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mercoledì 31 marzo 2010


GLI UOMINI DELLA QUERCIA


 

Gli antichi sacerdoti.


 

Già gli antichi scrittori greci e latini rimasero colpiti dai sacerdoti druidi che rappresentavano una civiltà primordiale e incontaminata.

Il loro antico nome celtico è drui,plurale druid,ma nei testi classici compare solo il nome al plurale:druides.

Plinio il Vecchio narra che il loro nome era strettamente collegato al culto del bosco ,ed in particolare,al culto della quercia:in effetti,da un punto di vista etimologico,il loro nome sembrerebbe derivare dalla radice indoeuropea Wid(sapere e conoscenza),ma anche a Deru(quercia)di cui ritroviamo radice nel greco antico Dreus(quercia).

Dalla radice etimologica si evince che i druidi erano così denominati in quanto"conoscitori della quercia"o "uomini della quercia".

Per meglio comprendere questa definizione occorre entrare nell'antico mondo celtico,nel quale il culto delle piante,ed in modo particolare del vischio e della quercia ,si definiva di una fondamentale importanza sia per il culto religioso,ma anche per tutta la tradizione medica.

Nei boschi di querce si celebravano i riti religiosi,in ricordo di primitive credenze animiste,ma anche le straordinarie conoscenze del potere curativo delle erbe del bosco era prerogativa dei druidi e conosciuta da tutto i mondo classico.

Caio Giulio Cesare ,nel De Bello,parla della loro straordinaria capacità di dominare la natura e,nello stesso tempo,di utilizzarla per l'arte medica,e sempre nel De bello Gallico ,parla della loro avversione alla scrittura.

Tutta la tradizione druidica è infatti affidata esclusivamente al passaggio orale tra generazioni di iniziati.

Questo probabilmente per due ordini di motivi:la prima,come in molte culture esoteriche ed iniziatiche,per evitare che il sapere venisse messo a disposizione del volgo e dei non iniziati,la seconda che(e questo motivo è veramente interessante per noi uomini del XXI secolo)i sacerdoti,fidandosi della scrittura non esercitassero a pieno la potenzialità del ricordo e della memoria.

Sempre attraverso Cesare ,noi sappiamo che i druidi esercitavano l'insegnamento con competenza e dedizione,circondandosi sempre di giovani discepoli:il ciclo di scuola druidica durava ben venti anni,senza interruzioni di sorta!amministravano la giustizia con delega assoluta dei capo clan.

La fama più prestigiosa dei druidi era però legata allo studi dell'astronomia e alla loro capacità di compilare calendari e fornire coordinate di allineamenti stellari per costruire templi e santuari.

Basti ,su questo ,pensare ai maestosi monoliti di Sthonenge.

Ma Roma ,con Cesare per primo,fu anche fautrice della fine dei druidi.

L'accanimento verso di loro e la loro religione,vissuta come minacciosa da Roma,iniziò con Giulio Cesare e terminò con Nerone ,nel 61 d.c,che ordinò uno spietato massacro di tutti i sacerdoti.

Il druidismo scomparve così dalla Britannia e dalla Gallia e rimase confinato nelle estreme frontiere selvagge oltre il Vallo d'Adriano,in Irlanda e in tutto il nord della Scozia ,ove ancora e non difficilmente si possono trovare segni ancora vitali dell'antica cultura.

S.F

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sabato 27 marzo 2010


MERLINO

Il principe dei druidi


 

Indubbiamente ,tra tutti i personaggi che hanno acceso la fantasia dei lettori del ciclo di Camelot,quello più amato è il misterioso mentore di re Artù,suo padre simbolico e guida di tutti i cavalieri:Merlino,il mago.

La tradizione letteraria attribuisce a Merlino doti soprannaturali e il suo fascino senza tempo si fonda sul suo continuo percorrere il labile confine tra Bene e Male.

Per ben comprendere questa figura occorre collocarla in quel passaggio culturale del mondo celtico irlandese , scozzese e gallese che segnò il passaggio da una cultura pagana a quella cristiana.

Abbiamo già evidenziato che nei popoli celti e gaelici il passaggio fu indolore e non traumatico perché simboli e riti furono conservati nella loro essenza ed anche nella collocazione temporale.

Anche le figure storiche e religiose subirono solo una evoluzione ed un transito da una cultura all'altra,ma non ci fu negazione di valore ed importanza.

Merlino passa dalla tradizione orale e dal mito alla codificazione letteraria solo nel XII secolo con la rielaborazione del monaco benedettino gallese Goffredo di Monmouth.

Goffredo attinge notizie dalle precedenti cronache e combinandole in maniera sapiente con la tradizione orale della sua terra dà vita ad un mago-sacerdote che è custode dell'antica saggezza celtica.

Se il re Artù è un personaggio sul quale si fa difficoltà a trovare una reale configurazione storica,Merlino è una produzione prettamente letteraria.

Goffredo pubblica nel1138 l"Historia Regnum Britanniae".

Il testo poderoso è dedicato a Roberto ,conte di Gloucester e fornisce un resoconto dei re da Bruto,pronipote di Enea che approda sulle coste del nord della Britannia e ne diventa re,fino a Calavandro, che cede il regno ai Sassoni nel VII secolo..

Il benedettino afferma di aver tratto le notizie da un manoscritto che gli è stato donato da l'arcidiacono di Oxford ,Gualtiero:il manoscritto è in antica lingua gaelica e lui lo ha solo tradotto in latino.

E' probabile,invece che Goffredo abbia tratto le sue informazioni sul ciclo della tavola e di Camelot,dal testo di Santa Gilda"Rovina e conquista della Bretannia"e da "Storia ecclesiastica del popolo britannico"del venerabile Beda.

Senza dubbio il libro di Goffredo si può considerare il primo best seller della storia ,dato l'enorme successo che ebbe.

Strutturato in dodici libri,porta alla ribalta l'eroica figura di Artù,al quale sono dedicati ben tre tomi,e con lui si narrano le valorose gesta dei suoi cavalieri.

Accanto al mitico re ,Goffredo pone un'altra figura importante e sempre presente:Merlino.

Storicamente egli colloca temporalmente il mago nella prima metà del V secolo ,al tempo di re Vortingern .

In questo periodo si svolsero in Britannia sanguinose lotte a seguito delle invasioni degli Angli e poi dei Sassoni.

La vicenda di Merlino viene narrata dalla sua nascita fino al concepimento magico di Artu'.

Probabilmente nel delineare il personaggio il monaco scrittore ,prese anche spunto dalla figura di Ambrogio,fanciullo senza padre,ora definito condottiero romano rimasto oltre il Vallo di Adriano,ora sovrano di stirpe gaelica,ma comunque dotato di capacità profetiche e magiche.

Tale figura è descritta da Nennio nella sua "Historia Brittonum".

Momento cruciale per inquadrare la figura di Merlino ,è la sua nascita che spiega i suoi poteri soprannaturali:Goffredo ,in questo si rifà alla tradizione gaelica che parla di fanciulle sovente visitate nel sonno da spiriti e rese madri.

Merlino nasce così da una fanciulla vergine,figlia del re dei Demeti(tribù del nord)e da un demone "incubo",che si era presentato a lei sotto sembianze umane.

Al mattino ,resasi conto dell'inganno e disperata,la principessa si reca da un sacerdote che ,consolandla,le dice che dovrà vivere il resto della sua vita in penitenza e preghiera.

La disgraziata,ormai in evidente stato di gravidanza ,viene rinchiusa in una torre con due levatrici che la aiuteranno al momento del parto.

Quando nasce Merlino il suo aspetto è completamente al di fuori della norma:il suo corpo è completamente coperto di peli!Il bambino riceve dal padre demone la straordinaria intelligenza e molte capacità straordinarie.

Ma interviene Dio che .nella sua misericordia perdona la donna e acetta il bambino anche come suo figlio.

Merlino avrà le doti del demone:Dio concede a Merlino la capacità di leggere nel futuro,di conoscere le cose del passato e di intervenire sulla vita degli uomini:ma tutto ciò sarà compiuto nel bene.

