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mercoledì 5 gennaio 2011


NOSTRADAMUS
MICHEL DE NOSTREDAME
(1503 - 1566)
LA BIOGRAFIA


Michel de Nostredame, che in seguito mutò il suo nome latinizzandolo secondo il costume del tempo in Nostradamus, nacque a Saínt Remy in Provenza, nell'anno 1503, il giorno 14, un giovedì del mese di dicembre (ma il 14 Dicembre, all’epoca era il 23 dello stesso mese, secondo il calendario greogoriano), precisamente verso il mezzogiorno.


Suo padre, Giacomo de Nostredame, esercitava la professione di notaio e sua madre Renata di Saint Remy erano figli rispettivamente dell'italiano Pietro di Nostra Donna e di Giovanni di Saint Remy. Costoro erano entrambi astrologi e medici.


Pietro di Nostra Donna era giunto in Francia al seguito del suo signore, Renato d'Angiò, re di Gerusalemme e di Sicilia, conte di Provenza ed aveva conosciuto Giovanni di Saint Remy alla corte del figlio del "Buon re", Giovanni II, re di Navarra e duca di Calabria.


I due dotti medici che per esperienza e coltura molto si distinguevano dagli altri cortigiani erano pure tenuti in conto di ottimi consiglieri dai rispettivi sovrani. Essendo perciò frequenti i loro contatti. ne nacque una profonda amicizia e desiderosi di consolidarla, decisero di unire con un vincolo di sangue le loro famiglie. Venne quindi il giorno in cui l'unico erede di Giacomo sposò la sola figlia di Renato e dalla loro unione nacque Michele.


Difficilmente avrebbero potuto determinarsi circostanze più favorevoli per il fanciullo quando, giunto all'età di apprendere, anziché scegliergli un precettore, i nonni stessi s'incaricarono della sua educazione. Così l'adolescente oltre ad apprendere Perfettamente le lingue latina, greca ed ebraica, ebbe pure modo di approfondirsi nella matematica applicata all'astrologia.



Contemporaneamente dai suoi avi gli furono impartite delle conoscenze non comuni in merito alle virtù medicamentose e curative delle erbe, delle piante, dei metalli e delle pietre tanto da divenire, mediante una tecnica sottile nota ai soli Iniziati, a trarne le quintessenze necessarie alle preparazioni dei medicinali.


Queste conoscenze e le possibilità che ne conseguivano gli furono offerte in misura sempre maggiore, come Nostradamus afferma in una sua lettera al figlio Cesare, oltre che dagli insegnamenti dei nonni da ciò che progressivamente apprese decifrando gli astrusi crittogrammi ed interpretando i pentacoli ed i sigilli misteriosi riprodotti in volumi che erano stati nascosti per lunghi secoli.


In quegli antichi manoscritti non solo erano fedelmente riprodotte le più complicate formule magiche, ma vi apparivano nei caratteri sacri mediante i quali erano stati composti nei centri iniziatici dell'antico Egitto, le "Parole di Potenza" ignorate dalla quasi totalità degli uomini.


Tramite Mosé quelle inestimabili conoscenze erano pervenute ai discendenti di Issacar ed è precisamente a questa tribù che la tradizione esoterica attribuisce l'origine degli antenati di Nostradamus. Agli Eletti che vi appartennero, come attesta la Bibbia, furono concesse particolari doti e conoscenze per predire il futuro.


Scomparsi i Terapeuti, Maestri di Giustizia Esseni, distrutto il Tempio di Gerusalemme, l'aurea catena che aveva tramandato le "Memorie Sacerdotali", contrariamente a quanto si suppose, non venne spezzata ed i sacri testi pervennero alfine ai nonni di Michele i quali, preoccupati che simili tesori potessero andare perduti o dispersi, fecero a gara nel riversare sull'unico crede tutto ciò che in essi avevano appreso.


Come i suoi predecessori, il grande Veggente conservò sempre con gelosa cura l'inestimabile retaggio e per consultare i Maestri capaci d'interpretarne le parti più oscure non esitò in seguito a compiere lunghi e disagevoli viaggi.


Per quanto da secoli i suoi avi si fossero convertiti al cristianesimo, troppo scalpore suscitarono le sue mirabolanti predizioni perché l'Inquisizione non rammentasse le sue origini e verso il termine della sua esistenza terrena, malgrado si fosse comportato sempre da buon cattolico, preoccupato più che per sé, per i suoi figli dai rigori dell'inesorabile istituzione Nostradamus aveva bruciato i documenti dei quali aveva appreso a memoria il contenuto.


