull'intenso dibattito religioso che andava allora agitando l'Inghilterra.

La Restaurazione: John Finch residente inglese in Toscana (1665-1671) e i tentativi per la nomina di un cappellano della nazione inglese

18. Nell'estate del 1660 la restaurazione di Carlo II sul trono d'Inghilterra venne celebrata dai mercanti inglesi con quattro giorni di festeggiamenti, con carri allegorici, fuochi artificiali, spari a salve e banchetti. Tutte le case dei mercanti inglesi vennero addobbate a festa con ritratti del re e del generale George Monk e con caricature anticromwelliane e presso di esse venne distribuito pane, vino, confetti e denaro. Vennero persino organizzati due palî in onore del monarca restaurato[46].
Dopo la Restaurazione Carlo II si curò di ristabilire formali rapporti diplomatici con gli stati italiani. Nel quadro di essi, nel luglio del 1665 venne accreditato come residente inglese presso la corte medicea John Finch, un prestigioso intellettuale che, dopo aver studiato a Cambridge e a Padova, tra il 1659 e il 1664 aveva insegnato anatomia presso l'Università di Pisa[47].
Fu proprio la presenza di una rappresentanza diplomatica ufficialmente riconosciuta a Firenze a riportare all'ordine del giorno la questione del servizio religioso per i mercanti inglesi residenti a Livorno.
E nella primavera del 1666, dietro sollecitazione di Finch allora a Livorno, la comunità inglese di questa città chiese a Londra la nomina di un cappellano protestante che venne designato nella persona di un laureato di Oxford di nome John Beebey[48]. Prima del suo arrivo a Livorno giunse però in città Benjamin Denham, già cappellano presso l'ambasciatore inglese a Costantinopoli che, su richiesta dei mercanti inglesi, tenne alcune riunioni di culto a partire dalla fine di febbraio 1666. La cosa venne ovviamente all'orecchio del nunzio di Firenze e dell'Inquisizione che chiesero al granduca di procedere all'immediata espulsione del "predicante". La questione si trascinò per alcuni mesi dato che Ferdinando II al solito non avrebbe avuto da parte sua alcuna obiezione alla presenza di un ministro per la nazione inglese e solo dopo le rinnovate proteste di Roma si decise a imporre l'allontanamento di Denham che lasciò Livorno nel settembre del 1666. Finch fu costretto anche a chiedere al governo inglese di non far partire per Livorno il Beebey, dato che ormai il clima politico non avrebbe consentito a quest'ultimo di assolvere alle sue funzioni.
La questione della libertà di culto per la comunità inglese però era ormai diventata una questione di Stato poiché l'Inghilterra non poteva accettare l'umiliazione di non veder riconosciuto il diritto per i sudditi inglesi presenti a Livorno di tenere presso di sé un ministro dopo che, in maniera ufficiale, era stata formalizzata tale richiesta. Nell'autunno del '66 comunque, probabilmente pochi giorni dopo la partenza di Denham, era giunto a Livorno proveniente da Cipro un certo Thomas Wilson, che aveva immediatamente preso ad esercitare funzioni di ministro per la comunità inglese e che, nonostante le solite proteste dell'Inquisizione, si trattenne a Livorno per alcuni mesi. Quando infine, verso la metà di luglio del 1667, questi lasciò l'Italia, il granduca, che di fatto niente aveva operato per il suo allontanamento, approfittò della sua partenza per far credere a Roma di aver proceduto alla sua espulsione.

19. Dopo la partenza di Wilson, Finch tornò nuovamente all'attacco chiedendo formalmente il permesso per la nazione inglese di avere un suo ministro. Seguì una paziente e ininterrotta opera diplomatica con le autorità medicee che nel marzo del 1668 condusse al permesso formale da parte del granduca di far giungere un cappellano inglese a Livorno, a condizione però che predicasse solo agli inglesi e solo nella lingua nazionale e, soprattutto, che, se vi fossero state proteste del nunzio o dell'Inquisizione, avrebbe dovuto immediatamente lasciare la Toscana.
Fu così che nel novembre del 1668 giunse a Firenze un certo «Mr. Martin» che si recò a Livorno come ministro della nazione inglese. Tutti i mercanti inglesi si autotassarono per fornirgli uno stipendio. Charles Longland significativamente si rifiutò sia di pagare sia di intervenire alle prediche del ministro anglicano. Com'è ovvio questo atteggiamento era determinato da una diversità di opinioni religiose tra l'ex-agente di Cromwell, certamente di simpatie non conformiste, e il resto della comunità inglese di Livorno. Probabilmente anche queste divisioni all'interno della comunità contribuirono a far circolare per tutta Livorno la notizia della presenza di un ministro stipendiato. L'Inquisizione protestò con rinnovato vigore e Ferdinando II e impose nuovamente l'allontanamento del "predicante". Il 30 dicembre 1668 Martin pronunciò il suo ultimo sermone prima di imbarcarsi su una nave inglese che partì di lì a poco alla volta di Londra[49]. All'espulsione di Martin seguì un anno di calma, anche se evidentemente gli avvenimenti avevano lasciato una ferita aperta nei rapporti tra Inghilterra e Toscana. Nella primavera del 1670 si ha notizia di due predicatori protestanti che trovarono per qualche tempo ospitalità presso la casa del mercante Ephraim Skinner, con il consueto strascico di contrasti e polemiche. Nuovi problemi sorsero tra la fine di maggio e i primi di giugno quando William Durham, il cappellano del visconte di Fauconberg, ambasciatore inglese a Venezia, fermatosi per una decina di giorni a Livorno, congiunse in matrimonio lo Skinner con la figlia di un sarto inglese e battezzò una schiava del mercante Humphrey Sidney. Dopo la partenza di Fauconberg, William Durham, nel novembre del 1670, tornò a Livorno per rimanervi come cappellano della comunità inglese. Il nunzio di Firenze protestò formalmente col granduca, che era ora Cosimo III, succeduto a Ferdinando nel maggio del 1670.
Questi, certamente più sensibile del padre ai richiami dell'Inquisizione, impose immediatamente alla comunità inglese di Livorno l'allontanamento del Durham che, nonostante le proteste di Finch, venne espulso[50]. La lunga lotta ingaggiata dalla comunità inglese di Livorno tra il 1666 e il 1670 per conquistare il permesso di tenere un predicatore protestante e l'espulsione di Martin e di Durham lasciò inevitabilmente strascichi negativi nei rapporti tra Inghilterra e Toscana tanto che, quando nell'estate del 1671, Finch lasciò la carica di residente inglese a Firenze, in Inghilterra si diffuse la voce che fosse proprio questa una delle principali ragioni del suo ritorno in patria.