Goffredo ha compiuto letterariamente l'unione tra due culture e il simbolo di questo passaggio è Merlino.

S.F

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Miniatura dal libro di Goffredo di Monmouth raffigurante Merlino

venerdì 26 marzo 2010


VALIDE

Colei che partorisce


 

Al di là di quello che si può pensare ,l'ordine gerarchico ,all'interno dell'Harem ottomanno,era rigidissimo.

Tutta la gestione e l'ordine delle migliaia di donne che vivevano nel palazzo del sultano era appunto affidato esclusivamente a rigidissime regole che scandivano ruoli e posizioni sociali.

Tra le donne dell'harem il ruolo più importante e la carica ,anche politicamente più significativa era quella di "Valide".

Il termine significa letteralmente:colei che partorisce o ha partorito,ed era assegnato alla madre del Sultano regnante.

Questo voleva dire che potenzialmente esistevano nell'harem decine di Valide,cioè donne che avevano avuto un figlio maschio dall'unione con il Sultano.

La via di successione non era così lineare come in occidente,la nomina ad erede veniva fatta dal Sultano sulla base di molti indici e solo uno di questi era la primogenitura ,anche perché potevano esserci più figli maschi nati nello stesso tempo.

A ciò si aggiungeva ,violentissima ,la lotta intestina tra le favorite che ,a colpi di intrighi,alleanze con potenti eunuchi,veleni e uccisioni feroci,talvolta decimavano quasi completamente il campo delle rivali.

In palio c'era infatti diventare,in un mondo di negazione dell'individualità femminile ,una donna potente ,a volte più potente del Sultano stesso.

Quando il figlio assumeva la carica di Sultano regnante,la nuova Valide,con una imponente cerimonia,veniva fatta uscire dall'harem,e condotta al nuovo palazzo dove,sulla porta l'attendeva il figlio.

L'enorme simbolismo di questa uscita ufficiale dall'harem ,è confermata dal fatto che ,nel caso il Sultano morisse,la valide veniva immediatamente ricondotta alla sua vecchia dimora.

In questo caso la valide era costretta a convivere con un mondo di concubine ripudiate,mogli cadute in disgrazia e altre madri di sultani deceduti.

Nel caso che ,invece,morisse la madre,il titolo di valide,con tutti gli onori ed il potere ,veniva assegnato alla balia del Sultano.

La valide fu, a volte , cosi ricca da far costruire moschee,oppure addirittura ,reclutare truppe private al suo servizio militare.

Era il potere assoluto sull'harem,con diritto di vita o di morte su tutte le altre donne,comprese le favorite,aveva al suo servizio eunuchi e ministri personali.

L'onore che le veniva attribuito era regolato da una severissima etichetta:anche la favorita in carica doveva chiedere udienza per inchinarsi al suo cospetto.

Un interessante aneddoto riguarda la valide Peresto Hanim che si ritenne offesa quando l'imperatrice tedesca,in visita ufficiale,non le baciò la mano.

Pretese scuse e,la corte tedesca ,onde evitare rotture diplomatiche costrinse l'imperatrice a fare ammenda.

Era solitamente,la figura della valide ,molto temuta,anche perché solitamente .l'influenza sul figlio sultano che lei,e spesso solo lei ,aveva condotto al potere ,era totale.

L'onore e il prestigio di questa figura femminile del mondo islamico è chiaro in questo proverbio turco:"Il paradiso si trova sotto i piedi della Madre"

giovedì 25 marzo 2010

Pochi sanno che oggi ,a Pisa,si entra nel nuovo anno:oggi è infatti il Capodanno Pisano

Capodanno Pisano

- Rievocazione storico/religiosa in Pisa 2010

Capodanno Pisano

Rievocazione storico/religiosa Pisa 2010

Il 25 marzo vede i festeggiamenti per l'inizio di un nuovo anno. A Pisa, infatti, ricorre la tradizione del capodanno pisano che, secondo un calendario locale (utilizzato dal 1200 al 1749, anno in cui il Granduca di Toscana Francesco I di Lorena ordinò che in tutti gli stati toscani il primo giorno del gennaio seguente avesse inizio l'anno 1750) e prima del calendario gregoriano, faceva iniziare l'anno nel giorno dell'Annunciazione, e quindi esattamente nove mesi prima di Natale (e per questo chiamato anche Calendario ab Incarnatione Domini).

Per essere certi di non sbagliare giornata, i pisani avevano costruito una “sveglia solare” all'interno della chiesa maggiore, costituita da una finestrella posta nella cappella di S. Ranieri da cui filtrava un raggio di luce che il 25 marzo colpisce sempre un punto preciso, proprio vicino al pulpito di Giovanni Pisano, costituito da una mensola sorretta da un uovo di marmo.

Da alcuni anni (intorno agli anni '80) il sindaco di Pisa ha ripristinato questa antica tradizione, ed è così che il giorno del 24 marzo viene festeggiata dagli abitanti la fine dell'anno, con un pittoresco corteo storico sul Campo dei Miracoli e festeggiamenti che durano fino a tarda notte, preceduti da una breve funzione religiosa che termina a mezzogiorno esatto.
I festeggiamenti includono anche numerose iniziative culturali, ma anche conviviali, e i ristoranti cittadini propongono numerosi piatti, che presentano tutti i sapori tradizionali.


 

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martedì 23 marzo 2010



ELIZABETH I

Queen of England

Born: 7 Sep 1533, Greenwich Palace, London, England

Christened: 10 Sep 1533

Acceded: 17 Nov 1558, Hatfield House

Crowned: 15 Jan 1558, Westminster Abbey, London, England

Died: 24 Mar 1603, Richmond Palace, London, England

Buried: Westminster Abbey, London, England

Father: HENRY VIII TUDOR (King of England)

Mother: Anne BOLEYN (M. Pembroke/Queen of England)


 


"The Ermine Portrait"
Painted in 1585 by Nicholas Hilliard
In the collection of the Marquess of Salisbury, at Hatfield House


 

See her at The Queen Gallery

Elizabeth Tudor was born on 7 Sep 1533 at Greenwich to Henry VIII and his second wife, Anne BoleynElizabeth's life was troubled from the moment she was born. Henry VIII had changed the course of his country's history in order to marry Anne, hoping that she would bear him the strong and healthy son that Catalina de Aragon never did.

After her christening, Elizabeth spent her first weeks in the royal nurseries, tended by her wet-nurse, her dry nurses the women who rocked her cradle and the women who did her laundry. When she was three months old, she was given her own household, as etiquette required, and on a cold, mid-december afternoon she was carried out to a richly decorated litter and taken in procession through the streets of London, escorted by her great-uncle, the Duke of Norfolk. They stopped at Lord Rutland´s house in Enfield for the night, and the next morning they went on to the palace of Hatfield, in Hertfordshire, which was to be her home.

As soon as he had seen the baby safely settled in her crimson satin cradle, Norfolk rode off to Essex on an embarassing mission. He was to fetch Princess Mary. Already deprived of her title of Princess of Wales and told that she was illegitimate, the resentful seventeen-year old was to go to Hatfield as one of her sister ladies in waiting. Mary´s unhappiness and her obstinancy were disturbing elements in Elizabeth´s early childhood. Whenever the household moved to a different location there was another embarassing scene.

These dramas apart, life in the household was carefully regulated. All major decisions had to be referred to Henry. Anne too kept a close watch to the nursery; she chose all Elizabeth´s clothes: her personal tailor, William Loke, made the princess´s germents. The girl was like her father in colouring, with golden-red hair and a very fair skin, and Anne ordered dresses of white damask, green satin and yellow satin for her. These details mattered, for clothing was an important indication of status.

Anne did eventually conceive a son, but he was stillborn. By that point, Henry had begun to grow tired of Anne and began to plot her downfall. Most, if not all, historians agree that Henry's charges of incest against Anne were false, but they were all he needed to sign her execution warrant. She was beheaded on the Tower Green in May, 1536, before Elizabeth was even three years old.

