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mercoledì 30 marzo 2011
Ancora sulla grandissima Plath
Vita di Sylvia Plath
Una psichiatria nosografizzante e catalogante troverebbe senza difficolta’ diverse definizioni per inquadrare la dinamica personologica di Sylvia, inserendola ora nei disturbi dell’umore e ora in quelli della personalita’, a seconda che prevalga una lettura piu’ centrata sulla polarita’ affettiva (umore basso, umore alto) o piu’ centrata sullo stile del carattere(che diventa cosi’ borderline, istrionico, e via dicendo).Una psicologia che prenda come cardine la relazione, rintraccerebbe con relativa facilita’ le tracce di un dolore antico nella precoce perdita dell’adorato padre Otto, quando Sylvia ha nove anni, ne’ si puo’ ignorare la difficile e timorosa relazione con la madre, la severa Aurelia, a cui Syliva non vuole dispiacere in nulla, cosi’ che nel tragico matrimonio con Hughes non potevano che ripetersi, secondo il misero schema della coazione a ripetere, il bisogno e la ferita antica, ambedue mai sopiti e mai risolti. Come spesso accade per la vita dei poeti e dei creativi, tutti I tentativi di lettura psicologizzanti — o, ancor peggio, psichiatrizzanti — non dicono nulla dell’animo del poeta, e anzi ancor piu’ ne immiseriscono il talento collocandolo nelle maglie sempre strette e mai esaustive degli inquadramenti forniti dalle scienze alle sofferenze e alle contraddizioni dell’uomo.
Chi è stata Sylvia Plath ?
Una donna americana molto legata alla madre, ossessionata dalla morte del padre scomparso quando lei aveva otto anni, che tenta per la prima volta il suicidio a 21 anni, sposa un promettente e bellissimo poeta inglese, ha due bambini, il marito la lascia, e muore suicida a 30 anni.
Scrive poesie da sempre.
Genitori di Sylvia
Sylvia Plath nasce il 27 ottobre del 1932 a Jamaica Plain, un sobborgo di Boston. Suo padre Otto Emil Plath, figlio di genitori tedeschi, si trasferisce in America a 16 anni dietro invito dei nonni, emigrati negli Stati Uniti, i quali offrirono di pagargli gli studi a patto che il ragazzo entrasse negli ordini come pastore luterano. Otto, compiuti gli studi, dopo una breve esperienza in seminario, rinunciò a prendere gli ordini e ruppe i rapporti con tutta la famiglia; in seguito diventerà uno stimato entomologo, oltreché un eccellente linguista. La mamma di Sylvia, Aurelia Schober apparteneva ad una famiglia austriaca emigrata nel Massachusetts, abituata in casa a parlare solo tedesco, da bambina incontrò grandi difficoltà di inserimento, e, crescendo, trovò sfogo e consolazione nei suoi interessi letterari. Nel 1929, durante in corso di tedesco alla Boston University, conosce Otto Plath, di ventun anni più anziano, con il quale si sposerà nel gennaio del 1932. Aurelia, così, smise di insegnare tedesco nelle scuole superiori, per seguire il marito nelle sue ricerche che culminarono in una tesi sulle api. Questa passione paterna diventerà un elemento ricorrente in molte poesia di Sylvia. Alla sua nascita, il padre disse ai colleghi che dopo due anni e mezzo avrebbe voluto un maschio e, quando nacque Warren Joseph, il 27 aprile 1935, Otto Plath si conquistò la fama di uomo che ottiene ciò che vuole. A quell’epoca pur accusando gravi disturbi di salute, Otto Plath si rifiuta di consultare il medico, continua ad insegnare ma si ritira in casa, in un silenzio oppressivo e doloroso. Più tardi i suoi gemiti ed i suoi furori saranno un tratto dominante delle poesie di Sylvia e della sua condizione. Solo nel 1940 il padre decide finalmente di sottoporsi alle cure mediche, in seguito alle quali, a causa di un diabete mellito in stadio avanzato, gli viene amputata una gamba, ma l’intervento tardivo si rivela inutile ed Otto muore il 5 novembre di embolia polmonare. Sylvia dirà che questa data segna la fine della sua infanzia e di ogni felicità.