20. Certamente negli anni immediatamente successivi alla partenza di Finch alcuni inglesi residenti a Livorno continuarono, nonostante i divieti, a riunirsi in case private per pregare Dio «in spirito e verità». Tra questi vi era uno dei protagonisti principali della passate vicende: Charles Longland. Il 23 novembre 1672 l'inquisitore di Pisa fra Modesto Paoletti scriveva infatti al cardinal Leopoldo de' Medici di aver «penetrato che in Livorno Carlo Longland, mercante inglese in quella piazza» servisse «per predicante alla Natione». Il francescano aggiungeva di dolersi soprattutto «che le di lui conventicole, ridotti e discorsi» venissero fatti «in villa d'Origene Merciant francese cattolico, e che questo habbia ivi una libraria di libri prohibiti, pieni di bestemmie contra la purità della santa fede cattolica». L'inquisitore chiedeva al cardinale di affrontare la questione col granduca perché venissero dati «gl'ordini opportuni, e corrispondenti all'infinito suo zelo acciò sia dato lo sfratto a detto Carlo predicante». Quanto al Marchant, il Paoletti diceva che a suo parere egli viveva «più da heretico che da cattolico» ma, evidentemente consapevole dei potenti appoggi di cui il mercante francese godeva a Firenze, si limitava ad affermare che si doveva «levargli i libri per non havere anco motivo d'haver a procedere contro di esso per giustizia». Non sappiamo se vi sia stato un intervento delle autorità cittadine nei confronti di Longland e di Marchant e se sì, di quale natura sia stato. È certo comunque che sia l'uno che l'altro continuarono a risiedere in città.
Probabilmente la comunità inglese di Livorno fece ulteriori passi formali per ottenere il permesso di celebrare pubblicamente il culto protestante in città negli ultimi decenni del '600. Fu però solo dopo un braccio di ferro tra il granduca Cosimo III e la regina Anna che alla fine del 1707 venne concesso a Basil Kennett il permesso di risiedere a Livorno come cappellano della comunità inglese[51].

Una piccola epitome d'Inghilterra

21. Nel marzo del 1667, nel tentativo di ottenere dal pontefice il consenso alla presenza di un cappellano per la nazione inglese, Finch scrisse ad Edward Courtney – rettore del Collegio inglese a Roma – per chiedergli di interporre i suoi buoni uffici con la Congregazione del Sant'Uffizio. Nella lettera, che al di là della cortesia dei toni, minacciava di fatto possibili ritorsioni nei confronti dei cattolici in Inghilterra e che peraltro non sortì alcun effetto, il Finch descriveva Livorno come «una piccola epitome d'Inghilterra»[52]. È forse questa la miglior definizione che si può dare della nazione inglese di Livorno che, come abbiamo cercato di mostrare, nel corso degli anni compendiò in sé le divisioni e i conflitti della madrepatria. Come abbiamo visto, essa fu composta da cattolici e protestanti, da realisti e da parlamentari, da partigiani di Carlo II e da sostenitori di Cromwell, da membri della Chiesa d'Inghilterra e da nonconformisti. Le sempre più numerose navi inglesi presenti nel Mediterraneo che nella seconda metà del '600 facevano scalo a Livorno non portavano solo stagno e aringhe ma anche quaccheri, bibbie in inglese e idee rivoluzionarie. È questo il vivacissimo e conflittuale contesto che fa da sfondo alle attività commerciali della nazione inglese. Su questa attività mercantile ha lavorato a lungo Gigliola Pagano de Divitiis, i cui lavori sono un punto di riferimento imprescindibile per chi voglia studiare la presenza inglese nel Mediterraneo e il suo impatto sull'economia mondiale. Per una compiuta indagine della vita della nazione inglese – o
British Factory come veniva chiamata dagli inglesi rimane ancora però molto da fare. È ancora da avviare, ad esempio, un sistematico lavoro di scavo del ricchissimo fondo dei Consoli del mare conservato presso l'Archivio di Stato di Pisa e di quello del Governatore e auditore dell'Archivio di Stato di Livorno che, com'è noto a tutti quelli che ne abbiano anche solo velocemente scorso le carte, sono ricchissimi di riferimenti ai mercanti inglesi. Allo stesso modo le carte dei residenti toscani a Londra e quelle dei rappresentati diplomatici inglesi a Firenze e Livorno forniscono tutta una serie di informazioni di fondamentale interesse per lo studio della nazione inglese di Livorno e, anche per questo, sarebbe auspicabile un'edizione di questi documenti.

