sabato 18 dicembre 2010
DUPLICITA’ DI LEDA
Leda Rafanelli, 1880-1971, anarchica individualista e musulmana. Intervista a Alessandra Pierotti.
Alessandra Pierotti ha portato a termine un dottorato di ricerca in “Storia delle scritture femminili” presso l’Università La Sapienza di Roma, discutendo una tesi su Leda Rafanelli.
Scrittura e vita vissuta si intrecciano strettamente nell’esperienza di Leda Rafanelli. Per prima cosa, potresti tracciarne il profilo biografico?
Nel panorama del ’900 italiano Leda Rafanelli (1880-1971) è una protagonista anomala e originale. La sua esperienza umana e quella intellettuale si collocano in un arco cronologico molto ampio che comprende avvenimenti della storia politica e culturale italiana che vanno dalla fine dell’800 sino ai primi anni ’70 del ’900. Leda Rafanelli comincia infatti a scrivere come pubblicista e bozzettista negli anni fin de siècle e nel 1905 pubblica il primo romanzo, proseguendo costantemente la sua attività di scrittura fino al 1971, anno della morte. Rafanelli non è isolata, ma appartiene a un nutrito gruppo di scrittrici che operano tra i due secoli, animate dalla spinta alla modernizzazione e all’emancipazione. Attiva all’interno del movimento anarchico, Leda partecipa, attraverso una scrittura in cui passione politica e tensione letteraria sono fortemente connesse, alla formazione di quella “donna nuova”, che la società ormai richiede. Il modello femminile da lei proposto, attraverso la scrittura e la vita, è quello della donna fuori dagli schemi, impegnata in ambito politico e sociale, totalmente libera, e di una libertà che le consente di essere nello stesso tempo anarco-individualista e fedelmente islamica, di sentirsi dunque consapevolmente “duplice”.
Nata a Pistoia, opera nell’area toscana e poi in quella milanese. Durante la sua giovinezza trascorre anche qualche tempo in Egitto. Questo soggiorno le permette, da un lato, di approfondire il suo legame “innato” con l’Oriente (“Ho sangue arabo nelle vene: mio Nonno materno era figlio di uno Zingaro Tunisino .... Fin da bambina ho sempre detto, con ferma convinzione, che ‘ero nata millenaria’”) convertendosi all’islamismo, dall’altro di intrattenere contatti con alcuni gruppi anarchici. In Egitto, infatti, in quegli anni, opera il gruppo di anarchici che ruota intorno alla “Baracca Rossa” (luogo d’incontro di molti, tra i quali Enrico Pea), con cui Leda entra in contatto, assistendo alle persecuzioni contro alcuni del gruppo, accusati, in realtà ingiustamente, di aver progettato un attentato contro il Kaiser Guglielmo II, in visita in quelle zone.
Tornata in Italia, Rafanelli si stabilisce a Firenze dove, frequentando la Camera del Lavoro, ha occasione di incontrare alcuni degli ultimi superstiti della Prima Internazionale, quali Giuseppe Scarlatti e i coniugi Pezzi, e di ritrovare Luigi Polli, giovane anarchico conosciuto in Egitto, che nel 1902 diverrà suo marito. Si tratterà, in realtà, di un “matrimonio bianco” tra due amici e compagni di lotta. Luigi e Leda fondano la ditta Rafanelli-Polli, una casa editrice che si occupa della stampa di opuscoli anarchici, rifornendo di nuovi testi e nuova linfa la propaganda del movimento. In questa fase della sua vita, Rafanelli è particolarmente attiva sul piano delle lotte sociali, come documentano gli articoli da lei scritti, dai toni fortemente polemici, e le prime segnalazioni da parte della polizia. In concomitanza con la fervente produzione di opuscoli e articoli, Leda inizia anche a sperimentare tipologie di scrittura più complesse e comincia a pubblicare romanzi, racconti e bozzetti ispirati alla protesta sociale. Per l’editore fiorentino Giuseppe Nerbini escono, ad esempio, numerosi scritti tra i quali Un sogno d’amore (1905), opera con cui Rafanelli inizia a confrontarsi con il genere romanzesco.
