sabato 30 aprile 2011


IL MASSACRO DI GLENCOE

Il massacro di Glencoe è un episodio della storia scozzese, avvenuto il 13 febbraio 1692 nelle strette valli della regione di Glencoe durante la Gloriosa Rivoluzione. Il massacro ebbe luogo contemporaneamente in tre insediamenti differenti: lungo la vallata di Glencoe, a Invercoe, Inverrigan, e Achacon. Nel massacro persero la vita trentotto persone appartenenti al clan dei MacDonald di Glencoe.
Questo ceppo dei MacDonald aveva ospitato sul proprio territorio il sovrano Guglielmo III d'Inghilterra, che poi aveva chiesto loro un segno di sottomissione. Dato che i padroni di casa rifiutarono questo segno avvenne il massacro

Morirono anche altre 40 persone, tra donne e bambini, di stenti a seguito dell'incendio delle loro case.

Retroscena del massacro

Nel 1688 Guglielmo, lieto di poter contare dell'aiuto inglese contro la Francia, accettò l'offerta di occupare il trono della corona d'Inghilterra. Il Parlamento Scozzese si mostrò però più cauto ed inviò delle missive a Guglielmo e a Giacomo II d'Inghilterra. Quando l'arrogante responso di Giacomo convinse il Parlamento a optare per Guglielmo, John Graham di Claverhouse, visconte di Dundee, guidò gli Highlanders nelle rivolte Giacobite nel tentativo di portare sul trono Giacomo II. Dundee venne ucciso alla battaglia di Killiecrankie e la rivolta scozzese dei giacobiti subì un'ulteriore sconfitta nella battaglia di Dunkeld. Durante il loro viaggio di ritorno dalla battaglia, i membri del clan dei MacIains di Glencoe, un ramo del clan MacDonald, insieme ai loro cugini del clan dei Glengarry, saccheggiarono le terre Robert Campbell di Glenlyon rubando il suo bestiame, aggravando così l'indebitamento di costui e costringendolo ad accettare un incarico nell'esercito per poter mantenere la propria famiglia.

I Giacobiti scozzesi vennero definitivamente sconfitti nella battaglia di Cromdale il 1 maggio 1690 mentre Giacomo II d'Inghilterra veniva battuto il 1 luglio 1690 nella battaglia del Boyne in Irlanda.

Il 27 agosto 1691 Guglielmo offrì a tutti i clan delle Highlands un perdono generale per aver preso parte alle rivolte Giacobite, se gli avessero fatto giuramento di fedeltà di fronte ad un magistrato entro e non oltre il 1 gennaio 1692, chiunque avesse rifiutato venne minacciato di subire le opportune rappresaglie. I capiclan delle Highlands inviarono dei messaggi a Giacomo, ora in esilio in Francia, per chiedergli il permesso di fare quel giuramento. Dopo aver tergiversato, perché convinto di poter tornare come legittimo sovrano in Inghilterra, Giacomo permise ai suoi fedeli sudditi scozzesi di prestare il giuramento. Quando il messaggio di risposta giunse, alcuni dei capiclan accettarono di giurare, mentre altri si rifiutarono.

Uno di questi fu Alastair Maclain, XII capoclan dei Glencoe che attese fino alla scadenza dell'ultimo giorno per dare la sua adesione al giuramento. Egli viaggiò il 31 dicembre 1691 fino a Fort William al cospetto del Colonnello Hill il governatore della regione. Costui si rifiutò di accettare il giuramento affermando di non averne la titolarità, e invitò Maclain a recarsi a Inveraray per giurare di fronte a Sir Colin Cambpell sceriffo di Argyll. Il colonnello Hill consegnò a Malain un salvacondotto ed una lettera per Sir Campbell chiedendo a costui di accettare il giuramento del capoclan scozzese poiché lui non era investito della opportuna autorità per farlo. Maclain impiegò tre giorni per raggiungere Inveraray e fu costretto ad aspettare altri tre giorni per l'arrivo di Sir Campbell che accettò riluttante il giuramento di fedeltà di Maclain. Mentre Maclaine pensava di aver compiuto il proprio dovere e di non dover temere alcuna rappresaglia da parte della corona, alcuni elementi all'interno dell'amministrazione reale pensarono bene di sfruttare l'accaduto per organizzare una rappresaglia contro i MacDonald.

Il massacro


Si mise in moto un vero complotto che vide protagonisti John Dalrymple, membro dell'Avvocatura dei Lord, Sir Thomas Livingstone, comandante in capo delle truppe inglesi in Scozia, e lo stesso re Guglielmo. Alla fine di gennaio o gli inizi di febbraio del 1692 la prima e seconda compgnia del reggimento di fanteria di Argyll, forte di 120 uomini, sotto il comando del capitano Robert Campbell si alloggiarono nella tenuta dei MacDonald a Glencoe, ricevendone la tradizionale ospitalità delle Highlands. Gran parte dei componenti del distaccamento erano stati arruolati dai territori di Argyll, e solo una piccola parte apparteneva ai Campbell. Il capitano Campbell era imparentato con il vecchio capoclan dei Maclane, avendone sposato una nipote e venne naturale a costui portare i suoi uomini in un posto conosciuto. Ogni mattina per circa due settimane, Campbell fece visita ad Alexander MacDonald, figlio minore di Maclane, che avevaa sua volta sposato una nipote di Campbell, e sorella di Rob Roy MacGregor. Per questi motivi non è probabile che il capitano Campbell sapesse la vera natura della sua missione, poiché il compito formale era quello di riscuotere il tributo della Cess tax istituita dal Parlamento Scozzese nel 1690.

Il 12 febbraio 1692 giunse il Capitano Drummond ufficiale superiore di Campbell con il seguente ordine:

Signore, vi si ordina con la seguente di catturare i Ribelli, i MacDonald di Glencoe, e di passare a fil di spada tutti coloro di età inferiore ai 70 anni. Avrete particolare attenzione affinché la vecchia Volpe ed i suoi Figli non riescano a fuggire e a fare in modo di tagliare ogni via di fuga. Questo ordine dovrà essere eseguito entro le cinque del mattino, quando io arriverò da voi con dei rinforzi. Se non sarò arrivato per quell'ora eseguite gli ordini senza di me. Questo è un ordine Speciale del Re per il bene e la salvezza del paese, affinché a questi miscredenti vengano tagliate radici e rami. Certo che compirete il vostro dovere come voi sapete fare, sottoscrivo di mio pugno quanto sopra.

12 febbraio 1692

Firmato Robert Duncanson

Dopo aver consegnato l'ordine, Duncanson trascorse la sera a giocare placidamente a carte con i suoi ospiti, e prima di ritirarsi, accettò un invito a pranzo di Maclane per il giorno seguente.

Alastair Maclaine venne ucciso mentre cercava di alzarsi dal letto dal tenente Lindsay, Conte di Argyll, ma i suoi figli e sua moglie riuscirono a fuggire. Complessivamente vennero uccise trentotto persone, o nelle loro abitazioni o mentre cercavano di fuggire. Il massacro fu meno cruento di quanto potesse aspettarsi perché diversi membri delle compagnie cercarono di avvertire le loro future vittime, o scelsero l'insubordinazione piuttosto che eseguire un simile ordine.

Un altro distaccamento di soldati era nel frattempo partito da Argyll per intercettare i possibili fuggitivi ma giunsero troppo tardi a destinazione.

L'inchiesta


Per la legge scozzese esisteva una precisa accusa di omicidio, l' omicidio a tradimento, che veniva considerato il più odioso e vile di tutti. Il massacro di Glencoe fu un chiaro esempio di un simile crimine. La successiva inchiesta portò a questa sentenza:

A dispetto dell'ordine diretto dei propri superiori, non è ammesso alcun ordine militare che possa essere contrario alla legge di natura. Cosicché un soldato, dovrebbe rifiutarsi di eseguire qualsiasi atto di barbarie come uccidere un uomo inerme, nè tale ordine datogli potrebbe esimerlo da una giusta condanna.