No one knows who told Elizabeth what happened, or what she felt. Her own household was thrown into a state of disarray. Henry was peoccupied with his new wife and now that Anne Boleyn was gone there was no one to give the necessary orders about the child´s clothing. To make matters worse, John Shelton, her mother´s uncle, was disrupting the daily routine by imprudently insisting that Elizabeth should take her meals with everyone else in the hall instead of eating in her own nursery quarters. Much upset by this interference, Lady Bryan wrote to protest to the King, and at the end of Jun Henry gave orders for Elizabeth´s household to be reorganized, allowing her thirty-two servants. Her half-sister Mary was not one of them.

Henry has remarried and was eagerly awaiting the son he hoped Jane Seymour was carrying. Jane was now pregnant by this time and parliament had passed a new Act of Succession declaring that the children of this marriage would be Henry´s heirs: like Mary, Elizabeth was now regarded as being illegitimate. When Lady Bryan´s husband told the child that in future she would no longer have her royal title, she stared at him unwinkingly and retorted: "how haps it, Governor, yesterday my Lady Princess, and today but my Lady Elizabeth?"... he could give o suitable reply. 

Jane Seymour was eager to gather her new family together, and both Mary and Elizabeth were summoned to Hampton Court for her confinement. As it turned out, she was indeed to bear Henry a son, Edward (future Edward VI). Jane died shortly after Edward was born.

She was still liked by her father, but she fell into the shadows once her half-brother was born. Elizabeth was third in line for the throne of England behind her radical Protestant brother Edward and her conservative Catholic sister Mary.  

When Elizabeth was four, her Governess Lady Margaret Bryan transfered to the household of the newly born Prince Edward, and the little girl passed into the care of Catherine Champernowne, the daughter of a solidly respectable gentlefolk from Devonshire who had received an unnusually advanced education for a woman at thet time. In 1545 she became the wife of John Ashley, a distant cousin of Anne Boleyn. Kat Ashley, as she was then known, came to exercise considerable influence over the growing Elizabeth, to whom she was utterly devoted.

Elizabeth's last stepmother was Catherine Parr, the sixth Queen to Henry VIII. She had hoped to marry Thomas Seymour (brother to the late Queen Jane), but she caught Henry's eye. She brought both Elizabeth and her half-sister Mary back to court. A cultivated Protestant, she was anxious that the children of the King have a suitable education, and she encouraged Henry to lure a clutch of eminent scholars from Oxford and Cambridge to teach the Prince. Whenever Elizabeth was in the same house, she shared his lessons. When Henry died, she became the Dowager Queen and took her household from Court. Edward ascended to the throne when he was ten years old. Because of the young age of Edward VI, Edward Seymour (another brother of Jane's and therefore the young King's uncle) became Lord Protector of England.

 

Sketch of Thomas Parry
Royal Collection © Her Majesty Queen Elizabeth II

 

Monument to Blanche Parry, kneeling alongside Elizbabeth, in St. Faith's, Bacton, Hereford
Photograph by John Meek


 Roger Ascham
Radio Times Hulton Picture Library

Elizabeth went to live with Queen Dowager Catherine, but left her household after an incident with the Lord Admiral, Thomas Seymour, who was now Catherine's husband. Just what occurred between these two will never be known for sure, but rumors at the time suggested that Catherine had caught them kissing or perhaps even in bed together. Catherine was pregnant at the time of the incident, and Elizabeth was sent from May to Oct of 1548 to Cheshunt, the house of Sir Anthony Denny. This movement was the week after Whitsun in 1548, wich fell on 20 May; so the date of would be the week of 27 May 1548. Elizabeth will never see her beloved stepmother again. Catherine died of childbirth not too long afterwards. This left Thomas Seymour as an eligible bachelor once again. Elizabeth left Denny´s house and went to Hatfield accompanied by Somerset´s eldest son, Sir John Seymour. She sent a note to the Lord Protector thanking for his concern about her health and for sending Dr. Bill too see her.

Later, Thomas Seymour was arrested for an attempted kidnapping of King Edward and for plotting to marry himself to Elizabeth, who was an heir to the throne. From this incident, both Thomas and Elizabeth were suspected of plotting against the King. Elizabeth was questioned by Sir Robert Tyrwhitt, but was never charged. Seymour however, was arrested and eventually executed for treason.

Young Edward had never been a strong child and eventfully contracted what was then called consumption. It is most likely that he had tuberculosis, from contemporary accounts. When it looked inevitable the the teenager would die without an heir of his own body, the struggle for the crown began. 

Reports of the young King's declining health spurred on those who did not want the crown to fall to the Catholic Mary. It was during this time that Guildford Dudley married Lady Jane Grey, who was a descendant of Henry VIII's sister Mary, and was therefore also an heir to the throne. At Edward painful death in 1553, Jane was proclaimed Queen by her father and father-in-law, who rallied armies to support her. However, many more supported the rightful heir: Mary, daughter of Henry VIII and Catalina de Aragon.

Elizabeth was at Hatfield throughout the crisis. When she first learned of Edward´s serious illness she set out for London to visit him, but she was only halway when received a message telling her to go back. It was Northumberland's doing; he could not afford to have her at Court, complicating his plans.

But as Edward's health continued to deteriorate and death was imminent, Dudley sent a message to Hatfield, ordering Elizabeth to Greenwich Palace. She may have been warned of his intentions - more likely she guessed them.  She refused the summons, taking to her bed with a sudden illness.  As a further precaution, her doctor sent a letter to the council certifying she was too ill for travel.  As for Mary, Dudley had told her that Edward desired her presence; it would be a comfort to him during his illness.  She was torn - though Dudley hid the true extent of the king's illness, the Imperial Ambassador had kept Mary informed.  He was the agent of her cousin, the Holy Roman Emperor Carlos V; Mary's mother had been his aunt.  Conscious of her sisterly duty, Mary set out for Greenwich from Hunsdon the day before Edward died. 

Dudley was enraged by Elizabeth's refusal but he could do nothing.  Soon enough, events moved too quickly for the princess to be his primary concern.  It was being whispered that Dudley had poisoned the king to place his daughter-in-law on the throne.  Of course, this was untrue since Dudley needed Edward to live as long as possible for his plan to work.  To this end, he had engaged a female 'witch' to help prolong the king's life.  She concocted a mix of arsenic and other drugs; they worked, at least for Northumberland's purpose.  The young king lived for a few more weeks though he suffered terribly.  Finally, on 6 Jul 1553, Edward VI died.  Immediately, Northumberland had Jane Grey proclaimed queen, an honor she had not sought and did not want.  It was only Dudley's appeal to her religious convictions which convinced her to accept the throne. 

As soon as she knew that Jane had been proclamed Queen, Elizabeth took her bed, saying she was far to ill to travel anywhere. During the nine days of Jane's reign, Elizabeth had continued her pretense of illness.  It was rumored that Dudley had sent councilors to her, offering a large bribe if she would just renounce her claim to the throne.  Elizabeth refused, remarking, 'You must first make this agreement with my elder sister, during whose lifetime I have no claim or title to resign'.  So she remained at her beloved Hatfield, deliberately avoiding a commitment one way or another. Once she heard the rising was over, however, she got up and prepared to ride to the Capital. If she did not show her loyalty to Mary, her enemies would accuse her of setting herself as a rival Protestant claimant. Riding proudly at the head of an impressive entourage, Elizabeth reached London on 29 Jul with 2000 mounted men wearing the green and white Tudor colors,  to find that Mary had not yet arrived. The citizens turned out to shout their approval as she passed and she smiled and waved graciously to them. She had not been forgotten after all. She might have few friends at the new Queen´s Court, but the ordinary people were offering her their goodwill, and that could be useful. She awaited Mary's official arrival into the city in Somerset House.  On 31 Jul, Elizabeth rode with her attendant nobles along the Strand and through the City to Colchester, the same path her sister would take.  It was here she would receive her sister as queen.  They had not seen each other for about five years. In an atmosphere charged emotion, everyone watched as Anne Boleyn´s daughter moved forward to demonstrate her loyalty to Catalina de Aragon´s child. At nineteen, Elizabeth towered over the tiny figure of the Queen. Mary was thirty-seven, and she looked older, tired and worn after all the excitement of the past weeks. Elizabeth knelt befor her, Mary smiled, raised her up and embraced her. It seemed that they were to be friends. other introduction folloed, Elizabeth presenting her own retinue, and finally, when the procession moved off again, she was in the place of honour, immediatly behind the Queen Mary.