Adolescenza
Sylvia nel grembo della madre, una donna forte, colta, aperta, deve depositare successi scolastici, successi letterari, una vita perfetta da figlia americana perfetta. La madre amatissima e dalla quale ovviamente si sentiva oppressa. Ma lei è straniera, come del resto i genitori di origine tedesca. Sylvia è l’espatriata, la donna che con dolore ha strappato le sue radici. Sylvia impara da subito, ancora bambina, a comporre versi. Il marito in seguito racconterà che scriveva molto lentamente, attenta ad ogni parola, consultava febbrilmente dizionari, ossessionata dagli schemi metrici elaborati e complessi. La sua aspirazione è la perfezione. Le sue poesie sono limate e curate fino all’inverosimile. Ha una fantasia ricca e surreale: “Vuole sprofondare fin là dove tra le parole si rivelano legami magici, veri e propri vincoli” (Nadia Fusini).
A 12 anni entra nella Philips Junior High School, incomincia a pubblicare le sue poesie nella rivista scolastica ed a compilare il diario.
1950-Diciottenne, dopo 49 rifiuti pubblica finalmente un racconto: E l’estate non tornerà di nuovo (And summer shall not come again) e nel settembre dello stesso anno ha inizio il carteggio con la madre Aurelia.
New York
Tre anni dopo, grazie ad un racconto, Domenica dai Minton (Sunday at the Mintons), vince una borsa di studio ed un soggiorno di un mese a New York come redattore inviato (guest editor) della rivista femminile “Mademoiselle” che aveva ospitato il racconto.
Su questa esperienza si aprirà il suo unico romanzo bellissimo romanzo, La campana di vetro(The Bell Jar)., un’esperienza autobiografica, dove narra con alto stile e semplicità gli assurdi cliché dell’America anni cinquanta, gli anni di una caccia alle streghe culminata con la condanna a morte dei Rosenberg, esprime il suo rifiuto estremo e sofferto ad ogni codice di comportamento, alle istituzioni di una middle-class di cui lei stessa faceva parte, l’ossessione della morte, che traspare sin dalla visita alla tomba del padre, intesa come fatale potenza della volontà, come espressione massima e liberatoria del sé. La sua vita e la sua poesia seguivano percorsi paralleli e così, arrivarono insieme al loro compimento. L’impatto con la mondanità newyorkese ebbe effetti devastanti nelle sensibilità di Sylvia, in quelle frequentazioni avvertiva il peso dell’ipocrisia di una middle-class americana negli anni maccartisti, la stessa che è proiettata nella figura di Buddy Willard.
1953- Estate. Aveva 21 anni. Sylvia è a Boston, a casa di sua madre. Ha avuto una piccola delusione, non è stata ammessa ad un importante corso di scrittura. Passa le giornate dormendo, poi subentra l’insonnia. Non si lava, a volte sembra catatonica. Un giorno la madre nota dei segni rossi sulle sue gambe. Alla madre terrorizzata Sylvia disse: “Oh, mamma, il mondo fa schifo! Voglio morire! Moriamo insieme!”.
Una mattina si sdraia a prendere il sole in giardino e a leggere, come amava fare, ma non riesce a concentrarsi su quello che legge, l’Ulisse di Joyce. Non riesce a seguire le frasi. Che succede? Vuole morire. La madre la porta da uno psichiatra, le viene prescritto un ciclo di elettroshock. L’elettroshock glielo fanno in ambulatorio e senza anestesia. Lo descrive nel romanzo La campana di vetro, con immagini che torneranno nei suoi versi: “Poi qualcosa calò dall’alto, mi afferrò e mi scosse con violenza disumana. Uiii-ii-ii-ii, strideva quella cosa in un’aria crepitante di lampi azzurri, e a ogni lampo una scossa tremenda mi squassava, finché fui certa che le mie ossa si sarebbero spezzate e la linfa sarebbe schizzata fuori come da una pianta spaccata in due. Che cosa terribile avevo mai fatto, mi chiesi”.