Gli obiettivi dell'inchiesta sul massacro di Glencoe avevano lo scopo di punire i responsabili di quell'infamia, ben sapendo che gli ordini venivano direttamente per mano del sovrano. Nel 1695 il reggimento di Argyll dovette arrendersi ai Francesi nelle Fiandre e Campbell, Drumond e Duncanson riuscirono così a sfuggire alla legge scozzese. Alla commissione non restò che esonerare il sovrano dall'accusa di essere il responsabile del massacro e dare tutta la responsabilità del misfatto al segretario Dalrymple.

HILDEGARDA,LA SPOSA TREDICENNE DI CARLO MAGNO

Thurgan (Svevia), sec. VIII – Metz, 30 aprile 783






Uno storico del IX secolo la classifica come “nobilissimam piissimamque reginam” (nobilissima piissima regina).
Discendente da Goffredo duca di Allemagna e dell’alta nobiltà sveva, Hildegarda era figlia di Pabo conte del Thurgan (altri testi dicono di Ildebrando conte di Svevia).
Era ancora un’adolescente quando Carlomagno, re dei Franchi, nel 771 la prese in sposa, subito dopo aver rotto il suo terzo matrimonio con la figlia di Desiderio re dei Longobardi, che d’altra parte non era approvato dal papa Stefano IV (768-772).
Fu esemplare nella vita cristiana, sia in famiglia che nella corte, ebbe nove figli dei quali tre morirono in tenera età; fu fedele compagna di Carlomagno, che accompagnò sempre nei suoi viaggi arrivando fino a Roma; risulta che fece una cospicua donazione all’abbazia di Saint-Arnoul di Metz, dove secondo la sua volontà fu sepolta alla sua morte, avvenuta il 30 aprile 783 a Metz, quando aveva circa trent’anni.
L’epitaffio sulla sua tomba, composto da Paolo Diacono (720-799), monaco benedettino, profondo conoscitore della storia di Metz, ne esalta la singolare bellezza della sua persona e soprattutto della sua anima.
Parte delle sue reliquie furono trasferite nell’872 nell’abbazia di Kempten, sull’Iller in Svevia, posta tra il lago di Costanza e Monaco, i cui monaci la consideravano come loro fondatrice.
Nel 963 si procedette all’elevazione delle reliquie e da allora fu onorata come beata. Una nuova ‘Vita’ della beata Hildegarda fu compilata nel 1472 per disposizione di Giovanni di Werdenau, abate di Kempten e dedicata anche al figlio della regina l’imperatore Ludovico il Pio († 840), essa esalta la virtù della sovrana, narra della costruzione di vari monasteri, della sua predilezione per l’abbazia di Kempten, dove aveva fatto deporre le reliquie dei martiri Gordiano ed Epimaco e racconta delle numerose guarigioni verificatesi sulla sua tomba.
La festa si celebra il 30 aprile.

mercoledì 27 aprile 2011


LA PERDITA MISTERIOSA DELLA NONA LEGIONE SEGNA LA NASCITA DELLA SCOZIA E DELL'INGHILTERRA.

La scomparsa della decima (sarebbe meglio dire: della nona) legione di soldati romani in inghilterra ha lasciato a lungo perplessi gli storici. E' una delle leggende più durature della britagna romana e che ha contribuito a creare quel confine che ha dato vita all'inghilterra e la scozia.


La leggenda narra che la decima legione fu annientata dalle truppe inglesi attraverso una serie di agguati, mentre i soldati romani marciavano a nord per sedare una ribellione.

Il fatto che oltre 5000 soldati ben addestrati e preparati fossero stati sconfitti da bande di guerrieri inglesi svantaggiati per armamento, ha fatto sì che questa vittoria, al di fuori di qualsiasi pronostico, sia stata ricordata per secoli...giungendo sino a noi.


Ma quanto c'è di vero e quanto questa leggenda è legata all'orgoglio nazionalista inglese?

Alcuni storici hanno avanzato l'ipotesi che la Nona Legione non sia stata annientata ma si sia trasferita nel continente e senza problemi sia ritornata in patria.

A riprova di questo fatto si porta alcuni testi che indicano come la Nona sia stata trasferita nel medio oriente e sia perita in uno scontro contro l'impero Persiano. Ma contrariamente a questa versione si porta il fatto che non vi sono prove che la decima legione si sia mai spostata dall'inghilterra.

Son state rinvenute tre mattonelle in terracotta con impresse il sigillo della Nona Legione..a Nijmegen, in Olanda.

Ma queste sembrano datate tutte verso l'80 d.c. quando distaccamenti della Nona erano effettivamente di stanza nel Reno per sedare alcune lotte delle tribù germaniche.

La distruzione della nona sarebbe da localizzare nella prima decade del 1° secolo d.c.

La scrittrice romana Frontone, ha lasciato la testimonianza che tra il 117 ed il 138 d, c, un gran numero di soldati romani furono uccisi dagli inglesi.

L'imperatore, che in quel periodo era il famoso Adriano, decise di recarsi personalmente in Inghilterra per rendersi conto della situazione e prendere dei provvedimenti.

Quindi non si sa se sono stati i 5000 uomini della nona a far smuovere Adriano da Roma o se un "gran numero" di soldati fossero frutto di una serie di lotte che han visto i soldati romani perdenti.

Sta di fatto che il rimedio di Adriano è stato quello di far erigere una linea difensiva da parte a parte della Gran Bretagna dividendo di fatto in due l'isola.

Lo scopo di questo muro, passato alla storia come il "VALLO DI ADRIANO", era quello di impedire che i ribelli del nord potessero appoggiare i loro alleati residenti nel sud dell'isola.

L'eredità finale quindi della Nona Legione e' stato quello di creare un confine permanente, che ha diviso per sempre la Gran Bretagna.

Le origini di ciò saranno i regni indipendenti di Inghilterra e Scozia..che può essere fatta risalire alla perdita ipotizzata di questo sfortunata legione