22. Solo ulteriori ricerche potranno ad esempio dirci quale fosse la consistenza numerica della comunità inglese di Livorno (su cui forse potrebbero fornirci utili informazioni gli Stati d'anime della Collegiata)[53]. Sappiamo che nei primi mesi del 1667 assistevano alle prediche di Thomas Wilson una sessantina di inglesi allora presenti a Livorno e che, nel pomeriggio di domenica 16 dicembre 1668, ascoltarono il sermone di Martin circa una quarantina di inglesi. Si trattava però, in entrambi i casi, non solo di mercanti e «giovani di banco», ma anche di capitani di nave e marinai le cui navi avevano fatto semplicemente scalo nel porto di Livorno. Ancora più difficile, ma di straordinario interesse, sarebbe seguire le vicende degli inglesi che stabilmente vissero a Livorno, sia quelli che vi rimasero solo per pochi anni sia quelli che vi trascorsero gran parte della loro vita. Si tratta molto spesso di figure interessantissime come Robert Sainthill (1604-1682) o Charles Longland (1603-1688), solo per citare due nomi più volte ricordati nelle pagine precedenti, i cui profili biografici svelano una straordinaria rete di rapporti intellettuali e politici e di attività mercantili.
Questo lavoro di indagine sulle singole figure di mercanti inglesi presenti a Livorno a partire dalla fine del XVI secolo è ovviamente reso difficile dalla mancanza di un qualunque elenco dei membri della British Factory, analogo a quello che ad esempio esiste per gli associati alla comunità olandese-alemanna di Livorno. Se a partire dal 1707 – ovvero da quando vi sarà a Livorno una stabile cappellania anglicana – abbiamo i registri delle nascite, dei matrimoni e delle morti degli inglesi di Livorno, manca per il secolo e mezzo precedente qualunque tipo di repertorio[54]. Sia nell'Archivio di Stato di Firenze sia in quello di Livorno non è difficile imbattersi in petizioni di mercanti inglesi. È attraverso queste e attraverso i documenti dei tribunali toscani presso cui si agitavano le cause mercantili come ad esempio il tribunale del governatore di Livorno e quello dei Consoli del Mare a Pisa, oltre ovviamente alla documentazione inglese (in primo luogo quella conservata presso il Public Record Office di Londra), che sarebbe forse possibile ricostruire una mappa della case commerciali che nascevano, prosperavano e talvolta fallivano a Livorno. È questo un lavoro di indagine che costituirebbe la base essenziale per costruire il profilo di questa dinamica e vitale comunità.

23. Nel nostro intervento, evidenziando alcuni aspetti assolutamente parziali della vita della nazione inglese a Livorno nel cinquantennio che va dagli anni '20 agli anni '70 del '600, abbiamo tentato di mettere in luce come il dibattito religioso e politico che caratterizzò l'Inghilterra di quegli anni dominasse anche la comunità inglese che per ragioni mercantili si era andata costituendo a Livorno[55]. Il teorico della tolleranza Henry Robinson, che visse a Livorno negli anni '30 del '600, sicuramente elaborò le sue opinioni anche facendo tesoro dell'esperienza vissuta in Italia[56]. È suggestivo pensare che le dispute che accesero la comunità inglese di Livorno e la lunga lotta per la libertà religiosa che essa ingaggiò con le autorità politiche e religiose toscane abbiano contribuito in qualche misura a costruire la peculiare identità di Livorno, città atipica nel panorama politico europeo proprio per la sua natura multietnica e composita.


 

 
 

[1] P. CASTIGNOLI, L. FRATTARELLI FISCHER, Le livornine del 1591 e del 1593, in Livorno crocevia di culture ed etnie diverse: razzismi ed incontri possibili, Livorno, Casa ed. S. Benedetto 1992, 139-161. Sulla storia di Livorno si vedano i molteplici contributi pubblicati nel volume Livorno progetto e storia di una città tra il 1500 e il 1600, Pisa, Nistri-Lischi e Pacini Editori 1980. In particolare per la politica di popolamento della città di Livorno cfr. Ibid, E. FASANO GUARINI, La popolazione, 199-226 e B. DI PORTO, La nazione ebrea, 237-250. Nel 2001 in occasione dell'andata in pensione del direttore dell'Archivio di Stato di Livorno Paolo Castignoli sono stati raccolti in volume alcuni dei molteplici saggi da lui scritti nel corso di venticinque anni di attività. Il volume – P. CASTIGNOLI, Livorno dagli archivi alla città, a cura di Lucia Frattarelli Fischer e Maria Lia Papi, Città di Castello, Belforte & c. editori, 2001 – rappresenta una sorta di miniera per la storia livornese sia per la precisione dell'informazione sia per gli spunti di ricerca che offre. Oltre ai volumi citati per quanto riguarda la composizione multietnica di Livorno si può consultare anche M. L. GHEZZANI, G. D'AGLIANO, Livorno e le Nazioni estere sotto i Medici e i Lorena (spunti e curiosità), Livorno, Nannipieri, 1992 (si tratta di un testo di carattere divulgativo).

[2] Sul commercio inglese nell'area mediterranea cfr. G. PAGANO DE DIVITIIS, Mercanti inglesi nell'Italia del seicento. Navi, traffici, egemonie, Venezia, Marsilio 1990. Cfr. anche A. HIRST, Il porto franco di Livorno e la politica inglese nel Mediterraneo, Tesi di Laurea discussa nell'anno accademico 1995-1996 presso l'Università degli Studi di Milano. Relatore Isabella Superti Furga, correlatore prof. Nino Recupero. Sulla Compagnia del Levante cfr. A. C. WOOD, A History of the Levant Company, Oxford 1935.

[3] PAGANO DE DIVITIIS, Mercanti inglesi nell'Italia del seicento..., cit. 138 sg.; C. CIANO, Corsari inglesi a servizio di Ferdinando I, in Atti del convegno «Gli Inglesi a Livorno e all'Isola d'Elba» Livorno-Portoferraio 27-29 settembre 1979, Livorno, Bastogi Editore 1980, 77-82.

[4] Cfr. D. PIEROTTI, Annotazioni sulle proprietà immobiliari inglesi dal 1600 al 1800,
in Atti del convegno «Gli Inglesi a Livorno e all'Isola d'Elba», cit., 66-69; P. SCROSOPPI, Porto di Livorno, in "Bollettino storico livornese", I, 1937, 339-380.

[5] Cfr. anche PRO: SP 98/1, cc. 91-99.

