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giovedì 19 maggio 2011
Il pane nel medioevo
Gli uomini del Medioevo ebbero la capacità, soprattutto nei momenti di difficoltà alimentare, di trasformare in pane non solo grani di differenti tipologie ma, come vedremo, anche di ottenere farine da alcuni legumi e frutti.Il procedimento di panificazione iniziava con l’”abburattamento” , con cui si separava la crusca dalla farina per il quale veniva usato uno strumento apposito detto “buratto”, si procedeva poi a mescolare la farina con dell’acqua tiepida finchè si otteneva una pallottola di pasta che veniva fatta lievitare in un recipiente chiuso per tutta la notte: questa era chiamata “crescente” e serviva a lievitare la successiva massa. Una piccola quantità di questo impasto veniva tenuta da parte e serviva per la lievitazione successiva.Inizialmente il pane era venduto a misura e aveva la forma di una grande semisfera. Vi era la forma del valore di un denaro; una forma più grande o doppia ed un’altra più piccola chiamata obolo. Successivamente il prezzo iniziò a essere dettato dal tipo di farina usata: indubbiamente il pane più costoso era il pane di frumento come il provenzale “pain de bouche”, chiaro e morbido, poi vi era il pane “medianus” ottenuto impastando frumento e cereali inferiori e infine il pane di bassa qualità prodotto interamente con granaglie di scarto .I pani più originali però erano quelli che venivano prodotti nei tempi di carestia, quelli che Camporesi chiama del “pane selvaggio” , in cui non si esitò a panificare anche con materie prime che non erano cereali: tra queste quella che ebbe più successo fu la castagna. Questa pianta di origine europea, diffusa soprattutto in Italia, Francia e Spagna, iniziò ad essere coltivata già dai tempi dell’Impero Romano e dopo un periodo di stasi, cominciò a diffondersi per la seconda volta dopo l’anno Mille . Il fenomeno della panificazione del castagno è stato di una portata tale che alcuni studiosi hanno coniato per questo frutto, l’espresssione “civiltà del castagno” .Questa “civiltà” è identificabile con le popolazioni dell’alta collina e della montagna, specie quelle comprese tra i 300 e i 1000 metri, visto che è questa la fascia di diffusione naturale del castagno.La raccolta delle castagne avveniva tramite “bacchiatura”, dopodiché o le si mangiava fresche, oppure si procedeva a essiccarle al fine di ricavarne della farina. Quest’operazione avveniva nel “seccatoio”, un edificio costruito nel bosco, che disponeva di un piano inferiore adibito a forno. La farina ricavata aveva la peculiarità di possedere più amido e zucchero rispetto alla semplice castagna consumata fresca, ed era in grado, perciò, di assicurare all’organismo una valida alternativa in caso di mancanza di altre sostanze alimentari. Dalla sua farina, oltre al pane, si poteva ricavare una polenta dal sapore dolciastro ed anche fare il “castagnaccio”, tipico dolce toscano che si trova ancora oggi.Un altro tipo di pane che, per le sue particolarità, merita considerazione è sicuramente quello ottenuto dall’orzo. Per lo scarso contenuto di glutine, la poca elasticità e quindi la sua difficoltà a lievitare, l’orzo non si prestava facilmente alla panificazione e il suo consumo era abbastanza raro . Vi si ricorreva esclusivamente nei momenti di cattivo raccolto, ma lo stesso non si può dire di molti anacoreti e filosofi, che lo consumavano proprio in virtù di quell’"aridità”, per cui era tanto inviso. In quanto capace, secondo la mentalità del tempo, di asciugare l’umore umido, questo tipo di pane diventò il cibo d’elezione di tutti quelli che, passando per la mortificazione del piacere fisico, cercavano il distacco dal mondo.
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