Nine days after Jane was proclaimed Queen, Mary rode into London with Elizabeth. Jane Grey and her husband Guildford were imprisoned in the Tower. And so began an even more dangerous time in the life of the Princess Elizabeth...

Shortly after becoming Queen, Mary was wed to Prince Felipe of Spain, which made the Catholic Queen even more unpopular. The persecuted Protestants saw Elizabeth as their savior, since she was seen as an icon of "the new faith". After all, it was to marry her mother Anne Boleyn that Henry instituted the break with Rome. 

Elizabeths life during Marys reign began well, but there were irreconcilable differences between them, particularly their differing faiths. Mary was suspicious of her sister, whose name was mentioned in the conspiracy of Thomas Wyatt, the man from Kent, who had raised a rebellion protesting Marys intended marriage to Felipe of Spain. When the rebels were captured for questioning, it became known that one of their plans was to have Elizabeth marry Edward Courtenay, Earl of Devon, to ensure an English succession to the throne. Thus, Elizabeth found herself implanted in a very dangerous political plot that was considered by some to be an extremely sinister method of placing her on the throne. Considering Elizabeths lack of desire to marry, it is probable that she would have had no knowledge of their plans, or even approved of them.  However, the mere mention of her name by the rebels was enough to suggest that Elizabeth indeed had knowledge of the revolt. Now under suspicion, Elizabeth denied any knowledge of Wyatts plans, but Simon Renard, the Queens advisor, did not believe her, and counseled Mary to bring her to trial. Elizabeth was not put on trial, but instead was taken as prisoner to the Tower of London.  The thought of going to the place from where so few had returned, including her own mother, terrified her, and she initially refused to enter, declaring repeatedly that she was an innocent, loyal subject of the Queen.  She did eventually yield, and on Sunday Mar 18, 1554, Elizabeth was imprisoned in the Tower.

The story of Elizabeth's entry into the Tower is an interesting one. She was deathly (pun intended) afraid of the Tower, probably thinking of her mother's fate in that place, and when she was told she would be entering through Traitor's Gate, she refused to move. She had been secreted to the Tower in the dark so as not to raise the sympathy of supporters. That night was cold and rainy, and the Princess Elizabeth sat, soaking wet, on the stairs from the river to the gate. After her governess finally persuaded Elizabeth to enter, she did so and became yet another famous prisoner of the Tower of London.

Elizabeth stood in grave danger as her very existence was considered a threat to the Queen and to the Spanish marriage. Renard urged her execution. But the lack of evidence against Elizabeth, Wyatts declaration of her innocent as he went to the block, and Elizabeths increasing popularity (the crowds greeted her with warm cheers and gifts) worked in her favor.

Elizabeth was no longer seen as a significant threat when Mary had become pregnant, and she decided that Elizabeth should no longer be kept in the Tower of London in 1554 she was sent to the palace at Woodstock starting on 19th May, under the care of Sir Henry Bedingfield. Elizabeth seems to have thought herself in some special danger, for she called to her gentleman usher as he left her and desired him with the rest of his company to pray for her: "For this night", quoth she, "I think to die"'. The first night of the journey was spent at Richmond. Antoine de Noailles, although in disgrace with the Queen for dabbling in Wyatt's treason, was still taking a close interest in the Princess and had picked up a rumour that two envoys from the Emperor were to meet her at Richmond on the following day and would 'lay before her the proposals for her marriage with the Duke of Savoy'. In order to try to find out more about what was going on, de Noailles sent one of his agents to follow Elizabeth 'under the pretext of carrying her a present of apples', but he had been misinformed. There were no envoys at Richmond, and Bedingfield got an early opportunity to prove his zeal by seizing the messenger and stripping him to his shirt. The second night was at Windsor and the third at West Wycombe with Sir William Dormer. The following night was spent at Rycote with Sir John Williams of Thame and she arrived at Woodstock on 23rd May. On the return journey from Woodstock to Hatfield Elizabeth may have spent the night at Ascott Manor again under the auspices of Sir William Dormer.

Mary Tudor was nearly 40 years old when the new of her "pregnancy" came. After a few months, her belly began to swell, but no baby was ever forthcoming.

Some modern historians think that she had a large ovarian cyst, and this is also what lead to her failing health and eventual death in Nov 1558. On her deathbed and at her husband’s request,
Mary reluctantly accepted Elizabeth as heir to the throne. After Elizabeth, the most powerful claim to the throne resided in the name of Mary, Queen of Scots, who had not long before married Francois, the French heir to the throne and enemy of Spain. Thus, although Elizabeth was not Catholic, it was in Felipe and Spain’s best interest to secure her accession to the throne, in order to prevent the French from obtaining it.  

There was another rebellion in 1555 led by Sir Henry Dudley, kinsman of the Duke of Northumberland. Queen Mary ruled England under conservative Catholicism and acquired the name Bloody Mary by the end of her reign, for she murdered so many Protestants. News of Mary's death on 17 Nov 1558 reached Elizabeth at Hatfield House. Elizabeth had survived and was finally Queen of England, crowned on 14 Jan 1559. Elizabeth I was crowned by Owen Oglethorpe, Bishop of Carlisle, because the more senior prelates did not recognise her as the Sovereign, and, apart from the archbishopric of Canterbury, no less than eight sees were vacant. Of the remainder, Bishop White of Winchester had been confined to his house by royal command for his sermon at Cardinal Pole's funeral; and the Queen had an especial enmity toward Edmund Bonner, Bishop of London. With a touch of irony, she had ordered Bonner to lend his richest vestments to Oglethorpe for the coronation.

Elizabeth had a rigorous education. She was fluent in six languages, including Latin, Greek, French, and Italian. She once remarked to an Ambassador that she knew many languages better than her own. She was taught theology, history, philosophy, sewing, and rhetoric. She also loved such activities as hunting, riding, dancing, and playing. As a girl, she was often thought of as very serious, and she had inherited characteristics of both her mother and father such as cleverness and firmness. Elizabeth was incredibly intelligent, and admired her tutor Ascham, who remarked that she had the intelligence of a man, for it was her memory and intellect that distinguished her above others, men and women alike.

Queen Elizabeth had many things to deal with when she became ruler of England. Mary and previous rulers had left the state virtually bankrupt, and England was in need of some sort of religious mediation. She cut back on royal expenses, encouraging her court to purchase her expensive gifts such as elaborate dresses and jewelry to win her affections and to invite her to stay with them. She even encouraged pirating and men like Sir Francis Drake at times to increase the wealth of England, for, if England was rich, she did not care where the wealth came from. She cut down on inflation and reduced England’s debt.  Religion was a subject requiring immediate attention as well, for as much as Elizabeth was a Protestant like her half-brother and father, she did not want to acquire the reputation her half-sister Mary did while Queen. Her religious settlement, known as the Elizabethan Settlement, declared that she did not care what men believed, just so long as they attended the Church of England. She also passed the Act of Supremacy, declaring herself supreme governor of the church rather than the supreme head. On subjects such as religion, she became a master of ambiguity.

Elizabeth enjoyed taking to the Thames in her magnificent state barge, served by twenty oarsmen, or a smaller barge covered with satin awnings and pillows of cloth of gold. She visited her favorites palaces: Hampton Court (Surrey), Nonsuch (Surrey) and Greenwich (Kent), both on land and on water.

Elizabeth faced another question upon her arrival to the throne: marriage and succession. She had many suitors, domestic and foreign. She was able to use her unmarried state to her advantage, for Spain could not make war on England in France was courting Elizabeth (and visa versa as well). She entertained many proposals.  