In quegli anni di inizio ’900, Leda conosce il tipografo aretino Giuseppe Monanni, fondatore a Firenze di “Vir”, rivista che si fa portavoce della nuova tendenza anarco-individualista, verso la quale anche lei ben presto si volge. Dal 1909 Rafanelli si trasferisce con Monanni a Milano, città molto attiva politicamente e culturalmente già dalla fine dell’800, con le sue iniziative editoriali, la proliferazione di testate giornalistiche e la presenza operosa delle donne. In contatto con il gruppo anarco-individualista milanese (guidato da Ettore Molinari e Nella Giacomelli, e riunito intorno ai giornali “Il grido della folla” e “La protesta umana”), Leda intensifica la propria attività di propaganda e contribuisce a promuovere la Società Editoriale Milanese (più tardi Casa Editrice Sociale). A Milano, Rafanelli e Monanni dirigono “La protesta umana” e, nello stesso tempo, continuano la loro esperienza autonoma dando vita alla rivista “Sciarpa nera” (1909), successivamente affiancata, nella propaganda di temi anarco-individualisti, dal settimanale “La questione sociale”. Rafanelli trova il tempo anche per proseguire il suo lavoro letterario, nel quale riformula, con modelli diversi, il proprio intento propagandistico.
A partire dagli anni ‘20 e ‘30, la scrittrice (sia per effetto della politica fascista, che per ragioni di natura privata) inizia a condurre vita ritirata. La sua vena narrativa, comunque, non si esaurisce e Leda si orienta in prevalenza verso racconti per ragazzi o articoli di ricordo. Il desiderio di raccontare il proprio passato spinge Rafanelli ad adottare una modalità narrativa basata sulla memoria autobiografica. Sul piano della vita privata Rafanelli attraversa numerose situazioni di sofferenza: dopo la morte dei genitori, arriva la tormentata separazione con Giuseppe Monanni e, nel 1944, la morte del suo unico figlio, Marsilio, avuto dallo stesso Monanni.
La ricostruzione dell’intero percorso intellettuale evidenzia dunque, nell’arco temporale compreso tra l’inizio del ’900 e i primi anni ’70, un passaggio da una scrittura apertamente propagandistica, o comunque segnata da una intenzione politica, a uno stile più intimistico, del ricordo, che lascia intravedere, talvolta, sullo sfondo l’antica passione politica, segno evidente di una continuità di pensiero e di tensioni nella sua esperienza.
In un testo rimasto inedito dedicato a Pietro Gori, una delle figure più carismatiche del movimento anarchico tra ’800 e ’900, Rafanelli scrive “Io sono una irregolare anche nei ricordi”...
Il nucleo intorno al quale Rafanelli sembra radicare la scrittura memoriale elaborata a partire dagli anni ’50 (cioè la sua ultima produzione) è il racconto della storia del movimento anarchico. Si tratta della narrazione di una storia che lei stessa ha vissuto e che sente l’esigenza di fissare sulla carta, riattraversandola, rielaborandola tramite il filtro della propria memoria. Ma procediamo con ordine.
L’inizio della produzione letteraria di Rafanelli si colloca, come detto, nel passaggio tra ’800 e ’900, e risente della poetica verista (“Sono una seguace della letteratura verista, e non amo descrivere che quello che ho veduto e quanto ho provato”). Gli inizi sono quindi legati alla scrittura di bozzetti destinati alla pubblicazione sulle riviste anarchiche, che confluiscono poi in raccolte, oppure sono riediti sotto forma di opuscoli. La centralità del genere bozzettistico rappresenta in quegli anni l’esplicita dichiarazione di una poetica agganciata alla realtà e di una precisa concezione della scrittura come “veicolo di propaganda” dell’ideologia anarchica. Basti ricordare in questo senso la raccolta dei Bozzetti sociali, usciti in due edizioni (1911 e 1921), emblematico esempio, nel percorso intellettuale di Rafanelli, di scrittura breve con intento propagandistico e documentario.