Ma il dolore non passa, semmai aumenta; le sembra di essere diventata “quella cosa completamente bruciata”. Un giorno resta sola in casa. Prende una coperta, un bicchiere d’acqua, un flacone con cinquanta pillole, e lascia un biglietto: “Vado a fare una lunga passeggiata. Tornerò domani”. Scende in cantina, con una catasta di legna forma una minuscola cella e vi si richiude dentro, al buio, al fresco, all’umido. Rimane tre giorni sottoterra, nella caverna-cantina. Questa è stata la sua morte simbolica. Una morte cercata e mancata che l’ha comunque battezzata. Lei è un’iniziata.
La ritrovano dopo tre giorni di ricerca disperata. Il fratello sente dei lamenti provenire dalla cantina e si precipita. Ha inghiottito troppe pillole, ha vomitato, non morirà.
La cura una psichiatra donna, molto sensibile, comprende che Sylvia ha un quoziente di intelligenza altissimo, ma allo stesso tempo è fragile. Non parla, è catatonica, non riconosce più le parole. Poi si altera, si sovreccita. La terapia non funziona, paradossalmente ne verrà fuori con un nuovo ciclo di elettroshock. La psichiatra dirà: “Era come se volesse essere punita”.
Gran Bretagna
1954- Torna allo Smith per laurearsi sulla duplice identità nei personaggi di Dostoevskij.
Vince poco dopo una borsa di studio per Cambridge. Si trasferisce in Inghilterra. Conosce il poeta britannico Ted Hughes con cui decide di sposarsi segretamente a Londra. Il sogno di un sodalizio letterario, l’estasi dell’incontro trascina progetti di felicità e produttività, seppur il loro “far poesia” partisse da assiomi opposti, Ted curerà in seguito le pubblicazioni di sua moglie. Di fronte alla dirompente ispirazione poetica, Sylvia, tuttavia, vive drammaticamente le privazioni di una vita domestica.
La madre approva, il matrimonio, ma dentro di lei resta un buco nero che non riesce a colmare.
Stati Uniti:
La docenza, l`assistenza in psichiatria, Ann Sexton
1957-Le viene offerto, a 25 anni, un incarico di insegnamento allo Smith, e così nel giugno dello stesso anno torna negli Stati Uniti con Ted.
L’esperimento dell’insegnamento mette in luce da un lato le straordinarie capacità didattiche e di analisi letteraria di Sylvia, ma l’impegno le toglie il tempo e l’energia per produrre. In conseguenza di ciò, rifiuterà l’incarico per l’anno successivo. Sarà questa una scelta molto difficile dal momento che né Ted né Sylvia disponevano di un lavoro sicuro, ciò susciterà la forte perplessità da parte dei conoscenti che non riusciranno a comprendere il senso della decisione. Ma con il totale sostegno di Ted, da questo momento in avanti Sylvia porrà la poesia al di sopra di tutte le scelte.
1958- Lavora come aiuto psichiatra in un ospedale del Massachusetts, tenendo contemporaneamente in diario di numerosi casi clinici, nello stesso periodo segue le lezioni di poesia alla Boston University, dove conosce Ann Sexton.
Tra Sylvia ed Ann si sviluppa da subito una forte amicizia sorretta da sconcertanti analogie. Ann riferisce dei loro incontri nel suo lussuoso appartamento al Ritz, dove le due poetesse amavano trascorrere il tempo a raccontarsi le reciproche fantasie suicide.
Ritorno in Gran Bretagna:La separazione dal marito.
1960- Con Poem for a Birthday, sette poesie scritte all’avvicinarsi dei suoi 27 anni, incinta di quattro mesi, fa i conti con i tre giorni che è rimasta chiusa nella caverna-cantina a casa della madre a Boston e con l’esperienza del manicomio. Perché voleva morire? Cosa le era preso? Forse qualcuno la chiamava…Chi la chiamava? Il padre morto? La morte? Ha vissuto una morte rituale, alla quale è seguita una rinascita biologica (ora aspetta il suo primo bambino) e artistica (ha ritrovato la capacità di scrivere).