If Elizabeth married a foreigner, she would have to choose which country to marry and she would hand Englands rule over to that country as well. If she married domestically, she again would be forced to choose, for she could not appease everyone. Her favorite at home appeared to be Robert Dudley, a childhood friend, and it seemed for a long that she would marry DudleyElizabeth never did marry, taking on the image of a virgin and nicknames such as Gloriana, Bess, and Virgin Mary. She created her own following and religion in a way. Only a short time before her death did she name her successor, for she knew better than to do so before because no one would listen to her once her “heir” was named. Any talk of the succession presupposed Elizabeth's death, and this was one subject the Queen could not bear to contemplate. After the execution oh his mother, Mary Stuart, King James of Scotland wrote to the Queen, Nov 1587, trying to have a written promise from Elizabeth that he, James, be declared her rightful heir. James angered her with his importuning. To teach James a lesson for daring to presume too far Elizabeth promptly, and openly, acknowledged that there was another in the running. Arabella Stuart, other claimant to the throne, was invited to the Court for the first time.

The Queen was also politically clever. She was always able to use marriage as an advantage, even when she was older. She worked hard on political affairs, often staying up late at night writing letters and state papers. She tried to keep England out of war for most of her rule, for she saw how war could damage England and its finances from her father’s overindulgence in war. She found calling Parliament a regrettable necessity. She did not like dealing with Parliament, and she would rant and rave at them so she could have her way. She refused to be bullied by her own Parliament. She took an interest in matters of state, despite the fact that the men she worked with could not believe her to be capable of handling such matters. The only war Elizabeth had to deal with was when Spain was sending up their fleet of ships, the Armada, to invade England to overthrow the Queen and reestablish Roman Catholicism. England’s smaller and faster ships, aided by bad weather, defeated the heavy, sluggish Spanish Armada, a great victory for England.

Elizabeth was well liked by her subjects. She went on several progressive trips and made many public appearances, so England could see their Queen and to also increase her popularity among her subjects. She always made each and every person who called out to her as she rode through the city on her litter that she was talking to them. She always kept gifts of flowers, letters, food, and poems in her litter until the journey ended. To her ministers and her Parliaments, she would rant and rave until she got her way, but her private was something more interesting. She went through spells of illnesses and depressions, but something could be said of her arrogance. She enjoyed flattery, for it put her above everyone else in the court. Elizabeth had her way, but she was very emotional as well.

"It is not my desire to live or to reign longer than my life and my reign shall be for  your  good"

Elizabeth I to her Parliament 1601

Queen Elizabeth as Gloriana may have seemed to many to be immortal, but by the turn of the seventeenth century, she was beginning to display very real human frailty. Life as a monarch may have been glorious at times, but it was a difficult, demanding, and often very lonely task, and Elizabeth was tired both physically and emotionally. She herself said :

To be a King and wear a crown, is a thing more glorious to them that see it, than it is pleasant
to them that bear it

She had always known that popularity was a fickle thing, and although she said nothing, she knew that those around her were preparing for the time when her reign would be over. She was old, and the illusion that she was not, was falling away rapidly. When visiting the House of a courtier she had to have a stick to walk up the stairs, and during the opening of Parliament she almost fell under the weight of her heavy robes. Elizabeth knew that an aged Queen could not long command the hearts of the young, who were waiting for the sun to rise on a new world. Also, for some years the Queen had been suffering from some form of mental instability, although at this distance in time it is impossible to diagnose what her condition was. She was no longer quite the charming, witty, graceful, monarch that she had once been. She was rather paranoid, and was increasingly bitter. She was also lonelier and lonelier as more friends passed away. She had never doubted the justice of the execution of her once favourite, Robert Devereux, but she grieved deeply at the death of the man she had loved and nurtured since childhood. Sometimes she would sit in dark rooms, weeping at his young and tragic end.

By the late winter of 1602/3 Elizabeth was feeling unwell. She had caught a chill after walking out in the cold winter air, and complained of a sore throat as well as aches and pains.  She lay resignedly on her cushions in her private apartments, and could not be persuaded to leave them for the comfort of her bed.  I am not well she declared, but refused the administrations of her doctors. It was the opinion of her contemporaries that she would have recovered from this illness if she had fought against it, but she was did not want to. She was old, she was tired, and she was lonely. She was ready to slip into the world where all those she had loved had gone before her. As her condition deteriorated, Archbishop Whitgift (her favourite of all her Archbishops of Canterbury) was called to her side, and the Queen clung tight to his hand. When he spoke to her of getting better, she made no response, but when he spoke to her of the joys of Heaven, she squeezed his hand contentedly.  By this time she was beyond speech and could only communicate with gestures. It was clear to all of those around that the great Queen was dying. There was still one matter that the Queen had left unresolved, the matter that had been  unresolved since the first day the young Lady Elizabeth had heard that she was now Queen of all England; the succession to the throne. However, it was generally believed that the King of Scotland was to succeed, and this question was put to the dying Queen. Elizabeth may or may not responded, but for the sake of the peaceful transition of power, it was declared that she had gestured for James VI of Scotland to succeed her.

It was getting late, and those in vigilance around the Queen's bed left her to the care of her ladies. The Queen fell into a deep sleep, and died in the early hours of the 24 Mar 1603.  It was a Thursday, the death day of her father, and her sister.  It was the eve of the annunciation of the Virgin Mary,  perhaps an apt day for the Virgin Queen to die. The Elizabethan calendar was also different to ours, as they still used the Julian calendar - the new year beginning on the 25 Mar. Thus the last day of the year 1602 also saw the last hours of the last Tudor monarch. The new year would bring a new reign and a new era in British history.

It was with sadness that the Queen's death was announced on the streets of London the following morning, and witnesses described the eerie silence of the stunned  crowd. For almost 45 years they had been ruled by Elizabeth, and knew no other way of life.

As the Queen had wished, there was no post mortem.  Her body was embalmed, and placed in a lead coffin.  A few days later, the Queen began her last journey. She was taken by water to Whitehall, and laid in state, before being taken to Westminster Hall. There her body was to remain until the new King gave orders for her funeral.

On the 28 Apr 1603, the Queen was given a magnificent funeral.  Her coffin, covered in purple velvet, was drawn by four horses draped in black. An effigy of the great Queen, dressed in the robes of state with a crown on her head and a sceptre in her hands, lay on the coffin beneath a mighty canopy held by six knights. Behind the Queen came her palfrey, led by her Master of Horse.  The chief mourner, the Marchioness of Northampton, led the peeresses of the realm all dressed in black, and behind them came all the important men of the realm, as well as over two hundred poor folks. The streets were full of people, all come to pay their last respects to the Queen who had ruled them so wisely and for so long as she made her way to her final resting place at Westminster Abbey. When they saw the life-like effigy of the Queen, they wept. John Stow, who attended the funeral wrote:

Westminster was surcharged with multitudes of all sorts of people in their streets, houses, windows, leads and gutters, that came to see the obsequy, and when they beheld her statue lying upon the coffin, there was such a general sighing, groaning and weeping as the like hath not been seen or known in the memory of man, neither doth any history mention any people, time or state to make like lamentation for the death of their sovereign

The grief of the nation was unprecedented, and was a tribute to the remarkable achievements of a remarkable woman, Queen Elizabeth I.

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domenica 21 marzo 2010

Tra leggenda e realtà:la storia della principessa Pocaontas

Pocahontas

(Matoaka)



 

Nato: nel 1597 a n.d.
Morto: 11.4.1617 a Gravesend (England)

Tribù: CONFEDERAZIONE DEI POWHATAN


 

Il capitano Smith aveva ricevuto quello stesso anno, il 1607, l'incarico di esplorare ulteriormente il paese e al tempo stesso di cercare un passaggio per l'India. Nel corso di uno di questi viaggi fu sorpreso sul fiume Chickahominy da Opechancanough e fatto prigioniero. I suoi compagni trovarono la morte e egli stesso fu portato come un trofeo a Werowacomoco e interrogato. Il capitano Smith raccontò più tardi:

Powhatan sedeva su un attrezzo simile a un letto, avvolto in una pregiata pelliccia. Alla sua destra e alla sua sinistra sedevano due giovani fanciulle'... Ai lati della casa sedevano due file di uomini e dietro di loro altrettante donne. Spalle e teste erano dipinte di rosso. Tutti avevano un ornamento sul capo, per lo più piume bianche e una lunga collana di perle al collo... Dopo una lunga discussione furono poste due grandi pietre davanti a Powhatan. Un gruppo di guerrieri mi trascinò al luogo dell'esecuzione, mi fece appoggiare il capo sulle pietre e stavano per colpire il mio cranio con le loro clave, quando Pocahontas - la figlia prediletta del rè indiano, le cui suppliche erano rimaste fino ad ora inascoltate - si alzò e venne verso di me, strinse il mio capo tra le sue braccia e vi appoggiò sopra il suo, per salvarmi. Il rè era soddisfatto: io dovevo rimanere in vita.

