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venerdì 3 dicembre 2010







Il formaggio tra leggenda, mitologia e storia


La leggenda narra che un mercante arabo, nell’attraversare il deserto, portò con sé, come pietanza, del latte contenuto in una bisaccia ricavata dallo stomaco di una pecora.
Il caldo, gli enzimi della bisaccia e l’azione del movimento acidificarono il latte trasformandolo in “formaggio”.

Dal punto di vista storico, la sua nascita è legata all’origine dell’uomo e alle società primitive.
Le prime tracce di allevamento di bovini, ovini e caprini sono state trovate in Asia e risalgono al 7.000- 6.000 a.C.
Con la pastorizia le risorse alimentari dell'uomo derivavano dalla carne e dal latte e, quest’ultimo, essendo deperibile, mise l’uomo dinnanzi alla necessità di conservarlo il più a lungo possibile.
Il latte eccedente il fabbisogno familiare era destinato alla produzione di bevande la cui tecnica di produzione ha precorso l’arte di fabbricare il formaggio.
Il documento più antico che testimonia le fasi di lavorazione del latte si trova nel Fregio della latteria un bassorilievo sumero del III millennio a.C. che raffigura i sacerdoti, esperti caseari nelle operazioni di mungitura.

Secondo la mitologia greca le Ninfe insegnarono ad Aristeo, figlio di Apollo, l’arte della pastorizia e di cagliare il latte.
L’Odissea di Omero, nel IX libro descrive il ciclope Polifemo nella grotta mentre prepara il formaggio.

La parola formaggio deriva da formos termine usato dagli antichi greci per indicare il paniere di vimine dove era messo il latte cagliato per dargli forma. Il formos divenne poi la "forma" dei romani che dopo si trasformò nel francese "formage" e nell' italiano "formaggio".

Gli Etruschi diedero il loro contributo alla metodologia di preparare il formaggio usando cagli di tipo vegetale come il cardo e il fico e le loro tecniche furono trasmesse ai Romani.
I Romani perfezionarono l’arte casearia impiegando anche il latte di vacca (usato di rado dai predecessori, perché ritenuto nocivo) e introducendo lo zafferano e l’aceto per ottenere la cagliata.
Nel I sec. d.C. applicarono la pressatura per accelerare la stagionatura, adoperando dei pesi forati.

Illustri scrittori romani, hanno descritto in modo dettagliato la produzione e l’uso del formaggio.

Marco Terenzio Varrone illustra i principali tipi di formaggi consumati nel II secolo a.C. (vaccini, caprini e ovini freschi e stagionati) e nel De rustica, documenta come il gusto dell’epoca fosse rivolto ai formaggi ottenuti con il caglio di lepre o capretto, anziché di agnello.

Columella, nel suo De Rustica del I secolo d.C. spiega le tecniche di trasformazione casearia del tempo e si sofferma sull’uso di coagulanti vegetali.

Nel Medioevo ci furono dapprima dei pregiudizi sul formaggio perché gli ignoti meccanismi di coagulazione e fermentazione erano visti con sospetto e i trattati di dietetica limitavano il suo consumo, perché si riteneva che solo piccole dosi di formaggio non nuocessero alla salute.
Inizialmente, il formaggio era considerato il cibo dei poveri e successivamente rivalutato come alternativo alle diete povere o prive di carne.

In Italia e in Europa i formaggi che noi consumiamo ebbero origine nel Basso Medioevo e i monaci sono stati i preziosi custodi delle tecniche casearie ancora applicate che ci permettono di assaporare questo cibo prezioso. I monasteri diedero un importante impulso alla produzione casearia, perché nell’ambito delle loro attività economico-rurali, praticavano l’allevamento dei bovini stanziali che permise la nascita di nuove varietà di formaggio.
A partire dal XII sec. proprio nelle Abbazie di Moggio Udinese, Chiaravalle, San Lorenzo di Capua, nacquero il Montasio, il Grana e la Mozzarella di bufala.
I motivi del cambiamento sono radicati nel motto benedettino Ora et labora, nella necessità di mangiare magro e nell’applicazione della rotazione agraria che

1 commento:

  1. ..nel senese, quando ero ragazzina, vi era una famiglia di contadini che facevano un pecorino specialissimo, mai più sentito. Il segreto era una erba speciale per fare il caglio. E non c'è mai stato verso di saperlo, il nome di quell'erba - che fra l'altro era selvatica e di facilissima reperibilità.

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