[6] P. CASTIGNOLI, Aspetti istituzionali della nazione inglese a Livorno, in Livorno dagli archivi alla città, 92-100, in part. 94 e ID., Le prime patenti consolari a Livorno, Ibid., 85-91, in part. 90. Sulla Trinity House cfr. W. H. MAYO, Trinity House, London, Past and Present, London, Smith, Elder & Co., 1905. Su Raymond Dawkins cfr. J. TEMPLE LEADER, Vita di Roberto Dudley duca di Northumbria, Firenze, Tipografia di G. Barbera, 1896. Cfr. infra nota 17. Sull'organizzazione della British Factory livornese cfr. M. D'ANGELO, The British Factory at Leghorn: a kind of Chamber of Commerce cum Consulate, in C. VASSALLO (ed.), Consolati di mare and chamber of commerce: proceedings of a conference held at the foundation for International Studies, (Valletta 1998), Mdisia, Malta University Press, 2000, pp. 113-125.

[7] Archivio di Stato di Firenze (d'ora in poi ASF), Mediceo del Principato (d'ora in poi Med. Princ.),
4183, c. 210r-v. Ibid., 1829, cc. 516r, 518r-520r.

[8] Per gli arrivi di navi inglesi nel porto di Livorno cfr. C. CIANO, Uno sguardo al traffico tra Livorno e l'Europa del Nord verso la metà del Seicento, in Atti del convegno «Livorno e il Mediterraneo nell'Età Medicea», 149-168 in part. 151 nota 6.

[9] Per tutta la prima metà del '600 una delle figure chiave dei rapporti anglo-toscani fu Sir Robert Dudley, figlio illegittimo del conte di Leicester che, abbandonata l'Inghilterra all'età di 31 anni nel 1605, si trasferì in Toscana dove, convertitosi al cattolicesimo intorno al 1611, ebbe il prestigioso incarico di soprintendente delle fortificazioni e dell'arsenale di Livorno, Pisa e Portoferraio, e che morì nel 1649. Per i rapporti conflittuali con la comunità inglese di Livorno cfr. le lettere del residente toscano a Londra Amerigo Salvetti del 2 ottobre 1626 e del 4 dicembre 1626; ASF, Med. Princ., 4196.

[10] L. FRATTARELLI FISCHER, Alle radici di una identità composita. La "nazione" greca a Livorno, in Le iconostasi di Livorno. Patrimonio iconografico post-bizantino, a cura di Gaetano Passarelli, Pacini Editore, 2001, 49-61; G. PANESSA, Le comunità greche a Livorno. Vicende fra integrazione e chiusura nazionale, Livorno 1991; ID., Presenze greche ed orientali a Livorno, in "Nuovi Studi Livornesi", 4, 1996, 123-143.

[11]
La presenza armena a Livorno (sec. XVII-XIX), Catalogo della mostra: Livorno, Centro di documentazione e ricerca visiva, Villa Maria, 3-25 maggio 1991, Quaderni della Labronica, Cataloghi, 4, Livorno 1991; M. OWL'OWRLEAN, Storia della colonia armena di Livorno e della costruzione della sua chiesa. Presentazione, traduzione e note di A. Orengo, Quaderni della Labronica, Studi e testi, 2, Livorno 1991; Gli armeni lungo le strade d'Italia. Atti del convegno internazionale (Torino, Genova, Livorno, 8-11 marzo 1997). Giornata di studi a Livorno, Istituti editoriali e poligrafici internazionali, Pisa-Roma 1998.

[12] Sulla comunità olandese di Livorno cfr. M.-C. ENGELS, Merchants, Interlopers, Seamen and Corsairs. The "Flemish Community in Livorno and Genoa (1615-1635), Hilversum Verloren 1997; G. PANESSA, M. DEL NISTA (a cura di), La congregazione olandese-alemanna. Intercultura e protestantesimo nella Livorno delle nazioni, Livorno, Debatte O. Srl, 2002. Sulla comunità francese cfr. J. P. FILIPPINI, Il porto di Livorno e la Toscana (1676-1814), Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane 1998; per gli esuli ugonotti cfr. H. A. HAYWARD, Gli ugonotti inglesi a Livorno, in «La Canaviglia», 4, 1980, nr. 3, 93-98.

[13] Sulla comunità ebraica di Livorno, oltre ai numerosi contributi pubblicati negli ultimi anni da Lucia Frattarelli Fischer, molti dei quali citati in queste note, cfr. Livorno e la Nazione ebrea. Atti del convengo di Livorno 6-7 marzo 1984, La rassegna mensile di Israel, 50, 1984, 477-862; R. TOAFF, La nazione ebrea a Livorno e a Pisa (1591-1700), Firenze, Olschki 1990; C. GALASSO, Alle origini di una comunità. Ebree ed ebrei a Livorno nel seicento, Firenze, Olschki, 2002. Sul movimento sabbatista cfr. G. SCHOLEM, Sabbetay Sevi: il Messia mistico, 1626-1676, a cura di Michele Ranchetti, traduzione di Caterina Ranchetti, Torino, Einaudi, 2001 (ed. orig. 1973). Nell'estate del 1667 gli ebrei di Livorno chiesero addirittura l'intervento del vicario dell'Inquisizione per impedire a un "venditore di leggende" di diffondere una "relatione stampata in Firenze de' progressi e fine del Messia scopertosi ultimamente in Levante", ASF, Med. Princ., 2190, cc. n. n., lettera di Antonio Serristori del 11 luglio 1667.

[14] I nomi di gran parte dei capitani e dei corsari dimoranti a Livorno negli anni a cavallo della fine del '500 si trovano non a caso nella confraternita della Misericordia di Livorno; cfr. H. A. HAYWARD, Gli inglesi a Livorno al tempo dei Medici, in Atti del convegno «Livorno e il mediterraneo nell'età medicea» cit., 268-273, in part. 269 sg. Cfr. anche B. BRESCHI, B. MESCHI, B. PALMATI, Una storia nella Storia, La
Misericordia di Livorno attraverso quattro secoli di documenti, Livorno, Nuova Fortezza 1998.

