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lunedì 1 novembre 2010
Ma chi era veramente Veronica Franco?
In 1565, quando aveva circa vent'anni, Veronica Franco era citata così nel Catalogo de tutte le principal et più honorate cortigiane di Venetia :“Veronica Franco, a Santa Maria Formosa, pieza so mare, scudi 2”, con tanto di tariffa, indirizzo e mezzana (“so mare”, cioè sua madre) . Nata a Venezia nel 1546, Veronica Franco fu avviata giovanissima alla professione di cortigiana dalla madre, Paola Fracassa, che aveva esercitato la stessa attività. Dai documenti rimasti risulta che la Franco si sposò per un breve perido e diede alla luce il suo primo figlio. In tutto ebbe sei figli, tre dei quali però morirono in età infantile.
La sua fama si accrebbe enormemente quando nel 1574 il re di Francia Enrico III di Valois, facendo tappa a Venezia, volle passare una notte con lei, forse consigliato dal patrizio Andrea Tron, uno dei protettori di Veronica. L’episodio la elevò agli occhi dei suoi concittadini, e non solo. A ricordo dell’incontro, Veronica donò al re la miniatura di un proprio ritratto e due sonetti, accompagnati da una lettera che, come altre della Franco, è un piccolo capolavoro di arguzia: “All’altissimo favor che la Vostra Maestà s’è degnata di farmi, venendo all’umile abitazione mia, di portarne seco il mio ritratto, in cambio di quella viva imagine che nel mezzo del mio cuore Ella ha lasciato delle sue virtù eroiche e del suo divino valore... io non sono bastevole di corrispondere”, laddove è evidente a quali virtù e valore la Franco si riferisse, a compiacimento del focoso monarca.
Le doti intellettuali della Franco, valente scrittrice e poetessa, erano ben note ai suoi contemporanei. Cosa rara per una donna, aveva accesso agli ambienti culturali, in particolare al circolo di Cà Venier, animato da Domenico Venier e frequentato da alcuni dei più illustri letterati veneziani del tempo. Al fascino di Veronica non erano insensibili neppure i rappresentanti dell’illustre casato veneziano: “Se io v’amo al par de la mia propria vita, / donna crudel, e voi perché non date / in tanto amor al mio tormento aita?”, così le scriveva in versi l’appassionato Marco Venier.
Veronica, che pure lo riamava, non era però certa dei suoi reali sentimenti poiché, a suo giudizio, alle parole del gentiluomo non facevano seguito fatti concreti. Così gli rispondeva, sempre in forma poetica: “S’esser del vostro amor potessi certa / per quel che mostran le parole e ’l volto / che spesso tengon varia alma coperta... E se invero m’amate, assai mi duole / che con effetti non vi discopriate, / come chi veramente ama, far suole”. Nonostante i dubbi espressi, non mancava però di prospettare un’adeguata ricompensa se l’innamorato si fosse dimostrato sincero: “Aperto il cor vi mostrerò nel petto, / allor che ’l vostro non mi celerete, / e sarà di piacervi il mio diletto… ne l’opere amorose grata a Venere più mi troverete... con questo, che mi diate la certezza / del vostro amor con altro che con lodi, / ch’esser da tai delusa io sono avvezza: / più mi giovi con fatti, e men mi lodi”.
Ad un minimo impegno da parte del Venier, sarebbe corrisposto un premio assai prezioso: “Così dolce e gustevole divento, / quando mi trovo con persona in letto / da cui amata e gradita mi sento / che quel mio piacer vince ogni diletto”. E per quanto potessero esser grandi le sue celebri doti intellettuali, queste sarebbero scomparse a confronto delle virtù amorose conosciute solo da chi aveva saputo meritarsele: “E ’l mio cantar e ’l mio scriver in carte / s’oblia da chi mi prova in quella guisa, / ch’a’ suoi seguaci Venere comparte”.
Per quanto fiera della sua professione di onesta cortigiana, la Franco era tuttavia consapevole dei rischi che correva chi avesse voluto dedicarsi a quella attività senza le necessarie doti. A una madre, che desiderava avviare la figlia alla “carriera”, scrisse una lettera sincera, in cui la avvertiva che la ragazza “è così poco bella... ed ha così poca grazia e poco spirito nel conversar, che le romperete il collo credendola far beata nella profession delle cortegiane, nella quale ha gran fatica di riuscir chi sia bella ed abbia maniera e giudizio e conoscenza di molte virtù”.
Scongiurando la snaturata genitrice a non essere lei stessa il “macellaio” della propria figliola, Veronica descriveva la condizione di perenne pericolo e degradazione in cui viveva una prostituta: “Troppo infelice cosa e troppo contraria al senso umano è l’obligar il corpo e l’industria di una tal servitù che spaventa solamente a pensarne. Darsi in preda di tanti, con rischio d’esser dispogliata, d’esser rubbata, d’esser uccisa, ch’un solo un dì ti tolga quanto con molti in molto tempo hai acquistato, con tant’altri pericoli e d’ingiurie e d’infermità contagiose e spaventose; mangiar con l’altrui bocca, dormir con gli occhi altrui, muoversi secondo l’altrui desiderio... qual maggior miseria?”
Un destino che la Franco seppe accortamente evitare, amministrando con attenzione i propri beni, coltivando amicizie influenti e reagendo con coraggio a tutti i soprusi di cui fu vittima. Si difese abilmente davanti al tribunale del Santo Uffizio, ottenendone l’assoluzione da un’infamante accusa di stregoneria. Nonostante la sua biografia presenti luci e ombre, nonché diversi episodi poi risultati falsi, è indubitabile che Veronica mantenne per tutta la sua vita dignità e grande spirito d’indipendenza.
La sua fama di intellettuale fu pari a quella di cortigiana: nel 1580, ad esempio, pubblicò una raccolta di cinquanta Lettere familiari a diversi, che Montaigne, durante il suo viaggio in Italia, ricevette in dono e apprezzò. Il Tintoretto, poi, la ritrasse in un celebre dipinto (vedi sopra) e lei lo ringraziò con una cortese epistola.
La sua fortuna letteraria continuò anche dopo la morte, avvenuta nel 1591 all’età di 45 anni. Le sue poesie furono incluse, nei secoli successivi, in diverse raccolte di versi e nel Novecento Benedetto Croce fu artefice di una vera e propria riscoperta critica della poetessa veneziana.
*Fonte: Alessandro Peroni (Diogene,n°14)
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