Poiché Smith aveva scritto nelle sue memorie di essere stato salvato in un modo simile durante la sua prigionia in Turchia, spesso sono stati sollevati dubbi sulla veridicità di questo avvenimento. Occorre ricordare che a quei tempi era assolutamente normale che un prigioniero fosse richiesto per sé da una donna della tribù e che poteva essere salvato in questo modo. Il 10 settembre 1608, il capitano Smith fu eletto governatore della colonia. Una colonia dove, comunque, i coloni dovettero sempre lottare con la mancanza di provviste, perché il commercio con gli indiani non funzionava ancora come avevano immaginato. Uno dei primi "compiti ufficiali" del capitano Smith era di eseguire l'ordine di rè Giacomo i di incoronare
Powhatan re e di ricompensarlo con grande munificenza. Temeva, infatti, che altrimenti la spiccata autocoscienza tipica dei capi indiani sarebbe aumentata e avrebbe potuto disturbare il rapporto con i bianchi, fino ad allora piuttosto amichevole. Smith si recò di persona da Powhatan per invitarlo a Jamestown. Ma questi rifiutò orgogliosamente:

Anch'io sono un re e questo è il mio paese. Rimarrò qui otto giorni e aspetterò gli ambasciatori del vostro re.

Nel 1609, Powhatan fu incoronato rè con una cerimonia che egli stesso non prese del tutto sul serio pur senza che avesse idea di cosa fosse un regno europeo e conoscesse il significato di una vera corona. Nonostante l'incoronazione di Powhatan non si era concretizzato un commercio regolamentato, anzi Powhatan proibì alla sua gente di vendere provviste ai bianchi, ma non trovò un consenso unanime tra la sua gente. Fu così che giunse un messaggio di Powhatan a Smith con l'offerta di un carico di mais in cambio di cinquanta spade, armi da tiro e pentole di rame e che, inoltre, gli venissero messi a disposizione alcuni operai. Smith mandò subito tre artigiani tedeschi e due inglesi dagli indiani e si incamminò con alcuni dei suoi verso Werowacamoco. Powhatan lo accolse freddamente e si comportò come se non sapesse nulla della sua offerta. Smith si adirò e fece presente che i coloni avrebbero usato personalmente le armi offerte, poiché altrimenti sarebbero morti di fame. Tuttavia non avrebbe voluto rompere l'amicizia se Powhatan non gliene avesse dato motivo. Questi ascoltò attentamente e promise che avrebbe portato il carico di mais nel giro di due giorni. Spiegò con queste parole la sua posizione:

Capitano Smith non posso riceverti amichevolmente come al solito, perché sono venuto a sapere che vuoi conquistare il mio paese. Per questo motivo la mia gente non osa avvicinarsi con il mais; ti prego di riporre le armi che, poiché siamo fra amici, sono superflue.

Ma Smith era molto diffidente e si rifiutò di riporre le armi. Powhatan, al contrario del suo bellicoso fratello Opechancanough, era molto diplomatico e preferiva usare l'astuzia anziché la forza. Sorprese quindi Smith con questo discorso che caratterizza molto bene il suo atteggiamento di fronte alla vita:

Ho visto morire due generazioni del mio popolo. Nessun uomo, me escluso, è ancora in vita. Conosco la differenza tra pace e guerra meglio di chiunque altro nel mio paese. Ora sono diventato vecchio e presto morirò. Il mio potere andrà ai miei fratelli Opitchapan, Opechancanough e Catatough, poi alle mie due figlie. Io desidero che sappiano quanto so io e che il vostro amore nei loro confronti sia grande quanto il mio per voi. Perché volete prendere con la forza ciò che potete senz'altro avere per amicizia? Perché volete annientarci, noi che vi procuriamo i mezzi di sostentamento? Che cosa potete ottenere con la guerra? Noi possiamo nascondere le nostre provviste e fuggire nei boschi; allora patirete la fame, perché avete fatto un'ingiustizia ai vostri amici. Perché siete così diffidenti? Noi siamo disarmati e vogliamo darvi ciò che chiedete se venite da noi pacificamente e non con spade e fucili come se andaste in guerra contro un nemico. Non sono così stupido da non sapere che è molto meglio mangiare buoni cibi, dormire comodo, vivere tranquillo con le mie mogli e i miei figli, ridere e scherzare con gli inglesi e comprare da loro rame e scuri di ferro, anziché dovermi guardare da loro, dormire rabbrividendo nei boschi, vivere di radici, ghiande e roba simile ed essere cosi perseguitato da non poter ne mangiare, ne dormire.

Infine gli uomini di Powhatan portarono alcuni cesti pieni di mais. La notte prima della partenza, Pocahontas si recò di nascosto da Smith per metterlo in guardia da una possibile aggressione da parte di suo padre. Piangendo, rifiutò un regalo e scomparve nuovamente. Era accaduto che Powhatan aveva scoperto che i tre artigiani tedeschi erano degli ottimi aiutanti e validi consiglieri. Forgiavano asce per i suoi guerrieri e li istruivano nell'uso delle armi. Smith tentò più volte di far prigionieri i tre tedeschi che si erano addirittura dichiarati pronti ad attaccare Jamestown alla testa dei guerrieri indiani. Infine però si spaventarono del loro ardimento e tornarono a Jamestown. Quando due di loro tornarono più tardi da Powhatan, quest'ultimo fece loro fracassare la testa, come traditori. Smith che si era dato molto da fare per mantenere in vita la colonia, ora tuttavia - come già avvenuto in precedenza - era il bersaglio di attacchi, aperti e nascosti, da parte della sua stessa gente. La sua lotta contro la pigrizia e l'inerzia dei coloni era vana. Un incidente, nell'anno 1609, risolse di colpo i suoi problemi: l'esplosione di una botticella di polvere da sparo gli procurò gravi ferite, al punto che fu costretto a tornare in Inghilterra. Dopo la sua partenza la colonia andò ancor più in rovina, poiché nessuno poteva più imbrigliare quella gentaglia tanto restìa a lavorare. Powhatan e Opechancanough sfruttarono la situazione e uccisero numerosi bianchi che desideravano approvvigionarsi in un modo troppo facile. In breve tempo, dei cinquecento coloni iniziali non ne rimasero in vita che sessanta. Ma per loro fortuna, molto tempestivamente, giunsero le navi di Lord de la Warr, che era il governatore della Virginia dal 1610. De la Warr costrinse i coloni demoralizzati a rimanere e Thomas Dale, il suo rappresentante, riuscì lentamente a riportare l'ordine agendo con estrema durezza. Tuttavia anche sotto il suo comando i coloni preferivano procurarsi il loro sostentamento con l'estorsione piuttosto che con il lavoro onesto: fu così che decisero di prendere con la forza Pocahontas per poter chiedere un riscatto a Powhatan. Il capitano Argall, un navigatore inglese che lavorava con Dale, elaborò un piano per catturare Pocahontas. La principessa, che nel corso degli anni si era mantenuta fedele ai coloni, si trovava nel 1612 in visita da Japazaw, il capo dei Potomac. Argall corruppe Japazaw affinchè attirasse Pocahontas sulla sua nave, ancorata nelle vicinanze. L'avido capo accettò, il colpo riuscì e Argall portò subito Pocahontas a Jamestown. I coloni esultarono e inviarono messaggeri a Powhatan. Pretendevano, niente meno, che il rè indiano consegnasse tutti i suoi prigionieri e restituisse tutte le armi che aveva preso ai bianchi. Dopo tre mesi non avevano ancora ottenuto alcuna risposta. Poi giunsero parecchi indiani portando vecchi fucili e cinquecento stai di mais. I rapitori, però, insistettero nella loro iniziale richiesta portando all'esasperazione. Si verificarono numerosi incidenti e, alla lunga, agli inglesi sarebbe andata molto male se Pocahontas, durante la sua prigionia, non si fosse innamorata di John Rolfe, un giovane nobile. È vero che era sposata con un guerriero di nome Kocoum, ma pare che anche allora non si andasse troppo per il sottile. John Rolfe era del resto il primo coltivatore di tabacco in Virginia, attività che avrebbe avviato il risanamento economico della colonia. L'adirato Powhatan diede il suo consenso e inviò tre suoi parenti - come suoi rappresentanti - al matrimonio che fu celebrato con grande sfarzo nell'aprile del 1613. Poco prima Pocahontas era stata battezzata con il nome di Rebecca, un nome ben poco altisonante. Nel 1616 la coppia fece un viaggio in Inghilterra. Dale designò un successore e viaggiò con loro e così anche alcuni parenti di Pocahontas. Naturalmente in Inghilterra la principessa si trovò al centro dell'interesse! John Smith, inoltre, scrisse alla regina Anna elogiando i meriti di Pocahontas che fu quindi ricevuta in udienza dalla regina. L'arcivescovo di Londra organizzò per lei un festoso benvenuto e i pittori a corte fecero di tutto per ritrarla. Incontrò anche John Smith, sua vecchia conoscenza, che ora chiamava "padre". Quando quest'ultimo non volle accettare questo appellativo, poiché in fin dei conti si trattava della figlia di un re, ella rispose:

Allora, quando venisti nella terra di mio padre spaventando tutta la sua gente, tranne me, non ti sei intimorito e ora ti spaventi se ti chiamo padre? Ti dico che lo voglio e voglio che tu mi chiami figlia e per questo desidero essere sempre ed eternamente tua pari.

John Rolfe insegnò a sua moglie la lingua inglese e la istruì per tutte le cose importanti della vita di società. Si racconta che Pocahontas, quanto a comportamento, non fosse inferiore ad alcuna lady inglese. La sua felicità fu completa quando partorì un figlio che fu battezzato con il nome di Thomas. Nella primavera del 1617, la giovane famiglia decise di tornare in Virginia, ma poco prima Pocahontas si ammalò di vaiolo, contro cui, come indiana, non aveva alcuna resistenza. Morì l'11 aprile di quell'anno e fu sepolta nella chiesa di Gravesend. Nel registro della chiesa di Gravesend si legge la seguente registrazione:

II 2 maggio 1616, Rebecca Wrothe, moglie del gentiluomo Thomas Wroth, una signora nata in Virginia è stata sepolta sotto questa lapide.

Suo figlio Thomas rimase in Inghilterra e fu allevato da suo zio Henry. John Rolfe tomo in Virginia e divenne un alto funzionario a Jamestown. Alcuni anni dopo anche Thomas Rolfe andò nella patria di sua madre e divenne comandante di Fort James, sul fiume Chickahominy. Vi portò censo e ricchezza. Una delle più distinte famiglie americane, i Randolph, fanno risalire a lui la propria discendenza e si mostrano sempre fieri di Pocahontas, la loro capostipite indiana. Un anno dopo la scomparsa di sua figlia, morì anche Powhatan. Fino all'ultimo era riuscito ad evitare conflitti con i bianchi. Gli successe Opechancanough che cominciò a diffidare sempre di più dei bianchi, che continuavano ad espandersi. Il 1° aprile 1622 li attaccò e ne uccise più di trecento ma fu ripagato con uno spaventoso massacro al fiume James. Il vecchio capo dissotterrò ancora l'ascia di guerra nell'anno 1644, ottenendo all'inizio anche dei successi, ma fu poi fatto prigioniero e trascinato a Jamestown. Qui i vincitori assetati di vendetta lo chiusero in una gabbia e lo esposero al dileggio della plebaglia bianca e qui, l'eroe di guerra, ormai novantenne, trovò una morte umiliante che certamente non meritava. Così la potenza della Confederazione dei Powhatan si era dissolta. Di queste tribù, una volta potenti, rimane oggi ben poco, per lo più meticci, risultato dell'incrocio con i neri. Devono ringraziare in buona parte Pocahontas, la bella figlia del loro re Powhatan, se il loro nome non è stato completamente dimenticato.


 

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D "Indiani d'America"

sabato 20 marzo 2010


La canzone di Bernard de Ventador potrebbe essere stata scritta intorno al 1170, che non è una data certa ma trova riscontro con altri testi che sono stati argomentati dagli studiosi.

Bernard de Ventador è un poeta che opera tra la fine degli anni '40 del XII secolo e i primi anni '70. Sulle circa 40 poesie conservate quelle che contengono elementi di datazione sono molto poche.

Per tutti i testi degli autori provenzali non è sempre banale dare delle data è facile per opere più tarde (1600/1700) che sono a stampa e con usi più consolidati di apporre la data.

I poeti provenzali hanno molta documentazione, ma non così capillare. In quei tempi le cronache ne parlano se uno è un conte o un re perché esistono atti del regno o della signoria.

Guglielmo IX duca di Aquitania conosciuto anche come VII conte di Poitiers è noto in tutte le cronache dal momento perché è un grande signore feudale della stessa importanza del re di Francia. E' nato nel 1070 e morto nel 1126. Si tratta del primo trovatore noto della storia della poesia provenzale, è il primo autore databile e documentato di cui si hanno testi.

Cosa controversa è se Guglielmo IX sia l'iniziatore della poesia trobadorica oppure se sia solo il primo documentato e quindi esistano trovatori anche di una generazione precedente.

La controversia è importante nello studio della storia della poesia lirica trobadorica.

Uno studioso tedesco di nome Erich Köhler sostiene che la poesia dei trovatori è espressione della picola nobiltà dei senza terra, per cui Guglielmo IX non potrebbe esserene il primo esponente. E' molto più interessante sostenere che esista una generazione precedente di trovatori.

Guardando le poesie di Guglielmo IX, che comunque non è un poeta isolato nel suo tempo, si nota che i generi poetici non erano tanto fissati, Guglielmo IX scrive in varie direzioni e solo alcuni generi si radicano quindi è pensabile che appartenga a un momento storico in cui si crea una tradizione di poesia cantata in una lingua che accoglie elementi dei vari dialetti del sud della Francia meridionale. Le poesie che gli sono attribuite pur non essendo facilmente databili sono riferibile agli anni precedenti al 1126.

Di altri autori invece non si sa quasi nulla se non una serie di informazioni su testi in prosa che si trovano nella antiche antologie manostritte.


 

Da dove vengono i testi delle poesie dei trovatori?

I testi dei trovatori erano canzoni fatti quindi per essere cantati. In seguito si differenziano in generi vari e canzone diventa specificatamente una poesia di contenuto prevalentemente amoroso o un sirventese cioè una poesia politica di occasione o di attualità.

Dal punto di vista della loro presentazione sono testi che si cantano. Ma sono anche scritti perché la tradizione trobadorica è una tradizione anche scritta, certamente gli autori scrivevano le loro opere infatti esistono miniature che rappresentano un trovatore con un rotolo in mano, inoltre le composizioni sono abbastanza elaborate, si nota il lavoro di limatura del testo.

Per le prime stesure venivano usate probabilmente tavolette cerate. Poi i testi venivano copiati o fatti copiare da qualcuno che fosse un professionista della penna su un rotolo di pegamena. L'arte dello scrivere non era nel medioevo un'arte così immediata.

Sul rotolo di pergamena poteva anche essere scritta la musica. Di questa fase della tradizione trobadorica non ci è pervenuto niente.