[15] Su Richard Sherwood cfr. G. ANSTRUTHER, The Seminary Priests. A Dictionary of the Secular Clergy of England and Wales 1558-1850, St. Edmund's College, Ware-Ushaw College, Durham 1968, I, 314; A.CRINò, Fatti e figure del seicento Anglo-Toscano. Documenti inediti sui rapporti letterari, diplomatici e culturali fra Toscana e Inghilterra, Firenze, Olschki 1957, 36 sg. Cfr. anche Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede (d'ora in poi ACDF), Città del Vaticano, St. St. M4 – b, ins. 1 cc. n. n.

[16] Su Mergin cfr. G.VIVOLI, Annali di Livorno..., Livorno, Bastogi Editore 1974-1980 (1a ed. 1842-1846), IV, 319, 533.

[17] Archivio Diocesano di Pisa (d'ora in poi ADP), Tribunale dell'Inquisizione, 3, cc. 418r-437v cfr. D.BONDIELLI, Inventario del fondo del Tribunale della Inquisizione pisana (anni 1574-1628). Tesi di Laurea discussa nell'anno accademico 1995-1996 presso l'Università degli Studi di Pisa, Facoltà di lettere e filosofia, corso di laurea in beni culturali, 61 sg. È possibile che questo «Tommaso figlio di Francesco Unto» sia in effetti il console della nazione inglese di Livorno Thomas Hunt.

[18] A.NERI, Uno schiavo inglese nella Livorno dei Medici, Pisa, Edizioni ETS, 2000.

[19] Su Christopher Streamer, nato a Honiton On Otter, Devon nel 1583 da Thomas ed Elizabeth, cfr. ADP, Tribunale dell'Inquisizione, 5, cc. 1r-21v. Il procedimento inquisitoriale prese avvio dopo una denuncia di Richard Sherwood. Vennero sentiti come testimoni il capitano francese "Petro de Henrico", James Shelley, residente a Livorno da un mese, i due fratelli Roger e Francis Weekes, ambedue sarti inglesi residenti a Livorno da tre mesi e John Holland. Stando alle dichiarazioni di Roger Weekes il "nonno di Stremar era stato abbrugiato" ed avrebbe dichiarato esplicitamente di non voler "mai essere abbrugiato per conto della religione" (c. 5r). Cfr. anche BONDIELLI, Tesi cit., 75 sg. Nel fondo del Tribunale dell'Inquisizione di Pisa e Livorno si trova un ampio fascicolo riguardate il caso di un inglese arrestato a Livorno nel 1620. Randolph Goodwin questo il nome dell'inglese – era fuggito dal carcere dell'Inquisizione di Roma dopo tre anni di detenzione e in suo favore intervenne lo stesso Giacomo I; cfr. ADP, Tribunale dell'Inquisizione, 7, cc. 592r-629v; BONDIELLI, Tesi cit., 158 sg.; ASF: Med. Princ., 4183, cc. 196r-v (lettera di Giacomo I a Cosimo II del 17 apr. 1620). Per un'altra lettera del sovrano inglese del 17 febbraio 1617 in cui si chiedeva al granduca di intervenire in favore di un inglese arrestato in Italia cfr. Ibid., c 176r (si trattava di Henry Bertie, fratello del barone Robert Willoughby che venne arrestato dall'Inquisizione ad Ancona nel gennaio del 1617. Su questo caso cfr. CASTIGNOLI, Livorno, 79, 94; L. P. SMITH, The Life and Letters of Sir Henry Wotton, Oxford, Clarendon Press 1966, ristampa dell'edizione del 1907, II, 108, 110 sg., 114. Cfr. anche CSPD 1611-1618, 514.

[20] Cfr. ad esempio F. AVEZZANO COMES, Ragion di Stato e fede cattolica in una vicenda relativa ad una giovane inglese convertitasi a Livorno nella seconda metà del secolo XVIII, in Atti del convegno «Gli Inglesi a Livorno e all'Isola d'Elba» cit., 165-168; G. PAGANO DE DIVITIIS e V. GIURA, L'Italia del Secondo Settecento nelle relazioni segrete di William Hamilton, Horace Mann e John Murray, ESI, Napoli, 1997, 81, 285.

[21] Questa parte del saggio riprende in larga parte il capitolo dedicato alla comunità inglese di Livorno della mia tesi di perfezionamento discussa il 12 luglio 1999 Uomini, idee, notizie tra Inghilterra della Rivoluzione e Italia della Controriforma, Tesi di Perfezionamento in discipline storiche, discussa nell'anno accademico 1998-1999 presso la Scuola Normale Superiore di Pisa, Classe di Lettere e Filosofia, pp. 39-71.

[22] ASF: Med. Princ., 4201; lettera di Salvetti del 10 luglio 1643.

[23] Stando a quanto affermò il Rinuccini, nunzio in Irlanda, la maggior parte dei mercanti inglesi residenti a Livorno in quegli anni si era schierata dalla parte del Parlamento, cfr. BARNABAS O'FERRALL (Fr. Pater Richardus) e DANIEL O'CONNELL (Fr Pater Robertus), Commentarius Rinuccinianus de Sedis Apostolicae legatione ad foederatos Hiberniae catholicos per annos 1645-1649. Florentiae opus susceperunt atque absolverunt per annos 1661-1666, a cura di
Joannes Kavanagh (Fr. Pater Stanislaus), indice a cura di Newport B. White, Dublin, Published for the Irish Manuscripts Commission by the Stationery Office, 1932-1949 (6 voll. ), f. 896v.

[24] ASF: Med. Princ., 2158, la lettera citata è all'interno del fascicolo datato 9 aprile. Il 18 aprile 1644 il governatore scrisse a Firenze per ribadire che, come era stato «in altre occasione accennato al consolo», a Livorno non sarebbe stata fatta alcuna «differenza da Regij et Parlamentarij», Ibid., lettera del 18 aprile.

[25] ASF: Med. Princ., 2158, lettera del 13 lug. 1644. John Knox Laughton ad vocem Ley, James, third Earl of Marlborough 1618-1665, naval captain, in DNB.