In una sua prefazione alle Centurie, dedicata al figlio Cesare, Nostradamus racconta che "mentre il papiro ardeva si produsse una fiamma più brillante di qualsiasi altra fiamma, sicché parve che una luce sovrannaturale illuminasse improvvisamente la scena"...


Quando l'adolescente raggiunse l'età prescritta venne inviato ad Avignone per completare i suoi studi in lettere e in seguito, avendo deciso di dedicarsi alla stessa professione dei nonni, si iscrisse all'università di Montpelier che, oltre ad essere la più famosa facoltà medica di Francia, era a tutti nota per lo spirito liberale dei suoi docenti. Agli studenti che la frequentavano non era richiesta né la nazionalità, né la fede religiosa perciò arabi ed ebrei vi confluivano in gran numero e con l'apporto della coltura proveniente dall'oriente, contribuivano a rendere l'insegnamento ricco e vario, tanto che molto si distanziava da quello normale.


In quel tempo, con rapidità fulminea, si diffuse in tutta l'Europa il tremendo flagello della peste bubbonica e l'imberbe studente si prodigò a soccorrere i colpiti accompagnando i suoi maestri ovunque il loro intervento fosse richiesto.


Poté quindi constatare che i medici rimanevano in ogni circostanza ancorati alle antiche abitudini e giudicando inadeguati i sistemi adottati per debellare il morbo, Nostradamus dichiarò esplicitamente che riteneva molto più efficace un'oculata osservazione del paziente, completata da ripetute analisi delle secrezioni, di tutti i suffumigi con ambra e muschio, invariabilmente prescritti ai clienti danarosi.


Queste aspre critiche non furono senza conseguenze nei rapporti che il giovane ebbe con i suoi docenti e quando, insofferente ad ogni restrizione, lasciò la città per dedicare le sue cure agli infermi delle campagne circostanti, molti illustri dottori si augurarono di non vederlo ritornare.


Quattro anni durò il suo vagabondare e l'oscuro studente, con metodi di cura disprezzati dai suoi maestri, seppe compiere delle guarigioni ritenute miracolose ad Aix, Lione, Salon, Narbonne, Tolosa, Bordeaux tanto che la sua fama finì con il precederlo ovunque andasse e ad Avignone, con grave disappunto dei medici della città papale, venne chiamato al capezzale del cardinale di Claremont, legato pontificio, come pure dal Gran Maestro dei Cavalieri di Malta.


La peste finalmente domata, Nostradamus fece ritorno a Montpelier e, alla 'presenza di un folto pubblico che memore dei benefici ricevuti non ristava di dimostrargli calorosamente la sua simpatia, svolse la sua tesi. Malgrado l'ostilità chiaramente espressa dagli esaminatori. il suo fu un vero trionfo che si concluse con una generale baldoria. Il prodigioso guaritore a 'ventisei anni poté fregiarsi dell'aureo anello, insegna del suo grado e con il berretto nero a quattro punte e nappa rossa, rivestire il robone ornato di ermellino schierandosi tra i seguaci di Galeno.


Non avendo alcun motivo di trattenersi in una città dove tutti ì colleghi gli erano ostili, Nostradamus riprese a vagabondare; almeno così affermano i suoi biografi, mentre la tradizione iniziatica attribuisce ai suoi sconcertanti spostamenti una precisa meta.


Come gli interminabili viaggi del suo collega contemporaneo Paracelso, così quelli compiuti dal giovane medico avevano l'identico scopo, al quale abbiamo in precedenza accennato; d'incontrarsi con altri "Venerabili Fratelli", appartenenti allo stesso misterioso Ordine di cui era membro.


Nostradamus ricercava gli Adepti, gli Iniziati sparsi nelle varie parti del mondo, come lui versati nell'Alta Scienza, per interrogarli ed ottenere dalle loro particolari conoscenze quelle spiegazioni che gli necessitavano per interpretare le parti più oscure dei testi in suo possesso.


Trascorsero così due anni, dopo di che, proveniente da Tolosa, ritroviamo il giovane medico ad Agen ospite del maggior critico letterario del tempo, l’umanista Giulio Cesare Scaligero. Presso di lui rimarrà a lungo, tanto che avendo deciso di stabilirsi nella vecchia città preferita da Carlo Magno, prese in moglie "L'onorabilissima damigella" Adriele de Loubejac.