Abbiamo una cosa che ci fa pensare al fatto che ci fosse anche scritta la musica e al modo come giravano le poesie dei trovatori che ci viene dalla poesia galego-portoghese. Poesia cantata che si sviluppa un po' più tardi, alla fine del XII secolo e soprattutto nel XIII, nelle corti dalla Castiglia al Portogallo sull'esempio della poesia dei trovatori, nella corte di Alfonso X, il saggio.

La Catalogna dal punto di vista della poesia è provenzale.

Dalla scuola galego-portoghese (pieno sec XIII) ci è rimasto un rotolo che contiene alcune poesie (7 canzoni) di Martin Codax (si pronuncia Còdasc o Codàsc) trascritte con la melodia, la notazione musicale non da il ritmo e va molto interpretata. Le trascrizioni moderne dei trovatori hanno un largo margine ipotetico interpretativo.

Il trovatore compone su supporti che non ci sono arrivati poi o lo copia, o lo detta, su pergamena per darlo a chi lo canta.

Può anche cantare lui stesso, infatti nel XII e XII secolo ci sono una serie di poeti e trovatori, che si potrebbero chiamare dilettanti, che appartengono alla nobiltà: Guglielmo IX, Rainbaut d'Aurenga (d'Orange) morto nel 1173 una delle poche date sicure per definire una cronologia.

(Di Girolamo 1989, I trovatori, Bollati Boringhieri - saggio che parla di Rainbaut.)

Un altro poeta che si può considerare un dilettante è Folchetto di Marsiglia (Folquet de Marselha) citato nella Divina Commedia IX canto del Paradiso. Di origine genovese figlio di un mercante di genova che si chiamava Anfoss. Frequentava la corte di Marsiglia, attivo negli ultimi veti anni del XII sec.

Poi ci sono i poeti professionisti, autori che frequentano le corti nelle quali in quel tempo è di moda la rappresentazione della poesia lirica. Vengono ricompensati non tanto col denaro ma con doni di vario tipo: abiti, cavalli ecc. oltre al mantenimento nella corte.

Si parla di trovatori e giullari.

Il trovatore è un autore di testi e di musica.

Il giullare è nome generico di un professionista dello spettacolo che può avere tante specializzazioni, dalle esibizioni di carattere circense fino alle declamazionidi poesia lirica e epica. Quest'ultima più sulla piazza che nella corte.

Sia i trovatori che i giullari probabilmente avevano con loro un bagaglio di fogli e pergamente con il loro "repertorio". E' in questo modo che i testi hanno circolato anche se nessuno di questi è arrivato fino ai nostri giorni. La tradizione è molto confusa, non è lineare, ci sono errori di copiatura, i copisti tendono a sovrapporre le loro abitudini grafiche in modo spesso incoerente introducendo proprie abitudini grafiche e fonetiche, oppure rimaneggiano il testo.


 

Le tradizioni quindi possono essere anche abbastanza complesse. A noi possono essere arrivati numerosi manoscritti, come invece uno solo come è avvenuto per Il fiore poemetto del tardo '200 di cui se ne possiede una sola copia e che molti sostengono sia di Dante. Si tratta di un rifacimento breve in italiano, in versi nella tipologia del sonetto, del Roman de la rose. grande poema francese scritto da due autori a distanza di circa 40 anni uno dall'altro tra il 1230 e il 1270. Di questa opera non esiste una edizione italiana leggibile tranne la prima parte (i primi 4000 versi). Si tratta di un romanzo allegorico.


 

La critica del testo è il lavoro di indagine per cui si esaminano i manoscritti pervenuti per capire che cosa ha davvero scritto l'autore ponendosi della domande.

Per quanto riguarda la poesia dei trovatori c'è molta confusione perché non c'è all'origine un libro, quindi una struttura organica dei testi, mentre alla fine ci sono dei libri. I fogli che in un primo tempo circolavano sparsi hanno dato luogo a delle raccolte.


 

- Raccolte d'autore probabilmente riunite dal poeta stesso.

Conosciamo quella di Guiraut Riquier detto anche l'ultimo dei trovatori, che è possibile individuare perché in una antologia è citato espressamente Questo è il libro di Guiraut Riquer. Il suo ultimo testo databile è del 1292.

Di Pere Vidal, fine del 1100 non abbiamo un libro ma da una ricostruzione da cui si può dedurre che alcune sue poesie derivano da un libro strutturato dall'autore.

Di Johan Esteve, contemporaneo di Pere Vidal, poeta minore sembra che in una antologia sia contenuto un suo libro.

- Raccolte di uno stesso autore però messe insieme non dall'autore stesso.


 

- Antologie. Ai nostri giorni sono arrivati circa 2500 testi trobadorici riorganizzati in antologie.

Nel '200 si cominciano a mettere insieme raccolte antologiche, generalmente organizzate per autore in ordine di importanza o interesse. Poeti collocato all'inizio di molte raccolte sono:

Peire d'Alvernhe (Pietro d'Alvernia), poeta della metà del XII secolo, poeta delle prime generazioni.

Folchetto di Marsiglia.

Giraut de Borneil, grande professionista attivo dalla fine degli anni '60 fino alla fine del secolo.


 

Alcune antologie o canzonieri sono ordinati per generi fondamentali: canzoni, sirventesi, tenzoni. La sezione delle canzoni a sua volta ordinata per autori.


 

Le antologie si scrivono soprattutto nei paesi in cui la poesia trobadorica era apprezzata, per es. nel nord Italia dove nel '200 c'erano corti paragonabili a quelle del sud della Francia in cui veniva svolta attività culturale come i marchesi di Monferrato, Malaspina o Treviso e dove sono confluiti molti trovatori dopo la Crociata contro gli albigesi negli anni 1209-1229 che portano all'assorbimento del sud della Franca da parte del regno di Francia.

La Provenza inizialmente gravitava più verso la Catalogna. I conti di Provenza erano della stessa famiglia dei conti di Barcellona fino alla fine del XII sec. Inizi XIII.


 

Nella prima pagina della canzone di Bernard de Ventador della edizione Appel sono elencati i manoscritti in cui era collocato il testo.

I manoscritti sono indicati con delle lettere che rimandano ad una lista che dopo Appel è confluita nella Bibliografia dei trovatori di Pillet e Carstens. Opera del 1933 che contiene l'elenco dei manoscritti e l'elenco dei testi dei trovatori. Reperibile anche in rete sulla Bibliografia elettronica dei trovatori curata da Stefano Asperti (www.bedt.it ad accesso libero e gratuito).

La ricerca può essere effettuata in vari modi:

per autore, per numeri.

Il numero della 'lauzeta' è 70 (numero autore sul repertorio di Pillet-Carstens) 43 (numero del testo, schedati in ordine alfabetico del primo verso con oscillazioni che derivano dalla variazione della scrittura -can o quan-).

Una volta trovato il testo ricercato, si può vedere lo schema metrico e tutti i dati.


 

I canzonieri sono schedati nelle bibliografie e vengono citati col nome della biblioteca compresa la città dove si trova. Quando si studia una tradizione si usano delle sigle uguali per tutta la poesia trobadorica.


 

La lettera quindi indica il manoscritto il numero indica la carta o pagina, tra parentesi il rinvio al numero di una edizione diplomatica. Ci sono poi indicazioni accessorie: per es. nel manoscritto F22 c'è soltanto la strofa 7.


 

Una volta che l'opera di un autore è stata individuata in una antologia occorre stabilire se i testi è stato copiati da un unico libro o da più libri oppure da fogli sciolti e capire come sono stati formati, cioè da dove il copista ha tratto i testi e confrontarli con altri testi di un'altra antologia.

Capire come si sono intrecciate le tradizioni è abbastanza complesso. Una edizione deve spiegare quale interpretazione della tradizione è stata seguita. Da una edizione all'altra si potrebbe anche verificare una interpretazione della tradizione diversa anche se i manoscritti sono gli stessi perché si da per ragionevole che ogni testo possa avere una tradizione diversa, all'inizio addirittura orale.

Quando si parla di oralità nella tradizione si intendono due cose:

- la prima che qualche testo sia stato interamente trascritto a memoria

- la seconda è che la memoria abbia influito nel momento della copiatura interferendo nella percezione del testo scritto.