[26] ASF: Med. Princ., 2158, lettera del 16 lug. 1644.

[27] Su queste vicende mi permetto di rimandare sia per una più analitica descrizione degli avvenimenti sia per gli essenziali riferimenti bibliografici a STEFANO VILLANI, «Cum scandalo catholicorum...». La presenza a Livorno di predicatori protestanti inglesi tra il 1644 e il 1670, in «Nuovi Studi Livornesi», VII (1999), 9-58.

[28] Quel che è certo è che il granduca, quando non si fosse dato scandalo, era ben disposto a fare ampie concessioni in materia di culto ai protestanti inglesi. Nell'estate del 1646 Ferdinando II concesse addirittura esplicitamente ad alcuni mercanti inglesi di tenere una cappella protestante in casa loro a Pisa, a condizione però che non vi si recasse nessuno al di fuori delle loro famiglie. Richard Weller – che come sappiamo era stato costretto a lasciare l'Italia all'inizio di quell'anno e si trovava in Inghilterra – venne contattato da questi mercanti che aveva probabilmente conosciuto a Livorno, per trovare la persona adatta. Weller fece perciò questa proposta a William Sancroft, il futuro vescovo di Canterbury, e avendo questi rifiutato, si rivolse probabilmente a un certo Brearly (non sappiamo con quali esiti). Weller nella lettera a Sancroft menzionava Phillip Williams, Nicholas Abdy e Thomas Barnesley come le persone a cui il granduca aveva concesso il permesso di tenere presso di sé un predicatore. È certamente possibile mettere in relazione questa proposta con gli episodi che tra la fine del 1643 e la primavera del 1645 avevano visto Sainthill rivendicare con forza il diritto per gli inglesi di poter godere dell'assistenza spirituale di ministri protestanti. Ed è forse possibile che ancora una volta dietro questa proposta ci fosse in effetti lo stesso Sainthill.

[29] Sulla villa di Crespignano cfr. VILLANI, «Cum scandalo catholicorum...», cit., 45 nota 33. Nell'aprile del 1647 Isaac Basire visitò presso la villa di Crespignano l'amico «D. P. » (presumibilmente un inglese, anche se gli elementi a nostra disposizione non ci permettono di fare alcuna ipotesi di identificazione). Cfr. [ISAAC BASIRE], Travels through France and Italy (1647-1649). MS V. a. 428 in the Folger Shakespeare Library. Introduction and notes by Luigi Monga. Text established by Luigi Monga and Chris Hassel, Geneve, Slatkine, 1987, 66.

[30] Probabilmente prima di quella data i protestanti inglesi venivano seppelliti insieme agli olandesi nel giardino adiacente la villa dell'ingegnere fiammingo Lambert Costant che, stando a quanto afferma l'annalista di Livorno Giuseppe Vivoli, avrebbe ottenuto intorno al 1615 il permesso ufficioso da parte del granduca Ferdinando di adibire quell'appezzamento di terreno a cimitero per i suoi connazionali acattolici (Libreria Labronica di Livorno, MSS Vivoli, busta 27, Vivoli, Op. cit., 73). Cfr. H. A. HAYWARD, Some Considerations on the British Cemeteries in Livorno, in Atti del convegno «Gli Inglesi a Livorno e all'Isola d'Elba», cit., 23-30; D. MELODIA, Lo storico cimitero inglese di Livorno, «Quaderni della Labronica» n. 67, Livorno 1996; P. NICOLETTI, Cimiteri monumentali in Livorno. I cimiteri della Nazione inglese, in B. ALLEGRANTI, S. BATTISTINI, M. COLOMBO, P. NICCOLETTI, Cimiteri monumentali in Livorno. I cimiteri della Nazione ebrea, inglese e olandese-alemanna, Pisa, Pacini, 1996, 55-79.

[31] Daniel Harcourt aveva conseguito il grado accademico di Baccalaureus artium nel 1627 presso il Brasenose College di Oxford (cfr. J. FOSTER, Alumni Oxonienses: The members of the University of Oxford, 1500-1714..., Nendel/Liechtenstein, Kraus Reprint Limited, 1968; ristampa anastatica 1891-1892). Harcourt è autore di A Hymne Called Englands Hosanna to God, for the Restoration, and Coronation of Charles the Second in Imitation of that Song, sung by the Angels, Glory be to God. Presented by Daniel Harcourt, sometime of Brazen-Nose colledge in Oxford, An Exile for his Loyaltie; late Chaplain to his Majesty Frigot, the Leopard, out of Italy. È sulla base di quest'ultima indicazione che possiamo con una qualche sicurezza identificarlo con il «Mastro Harkotto» citato nei documenti inquisitoriali pisani (la Leopard, comandata da Henry Appleton, fu nel Mediterraneo a partire dalla fine del 1651). Alcuni anni dopo la Restaurazione il residente inglese Finch – che come vedremo aveva vissuto in Italia durante l'Interregno – sosteneva: «I very well knew there was all the time Preachers in Leghorn and sometimes 3 or 4. That it was undenyable also that Mr. Harcourt was complaynd against by the Inquisition and yet still stay'd unmolested many years after till he went away of his own accord as the rest did except Dr Duncomb who dyd' there», Public Record Office di Londra (d'ora in poi PRO): SP 98/8, cc. 300-301. In Sionis Reductio & exultatio del 1662 l'ecclesiastico realista Robert Le Grosse accenna brevemente al fatto di esser stato denunciato all'Inquisizione, ma è improbabile che questo avvenimento sia da mettere in relazione con questa vicenda.