Per poco tempo il cielo si mantenne per lui sereno, la fraterna amicizia con lo Scaligero, come sovente avviene tra i dotti, per motivi che ci sono ignoti, si mutò in astioso rancore. Inoltre, per tragica ironia del destino, il medico illustre che tante vittime aveva strappato agli artigli della morte, non poté evitare che le persone a lui più care, la moglie e i figli, ne fossero subitanea preda.


Così, senza famiglia, senza amici, nuovamente solo, l'erede della saggezza antica riprese il suo irrequieto vagabondare.


Ben poco ci è dato d'apprendere dai suoi biografi di ciò che egli fece nei successivi anni. E' certo tuttavia che Nostradamus visitò l'Italia e fu appunto nella terra dei suo avi, Pietro di Nostra Donna che, dopo aver sostato a Milano ed a Genova proseguendo da Padova a Venezia, l'illustre medico rivelò per la prima volta al mondo le sue straordinarie doti di veggente e di profeta.


Il fatto avvenne nei pressi di un piccolo villaggio sulla via che conduce alla città dei Dogi, dove un cavaliere vestito a lutto arrestò la sua cavalcatura sul ciglio della strada onde permettere ad una schiera di frati, che avanzava processionalmente. d'inoltrarsi nell’abitato.


Immobile come una statua, profondamente assorto nei suoi pensieri. il sopraggiunto sembrava non vedere neppure ciò che stava accadendo quando, riscuotendosi dal suo apparente torpore, balzò improvvisamente di sella ed incurante del polverone che ricopriva la carreggiata s'inginocchiò reverente ai piedi di un fraticello che arrestandosi, tutto confuso, provocò lo scompiglio nell'ordinata processione.


Dopo aver ottenuta la benedizione che con tanta umiltà aveva implorata, Nostradamus rispondendo alle domande che gli altri frati ed i superiori sbalorditi da un simile inadeguato omaggio insistente mente gli rivolgevano. A sua volta chiese: "Non avrei forse dovuto inginocchiarmi innanzi a chi siederà sul trono di Pietro?".


Pure se in perfetta umiltà, come si addice ad un seguace di San Francesco, il frate Felice Peretti doveva conservare nel suo cuore la strabiliante predizione che l'ignoto viandante gli aveva fatta.


Divenuto cardinale di Montalto e le probabilità che il vaticinio si avverasse non essendo più così remote, anche gli altri confratelli che avevano assistito allo straordinario incontro certamente si ricordarono della predizione e ancor più l'incredibile avvenimento non fu dimenticato quando nel 1585 Felice Peretti, assunto il nome di Sisto V, divenne Papa.


La tradizione iniziatica prosegue affermando che il vagabondare del grande Veggente ebbe fine soltanto quando, in possesso di tutte le chiavi, i gelosi segreti occultati nella complessa simbologia degli scritti ermetici ereditati dai suoi avi, non furono più tali per lui.


Non solo Nostradamus pervenne ad interpretare il significato sacro dei geroglifici e dei caratteri che componevano le "Parole di Potenza", ma seppe pronunciarle con "la voce giusta", come prescrive il magico rituale egizio, conosciuto attualmente con il titolo de:"Il libro dei morti degli antichi egiziani".


Pur volendo considerare ciò che precede come semplice supposizione, se consideriamo che fin dai tempi in cui visse Pitagora ci è giunta testimonianza che gli appartenenti agli Ordini o Comunità più segrete, mediante speciali "segni di riconoscimento" o "parole di passo" erano e sono in grado di farsi riconoscere dai loro confratelli residenti in altri paesi ricevendo da essi onorata accoglienza, oltre che aiuto in caso di bisogno, la cosa non apparirà più tanto inverosimile.


Se così non fosse, la sola fama per quanto notoria, non avrebbe consentito a Raimondo Lullo, Arnaldo di Villanova, John Dee, Cornelio Agrippa ed il suo grande, condiscepolo Paracelso tanto per citare alcuni nomi fra i più noti, di girare il mondo e, penetrando agevolmente negli ambienti più riservati, ricevere in varie circostanze riconoscimenti

ed onori superiori alle loro apparenti condizioni.