venerdì 22 aprile 2011


Celti: lo sviluppo

Sviluppo
I Celti erano composti da diverse tribù, ognuna delle quali si diffuse in uno specifico territorio. Si difesero dai Romani, dai Germani e dalle invasioni asiatiche. Nel corso delle loro migrazioni popolarono un vasto territorio. Videro lo sviluppo di diverse società (kurgan, halstattiana, lateniana) che corrispose anche ad uno sviluppo economico e sociale.
In base alla premessa fatta in precedenza, possiamo visualizzare la seguente situazione, legata sia al popolo celtico che alla regione di influenza relativa, frutto di continue migrazioni:
Serbia: Scordisci (325 a.C.);
Bulgaria: Bastarni (fondatori del regno di Tylis);
Ungheria, Romania, Boemia: Carnuti, Teutoni, Cimbri(forse di origine germana), Menapi, Treviri, Ubii;
Svizzera: Rezi, Rauraci, Carnuti, Elvezi;
Austria: Taurisci, Norici;
Italia Settentrionale: Boi, Senoni,Veneti, Gesati, Insubri, Taurisci;
Spagna e Portogallo: Celtiberi che si mescolarono con la popolazione locale degli Iberi e che ebbero un sviluppo diverso rispetto ai Galli, i Gallaecie gli Asturi (Galizia), i Cantabri (zona di Bilbao), i Tarragonesi, i Baeti (zona di Siviglia), i Vasconi (Pirenei, da cui è originato il termine guascone), gli Arevaci, i Vaccei, i Lusitani ed i Vettoni (nel Portogallo);
Anatolia: Galati (276 a.C.) abitanti della Galazia, arrivati dalle regioni del Danubio;
Macedonia: Tettosagi, Trocmeri, Tolistoagi, che entrano in contatto anche con Alessandro Magno;
Francia: Sequani, Edui, Alverni, Ambroni, Arverni, Parisii (che diedero i natali a Parigi), Aquitani, Vocati, Volci, Bellovaci, Venelli, Eburovaci, Suessioni, Tricassi, Mandubii, Carnuti, Veneti, Namneti, Pitti, Biturgi, Allobrogi, Gesati, Ceutroni, Eburoni;
Paesi Bassi e Belgio: Nervii, Menapi, Suessoni, Remi, Belgi (forse di origine germana);
Germania: Ambroni, Teutoni, Boi, Nemeti, Vangioni, Treviri, Advatici, Usipeti, Tenteri, Eburoni, Ubii, Sicambri (si tratta in prevalenza di popolazioni germaniche, di influenza celtica);
Irlanda: Ulsteriani (con capitale Emain Magach), abitanti del Mide (centro-est), del Connacht (ovest) e del Munster (sud-est), Scotti (che migrarono in Caledonia che prese il nome di Scozia);
Scozia: Pitti e Caledoni;
Galles: Ordovici, Siluri e Cornovii (che poi migreranno in Cornovaglia)
Inghilterra: Atrebati, Belgi, Catuvellani, Trinovanti, Dumnoni (in Cornovaglia), Coritani, Briganti, Suessoni, Carataci, Novanti, Segovii, Trinovanti, Iceni;
Danimarca: Arudi, Cimbri, Ambroni (si tratta in prevalenza di popolazioni germaniche, di influenza celtica).
Dunque i Celti, durante una loro migrazione, giunsero fino in Turchia. Nel 278 a.C. Brenno, omonimo del condottiero che un secolo prima sconfisse i Romani, invase la Pannonia e da lì, attraverso l’Illiria, giunse in Grecia, distruggendo Delfi, dove venne ferito. Tra il 278 a.C. ed il 270 a.C., trovando resistenza in Grecia, in particolare in Macedonia, una parte della popolazione celtica attraversò lo stretto dei Dardanelli e si stanziò a ridosso della Bitinia, approfittando anche dell’invito del re locale Nicomede, che, in cambio di territori, li assoldò come mercenari per conquistare l’Anatolia ed avere uno stato cuscinetto con i Frigi. La loro espansione ed i loro saccheggi furono interrotti dall’imperatore di Siria Antioco I, che li sottomise e li confinò in Galazia, regione nei pressi di Ankara. Successivamente, nel 230 a.C., il re di Pergamo Attalo I, sconfigge i Galati che si erano ribellati e fa erigere, come segno di trionfo, dei gruppi marmorei. Di questi oggi ci rimane una copia romana del “Galata Morente”. L’altra parte della popolazione, che costituiva il flusso migratorio, caratterizzata in particolare dalla presenza dei Bastarni, sconfitta in Macedonia dal re Filippo, padre di Alessandro Magno, si stanziò in Bulgaria, fondando il regno di Tylis.
E’ opportuno fare una considerazione sull’Irlanda. Fu l’unico paese celtico che non subì invasioni, per cui sviluppò la propria cultura completamente senza subire influenze esterne. Era divisa in cinque regioni: a nord l’Ulster, con capitale Emain Magach, a sud il Munster, con capitale Caisel, ad ovest il Connaught, con capitale Cruachain, ae est il Leinster, con capitale Dinn Rig ed al centro-est il Mide, con capitale Tara, luogo sacro vicino a Dublino. La prima e l’ultima regione furono le più progredite, con la prevalenza finale dell’ultima. Nel 450 d.C. l’Irlanda era divisa in due regni. Il regno del nord abitato dagli Uì Neìll e quello del sud, popolato dagli Eòganachta.
Dediti alla pastorizia, gli abitanti dell’Isola Verde, non erano molto progrediti scientificamente. Amavano la musica, le arti esoteriche, la natura e svilupparono l’alfabeto ogamico fatto di segni, con il quale composero fiabe, divinizzando eroi nazionali, tra cui Cù Chulainn. Il mito, presso i Celti era importante e questo gli Irlandesi lo applicarono abbastanza. Favole quali la conquista di Etain, Tàin Bò Cùailnge (la cattura del toro di Cooley), the Book of Leinster, the book of Dun Cow, the yellow book of Lecan (le tre massime fonti mitologiche gaeliche), novità sul maiale di Mac Da Thò sono saghe che raccontano di eroi popolari, di dei, come Maeve, divinità della guerra che visse tre volte, ricalcando le religioni scite e le strutture celesti degli inferi, riprese da tutte le altre religioni. Si ripete il tema della reincarnazione e della resurrezione.
Gli Scotti migrarono in Galles, dove i loro discendenti furono chiamati “selvaggi” (gaelici) dalle tribù locali ed in Caledonia, a cui diedero il nome di Scozia, tra questi, sull’isola sacra di Iona approdò San Colombano (563 d.C.) che evangelizzò la regione assieme a dodici discepoli.
Dunque la cultura celtica si interseca con il cristianesimo.
Sia l’Irlanda che la Gallia furono sede di molti conventi, che in realtà erano comuni. La seconda, poi, fu patria di San Martino, vescovo di Tours, nonché della setta eretica pelagiana, che contrapponeva alla grazia divina, professata da S. Agostino, solo la capacità umana.
L’Irlanda era la patria della chiesa celtica, che già esisteva prima dell’evangelizzazione della chiesa romana operata da San Patrizio e da Palladio. Questa fu importata dall’Aquitania che aveva frequenti commerci con l’isola verde, ricca di stagno. Nella chiesa celtica non c’era una struttura ed un’organizzazione, esistevano solo abati, la pastorale era semplice, i frati vivevano in luoghi appartati (isole, eremi.), lontano dai conventi, il simbolo più usato era la croce celtica, segno di rigenerazione, contenente al centro la ruota solare, imitando i druidi gli abati al posto della chierica usavano una rasatura da orecchio a orecchio, lasciando i capelli sulla nuca lunghi. La chiesa celtica adattò il modello cristiano all’amore per la natura, per la fantasia, per i luoghi fiabeschi. E’ evidente che, nonostante le dominazioni e le influenze, la filosofia dei Celti rimase incontaminata. In Irlanda, come in Scozia, non si annoverano martiri, segno che il modello cristiano fu accolto pacificamente. Tuttavia ci sono molti santi, nominati anche con la segnalazione degli anacoreti, uomini, che si distinguevano per la semplicità, il vigore, la mitezza.
Ci furono notevoli dissidi tra chiesa celtica e chiesa romana: alle volte si rasentava la scomunica, come quando Fergal, vescovo di Salisburgo, credeva che sottoterra esistesse un mondo parallelo, in base al modello celtico.
Lo scontro decisivo tra le due chiese fu nel 663 d.C. nel concilio di Whiotby. In questa sede il dissidio principale, preso a pretesto dalla chiesa romana, consisteva nella festa della Pasqua, che gli abati celtici festeggiavano tre giorni dopo le Palme, secondo la tradizione di Giovanni Evangelista. La chiesa di Pietro e Paolo uscì vincitrice.
Tuttavia gli abati celtici continuano la loro evangelizzazione in Europa: Sangallo (Svizzera), Bobbio (Pavia), Francia, Salisburgo, Scozia, Inghilterra, Germania.
Nel 410 d.C. i Sassoni, gli Angli e gli Juti, popoli germanici, occupano l’Inghilterra. I Britanni si ritirano in Cornovaglia, Galles (dove c’è il vallo di Olla), Bretagna e Scozia. Nel 440 Ambrogio Aureliano prende il potere e sconfigge i germani. Nel 491 compare il mito di Artù che, attraverso dodici battaglie, scaccia gli invasori. Dopo il 500 l’Inghilterra è di nuovo in mano ai germanici, che abbracciano la chiesa romana. L’Irlanda vivrà le invasioni vichinghe (793 d.C.) e comincia un periodo di migrazioni degli irlandesi verso l’Europa. Successivamente sarà la volta delle invasioni normanne, che importeranno l’amore per l’agricoltura e la pastorizia.
Nel 1066 il duca Guglielmo di Normandia riprende l’Inghilterra e restaura la chiesa celtica, rinasce il mito del Graal e di Artù, che viene abbracciato anche dalla Francia, per puri scopi politici, in opposizione al domino della chiesa romana. Nel 1180 Chretien de Troyes scrive il Perceval, nel 1210 Wolfram von Eschenbach compone il Parsival.
Il re Artù non sappiamo se sia esistito veramente. Sappiamo che richiama il dio celtico Artaios. Questo re si avvaleva del druida Merlino, il cui padre, secondo la tradizione, era Ambrogio Aureliano, a sua volta fratello di Uther. Da quest’ultimo nasce Artù che estrae la spada dalla roccia (caliburnus) e diventa signore di Camelot. Sposa Ginevra e fonda una tavola rotonda di 150 cavalieri. Con essi battè i Sassoni, i Pitti e gli Scotti. Suoi compagni sono:

* Tristano, che innamorato di Isotta, andò in Francia dove morì;
* Lancillotto, che circuì Ginevra;
* Galvano, che si avventura sulle Orcadi, combattendo contro il cavaliere verde;
* Galahad, figlio di Lancillotto, e Percivale che vanno alla ricerca del Graal.

Artù, alla fine, accompagnato da alcune donne, si ritira su un’isola, da cui farà ritorno successivamente.
Dunque, ci sono tutti gli elementi delle saghe celtiche: il re e il druida, che lo consiglia e guida; le riunioni assieme, rievocate dalla tavola rotonda; le sofferenze per l’amore, vissute da Tristano e Lancillotto; la lotta contro il nemico di Galvano, come Cù Chulainn, contro il drago; la rigenerazione, come quella di Artù, che fa ritorno da un’isola misteriosa, cioè muore e si rigenera.
Siamo di fronte ad un eroe mitizzato, come è nella cultura celtica. Il Graal, poi, rappresenta le nature di Cristo: umana nel sangue e divina nell’acqua. Entrambe sono unite assieme dallo spirito. Questi sono i tre elementi raccontati da Giovanni, che era il più seguito dalla chiesa celtica. Chi possedeva il Graal, possedeva questi tre elementi. Di nuovo la fantasia serve ai Celti per superare le avversità della vita, che in questo caso erano rappresentate dai Germani.
Tuttavia, come già detto, questa figura mitica fu strumentalizzata dai popoli invasori che volevano contrapporsi alla chiesa di Roma.

giovedì 21 aprile 2011



FAHEEM ASLAM Greatest Kashmir
QUARANTAMILA ANNI FA, UOMINI DEL KASHMIR INVASERO L'EUROPA

Uno studio internazionale ha trovato che l'Europa era popolata da persone dal Kashmir circa 40000 anni fa e che portano due a quattro per cento geni Neanderthal - un'antica specie di Homo sapiens.

Lo studio, condotto dal dipartimento di antropologia UC Davis presso gli Stati Uniti d'America, ha trovato che circa quattro per cento (che varia da due a cinque per cento) di tutti gli esseri umani moderni non di discendenza africana hanno geni Neanderthal lasciati da accoppiamenti tra i due popoli in epoca preistorica.

Riferendosi allo studio, un articolo in allvoices - una comunità globale che condivide le notizie, video, immagini e opinioni legato alla news eventi e persone - si legge che "gli scienziati cercano genetiche firme classificare mtDNA di un individuo (DNA dei mitocondri) in diversi tipi, o aplogruppi. Questi aplogruppi rappresentano i principali rami sull'albero genealogico dell'Homo sapiens. Un uomo di grotta russo 30000 - anni aveva U2 del DNA mitocondriale. E persone in Europa hanno oggi U2 DNA così come persone che vivono in India".


"Vi sono numerose persone con U2e, la versione europea di U2 vivono in Germania ed Europa, specialmente in Italia oggi, così come altri luoghi in Europa. È ampiamente distribuito in tutta Europa in tempi attuali. E hai U2i India specifici mtDNA vivono principalmente in India, specialmente NW India e Kashmir, "recita un estratto dallo studio, pubblicato da allvoices. "Così è stato popolato da persone provenienti da India, Kashmir e Pakistan, così come il resto dell'Asia centrale di Europa? Sì. E dopo tale migrazione, circa 40000 anni fa movimento West in Russia e poi nel resto d'Europa venne un'altra migrazione dal Medio Oriente, quando il clima ha permesso di aprire, circa 45000 anni fa. Grotta di un sacco di quelle persone erano cacciatori mammut o seguite le mandrie di animali prima che cominciasse l'ultima era glaciale. Ma U2 in Europa è ancora piuttosto rari in popolazioni moderne, anche se esiste".

Citando un altro studio pubblicato dalla rivista Cosmos, lo studio rivela che come esseri umani migrarono out of Africa 100000 a 50000 anni fa, alcuni individui incrociato con Neanderthal e di conseguenza alcune sequenze genetiche possono essere trovati in tutti gli esseri umani non africani.

Un certo numero di articoli hanno in passato sei mesi è apparso in media internazionali - citando diversi studi - che i geni di Neanderthal sono stati trovati in alcuni esseri umani moderni.

"Neanderthal erano più muscoloso con più grasso corporeo, una vasta girovita e anche aveva una vasta gabbia toracica, arti corti, corpi tarchiati, brevi e non correre molto veloce. Le ossa di circolare nelle loro orecchie interne che hanno contribuito a controllare l'andatura, impediva loro di muoversi velocemente a piedi. Al contrario, Homo sapiens aveva più grandi ossa circolare alle loro orecchie, permettendo loro di eseguire velocemente. Erano alto e magro, " legge il pezzo di allvoices. "Fondamentalmente, homo sapiens erano perfettamente adatto al clima africano. Neanderthal erano adatti a tempo molto freddo, ad esempio, il clima in Europa l'era glaciale. Neanderthal aveva grandi cervelli e teste, ma erano più brevi in altezza ed ebbe breve vita campate. Ma entrambi avevano simili ioide ossa, consentendo di discorso almeno di base".

Secondo estratti, è archeologicamente un fatto provato che l'uomo neandertaliano - una specie estinta da lungo tempo - ha vissuto nel Kashmir. "Archeologicamente uno può stabilire che uomo di Neanderthal ha vissuto in Kashmir, in Pakistan e in Asia centrale. Tuttavia non possiamo dire se suoi geni sono ancora disponibili in queste aree, o no, "ha detto il Prof Aijaz Banday, professore di archeologia presso l'Università del Kashmir. "A meno che e fino a quando abbiamo il profilo DNA delle persone in questi settori, poi solo essa può essere correttamente stabilita. Tale analisi non è stato fatto finora. Uno non può paradossale negare tali studi che Neanderthal geni sono presenti nel Kashmir, ma autenticamente possiamo provarlo solo dopo essere andato per l'analisi del DNA."

martedì 12 aprile 2011


I libri proibiti


Sin dagli albori il cristianesimo si è caratterizzato per una forte censura nei confronti degli scritti non compatibili con la dottrina ufficiale della chiesa: si pensi che già Paolo di Tarso parla di roghi di libri [chissà come mai non me ne stupisco...] da parte di convertiti al cristianesimo (negli Atti degli apostoli); il primo Concilio di Nicea nel 325 proibì la diffusione delle opere di Ario (che vennero bruciate, dando il via a quella che nei secoli sarebbe stata una costante da parte dei censori clericali): nell’occasione Ario, teologo egiziano, venne scomunicato (insieme ad Eusebio di Nicomedia) in quanto eretico – gli ariani sostenevano fondamentalmente la non divinità di Gesù, che sarebbe stato non “consustanziale” con dio in quanto non eterno (insomma, si sarebbe trattato di un uomo “adottato” da dio e da costui dotato di poteri divini per redimere l’umanità).

