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mercoledì 1 giugno 2011
Dolcino e gli Apostolici
LA STORIA IN BREVE
Anno 1300: anno del Giubileo e del perdono universale. Perdono per tutti i malfattori, ma non per Gherardino Segalello, che viene posto al rogo a Parma. La sua colpa? Aver dato vita al movimento dei "Fratelli Apostolici". Nel 1260 circa, l'umile Gherardino aveva chiesto di essere ammesso nel convento dei frati minori (francescani) di Parma. Permesso rifiutato. Allora vende la sua piccola casa ed il suo piccolo orto, getta i soldi così ricavati ai poveri (proprio come aveva fatto San Francesco), ed inizia una vita nuova basata su pochi, essenziali concetti: l'imitazione di Cristo ("seguire nudi il Cristo nudo"), il rifiuto di ogni possesso e accumulazione (quindi la povertà assoluta) e dunque le elemosine in una esistenza itinerante, nella convinzione che solo una tale realtà esistenziale potesse interpretare nel giusto modo il messaggio del Vangelo. E' il rifiuto, messo in pratica, della via adottata dalla chiesa di Roma (possesso, ricchezza, potere).
Cominciano ad affluire seguaci di Gherardino (il quale tuttavia rifiuterà sempre di essere considerato "capo", in omaggio ad una concezione integralmente comunitaria ed antigerarchica), e via via il consenso popolare cresce, tanto che le file degli Apostolici si ingrossano e moltissimi, uomini e donne, aderiscono a questo movimento. Gherardino, nella sua semplicità, è un grande comunicatore: coloro che aderiscono al movimento vengono privati dei vestiti e indossano una tunica bianca (l'unica cosa che possiedono), rifiutano persino, dell'elemosina, il pane superfluo che non può essere consumato immediatamente, egli stesso si presenta sulla pubblica piazza attaccato al seno di una donna come fosse un neonato lattante (a simboleggiare la rinascita dello spirito cristiano in una nuova éra di purezza totale), fa predicare in chiesa persino i bambini. Insomma, il contenuto del messaggio degli Apostolici (che si chiamano anche "minimi" per segnare la differenza con i "minori"-francescani i quali si erano integrati, in fondo tradendo l'insegnamento del loro fondatore Francesco d'Assisi, nei meccanismi potere-ricchezza della chiesa di Roma), e le forme della predicazione ottengono via via un enorme successo e adesione popolare, al punto che la gente abbandona i riti cattolici per affluire in massa alle "prediche" degli Apostolici. Gherardino invia anche diversi Apostolici a portare il proprio messaggio in terre lontane.
Questo enorme successo (riconosciuto dalle più autorevoli fonti storiografiche cattoliche dell'epoca) non può più essere tollerato dalla chiesa romana: il mite Gherardino (pacifista integrale) viene imprigionato, alcuni apostolici vengono messi al rogo, e infine, nel 1300, Gherardino stesso viene arso vivo sulla pubblica piazza, nel nome del Signore.
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Ma il rogo di Gherardino Segalello, anzichè spegnere il movimento apostolico, per uno di quegli strani "scherzi" della storia, segna invece l'inizio di una vicenda del tutto originale, e di enorme portata, nel medioevo italiano. Tra i molti che erano venuti in Emilia anche da lontano per partecipare al movimento apostolico, vi è Dolcino, nativo di Prato Sesia (Novara). Dopo la morte del fondatore, Dolcino di fatto assume il ruolo di leader del movimento, il cui nucleo "dirigente", sotto la pressione dell'Inquisizione, si sposta nel 1300 dall'Emila al Trentino (vengono chiamati qui ed accolti da loro amici e compagni). La repressione tuttavia li segue anche lì, ove tre apostolici (due uomini e una donna) vengono posti al rogo. Nel 1303/1304 ecco allora Dolcino, con il gruppo degli Apostolici più fedeli (uomini, donne, vecchi e bambini), partire nel lungo viaggio che li porterà, attraverso le montagne lombarde (presso Chiavenna vi è tuttora un paese che si chiama Campodolcino) in Valsesia. La Valsesia è la terra d'origine di Dolcino, qui egli conta amici, ed è naturale che, per salvarsi, egli pensi a questa meta. Tra le donne che fanno parte di questo gruppo vi è la bellissima Margherita di Trento, di nobili origini, compagna di Dolcino.
La Valsesia era, però, da molto tempo in lotta aperta prima contro i grandi feudatari (conti di Biandrate), poi contro i comuni della pianura (Novara e Vercelli). Quando il gruppo degli Apostolici giunge a Gattinara e Serravalle, centri nella parte bassa della valle, e qui ricomincia la propria predicazione per una chiesa ed una società nuove, l'accoglienza popolare è entusiastica. I vescovi di Vercelli e Novara, in accordo con il papa, vedendo come l'avvento degli apostolici fa da catalizzatore per le istanze autonomiste delle popolazioni valsesiane, bandiscono allora una vera e propria crociata per debellare questi "figli del diavolo". Viene reclutato un vero e proprio esercito professionale (anche i balestrieri genovesi, abilissimi nel tiro) per farla finita una volta per tutte. Gli Apostolici, questa volta, uniti ai valsesiani ribelli, decidono di difendersi. Nel 1304 inizia dunque una vera e propria guerra di guerriglia tra un esercito cristiano e cristiani che credono in una chiesa diversa ed alternativa. Si susseguono scontri e battaglie, nelle quali Dolcino dà anche prova di notevole intelligenza militare. I ribelli si spingono in alto nella valle e, sul monte chiamato Parete Calva, che è ideale per la difesa, si installano con l'appoggio dei montanari fondando una vera e propria "comune" eretica, in attesa di quello sbocco finale che Dolcino, uomo colto, teologo e filosofo della storia, ritiene imminente. I crociati assediano la Parete Calva, ove sono asserragliati i ribelli (alcune fonti parlano di 4000 persone, altre di 1.400), e si susseguono scontri sanguinosi. L'inverno, per i rivoltosi, è terribile. Essi vivono in condizioni ormai disperate. Finchè, guidati da Margherita in un difficile passaggio tra metri di neve (ancora oggi quel luogo si chiama "Varco della Monaca"), riescono a devallare portandosi nel Biellese. Qui essi si fortificano sul Monte da allora chiamato Monte dei Ribelli, o Rubello.
Ma i crociati si riorganizzano e procedono ad un nuovo assedio. I ribelli sono allo stremo, e alla fine l'ultimo assalto provoca una carneficina: circa 800 ribelli sono trucidati sul posto, mentre Dolcino, Margherita e Longino Cattaneo (luogotenente di Dolcino) sono catturati vivi. Margherita e Longino verranno posti al rogo in Biella. Margherita rifiuterà di abiurare, respingerà le proposte di matrimonio di alcuni nobili locali, che l'avrebbero salvata dal rogo, e sceglierà di restare fedele al suo ideale e al suo compagno fino in fondo. Dolcino prima dovrà assistere al supplizio della sua donna e poi, a Vercelli, verrà condotto al rogo si di un carro. Durante il tragitto viene torturato con tenaglie ardenti, ma tutti i commentatori sono concordi nell'attribuirgli un coraggio straordinario: non si lamenta mai, ma solo si stringe nelle spalle quando gli viene amputato il naso e trae un sospiro quando viene evirato. Infine, nel 1307, anche per lui la "giustizia" di Dio significa il rogo. Tre anni di resistenza armata nel nome di Cristo si concludono tra quelle fiamme, ma altri dolciniani un po' da ogni parte continueranno ad esistere: si hanno notizie fino al 1374. Di più, Dolcino, Margherita e gli Apostolici diverranno simboli di libertà ed emancipazione fino ai giorni nostri, e la memoria popolare non li dimenticherà. Addirittura nel 1907 (sesto centenario del martirio) vi saranno celebrazioni di enorme rilievo con l'edificazione di un obelisco alto 12 metri proprio sui luoghi della loro ultima resistenza.
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L'enorme, tragico fascino della vicenda non deve comunque porre in secondo piano i significati storico-teoretici di un movimento che, pur sconfitto, ha testimoniato la validità e la vitalità di una lettura "diversa" delle Sacre Scritture, indicando una via del tutto alternativa per la costruzione di una chiesa e di una società diverse. Per questo la bibliografia dolciniana è enorme, e Dolcino seppe suscitare l'ammirazione anche di Dante (Inferno, canto XXVIII).
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