Voleva morire, ma è stata salvata ed è risorta.
“Presto, presto la carne/che il severo sepolcro ha divorato/tornerà al suo posto su di me,/e sarò una donna sorridente./Ho 30 trent’anni soltanto./E come i gatti ho nove volte per morire.
Il marito dirà: “Sembrava un’invalida, tanto era priva di protezioni interiori”.
Ted e Sylvia tornano in Inghilterra dove nasce la prima figlia: Frieda Rebecca. Ma Sylvia è ancora in piena crisi. Le sue poesie non sono vere, sono nate morte, non “respirano”. Comincia una lotta terribile contro il suo demone. La morte appare quasi ad ogni strofa, è una presenza sinistra. Adesso deve vivere accanto ad un io assassino che lei conosce bene e cerca di tenere a bada: “Ho un buon io che ama i cieli, le colline, le idee, i piatti saporiti, i colori brillanti. Il mio demone vorrebbe ucciderlo”.
Lei stessa è sgomenta dalle immagini forti delle sue nuove poesie, dopo che il demone è lasciato quasi libero. Ma è anche difficile, con un tale compagno che le alita sul collo “creare una voce tutta mia, una visione tutta mia”. Nell’ottobre uscirà Il colosso (The Colossus).
1962- Dopo un aborto avvenuto l’anno prima, nasce il secondogenito: Nicholas Farrar, nella casa di campagna del Devon. La tensione familiare, tra Ted e Sylvia, ormai irrefrenabile, culminerà nell’adulterio di Ted con Assia Gutman e la loro definita separazione. Rimane sola con due bimbi piccoli nella casa di campagna del Devon, dove si era trasferita con Ted, prima della nascita del secondo bambino, e dove era perfino diventata apicultrice; ma il triste inverno inglese la angosciava da tempo: “Come sogno la primavera! Mi manca la neve americana, che se non altro fa dell’inverno una stagione pulita, eccitante, invece di questi sei mesi di seppellimento tra il tempo umido, la pioggia, e il buio; come i sei mesi che Persefone doveva passare con Plutone”, scrive nel suo diario.
Scrive febbrilmente, all’alba, lo racconta lei stessa, “in quell’ora azzurra, silenziosa, quasi eterna che precede il canto del gallo, il grido del bambino, la musica tintinnante del lattaio che posa le bottiglie”.
La sua vita è nel caos, eppure ora scrive una poesia al giorno e sono tutte “poesie da libro. Roba incredibile, come se la vita da casalinga mi avesse soffocata”. Scrive ad un’amica: “Quando facevo vita domestica felice mi sentivo come un tappo in gola. Ora che la mia vita domestica è nel caos, faccio vita spartana, scrivo con addosso la febbre alta e tiro fuori cose che avevo chiuse dentro da anni, mi sento sbalordita e molto fortunata”.
Ma non è facile: “Sto bene nella mente e nello spirito ma sono logorata e malata nella carne”. Dopo la separazione dal marito precipita in una disperata solitudine che rafforza i suoi toni mistici. Quando la rivede, qualche tempo dopo la separazione, Ted riconosce in lei qualcosa della chiaroveggente, sensazione rafforzata dalla lettura delle sue ultime poesie: “Sylvia è il poeta sciamano. In poesia penetra fino a profondità riservate in passato ai sacerdoti dell’estasi, agli sciamani, ai santoni”.
Si fanno più forti in lei il gusto del macabro e della violenza. Anche il tema del doppio, dello specchio, del sosia, le rimane sempre molto caro anche il mare – ama l’Oceano – la valenza simbolica dell’acqua, ricorrono spesso nei suoi versi.
Vorrebbe celebrare ancora il mito della propria rinascita, ma ormai costruisce solo la sua effigie funebre.
