mercoledì 2 febbraio 2011


SIBILLA ALERAMO

Il 14 agosto 1876 nasce ad Alessandria la scrittrice e poetessa italiana Rina Faccio, conosciuta con lo pseudonimo di Sibilla Aleramo. Si stabilisce con la famiglia a Civitanova Marche, dove con matrimonio riparatore, sposa a quindici anni un giovane del luogo. Nel 1901 abbandona marito e figli iniziando una nuova vita. Comincia a scrivere su Vita Moderna e su altre riviste per un pubblico di donne.

Una donna, il suo primo romanzo di stampo fortemente autobiografico viene pubblicato nel 1906. Collabora a riviste filosocialiste; si iscrive all'Unione Femminile Internazionale, operando in numerose iniziative di carattere assistenziale. Conclusa una relazione sentimentale con il poeta Damiani, si lega a G.Cena ma, dopo la crisi con quest'ultimo, inizia una vita errabonda che la avvicina a Milano e al movimento Futurista, a Parigi e ai poeti Apollinaire e Verhaeren, infine a Roma, dove conosce Grazia Deledda.

Durante la prima guerra mondiale incontra il poeta Dino Campana e con lui inizia una relazione complessa e tormentata. Negli anni '20 pubblica in Italia diverse raccolte di liriche, e aderisce al manifesto antifascista degli intellettuali promosso da Croce. Comincia a scrivere un diario che terrà fino alla morte. Al termine della seconda guerra mondiale si iscrive al PCI e si impegna intensamente in campo politico e sociale. Collabora, tra l'altro, all'"Unità" e alla rivista "Noi donne". Muore a Roma nel 1960, dopo una lunga malattia.


UNA DONNA

Romanzo di Sibilla Aleramo (pseud. di Rina Faccio, 1876-1960), pubblicato nel 1906.

Sotteso da una evidente filigrana autobiografica, il romanzo, il primo e più importante dell'A., è la sofferta testimonianza del ruolo cui è storicamente condannata la donna e del travaglio interiore vissuto per approdare al recupero della propria dignità sociale e culturale. Al di là della prosa così tipicamente e mollemente ottocentesca, il contenuto violentemente polemico mette in discussione tutte le strutture sociali, fondate unicamente sull'ipocrisia, di una cittadina dell'Italia meridionale, scossa dall'evidenziarsi di nuovi programmi civili e politici, che diventa, ben presto, il microcosmo simbolico dell'intera società.

La protagonista, quasi fatalmente condannata a ripercorrere la parabola già vissuta dalla madre, impazzita, dopo un tentato suicidio, per l'impossibilità di sopportare le vessazioni e i tradimenti cui la sottopone il marito, il destino, cioè, che concatena i ruoli di figlia, moglie sottomessa e madre sacrificata, giunge attraverso un travagliato contatto con il mondo culturalmente attivo di Roma, alla propria sofferta liberazione. Trasferitasi bambina con la famiglia nel meridione, dopo aver dovuto interrompere gli studi, diventa la segretaria del padre nella fabbrica di questi e vive guardata con diffidenza dalla gente per la sua intraprendenza e la sua autonomia. Ben presto alla figura del padre vengono riconosciuti tutti i difetti e i limiti che le sono reali; si tratta, per la ragazza, quasi di un trauma acuito dal cambiamento che la vita le impone: il matrimonio con un giovane non amato, tipico esponente del tradizionalismo dell'ambiente. Ogni momento della sua vita è catalizzato, così, dalla presenza di un uomo: dapprima il padre, a torto ritenuto, in ogni frangente, il migliore; poi il marito, essere squallido e opportunista, che la sposa dopo averla stuprata e che continua a violentare, per tutti gli anni del matrimonio, la sua interiorità, la sua personalità, la sua sessualità; e infine il figlio, un bambino al quale è così profondamente legata da accettare per lui, per molto tempo, una vita che non è e non può essere la sua. Il trasferimento nella grande città, reso necessario dall'instabilità economica della famiglia, e la ripresa del lavoro che la mette a contatto con persone idealmente e culturalmente attive, realizzano il distacco anche intellettuale da quel mondo chiuso.

Si attua, in questo modo, una drammatica presa di coscienza della nuova realtà e si oggettiva il grande lavoro da compiersi: "Femminismo! Organizzazione di operaie, legislazione del lavoro, emancipazione legale, divorzio, voto amministrativo e politico... Tutto questo, si, è un compito immenso, eppure non è che la superficie: bisogna riformare la coscienza dell'uomo, creare quella della donna!" La vita con il marito, a questo punto, si è resa materialmente impossibile e il conseguente forzato distacco dal figlio viene accettato per l'impulso alla rivolta che lei, figlia, sente.

Attorno al personaggio centrale della donna, ruota una serie di figure corpose, delineate con realismo e acutezza psicologica: uomini come il medico o il dongiovanni di provincia, entrambi portavoce, anche se in maniera diversa, del grigiore meridionale, o come il filosofo, la cui personalità, al tempo stesso problematica ed eterea, influenza il cambiamento della protagonista, e figure di donne, passivamente oppresse o vivacemente attive. Viene tracciata così l'immagine di una società in cui la repressione sessuale, violenta o subdola mente infiltrata, è l'elemento più evidente e più tormentoso: proprio per il ritratto realistico offerto, il romanzo della A. coinvolge ideologica mente ancor oggi per l'imprevedibile modernità del discorso.

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