domenica 27 febbraio 2011




Il ritorno in Italia: dal processo al rogo

«Da Francoforte, invitato, come ho detto nell'altro mio constituto, dal signor Zuane Mocenigo, venni setto o otto mesi sono a Venezia. Io non tengo per nimico in queste parti alcun altro se non il signor Gioanni Mocenigo et altri suoi seguaci et servitori, dal quale son stato più gravemente offeso che da homo vivente; perché lui me ha assassinato nella vita, nello honore et nelle robbe, havendomi lui carcerato nella sua casa propria et occupandomi tutte le mie scritture, libri et altre robbe» [Sesto costituto del Bruno (Venezia, 4 giugno 1592)].
Rientrato a Venezia, ospite del Mocenigo, che lo denuncia, Bruno viene arrestato e portato nelle carceri di San Domenico di Castello.
«Dixit quod non debet nec vult resipiscere, et non habet quid resipiscat, nec habet materiam resipiscendi, et nescit super quo debet resipisci» [Visita dei carcerati nel Sant'Uffizio Romano. Minuta (Roma, 21 dicembre 1599)].
Nel suo ultimo costituto Bruno dichiara di non voler ritrattare perché non ha di che pentirsi.
La sentenza viene letta pubblicamente, alla presenza dei testimoni e della Congregazione del Santo Uffizio: «Dicemo, pronuntiamo, sententiamo et dechiariamo te, fra Giordano Bruno predetto, essere heretico impenitente, pertinace et ostinato, et perciò essere incorso in tutte le censure ecclesiastiche et pene dalli sacri Canoni, leggi et constitutioni, così generali come particolari, a tali heretici confessi, pertinaci impenitenti, pertinaci et ostinati imposte; et come tale te degradiamo verbalmente et dechiariamo dover esser degradato, sì come ordiniamo et comandiamo che sii attualmente degradato da tutti gl'ordini ecclesiastici maggiori et minori nelli quali sei constituito, secondo l'ordine dei sacri Canoni; et dover essere scacciato, sì come ti scacciamo, dal foro nostro ecclesiastico et dalla nostra santa et immaculata Chiesa, della cui misericordia ti sei reso indegno; et dover esser rilasciato alla Corte secolare, sì come ti rilasciamo alla Corte di voi monsignor Governatore di Roma qui presente, per punirti delle debite pene, pregandolo però efficacemente che voglia mitigare il rigore delle leggi circa la pena della tua persona, che sia senza pericolo di morte o mutilatione di membro» [Copia parziale della Sentenza, destinata al governatore di Roma (Roma, 8 febbraio 1600

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