Vorrebbe staccarsi dal Ted, ma non riesce a superare lo strazio dell’abbandono.
La madre è preoccupata, grazie ad un’amica trova un’infermiera pediatrica che aiuterà Sylvia ad occuparsi dei bambini. La giovane madre-poetessa ritrova coraggio e scrive con rabbia alla madre: “Non venirmi a dire che il mondo ha bisogno di storie allegre! Quello che vuole una persona uscita viva da Belsen – fisico o psicologico – è non sentirsi dire che gli uccellini fanno sempre cip-cip e sapere invece che qualcun altro è stato laggiù e ha conosciuto il peggio, esattamente per quello che è. Mi è di molto aiuto, ad esempio, sapere che c’è gente che divorzia e fa una vita d’inferno che non sentire di matrimoni felici”.Le difese di Sylvia si spezzano e decide di trasferirsi di nuovo a Londra. Questi mesi sono segnati da un’intensa ripresa letteraria, in cui vengono scritte la maggior parte delle poesie di Ariel e di Winter Trees.
Rapporto con i figli
Sylvia Plath ha scritto saggi, racconti, articoli, un unico romanzo pubblicato quando era ancora in vita e, naturalmente, poesie. Ma ha scritto anche tre leggere, allegre e simpatiche storie per bambini.
“Mia madre, Silvia Plath, voleva scrivere. Non c’è dubbio che per lei questa fosse la cosa più importante”, scrive la figlia Frieda Hughes nell’introduzione a “3 storie per bambini”, raccolte di recente da Mondadori in un volume riccamente illustrato. Con commovente stupore la figlia racconta come la madre, nella sua brevissima vita, abbia fatto in tempo a scrivere anche un denso diario e tre storie per bambini: A letto, bambini!, Max e il vestito color zafferano; Folletti in cucina.
In queste storie non c’è traccia dell’angoscia, del senso di morte, delle ossessioni “notturne” che hanno fatto di Sylvia Plath una grandissima artista: qui la vita quotidiana è serena e perfettamente vivibile. Ancora Frieda: “Mentre le poesie testimoniano il suo grande talento e le sue doti intellettuali, mentre il diario descrive la sua battaglia personale quotidiana, le sue speranze e le sue paure, queste tre storie mostrano un lato della sua personalità che desiderava un mondo semplice e felice, dove i problemi possono risolversi facilmente e dove ogni vicenda si risolve con il lieto fine”.
Bianca Pitzorno ha curato l’edizione italiana delle storie per bambini di Sylvia Plath. Scrive: “Non ero preparata ai versi ironici e leggeri di A letto bambini!, e alla prosa semplice, dolcemente ironica, da racconto della buonanotte, delle due storie successive. Sapevo che dal matrimonio di Sylvia Plath e Ted Hughes erano nati due bambini che non avevano fatto quasi in tempo a conoscere la madre, morta suicida quando Nicholas non aveva ancora un anno e Frieda ne aveva solo tre. Eppure per loro, per quando sarebbero stati in grado di leggere o almeno di ascoltare, questa madre disperata, questa artista così sensibile da non tollerare lo strazio della vita quotidiana, aveva fatto in tempo a scrivere una filastrocca esilarante, piena di sorprese e giochi di parole, e due storie semplici e affettuose, piene di serenità familiare”.
“Forse – si chiede Bianca Pitzorno, la più grande scrittrice italiana di libri per ragazzi – era questa l’infanzia che disperatamente immaginava per i suoi figli”.
Londra
1963- Decide di tornare a vivere a Londra, il peso dell’ isolamento nel Devon si è fatto angosciante. Esce sotto lo pseudonimo di Victoria Lucas The Bell Jar.
E Sylvia sembra aver riacquistato forza e fiducia: “Vivere separata da Ted è meraviglioso, non sono più nella sua ombra ed è fantastico essere apprezzata per me stessa e sapere quello che voglio. Magari chiederò anche in prestito un tavolo per il mio appartamento all’amica di Ted…I miei bambini e scrivere sono la mia vita, e che loro si godano pure le loro storie d’amore e i loro party, pfui!”.