Un esempio probante ci è dato quando alcuni anni dopo gli avvenimenti ai quali abbiamo accennato, precisamente nel 1541, morì l'illustre collega di Nostradamus: Paracelso, discepolo del non meno famoso Tritemio, l'abate benedettino alchimista e cultore di tutte le scienze magiche e cabalistiche. Il tanto discusso innovatore della medicina, oltre la professione e la notorietà raggiunta con le sue miracolose guarigioni, ebbe diversi altri punti in comune con Nostradamus.


Sappiamo che frequente la stessa università e pienamente condivise con il Veggente la passione per tutte le scienze ermetiche. Inoltre, fra i molti libri che Paracelso compose vi furono i "Pronostici per l’Europa dal 1530 al 1534" e i "Pronostici per i prossimi 24 anni", purtroppo di non facile interpretazione.


Quando a concludere molti avvenimenti inspiegabili, sopravvenne la misteriosa morte del medico-mago e pose fine al suo eterno vagabondare, il principe-vescovo Ernesto, duca di Baviera che nell'accogliere in precedenza Paracelso, ormai ridotto dall'ostilità implacabile dei suoi denigratori in pietose condizioni, oltre concedergli pubblicamente la sua protezione, gli tributò onori talmente eccezionali da superare quelli conferitigli in altra occasione dallo stesso re Ferdinando a Vienna, volle che i suoi funerali si eseguissero in forma solenne "come si conveniva ad un Fratello Venerabile in possesso delle chiavi dell'Alta Scienza", così precisa la tradizione iniziatica, pur rispettando il desiderio dell'estinto di essere sepolto nel cimitero dei poveri.


Nostradamus raggiunto lo scopo che si era prefisso, dopo un periodo di meditazione e raccoglimento trascorso nell'abbazia di Orval dove si sottopose volontariamente alla severa regola monastica che prescriveva, fra l'altro, di cantare il mattutino alle due di notte, si stabilì nel 1547 definitivamente a Salon.


Placata l'apparente irrequietezza l'illustre medico volle ricomporsi una famiglia e rinnovò quindi il vincolo matrimoniale con una certa Anna Ponsard, dalla quale ebbe sei figli.


Nella quiete raccolta della sua casa, sempre affollata da visitatori illustri tra i quali non mancavano Cardinali e Principi che lo colmavano di doni, il grande Veggente trascorse gli ultimi anni della sua vita in un vasto locale che aveva ottenuto abbattendo le pareti divisorie dell'ultimo piano dell'abitazione.


Nel salone risultante, adibito a studio e laboratorio, Nostradamus aveva raccolto oltre i preziosi libri e manoscritti, i più disparati cimeli provenienti da ogni parte del mondo.


Allo sguardo stupito ed ammirato del visitatore le pergamene ed i papiri arrotolati si alternavano a mannelli di erbe disseccate e piante medicinali gettate alla rinfusa; storte ed alambicchi apparivano fra astrolabi e specchi magici di squisita fattura mentre in alcune bacheche si potevano ammirare medaglie e talismani, sigilli e scarabei sacri. oltre ad una ricca collezione di "Ushebti", le figurine magiche degli Adepti egiziani.


Statue e frammenti di divinità da lungo tempo dimenticate e calchi in gesso d'immortali capolavori facevano risaltare con il loro immacolato candore le tinte policrome dei sarcofaghi addossati alle pareti, sulle quali le carte stellari si alternavano alle riproduzioni di astrusi pentacoli.


In questo accogliente locale, come Nostradamus stesso precisa, il celebre dottore poté dedicarsi ai suoi prediletti "studi segreti". Ciò avveniva dopo essersi rilassato ed aver assunto, su uno scanno di bronzo o di rame, la posa ieratico-sacrale nella quale sono raffigurati in trono i Faraoni dell'antico Egitto.


Impugnata la bacchetta magica, il seguace del grande Ermete localizzava la propria mente fissando la debole luce che l'esigua fiammella proveniente da una sola lampada proiettava su un bacile, di rame colmo di acqua lustrale. Il riverbero sulla superficie lo faceva cadere in uno stato simile a quello di auto ipnosi in cui non solo scorgeva le sconcertanti visioni che lo proiettavano in un lontano futuro, ma gli eventi ai quali assisteva si svolgevano con un tale realismo da fargli percepire persino i più lievi rumori e le voci. Inoltre, i personaggi, dei quali seguiva le vicissitudini, gli erano ancor più noti di quanto non siano per noi quelli viventi poiché non solo poteva conoscere i nomi di tutti coloro che lo interessavano, ma valutarne anche il carattere con assoluta precisione.


Come se ciò non bastasse, una voce che il Veggente riteneva divina e da lui chiaramente percepita, come se provenisse dalle pieghe profonde delle maniche del suo robone, gli illustrava i fatti ai quali assisteva lasciandolo compenetrato da un reverenziale timore.


Volendo descrivere gli eventi dei quali fu testimone, Nostradamus cercò di contenere il suo esposto in forma metrica "modellando l’orlo e il piede di ciò che non è da credersi invano", ovvero dei versi che compongono le sue profetiche quartine che, non appena ultimate, trascriveva ognuna su una striscia di carta.


Mentre era assorto in questo lavoro profetico, l'esigua fiamma della lampada sembrava dissolversi in una luce abbagliante che compenetrava ogni cosa a lui d'intorno. trasfigurandola con il suo divino splendore.


Nostradamus rivela egli stesso il procedimento adottato per realizzare le sue singolari esperienze, riassumendolo nelle tre quartine con le quali inizia le sue Centurie:


Essendo assorto di notte segreto studio
Solo riposato sopra lo scanno di rame
Fiamma esigua uscente dalla solitudine
Fa proferire che non è da credersi invano


La verga in mano, presa per il mezzo
Dell'onda egli modella l'orlo e il piede
Un timore e voce fremono per le maniche,
Splendore divino, il divino d'appresso si stabilisce


Chi legge questi versi, li ponderi con matura riflessione
Il volgo profano e ignorante se ne tenga discosto
Tutti gli astrologi, gli stolti, i barbari non si accostino
E sia maledetto dal cielo chi fa altrimenti che così.


Spentosi il Grande Veggente, venne sepolto nella chiesa dei Francescani della sua città ed attenendosi alla sua volontà, per evitare che le sue ossa fossero calpestate, il feretro venne collocato in posizione eretta tra una nicchia in precedenza ricavata tra la porta principale del tempio e la cappella dedicata a santa Marta.


Per esplicito desiderio di Nostradamus sulla lapide avrebbe dovuto apparire solo una breve scritta : "QUIETEM POSTERI NE INVIDETE" e ciò malgrado l'illustre medico ben sapesse che la sua preghiera non sarebbe stata esaudita.


La conferma di quanto asseriamo è implicita nell'ultima profezia postuma del Veggente.


Infatti, premesso che la leggenda, iniziataci mentre era ancora in vita per i molti fatti miracolosi attribuita all'Autore delle Centurie, non mancò di tessere strane dicerie sulla tomba che avrebbe rinserrato, un essere vivente ancora assorto a squarciare i veli del futuro anziché una fredda ed immota spoglia, le cronache dell'epoca attestano che: "Prima di morire Nostradamus fece giurare ai suoi concittadini che la sua tomba non sarebbe mai stata aperta", mentre invece lo fu sessanta anni dopo e sul Suo petto venne trovata una lastra di rame portante un'iscrizione nella quale si malediceva la perfidia delle genti di Salon che, in dispregio alla promessa. Avevano turbato il suo riposo, in tale giorno, in tale anno, in tale ora...


Scritto che si concludeva con l'oscura minaccia:


"Guai a chi turberà per la seconda volta la mia pace!"


Effettivamente quando nel 1791 imperversavano i disordini causati dalla rivoluzione, la soldataglia in cerca di preda, non esitò a profanare perfino le tombe, non risparmiando neppure quella dell' illustre medico e, delusa nella sua aspettativa, ne disperse le ossa.


Non solo le brame dei furfanti rimasero inappagate, ma una tremenda Nemesi li colse il giorno successivo in cui tutti i partecipanti all'atto sacrilego caddero trucidati in una imboscata.


I resti di Nostradamus, pietosamente raccolti dal sindaco, vennero inumati nella chiesa di San Lorenzo, dove attualmente si trovano e sulla lapide che li ricopre si legge il seguente epitaffio che l'affettuoso ricordo della moglie aveva fatto anteporre alla breve frase in precedenza citata:

D.O.M.
Qui riposano le ossa dell'illustre Michele Nostradamus
Il solo a giudizio di tutti i mortali
Degno di scrivere con una penna quasi divina
Conformemente agli influssi astrali
I futuri avvenimenti del mondo intero.
Visse 62 anni, 6 mesi e 17 giorni.
Morì a Salon nell'anno 1566, il 2 luglio
Che i posteri non disturbino il suo riposo
Anna Ponsard, sua moglie, augura allo sposo la vera felicità.

SBF

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