Nei secoli successivi varie opere vennero proibite, anche se non esisteva ancora un vero e proprio “indice” come quello creato nel sedicesimo secolo. La prima lista di libri eretici proscritti la si deve a papa Gelasio I (il papa che eliminò la festa romana dell’amore pagano, prevista il 14 Febbraio, sostituendole la festa di un santo che venne appositamente santificato, San Valentino – festa dedicata alla scelta dei santi da venerare durante l’anno e non all’amore, almeno nelle intenzioni di papa Gelasio I), che la pubblicò nel 494. Gelasio I era fortemente legato all’ortodossia cristiana ed invero attivissimo nella caccia agli eretici, tanto da battersi fortemente contro i manichei e da ottenere la cancellazione dei Lupercalia sostituendoli con la Candelora (ennesimo “scippo” cattolico di festività precedenti). Il secondo Concilio di Nicea (787) oltre a condannare l’iconoclastia, obbligò i fedeli in possesso di libri proibiti alla consegna dei volumi al vescovo competente.

Successivamente altri libri si aggiunsero alla lista di quelli vietati, giungendo addirittura alla proibizione della “Bibbia” per coloro che non facessero parte dell’organizzazione della chiesa (Concilio di Tolosa, 1229) ed al rogo di tutte le bibbie scritte in lingue volgari (Concilio di Tarragona, 1234).
Se proprio la Bibbia ed in generale i testi sacri erano al centro della discussione (e delle proibizioni) in epoca medievale, successivamente il diffondersi della stampa a caratteri mobili (Gutenberg, 1448) favorì una maggiore diffusione dei testi sacri nonché di quelli “eretici” (in primis i testi “protestanti”).
Proprio in risposta alla diffusione dei testi protestanti, il papa Alessandro VI, ovvero Rodrigo Borgia, uno dei papi più corrotti e simoniaci, istituì l’Imprimatur, ovvero l’autorizzazione ecclesiastica alla stampa (Nihil obstat quominus imprimatur) che è una forma di censura preventiva. La censura clericale andava dunque organizzandosi e formalizzandosi a livello formale.

Il primo “Index” venne pubblicato a Venezia nel 1549 dal nunzio vaticano Giovanni Della Casa (l’autore del Galateo) e comprendeva 149 titoli. Tale edizione però non venne “promulgata” ufficialmente dal Vaticano anche a causa della strenua opposizione dei librai e dei tipografi; tuttavia nel 1554 il “Sant’Uffizio” pubblica un “Cathalogus Librorum Haereticorum” dedicato ai libri considerati eretici, con in testa quelli protestanti (tra i testi vietati è peraltro degno di citazione il De Monarchia di Dante Alighieri). Con la nomina a pontefice nel 1555 di Paolo IV (uno dei pontefici più rigidi ed antisemiti: rafforzò l’Inquisizione ed istituì il ghetto per gli ebrei a Roma dando ordine di istituirlo anche in altre città) l’”Indice” torna “di moda” e viene ufficialmente pubblicato dalla “Santa Congregazione dell’Inquisizione Romana” nel 1559 col nome di “Index librorum prohibitorum” (tale indice viene detto “Indice Paolino” per distinguerlo dalle altre edizioni dell’indice, ognuna delle quali ha un nome specifico).

Fanno parte di questa prima edizione ufficiale, la più restrittiva mai pubblicata, sia testi sacri “non riconosciuti” dalla chiesa romana, sia testi laici osteggiati dai papato: tra questi primeggiano il Decameron di Boccaccio ed Il Principe di Machiavelli. Vengono “messi all’indice” tutti gli scrittori non cattolici, le cui opere divengono proibite; vengono parimenti proibite 126 opere di 117 scrittori “cattolici” nonché 322 opere anonime; vietate anche 45 diverse edizioni della Bibbia e del Nuovo testamento, considerate non conformi ai dogmi cattolici; la lettura dei testi sacri in lingua volgare veniva da allora consentita soltanto su espressa licenza rilasciabile unicamente a maschi che conoscessero il latino; 61 tipografi (quasi tutti svizzeri o tedeschi coinvolti nella diffusione dei testi protestanti, unica eccezione il veneziano Brucioli) venivano “banditi”; veniva vietata la stampa di opere riguardanti astrologia o magia.
L’elenco degli scrittori colpiti dal primo ”Index” è ampio e va da Boccaccio e Machiavelli ad Erasmo da Rotterdam e Rebelais. Vennero inoltre proibiti i libri in cui non fossero indicati autore o stampatore, quelli senza indicazione della data di pubblicazione, quelli usciti senza imprimatur o stampati da stampatori “eretici” – i fedeli erano tenuti a consegnare immediatamente tali libri alle autorità ecclesiastiche. Va da sé che subito i librai protestarono contro l’indice, che in primis colpiva in modo pesante molte loro giacenze di magazzino che non avrebbero potuto più esser vendute cagionando un danno economico catastrofico per i loro proprietari; inoltre molti studiosi, in primis di medicina (i cui testi provenivano per lo più dal mondo germanico) si vedevano costretti a rinunciare a libri su cui avevano studiato. Tutto questo portò molti stati (come il Granducato di Toscana e la Repubblica di Venezia) a non applicare rigorosamente l’Indice.
Cinque anni dopo, col Concilio di Trento (1564) si aggiorna l’indice. (che diviene l’”Indice Tridentino”), attenuando in parte le proibizioni (il nuovo papa Pio IV è a suo modo un “moderato”, almeno in confronto al predecessore), in particolare si consentì di pubblicare i libri "vietati" una volta “ripuliti” dalle parti proibite (opera che spesso stravolgeva il pensiero originale dell’autore) e si consentì il rilascio della licenza per la lettura dei testi sacri in lingua volgare con minori restrizioni.

In compenso furono proibiti i testi scientifici non conformi all’interpretazione aristotelico-scolastica. Diversamente dall’Indice precedente, questo venne applicato ben oltre i confini dello Stato della Chiesa, ovvero in tutta Italia ed in buona parte dell’Europa (anche se altri paesi, come la Spagna, ebbero dei propri “indici” specifici, mentre la Francia non lo applicò proprio). Nel frattempo una Bolla papale del 1564 si occupò di mettere sotto controllo l’alfabetizzazione: tutti gli insegnanti avrebbero dovuto dichiarare sotto giuramento al proprio vescovo la loro identità, il luogo dove svolgono la propria attività e soprattutto i libri usati a tale scopo. D'altra parte l'alfabetizzazione per i rappresentanti della Chiesa sarebbe stata un cruccio nei secoli a venire, tanto che dopo l'unità d'Italia il papa si trovò a scrivere al Re una missiva sui rischi dell'alfabetizzazione (il papa era preoccupato dall'istituzione dell'istruzione di stato obbligatoria). [le religioni prosperano solo grazie all'ignoranza....]
Nel 1571 papa Paolo V istituì la “Congregazione per l’Indice” al fine di aggiornare e diffondere l’Indice periodicamente tramite le sezioni locali dell’Inquisizione: questa congregazione avrà più volte delle frizioni con la Congregazione del Sant’Uffizio (l’Inquisizione), che pretendeva di gestire in proprio l’aggiornamento dell’Indice. La “Sacra Congregazione per l’Indice” verrà abolita soltanto nel 1916, quando le competenze in merito verranno passate di nuovo al Sant’Uffizio, l’ex “Inquisizione” (tale dicitura era stata cancellata dal nome della Congregazione da papa Pio X nel 1908), che verrà rinominata nel 1965 in “Congregazione per la Dottrina della Fede” (ebbene sì, l’attuale papa Ratzinger è stato per 25 anni il dirigente dell’organismo erede dell’Inquisizione).