In questa raccolta Leda Rafanelli affronta temi legati al sociale partendo dalla presentazione di personaggi, situazioni, luoghi, condizioni, tratti dalla realtà più umile. Nella prefazione alla prima edizione, l’autrice spiega la scelta del “bozzetto sociale” con queste parole: “Il bozzetto sociale riflette in poche pagine d’impressioni sentite e di sensazioni vissute, i multiformi aspetti della vita moderna”. Attraverso la brevità del bozzetto l’autrice può dunque cogliere più facilmente le numerose sfaccettature del reale, la molteplicità di situazioni in cui esso si articola, rendendo così più efficace la denuncia dei mali sociali contro i quali intende lottare. Personaggi minori, “esseri che il romanziere non vede, che lo storico non conosce, perché nessuna caratteristica li differenzia dalla folla nella quale si agitano”, divengono eroi, protagonisti, vittime di storie di vita quotidiana, strumenti di denuncia dei mali sociali, esempi per stimolare alla ribellione.
La funzione della scrittura come strumento di propaganda trova chiaramente, in questa opera, il suo luogo ideale. Tutti i personaggi ritratti sono cioè funzionali all’esposizione delle idee anarchiche dell’autrice, utilizzati come esempi appositamente selezionati per porre in risalto ciò che della società deve essere cambiato. La scrittrice evita di dare nomi ai personaggi ritratti (oppure usa quasi sempre gli stessi) e non specifica mai le date.
Questa, dunque, la forma di rappresentazione adottata per la storia e per la realtà di quegli anni: siamo nel primo Novecento, nel pieno dell’età giolittiana, periodo di grande attivismo politico, di forte impegno nella lotta sociale, anche da parte di Rafanelli.
Raramente nei Bozzetti sociali l’autrice lascia spazio al ricordo: nei pochi bozzetti in prima persona (soltanto cinque su cinquantanove) la dimensione memoriale sfuma immediatamente nella rappresentazione-denuncia dei mali della società presente o nella critica, a volte severa e spietata, verso coloro che sono incapaci di ribellarsi e lottare.
Col passare del tempo il gusto “bozzettistico” di sapore verista, teso alla rappresentazione della realtà così come si presenta allo sguardo dell’autrice nel momento della scrittura, si contamina in modo sempre più consistente con il genere memoriale-autobiografico. Ho sempre pensato alla vita di Rafanelli come fosse divisa in due fasi: la prima di propaganda intensa, legata al rapporto con Monanni, e la seconda contraddistinta da una maggiore maturità esistenziale che si caratterizza per una scrittura più intimistica, legata ai ricordi. Questo passaggio avviene in seguito alla prima guerra mondiale (“gli orrori imprevisti della prima Guerra Mondiale”, secondo le sue parole) e poi negli anni del fascismo (a causa delle “vili oppressioni” del regime di Mussolini). Su questo mutamento devono avere inciso -l’ho già accennato - anche avvenimenti legati alla sfera privata di Rafanelli, come la morte del padre (nel 1916) e soprattutto della madre (avvenuta nel 1919).
Nella raccolta di novelle Donne e femmine del 1922 è possibile rilevare tracce di questo passaggio dall’impegno pubblico alla dimensione privata. La lettura delle novelle che compongono l’opera consente di percepire un cambiamento della sua scrittura verso una dimensione più intimistica, più legata alla sua passione per il mondo orientale, più assorta e tesa al recupero memoriale, non più spiccatamente propagandistica. Proprio nei ritratti delle donne che Leda ha conosciuto direttamente e ha stimato (Luisa Pezzi e Nella Giacomelli, ad esempio) è da ricercarsi il precedente letterario più vicino ai racconti che ritraggono compagni anarchici, elaborati da Rafanelli nell’ultima fase della sua vita. Questi ultimi saranno pubblicati, negli anni ’60, su “Umanità nova” e “L’adunata dei refrattari”, o rimarranno inediti (come quello dedicato a Pietro Gori).
Prossima al tramonto, l’anziana scrittrice, ormai lontana dall’impegno attivo all’interno dello schieramento anarchico, dà così il suo contributo di ricordi attraverso i quali rielaborare e riscrivere la storia del movimento anarchico, una storia che si frantuma nella storia di tanti individui e nella propria storia.
Ciò che sorprende in Leda Rafanelli è il sentirsi così libera da essere nello stesso tempo anarchica e musulmana...