A Londra, nel mese di gennaio del 1963, Sylvia, come gli altri londinesi, sta vivendo il gennaio più freddo degli ultimi 150 anni. Scaldarsi, lavarsi e cucinare è un’impresa. Le sta vicino il dottor Horder, preoccupato per la perdita di peso di Sylvia. Può contare su qualche amico, ed anche il marito va a trovarla spesso nel nuovo appartamento. Prende degli antidepressivi. Scrive alla madre, in una delle ultime lettere: “Adesso vedo com’è tutto definitivo, ed essere catapultata dalla felicità mucchesca della maternità nella solitudine e nei problemi non è certo allegro”.
Fa progetti per il futuro: “Adesso i bambini hanno più che mai bisogno di me e per i prossimi due o tre anni andrò avanti a scrivere la mattina, a passare con loro il pomeriggio e vedere amici o studiare e leggere di sera”.
Ma il dottor Horder, che la segue assiduamente, è molto preoccupato per le sue evidenti condizioni di esaurimento psico-fisico e sta cercando di organizzare un ricovero in ospedale. Sylvia al mattino si alza all 4,30 per comporre le sue poesie, dopo aver portato la colazione(pane e latte) nella stanza dei figli, spalanca la finestra della loro camera e sigilla le fessure della porta con nastro adesivo ed un asciugamano.
Va in cucina, anche qui sigilla tutte le fessure, poi infila la testa dentro il forno e accende il gas. Ha lasciato solo un breve messaggio, scritto su un foglietto appuntato sulla carrozzina del figlio: “Per favore, chiamate il signor Horder”.Horder è stata l’ultima persona a vederla viva, insieme ad un vicino di casa.
Cronologia opere
La Biografia di Sylvia Plath è stata tratta da Iceblues; sito: www.fuorispazio.net e da una scheda a cura di Luisa Nieddu, per il sito www.girodivite.it/antenati.
Poetica
Hughes si occupò dei beni personali e letterari di Sylvia Plath. Distrusse l’ultimo volume del diario di Sylvia, che descriveva il periodo che avevano trascorso insieme. Nel 1982, Sylvia Plath divenne la prima poetessa che vinse il Premio Pulitzer dopo la propria morte (per The Collected Poems).
Molti critici, spesso femministi, accusarono Hughes di aver tentato di controllare le pubblicazioni per scopi personali. Hughes negò ciò, anche se si accordò con la madre di Sylvia, Aurelia, quando questa cercò di bloccare la pubblicazione delle opere più controverse di sua figlia negli Stati Uniti. Nella sua ultima raccolta, Birthday Letters, Hughes ruppe il suo silenzio su Sylvia. La copertina fu disegnata da Frieda. Mentre i critici all’inizio risposero in modo favorevole al primo libro della poetessa, The Colossus, questo è stato descritto anche come convenzionale e mancante del pathos delle composizioni successive. Il peso dell’influenza di Hughes è stato oggetto di un grande dibattito. I versi di Sylvia Plath possiedono una voce propria e le somiglianze fra i due poeti sono superficiali.
I componimenti di Ariel segnano una svolta da quelli precedenti verso un’area della poesia più confidenziale. È probabile che gli insegnamenti di Lowell giocarono un qualche ruolo in questo cambiamento. L’impatto di Ariel fu sorprendente, a cause delle sue schiette descrizioni di malattia in poesie autobiografiche come Daddy. L’opera di Sylvia Plath è stata associata ad Anne Sexton. Nonostante critiche e biografie pubblicate dopo la sua morte il dibattito sul corpus dei componimenti di Sylvia sembra una lotta tra i lettori schierati con lei e quelli schierati con Hughes. L’ostilità dei sostenitori dell’autrice nei confronti del compagno ha raggiunto il suo culmine quando le lettere del nome “Hughes” sono state cancellate dalla lapide di Sylvia.
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