Una successiva edizione dell’Indice si avrà con Clemente VIII, il papa che fece mettere sul rogo Giordano Bruno e che lanciò una nuova ondata di repressioni antisemite con leggi vessatorie rimaste in vigore sino al XIX secolo. La nuova edizione ("Indice Clementino") non si discosta molto da quella precedente e mantiene il divieto di stampare opere in lingue volgari introdotto da Pio V nel 1567.
Col passare del tempo l’indice venne periodicamente aggiornato: è del 1616 la messa all’indice delle opere di Copernico, in primis il “De Rivolutionibus Orbium Coelestium” che circolava liberamente sino ad allora da quando fu dato alle stampe nel 1543 (vennero nel contempo vietate anche le opere di Keplero, che aveva difeso la teoria eliocentrica) - proprio in seguito alla condanna del copernicanesimo si aprì il conflitto tra Galileo Galilei ed il Vaticano, che portò all’abiura ed alla messa all’indice del suo “Dialogo sopra i massimi sistemi del mondo” nel 1633.
Le opere copernicane verranno poi rimosse dall’”Indice” solo nel 1846, mentre Galilei dovrà attendere sino a pochi anni fa (1992) per la riabilitazione: del resto, si sa, i tempi “celesti” sono questi.

Intorno alla fine del diciassettesimo secolo la pressione clericale sull’editoria si allentò un po’, ormai la semplice detenzione di libri proibiti non era nei fatti perseguita (diversamente dalla stampa e diffusione dei testi). L’Indice veniva comunque aggiornato regolarmente e si andava gonfiando di libri “proibiti”.
Nell’edizione del 1758, sotto il pontificato di Papa Benedetto XIV (un papa moderato che tra le altre cose condannò lo schiavismo nelle Americhe) venne abrogato il divieto di lettura della Bibbia in “lingue volgari”; tuttavia dopo la sua scomparsa la persecuzione delle opere proibite tornò a livelli più intensi, oscillando poi in base alla maggiore o minore austerità dei pontefici in carica.

Con l’Illuminismo ed il diffondersi del Socialismo il numero di opere ed autori proibiti aumenterà a dismisura, tanto che è difficile tracciare una lista che comprenda tutti gli autori importanti proibiti: sarebbe troppo lunga e noiosa. Basti qui ricordare una serie di nomi di filosofi, scienziati e letterati le cui opere saranno incluse nelle varie edizioni dell’Index: Hobbes, Cartesio, Bacon, Montaigne, Locke, Rousseau, Pascal, Erasmo da Rotterdam, Darwin (proibizione molto attuale, direi), Kant, Mills, Proudhon, Schopenauer, Marx, Nietzsche…ma anche Beccaria, Croce, Emile Zola, Simone de Beavoir, Balzac, Dumas (padre e figlio), D’Annunzio, Leopardi, Foscolo, Gentile, Guicciardini, Machiavelli, Hume, Voltaire, Victor Hugo, Flaubert, Malaparte,Moravia e Sartre (e pure il Teatro Comico Fiorentino!).
Questi sono solo alcuni dei nomi ricompresi nell’ultima edizione dell’Indice, la trentaduesima, datata 1948 – ma aggiornata anche successivamente, per esempio Sartre fu aggiunto nel 1959, anno in cui tornarono invece fruibili per i lettori cattolici “Les Miserables” di Victor Hugo. In compenso libri ben più criticabili, in primis il Mein Kampf di Adolf Hitler, non verranno mai proibiti: del resto il Fuhrer era un cattolico (nonostante che la storiografia massificata tenda a nascondere tale aspetto sopravvalutando le sue passioni per l’esoterismo) ed aveva raggiunto un Concordato con la chiesa stipulato da Eugenio Pacelli, nunzio vaticano in Germania negli anni ’20 e poi Segretario di Stato (all’epoca appunto del Concordato) e quindi asceso al soglio pontificio come papa Pio XII durante il conflitto mondiale (antisemita dichiarato e sostenitore di Franco, si spostò su posizioni antinaziste soltanto quando oramai la guerra volgeva al peggio per le potenze fasciste).

Negli anni ’60 del ventesimo secolo, col clima sociale fortemente mutato, oramai l’Index aveva perso la funzione proibitoria vera e propria per la quale era stato inventato: del resto la chiesa non poteva più far rispettare le proibizioni in modo diretto essendo priva di un potere coercitivo diretto fuori dai confini vaticani. Così, nell’atmosfera di rinnovamento portata dal Concilio Vaticano Secondo (avversato dagli esponenti della chiesa più tradizionalisti che ne avrebbero poi bloccato le innovazioni una volta tornati “al potere” con papa Woytila e papa Ratzinger), venne presa da papa Paolo VI la decisione di declassare l’Index trasformandolo non più in una lista di libri “proibiti”, ma in una lista di libri sconsigliati che rimane comunque moralmente impegnativa per i fedeli cattolici – tutto questo è chiarito nella Notificatio “Post litteras apostolicas…” del 1966 del Cardinal Ottaviani, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede.
Dunque non di vera abrogazione si può parlare, anche se l’Index in quanto tale si considera comunemente esaurito nel 1966, bensì di mutamento della forma dell’Indice, dovuto all’impossibilità di applicare in modo fattivo la lista censoria clericale nei “bui” tempi moderni (in cui evidentemente si son persi certi valori importanti).

Il “nuovo indice” è dunque la “Guida Bibiliografica” dell’Opus Dei, che si occupa di recensire i libri (ed i film!) e catalogarli all’interno di sei categorie in base alla loro conformità od avversione alla “retta via” cattolica; in questo elenco tra gli autori, letterari o cinematografici, le cui opere sono assolutamente da evitare per ogni cattolico e particolarmente pericolose per i figli sono inclusi (oltre a tutti quelli sopra citati) anche Woody Allen, Max Weber, Luchino Visconti, Gore Vidal, Velazquez, Vazquez Montalban, Kirk Douglas, Milan Kundera, Abbagnano (quello dei testi di filosofia dei licei!), Asimov, Stephen King, Jack Kerouac, Bukowski, Camus, Severino, Popper, Ida Magli, De Marchi, Philip K. Dick, la Fallaci (ebbene sì)…nonché migliaia di altri autori. Ed ancora non son stati recensiti Diamond, Dawkins ed Odifreddi…

In conclusione, si può dire che la censura, che attualmente la Chiesa Cattolica Apostolica Romana rinfaccia ai suoi avversari politici quando costoro chiedono di evitare interventi ufficiali di suoi rappresentanti in occasioni pubbliche a rilevanza politica, è in realtà elemento portante della dottrina della Chiesa, sin dagli albori del cristianesimo.

lunedì 11 aprile 2011


La Maddalena tra storia e mito


Maria non era semplicemente un nome ma un titolo di distinzione, essendo una variazione di Miriam (il nome della sorella di Mosè e Aronne). Le Miriam (Marie) partecipano a un ministero formale all'interno di ordini spirituali. Mentre i "Mosè" guidavano gli uomini nelle cerimonie liturgiche, le "Miriam" facevano altrettanto con le donne.

Un ritratto molto bello di Maria Maddalena ( o Maria di Magdala) è quello che ci riportano Anne e Daniel Meurois-Givaudan dalle loro letture delle cronache dell’Akasha, così ricca di amore e sapienza.
Ella è consapevole che solo le donne rappresentano un ponte permanente fra il mondo delle forze vitali e il nostro, capaci di assorbire dall’aria, ad ogni istante della vita, grandi quantità di energie sottili e di orientarle, liberandosi ad ogni lunazione delle sue ceneri. Il corpo di una donna più di ogni altro corpo può condensare forze capaci di aprire la materia e di trasformarla, così la Maddalena nei loro testi è anche una potente guaritrice dedita allo studio degli olii e alla ricerca dell’olio sacro in grado di trasformare l’animo umano aprendolo all’essenza dei Kristos.

La storia di Maria Maddalena ci racconta una vita da viandante: prima -secondo alcuni- immersa in studi sacri presso gli esseni o al sacerdozio di Iside, poi al seguito di Gesù di villaggio in villaggio, poi nella predica in Palestina, quindi esule in Francia e ancora in viaggio a predicare. Una donna che cammina sulla terra di luogo in luogo, ma sa anche fermarsi a meditare (in una grotta in Francia si ferma per anni, nutrendosi esclusivamente delle energie angeliche).