Leda è una donna interna al movimento anarchico, sostenitrice anzi di un deciso anarco-individualismo, che è per lei un modus vivendi e non solo una militanza politica. Leda è sempre “contro-corrente”, libera, svincolata da regole predefinite. L’origine di questo suo sentimento di libertà è da ricercarsi negli anni della formazione. Ricordando il suo lavoro giovanile in tipografia, scrive ad esempio: “Oh, la carta stampata! Ha riempito, orientato tutta la mia Vita! Lavoro duro, però, poi che di subito -per le mie capacità e la mia naturale intelligenza, fui tolta ai lavori manuali dei garzoni, e adoprata ‘alla cassa’, come compositrice. Riuscii delle migliori, poi che quel lavoro mi piaceva, leggendo sempre, correggendo le bozze di stampa e cercando in tutti gli ‘scarti’ ed i ‘sotto-pagina’ sempre qualcosa da leggere, specie quando erano articoli di un giornaletto socialista, che veniva stampato saltuariamente, e spesso sequestrato. ... Eravamo giovani, sinceri, entusiasti, anche ‘romantici’, di quel sano, sincero, ardente entusiasmo, che ho sempre avuto in me”.
La fase della giovinezza, da lei tematizzata nella scrittura, è sempre collegata a un particolare luogo, la tipografia, luogo della formazione personale ma, soprattutto, punto nevralgico di convergenza del mondo anarchico.
Attorno alle pubblicazioni delle testate giornalistiche si organizzano i molteplici gruppi che animano l’eterogeneo movimento anarchico. Sia le piccole attività di stampa, sviluppate in clandestinità, sia quelle di maggior ampiezza, finalizzate a un lavoro editoriale a più larga diffusione, come l’esperienza della Casa (poi Libreria) Editrice Sociale, presuppongono un luogo tipografico d’origine, centro di incontri, di relazioni, di scambi. Nella rielaborazione scritta dei propri ricordi giovanili, Rafanelli fa così coincidere la sua prima occupazione presso la tipografia pistoiese con la scoperta del proprio anarchismo.
Presto, come già sappiamo, Leda lascia Pistoia per raggiungere Firenze, dove entra in un determinato clima e ambiente, quello fiorentino del primo decennio del ‘900, fitto di scambi, di relazioni culturali e politiche, punto di origine di fermenti innovatori. Leda scrive a questo proposito: “Abitavo ancora a Firenze, e dovevo andar via anche di là, quando Pietro Gori venne a cercarmi a casa mia. Io, in quei giorni, ero assente, e Lui fu ricevuto dai miei genitori, ed ebbe -naturalmente- amichevole accoglienza, come usavano fare con tutte le mie conoscenze, anche le più strane: Compagni che venivano dall’estero, o che erano allora dimessi dal carcere. Io ho avuto, anche in questo, la completa solidarietà della comprensione della famiglia mia. ... Da me, a Firenze, avevano alloggiato, nei loro viaggi di propaganda, Luigi Fabbri, la sua dolce cugina Bianca -che fu poi la sua compagna- ed il caro Ezio Bartalini. Pietro si ritrovò in famiglia”. Emerge da queste parole un breve schizzo della Firenze animata dalla cultura critica anti-giolittiana.
Tu scrivi che, ad uno sguardo complessivo sulla produzione letteraria di Leda Rafanelli, emergono tre nuclei tematici dominanti: il privato, la storia, il femminile. Mi sembra che, fino ad ora, l’ultimo sia rimasto in ombra nella nostra conversazione.
Negli anni successivi alla Grande guerra, l’immagine femminile ribelle e rivoluzionaria della prima produzione narrativa inizia ad essere sostituita dal modello “orientale”, immagine di donna dedita all’amore, capace di obbedienza e sottomissione. Un cambiamento non facile da spiegare. Interrogandosi su quale sia stato esattamente il percorso che ha condotto Leda ad aderire al mito della donna araba, si può utilizzare come chiave di lettura il procedimento di commistione tra letteratura e vita, sempre attuato dall’autrice nella sua scrittura letteraria. Appare allora evidente come le prime esperienze di scrittura di Rafanelli (i romanzi Un sogno d’amore, Seme nuovo e L’Eroe della folla e i numerosi bozzetti e opuscoli), fortemente propagandistiche e incentrate su figure di donne rivoluzionarie, corrispondano, sul piano della vita privata, alla tumultuosa fase di fervente attività anarchica (dagli inizi del ’900 fino alla prima guerra mondiale); mentre le opere successive (Incantamento, Donne e femmine, L’Oasi), in cui i toni propagandistici, laddove presenti, appaiono moderati (o mascherati), e il modello di donna araba diviene prevalente, riflettano, sul piano privato, la fase di progressivo allontanamento dalla militanza anarchica attiva.