[32] PRO: SP 98/8, cc. 293v, 296r, 300r, cc. 314r, 316r. Il capitano inglese è con ogni probabilità John Daniel («Gio. Danielle») che «morì il dì 9 dicembre 1658» come recita la lapide – in italiano – della sua tomba presso il cimitero degli inglesi di Livorno, CARMICHAEL (ed. ), The Inscriptions in the Old British Cemetery of Leghorn, Firenze, Commission from the Office of Heraldry, 1906, 33. Giles Lytcott, era il fratello di Ann Thurloe, moglie del segretario di Stato John Thurloe. Su di lui e la sua attività mercantile a Livorno in collaborazione con Walwin Gascoigne cfr. PAGANO DE DIVITIIS, Mercanti inglesi nell'Italia del seicento, 109, 110, 111, 154 n., 184 n., 186 e n., 195 n. P. AUBREY, Mr Secretary Thurloe. Cromwell's Secretary of State 1652-1660, London, The Athlone Press, 1990, XIV, 205.

[33] ADP, Tribunale dell'Inquisizione, 16, cc. 1085r-1085v.

[34] Cfr. ASF: Med. Princ., 1804, num. 3 "Ordine al governatore di Livorno in conto dei predicanti inglesi" (gennaio 1658 ab Inc. )

[35] VILLANI, «Cum scandalo catholicorum...», cit.

[36] Su Longland cfr. STEFANO VILLANI,"Se è vero secondo Galileo che il mondo ha suo moto quotidiano, non è da maravigliarsi della instabilità d'ogni cosa in esso...". Charles Longland: un "rivoluzionario" inglese nella Livorno del '600, in Religione, cultura e politica nell'Europa moderna. Studi offerti a Mario Rosa dagli amici, a cura di Carlo Ossola, Marcello Verga, Maria Antonietta Visceglia, Firenze, Olschki, 2003.

[37] Morgan Read, che almeno a partire dal 1634 esercitò le funzioni di console della nazione inglese, morì a Livorno il 29 maggio 1665 (cfr. PRO: SP 98/5, cc. n. n., lett. di William Mico); cfr. anche PRO: SP 98, 3/203 (documento del 22 aprile 1650 con cui Carlo II ribadiva la nomina di Morgan Read a console inglese di Livorno).

[38] Sullo scontro del marzo 1653 cfr. R. C. ANDERSON, The First Dutch War in the Mediterranean, in
"The Mariner''s Mirror", XLIX, 1963, 241-265; M. MORVIDUCCI, Lo scontro anglo-olandese avvenuto nel porto di Livorno il 14 marzo 1653, in Atti del convegno «Livorno e il Mediterraneo nell'età medicea» tenutosi a Livorno il 23-25 settembre 1977, Livorno, Bastogi Editore, 1978, 268-273; M. T. LAZZARINI, La battaglia del Fanale nella pittura di mare in Toscana, in «Nuovi Studi Livornesi», III, 1995, 145-183. Cfr. anche T. A. SPALDING, A Life of Richard Badiley, Vice-Admiral of the Fleet, Westminster, Archibald Constable and Co., 1899.

[39] ASF: Med. Princ., 2177, cc. n. n., lett. di Longland a Pandolfini del 25 gen.

[40]
Ibid., lett. del granduca al generale Blake (minuta), 13 feb. ; ASF: Med. Princ., 169, c. n. n. 13 febbraio.

[41] Longland a Thurloe, 29 ott. 1655. Cfr. le due lettere scritte da Longland del 3 e del 10 marzo 1655 in T. BIRCH (ed. ), A Collection of the State Papers, of John Thurloe, Esq... Containing Authentic Memorials of the English Affairs from the Year 1638, to the Restoration of King Charles II..., London, 1742, (7 voll., d'ora in poi Thurloe SP), IV, 92.

[42] Longland a Thurloe, 19 nov. 1655, in Thurloe SP, IV, 172. Per la presenza di mercanti inglesi a Civitavecchia e i problemi che l'inglese John Byam ebbe con l'Inquisizione cfr. ACDF, S. O., Decreta, 1657, cc. 110v, 120r, 164r (su Byam cfr. PRO: SP 98/8, c. 346v).

[43] Longland a Thurloe 5 feb. 1656, in Thurloe SP, IV, 464. Cfr. anche PRO: SP 98/9, c. 90.

[44] S. VILLANI, Tremolanti e Papisti. Missioni quacchere nell'Italia del Seicento, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1996, 33-42, 177-178, 179-180. Cfr. anche ID., I quaccheri contro il Papa. Alcuni pamphlet inglesi del '600 tra menzogne e verità, in «Studi Secenteschi», XXXVIII, 1998, 165-202 e, in particolare per i rapporti che i quaccheri inglesi in visita a Livorno ebbero con la comunità ebraica cittadina, cfr. ID., I primi quaccheri e gli ebrei, in «Archivio Italiano per la Storia della Pietà», X, 1997, 43-113.

[45] Su «Origene di Pietro Marchant», nato nella «città di S. Martino della Roccella» nel 1598 e morto a Livorno il 29 gennaio 1679 si veda ASF, Deputazione sopra la nobiltà e cittadinanza, 56, (Processi di Nobiltà dei Nobili Livornesi, num. 10 "Prove di Nobiltà della Famiglia Marchant in Livorno").

[46] Il resoconto dei festeggiamenti si può leggere nell'anonima Relatione delle feste celebrate dalli signori della natione inglese nella città di Livorno, che era stata pubblicata a Livorno nel 1660 (una copia in questo pamphlet è conservata presso il PRO: SP 120/108) e, nello stesso anno, in inglese, a Londra presso Edward Farnham, col titolo Britain's Glory (British Library, Londra: E1040/5). Cfr. anche i documenti del luglio 1660 inviati dalle autorità livornesi a Firenze in ASF, Med. Princ., 2183, cc. n. n.

[47] Sir John Finch (1626-1682) venne nominato residente inglese in Toscana nell'aprile 1665, dove rimase sino all'estate del 1671; i dispacci inviati da Finch dalla Toscana sono conservati in sette filze presso il PRO: SP 98/6-12. Cfr. anche F. J. ROUTLEDGE (ed. ), Calendar of the Clarendon State Papers, V, Oxford University Press, 1963. La lettura di questi dispacci ufficiali può essere utilmente integrata consultando l'ampia collezione di lettere inviate da Finch a suo cognato Lord Conway in British Library, Londra, Add. Mss., 23215. Cfr. anche i numerosi documenti inviati da Finch alle autorità fiorentine conservati in ASF, Med. Princ., 1824.

[48] F. J. ROUTLEDGE (ed. ), Calendar of the Clarendon State Papers, cit.

[49] Lett. di Finch da Livorno del 31 dic. 1668, PRO: SP 98/10, c. 600.

[50] SP 98/12, c. 111, documento del 26 novembre 1670. Il 4 dicembre Finch ebbe una nuova udienza col granduca tentando inutilmente di ottenere il permesso per la comunità inglese di avere un cappellano (tra l'altro il granduca disse che anche gli olandesi avevano fatto richiesta di un cappellano), PRO: SP 98/12, c. 126r-v. Cfr. anche Ibid., c. 169. Il 27 gen. 1671 Finch ebbe un'altra udienza in cui presentò un nuovo memoriale in cui ancora una volta si ricordava che durante il tempo di «Oliver the usurper» i mercanti godevano di maggiori privilegi e immunità e che poiché certamente «Leghorn was no year without an Inquisitor» era evidente che la connivenza veniva approvata a Roma (PRO: SP 98/12, cc. 180-181r, cfr. anche ASF; Med. Princ., 1824, ins. 6). Cfr. PRO: SP 98/12, c. 178r-v (duplicato cc. 184-185).

[51] Su questo caso cfr. P. CASTIGNOLI, Livorno dagli archivi alla città, 92-100. Si vedano anche ACDF, S. O., St. St. M4 – b, cc. n. n. e Ibid., S. O.,
Decreta, 1706, cc. 554r e 571v; Decreta, 1707, cc. 10v, 52v-53r, 88r, 122v, 147r, 170v, 200v-201r, e cfr. anche cc. 51
e 101v.

[52] Westminster Cathedral Archives, Londra: XXXXII, no. 127, cc. 579-581, cit. in E. CHANEY, The Grand Tour and the Great Rebellion. Richard Lassels and «The Voyage of Italy» in the Seventeenth Century, Geneva, Slatkine, 1985, 342. Cfr. anche PRO, SP 98/8, c. 348.

[53] Per la registrazione di alcuni battesimi di protestanti inglesi nel libro dei battezzati della Collegiata di Livorno tra 1658 e 1704 cfr. ASF: Misc. Medicea, 335 ins. 20.

[54] «Chapel Register of the Protestant Society of Leghorn from the year of Our Lord 1707 to 1783» (abbiamo ultimato una prima trascrizione di questo repertorio che sarebbe nostra intenzione pubblicare). La copia originale di questo registro è conservata presso il PRO: RG33/116 (dove fu depositata nel 1909); di esso esistono due copie ottocentesche. Una conservata presso il PRO (RG33/117) e l'altra, fatta nel 1810 dal cappellano Hall e consegnata al console britannico a Livorno Macbean nel 1845, attualmente conservata presso la Guildhall Library di Londra (MS 23782). Presso l'Archivio di Stato di Livorno è depositata una copia fotostatica di quest'ultimo manoscritto, mentre presso l'Archivio di Stato di Pisa ne è conservata una riproduzione microfilmata (insieme ai registri ottocenteschi di altre cappellanie inglesi in Toscana). Per l'indicazione dei registri della comunità inglese di Livorno cfr. G. YEO, The British Overseas, A Guide to Records of their Births, Baptisms, Marriages, Deaths and Burials Avaiable in the United Kingdom, London, 2nd Edn., 1988. Cfr. anche CARMICHAEL (ed. ), Op. cit.

[55] In ACDF: St. St. O2-n è conservata una serie di liste di libri proibiti «comparsi» nel Sant'Uffizio di Pisa. Questi elenchi, scritti tra il novembre del 1658 e il maggio del 1671, venivano inviati ogni sei mesi a Roma e in essi figurano spesso testi inglesi evidentemente sequestrati a Livorno cfr. ad esempio, nella lista inviata nel novembre del 1658, la menzione di una copia del Book of Common Prayer e nelle liste del novembre 1659
e del novembre 1664 quella di alcuni testi quaccheri in inglese e latino. Altri libri inglesi sono segnalati nelle liste del maggio 1666 e del maggio 1667; il sequestro di bibbie in inglese viene segnalato negli elenchi del novembre 1659, del novembre 1660, del maggio 1661, del maggio 1662, del maggio e del novembre 1669, del maggio 1670. Cfr. anche ACDF, S. O., Decreta, 1651, c. 1r (feria IV, 28 dic. 1650).

[56] Su Henry Robinson cfr. VIVOLI, Op. cit., IV, 266; DNB
s. v. «Robinson, Henry 1605?-1664?»; W. K. JORDAN, Men of Substance. A study of the thought of two English revolutionaries: Henry Parker and Henry Robinson, Chicago, University of Chicago Press, 1942. Su le sue opinioni in merito alla tolleranza e in particolar modo sui margini di libertà che si potevano concedere ai cattolici cfr. GARAVAGLIA, Società e religione in Inghilterra, Milano, Franco Angeli, 1983, 88-89; cfr. W. HALLER, Tracts on Liberty in the Puritan Revolution, 1638-1647, New York, Columbia University Press, 1934, III, 105-179. Nel novembre del 1636 Henry Robinson scrisse a Galileo per ringraziarlo di avergli permesso di andarlo a visitare «già due volte», Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze: MSS Galileiani, XXI, c. 261 cit. in CHANEY, Op. cit., 291. Per i rapporti tra Robinson e il granducato di Toscana si vedano le lettere del Cioli al Salvetti del 15 gennaio 1639 e del 7 febbraio 1639 (ASF: Med. Princ., 4208) e le lettere di Salvetti dell'11 marzo, 26 marzo 1639 (Ibid., 4199), 28 aprile, 20 maggio, 3 giugno, 15 luglio 1639 (Ibid., 4200).

 

 

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