Maria di Magdala, prima fra gli apostoli, ci appare solenne nell’incedere e negli abiti (la tunica nera, il manto rosso).

Nei secoli Maria Maddalena viene identificata inoltre con la peccatrice, la prostituta che lava e unge i piedi di Gesù (e che, come vedremo, è invece un’altra donna) e in questo errore storico c’è qualcosa di estremamente affascinante ed importante che appartiene alla Maddalena. Si tratta della dimensione dell’autenticità assoluta, che apre lo spazio del sacro. Non è tanto importante nella storia l’umile e bassa condizione cui la prostituta appartiene, quanto la perfetta autenticità ed integrità del suo gesto, che vien messa a confronto con il manierismo degli altri discepoli.
È grazie a questa sua autenticità che alla Maddalena Gesù affida il suo messaggio più importante (la buona novella e -secondo alcuni- il suo insegnamento esoterico) ed è ancora in virtù di questa autenticità che Maria Maddalena può essere il canale che connette la terra e il cielo, il divino e il corporeo e apre la dimensione del sacro, della parola che trasforma, del rito, della guarigione.

Qui di seguito troverete alcune notizie su Maria di Magdala raccolte nella rete

Le tre Marie
Con l'espressione « questione delle tre Marie » la critica denomina il problema dell'identità di tre donne che compaiono nei testi evangelici. La Chiesa latina era solita accomunare nella liturgia le tre distinte donne di cui parla il Vangelo e che la liturgia greca commemora separatamente: Maria di Betania, sorella di Lazzaro e di Marta, l'innominata peccatrice "cui molto è stato perdonato perché molto ha amato" (Lc. 7, 36-50), e Maria Maddalena o di Magdala, l'ossessa miracolata da Gesù, che ella seguì e assistette con le altre donne fino alla crocifissione ed ebbe il privilegio di vedere risorto.

I versetti di Lc. 8, 1-3, dove si nomina Maria di Magdala come donna guarita da Gesù, « dalla quale erano usciti sette demoni », si trovano nel racconto di Luca subito dopo l'episodio della donna innominata (7, 36-50) che, entrata nella casa di Simone il fariseo, si avvicina a Gesù e gli cosparge i piedi di olio profumato. Questo è l'unico riferimento che l'evangelista fa a unzioni da parte di una donna nei confronti di Gesù; Luca non rivela la sua identità, ma afferma solo che si tratta di una « peccatrice ». L'episodio di un'unzione è presente anche in Marco (14, 3-9) e Matteo (26, 6-13). 1 due racconti concordano nel porre l'avvenimento a Betania, in casa di Simone il lebbroso, e nel riferire l'unzione ad una donna senza indicarne il nome. In Giovanni (12, 1-8) infine è narrata un'unzione che viene collocata sempre a Betania, senza indicare in casa di chi,bensì nominando tra i presenti Marta e Lazzaro e identificando in Maria la donna che unge Gesù.

Ora questi due brani sono concordemente ritenuti paralleli e relativi allo stesso episodio. Nel quarto vangelo, in una sezione precedente, si trova però anche questo riferimento: « Maria era quella che aveva cosparso di olio profumato il Signore e gli aveva asciugato i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era ammalato » (Gv.11,2).
In breve i problemi principali che questi testi pongono sono:
1) Gv. 11, 2 si riferisce all'unzione narrata poi in 12, 1-8 oppure a quella narrata da Lc. 7, 36-50?
2) Si deve ritenere che ci sia stato un solo episodio di unzione oppure due?
3) Chi è la donna senza nome di Lc. 7, 36-50?
4) Quale interpretazione dare circa l'espressione riferita a Maria di Magdala “erano usciti sette demoni”?
Le possibili diverse risposte agli interrogativi hanno conseguenze molteplici per le identità delle donne coinvolte. La risposta ai primi due quesiti, nel senso che Gv. 11, 2 si riferisce allo stesso episodio di Lc. 7, 36-50 di cui in tal modo viene attribuita a Giovanni la conoscenza, porta a fare di Maria di Betania una sola persona con la peccatrice di Lc. 7, 36-50. A tale risultato si perviene anche ritenendo che Gesù sia stato oggetto di un'unica unzione: quella narrata in Gv. 12, 1-8 e in Lc. 7, 36-50. La risposta agli altri due problemi può condurre, attraverso la connotazione del demonio quale causa di peccato, a identificare Maria di Magdala, dalla quale secondo Lc. 8, 2 « erano usciti sette demoni », con la peccatrice di Lc. 7, 36-50.

I procedimenti relativi alla problematica delle unzioni e alla interpretazione dell'espressione « sette demoni », che di per sé sarebbero separati e indipendenti, confluiscono perché la peccatrice è figura comune ai due percorsi. Ne risulta una sintesi che conduce a identificare Maria di Magdala con Maria di Betania e a fare di tre donne una sola. Questo travisamento esegetico porta Maria di Magdala, la prima donna nominata nel seguito di Gesù, a essere considerata una prostituta e come tale ad essere ricordata per secoli nel culto, nella letteratura, nell'arte. Questi percorsi di errata interpretazione dei testi si sono sviluppati nell'arco della storia dell'esegesi forse a partire da Girolamo che per primo fece l'accostamento tra il concetto di possessione e quello di peccato.
In Oriente è stata mantenuta la distinzione, rilevabile anche dalle tre diverse date in cui vengono celebrate le feste: peccatrice innominata di Lc.7,36-50 il 31 marzo, Maria di Betania il 18 marzo, Maria di Magdala il 22 luglio. La convinzione prevalente degli studiosi oggi è a favore della distinzione.

Maria Maddalena evangelica
Maria chiamata Maddalena, dalla quale erano usciti sette demoni" (Lc.8,2) è la prima donna del gruppo delle discepole itineranti con Gesù ad essere nominata nel Vangelo di Luca. Sempre prima la ritroviamo nella lista dei sinottici quando viene descritta la crocifissione e si nomina la presenza del gruppo delle donne, fedeli seguaci del Nazareno fin dalla predicazione sulle strade della Galilea, che assiste alla Passione (Mc 15,40;Mt 27,56; Lc 23,49-55;24,10)

Nel racconto giovanneo la troviamo menzionata sotto la croce con la"madre, la sorella di sua madre, Maria di Cleofa "(Gv 19,25). Se nelle altre liste ha il privilegio di essere la prima, qui ha quello di essere associata al gruppo delle parenti strette. Già dalla lettura di questi primi testi biblici emergono elementi che indicano un primato di Maria di Magdala nel gruppo. Essa è il solo nome ad essere comune a tutte le liste: le altre donne ricordate cambiano, lei sola è presente in tutte le fonti. Che questi dati suppongano anche un rapporto particolare e privilegiato con Gesù è confermato dal seguito delle narrazioni evangeliche.


La Maddalena è inconfondibilmente "presso la croce di Gesù", poi in veglia amorosa "seduta di fronte al sepolcro", infine, all'alba del nuovo giorno è la prima a recarsi di nuovo al sepolcro, dove ella rivede e riconosce il Cristo risorto da morte. Alla Maddalena, in lacrime per aver scorto il sepolcro vuoto e la grossa pietra ribaltata, Gesù si rivolge chiamandola semplicemente per nome: "Maria!" e a lei affida l'annuncio del grande mistero: "Va' a dire ai miei fratelli: io salgo al Padre mio e Padre vostro, al mio Dio e vostro Dio".

E' di grande rilevanza che in un tempo nel quale la testimonianza delle donne, e quindi la loro parola, non aveva valore giuridico, il Cristo affidi il messaggio di resurrezione, a Maria di Magdala, facendo di lei la prima mediatrice della Parola, del Logos incarnato, rendendola apostola degli apostoli.