A segnare il percorso di vita e quello di scrittura di Leda Rafanelli, giocano un ruolo determinante sia gli avvenimenti drammatici che riguardano il piano storico collettivo (le due guerre mondiali e il ventennio fascista), sia le situazioni di sofferenza sul piano privato (le abbiamo già ricordate: la morte del padre Augusto e della madre Elettra Gaetani, e la morte del figlio Marsilio nel 1944, nonché la tormentata interruzione del proprio rapporto con Monanni).
Da questa prospettiva, il mondo orientale e la religione islamica si configurano sempre più, sul piano del privato, come una sorta di rifugio, una via alternativa a un presente inaccettabile. Sul piano storico, il mondo orientale si pone, invece, come alternativa “politica” al mondo e al pensiero occidentali, traducendosi in vera e propria battaglia contro il colonialismo. Una battaglia poi confluita in opere composte in pieno regime fascista (mi riferisco, in particolare, a due titoli: L’Oasi e Vedere il mondo. Avventure di due ragazzi eritrei).
Riguardo all’avversione di Leda Rafanelli per il regime fascista, puoi aggiungere altri elementi?
L’autrice presenta nella sua produzione un’idea di maternità in contrasto con quella prospettata dal regime fascista che mirava a far leva soprattutto sul concetto di maternità come “dovere”. Quando il materno viene interpretato positivamente è inteso, da Rafanelli, come dono d’amore, come atto sacro, mai come dovere. In altri casi, invece, la concezione del materno assume una valenza negativa, divenendo un peso, un dolore, una “catena”: Rafanelli individua, così, nella maternità una schiavitù inesorabile. Nella rappresentazione ambivalente della maternità, luogo dello “specifico” femminile universalmente riconosciuto, la scrittrice trova, dunque, un territorio narrativo utile a proseguire, seppur velatamente, la propria battaglia contro la politica mussoliniana.
Paradossalmente, Leda Rafanelli è nota ai più soprattutto per la breve relazione sentimentale con il rivoluzionario Benito Mussolini...
La relazione amorosa, o intima amicizia, con Benito Mussolini è scandita da quaranta lettere a lei inviate dal futuro capo del fascismo, tra il 1913 e il 1914. Si tratta di documenti che Rafanelli utilizzerà, a distanza di trent’anni, per pubblicare il libro Una donna e Mussolini, edito da Rizzoli nel 1946. Narrazione di sé, ricostruzione biografica della figura di Mussolini, rilettura della storia italiana nelle decisive fasi che precedettero il primo conflitto mondiale, stabiliscono i punti di riferimento dell’intero impianto testuale: l’io-narrante, onnisciente e consapevolmente distante dai fatti narrati (“a distanza di anni rimpiango questo grano d’incenso, bruciato in perfetta buona fede in onore di un uomo ambizioso”), presenta il personaggio Benito Mussolini con un’attenzione particolare volta a mettere in evidenza le sue ambiguità sin dalla fase socialista.
Il testo svolge così una duplice funzione: da una parte segue il percorso privato del protagonista nel suo rapporto con la scrittrice, dall’altra ne delinea il percorso pubblico, ricostruendo con grande precisione le fasi che accompagnarono il suo abbandono della linea neutralista per abbracciare quella interventista.
Attraverso il filtro della rievocazione memoriale del proprio vissuto, Leda rilegge così momenti importanti della storia italiana e della propria vicenda personale, un saldo intreccio tra ridefinizione autobiografico-romanzesca dei ricordi e tensione alla ricostruzione storica.
Il risultato è una combinazione perfettamente riuscita: un’opera valida sia da un punto di vista storico-politico, che da quello più specificatamente letterario.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento