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lunedì 21 marzo 2011
L' ARABIA PREISLAMICA e la cultura beduina
Gran parte del territorio della penisola arabica e' costituito da deserti, tra i piu' vasti ed aridi della terra, in passato solcati da piste carovaniere che mettevano in comunicazione l'estremo sud della penisola con l'area siro-palestinese a nord, sul Mediterraneo, e punteggiate da oasi nei pressi delle quali sorgevano gli unici insediamenti umani possibili. La fascia costiera della penisola arabica era abitata da popolazioni stanziali di agricoltori e mercanti, mentre l'interno, quell'infuocato quadrilatero di sabbia che oggi costituisce l'Arabia Saudita, da popolazioni nomadi che vivevano di pastorizia e razzie, I beduini, o figli del vento. Le uniche citta', Mecca e Yathrib (Medina), sorgevano nei pressi di oasi, sulle confluenze di piste carovaniere ed erano percio' abitate da popolazioni sedentarie che vivevano soprattutto di commercio.
Nel deserto di Rub-al-khali I beduini vivevano spostandosi continuamente da un'oasi all'altra, alla perenne ricerca d'acqua, avanzando tra due infiniti, la sabbia ed il cielo. La loro societa' era la piu' dura nella quale gli uomini potevano vivere, ma, secondo il poeta, dopo aver attraversato il deserto d'Arabia ed aver vissuto nella societa' piu' dura che si possa immaginare, il nomade ne esce purificato e superiore al resto dell'umanita'. Nel deserto la dura lotta per la sopravvivenza porta a una selezione fondata non solo sulle attitudini fisiche ma anche su quelle morali. Per poter vivere nel deserto occorre un elevato senso della solidarieta', insieme alla capacita' di rispettare e valutare il valore degli uomini. Il codice di vita beduino era semplice e cavalleresco insieme: popolazione straordinaria, centrifuga ed anarchica, aveva il culto dell'ospitalita' e del coraggio e l'amore per le "qaside", i versi dei poeti del deserto, inneggianti alle doti guerresche, alla nobilta' della propria stirpe ed alle virtu' sensuali della propria donna. Essi si consideravano i figli del vento, gli unici uomini liberi, che vivevano come si augurava il poeta: "Vorrei non dovermi mai coricare la' dove mi sono destato", e possedevano solo cammelli e le immense tende grigie. Nel momento in cui I cammellieri diventavano proprietari anche di pecore, scendevano di un gradino nella gerarchia del deserto. Diventavano meno mobili, dunque meno liberi. Meno nobili. La pastorizia e la guerra erano le loro principali occupazioni, il cammello e il cavallo I compagni quotidiani, le armi lo strumento necessario, le virtu' piu' pregiate la prodezza in guerra e la liberalita' verso gli ospiti ed i bisognosi, virtu' indispensabili nella dura lotta quotidiana per l'esistenza in una natura inclemente. La loro struttura societaria prevedeva una fondamentale unita' tribale, sottodivisa in clan e nuclei familiari, obbedienti senza servilismi all'autorita' di un capo (Sceikh) liberamente riconosciuto e fedeli alla solidarieta' di sangue, che costituiva la legge fondamentale del deserto. La loro religiosita' era semplice, di tipo animistico e superstizioso. I loro idoli erano venerati nel santuario della Ka'aba, fondato dal patriarca Abramo e da suo figlio Ismaele, progenitore di tutti gli arabi, nella citta' mercantile della Mecca. Un mese all'anno, le varie tribu' beduine stabilivano una tregua che li distoglieva dalle loro perenni attivita' bellicose, e si recavano a rendere culto agli idoli custoditi nella Ka'aba. Spesso si recavano anche alla fiera di Ukaz, nella regione della Mecca, dove grandi poeti si sfidavano a colpi di qaside. La poesia ed il poeta avevano, presso gli Arabi, un posto del tutto particolare. Come dichiarava il poeta Ka'b ibn Zuhair: "L'uomo vale per la sua lingua ed il suo cuore. Il resto non e' che un miserabile involucro di carne irrorato dal sangue". La parola e' l'oro degli Arabi, il dono piu' prezioso accordatogli da Dio, oltre al cavallo, alla tenda, alla spada. I poeti arabi erano, in genere, I duri della loro razza, gli indomabili. Alla ricerca dell'assoluto, come gli hanif, gli anacoreti del deserto, si scontravano con le ferree leggi della tribu' e della societa' nomade.
Vivevano da fuorilegge, spostandosi nel deserto in piena liberta', ed il loro orgoglio era infinito. Alla fiera di Ukaz essi si affrontavano, per la gioia delle tribu' beduine. Ciascun poeta faceva l'elogio degli antenati e del clan, reclamando il diritto al titolo di piu' nobile tra gli arabi, oppure uno di essi attaccava ferocemente i suoi nemici, facendo nascere delle singolari tenzoni a colpi di verso. Il vincitore della sfida, acclamato dalla folla, vedeva i versi da lui composti trascritti su seta nera a caratteri dorati e appesi nel recinto del santuario di Mecca per un intero anno, affinche' fossero letti da tutti. La fiera di Ukaz e la visita alla Mecca erano le uniche occasioni durante le quali gli Arabi nomadi e quelli sedentari venivano a contatto. Gli oligarchi della Mecca, che costituivano la classe dominante in citta', formata da ricchi e potenti mercanti, traevano grande vantaggio dalle visite annuali delle tribu' beduine e la citta' era un fiorente centro commerciale e religioso.
Fuori dal puro ambiente beduino, ai confini con le evolute societa' sedentarie della Siria, della Palestina e della Persia, vi erano veri e propri stati-cuscinetto, costituti dai Ghassanidi e dai Lakhmidi che rappresentavano il trapasso dalle civilta' bizantina e sassanide all'anarchica vita del deserto. Le piste carovaniere che attraversavano il deserto beduino servivano a trasportare prodotti preziosi d'ogni genere, spezie, oro, perle, tessuti pregiati ed incenso dall'estremo sud della penisola arabica, lo Yemen, sede di fiorenti, civili ed antichissimi regni, al nord, verso le grandi citta' dell'area bizantina come Damasco, Gerusalemme, Costantinopoli.
Se si escludono piccole comunita' di ebrei e di cristiani ed un certo numero di hanif, eremiti che praticavano una sorta di monoteismo semplice e personale, la quasi totalita' degli abitanti dell'Arabia era idolatra e animista. In questo popolo dalla vita austera, frugale, insofferente e fiera, fece la sua comparsa il profeta Mohammad, nel 570 d.C. In poco meno di un secolo avviene un miracolo straordinario: gli Arabi diventano un popolo, e, illuminati dalla luce dell'Islam compiono un'impresa storica, umana, civile che ha dell'incredibile, trasformandosi, da una rozza stirpe col culto della vendetta, in una comunita' che raggiunge le piu' alte vette nel campo dello studio, della ricerca scientifica, dell'arte, della filosofia, dando al mondo quella che e' ricordata col nome di "civilta' islamica". In un breve lasso di tempo, questo popolo anarchico riesce a scrivere una delle piu' belle, incisive ed affascinanti pagine di storia, in cui l'antico valore umano si coniuga con le nuove e grandi virtu' etiche dell'Islam per dare origine ad una serie di figure eccezionali, capaci di mutare, per sempre, il corso della civilta' umana.
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