Il matrimonio di Maria e Gesù
Secondo alcuni studiosi (fra cui L. Gardner) la Maddalena fu la sposa sacra di Gesù in pieno rispetto delle procedure del matrimonio ebraico per i discendenti della sirpe di Davide e le nozze di Canaan (in cui Gesù era lo sposo) sarebbero appunto il primo atto di tale matrimonio. Da Maria e Gesù sarebbero nati, secondo tale tradizione, in cui credevano anche i Catari, tre figli, dando luogo ad una dinastia che si protrae nei secoli.

Maria Maddalena nella Gnosi
In alcune sette gnostiche tra il 2° e il 5°secolo dC, Maria Maddalena giocava un ruolo simbolico molto importante. Si riteneva che per la sua vicinanza con Gesù avesse ricevuto una rivelazione speciale da Lui e conoscenze che in seguito Ella avrenbbe trasmesso agli altri discepoli.
Maria Maddalena era anche l’archetipo del sacerdozio femminile.

Vi è un gruppo di fonti gnostiche che afferma di aver ricevuto una tradizione di insegnamenti segreti da Gesù tramite Giovanni e Maria Maddalena. Una parte di tale rivelazione aveva a che vedere con il concetto che il divino è sia maschile che femminile. Essi interpretarono ciò nel senso simbolico e astratto in cui il divino consiste da una parte dell’Ineffabile, del Profondo, del Padre Primo e dall’altra della Grazia, del Silenzio, della Madre di ogni cosa.

Nel “Vangelo di Maria” si racconta di quando gli apostoli, spaventati e disorientati dalla crocifissione, chiesero a Maria di infondere loro coraggio parlando degli insegnamenti segreti trasmessi a lei da Gesù. La Maddalena acconsentì e parlò loro fino a che Pietro, furioso, la interruppe chiedendo: “davvero Egli ha parlato privatamente di queste cose ad una donna e non apertamente con noi? Ci tocca ora davvero ascoltare Lei? Gesù preferiva dunque lei a noi?” Maria replicò: “Stai dicendo che dico cose che ho inventato io stessa o che sto mentendo a proposito del mio Signore? A questo punto Levi intervenì dicendo “Pietro, sei sempre stato impulsivo. Ora stai parlando con lei come con un avversario. Se il Signore l’ha considerata degna, chi sei tu per rifiutarla? Sicuramente il Signore l’ha conosciuta molto bene. E questa è la ragone per cui l’ha amata più di noi.” Al che gli altri furono d’accordo per accettare l’insegnamento di Maria e, incoraggiati dalle sue parole, uscirono a predicare. Vangelo di Maria 17.18 - 18.15.

Maria Maddalena, la Francia e i Catari
Secondo alcune fonti Maria Maddalena morì nel 63 d.C, all'età di 60 anni, in quella che oggi è St.Baume, nella Francia meridionale. Il suo esilio venne raccontato da Giovanni, nella "Rivelazione" (12:1-17), in cui descrive Maria e suo figlio e narra della sua persecuzione, della sua fuga e della caccia al resto del suo seme (i suoi discendenti) condotta senza tregua dai Romani. Oltre a Maria Maddalena, fra gli emigrati in Gallia nel 44 d.C, c'erano Marta e la sua serva Marcella. C'erano anche l'apostolo Filippo, Maria Iacopa (moglie di Cleofa) e Maria Salomè (Elena). Il luogo dove sbarcarono in Provenza era Ratis, divenuto poi noto come Les Saintes Maries de la Mer.

Tra le fonti scritte sulla vita di Maria Maddalena in Francia troviamo "La vita di Maria Maddalena", di Raban Maar (776-856), arcivescovo di Magonza (Mainz) e abate di Fuld.
In Francia Maria Maddalena avrebbe continuato l’opera di predica e di guarigione e trascorso lunghi anni in meditazione e in digiuno (nutrendosi esclusivamente della presenza degli angeli) in una grotta.

Il culto più attivo della Maddalena s'insediò poi a Rennes-le-Chateau, nella regione della Linguadoca. Ma anche altrove, in Francia, sorsero molti santuari dedicati a S.te Marie de Madelaine, fra cui il luogo della sepoltura a Saint Maximin-la-Sainte Baume, dove i monaci dell'ordine di san Cassiano vegliarono sul suo sepolcro e tomba in alabastro dall'inizio del 400. Un'altra importante sede del culto della Maddalena fu Gellone, dove l'Accademia di Studi Giudaici fiorì durante il IX° secolo. La chiesa a Rennes-le-Chateau fu consacrata a Maddalena nel 1059 e nel 1096, l'anno della Prima Crociata, ebbe inizio la costruzione della grande Basilica di santa Maria Maddalena a Vézelay. Nel redigere la Costituzione dell'Ordine dei Cavalieri Templari nel 1128, san Bernardo menzionò specificatamente il dovere di "obbedienza a Betania, il castello di Maria e Marta". E' quindi molto probabile che le grandi cattedrali di "Notre Dame" in Europa, tutte sorte per volere dei Cistercensi e dei Templari, fossero in realtà dedicate a Maria Maddalena.

Nel 1209 un esercito papale di 30.000 soldati al comando di Simone di Montfort calò sulla regione dela Linguadoca. Erano stati mandati a sterminare la setta ascetica dei catari (i Puri) che, secondo il Papa e Filippo II° di Francia, erano eretici. Il massacro, durato 35 anni, costò decine di migliaia di vite umane e culminò con l'orrendo eccidio al seminario di Montségur, dove oltre 200 ostaggi furono bruciati sul rogo nel 1244. In termini religiosi la dottrina dei catari era essenzialmente gnostica: erano persone dotate di grande spiritualità e credevano che lo spirito fosse puro, ma che la materia fisica fosse contaminata. Sebbene le loro convinzioni fossero poco ortodosse, il timore del papa in realtà era causato da qualcosa di molto più minaccioso. Si diceva che i catari fossero i custodi di un grande e sacro tesoro, associato ad un'antica e fantastica conoscenza. La regione della Linguadoca corrispondeva sostanzialmente a quello che era stato il regno ebraico di Septimania nell'VIII° secolo, sotto il merovingio Guglielmo de Gellone. Tutta la zona della Linguadoca e della Provenza era impregnata delle antiche tradizioni di Lazzaro (Simone Zelota) e di Maria Maddalena e gli abitanti consideravano Maria la "Madre del Graal" del vero cristianesimo occidentale. Ai pari dei Templari, i catari erano apertamente tolleranti verso la cultura ebraica e musulmana e sostenevano anche l'uguaglianza dei sessi. Come livello di apprendimento e di educazione, i catari erano tra i più colti nell'Europa di quel periodo, permettendo uguale accesso all'istruzione ai ragazzi e alle ragazze. Di tutti i culti religiosi nati in epoca medievale, il catarismo era il meno minaccioso, ma la tradizione sviluppata in Provenza, già dal I° secolo, sulla storia dei discendenti di Gesù alla Chiesa romana non piaceva. Al pari dei Templari i catari non volevano assolutamente sostenere la tesi che Gesù fosse morto sulla croce. Si riteneva così che possedessero sufficienti informazioni attendibili per smentire clamorosamente la storia della crocifissione. C'era soltanto una soluzione per un regime disperato che aveva paura di perdere credibilità. Dalla Chiesa di Roma fu impartito un ordine: "Uccideteli tutti".

La Maddalena medioevale
Dal Medioevo si afferma la figura della Maddalena come contro-eroina in un mondo di oppressione maschile.
Ella era ammirata come
- la donna che fu la prima testimone della resurrezione
- la donna che insegnava agli apostoli quando questi si distraevano
- la donna che predicava - in un momento in cui alle done era vietato predicare;
- la donna che sconfisse l’opposizione maschile.
La devozione alla Maddalena cominciò a diffondersi. La troviamo in statue, dipinti, fregi, pannelli dell’altare e illustrazioni dei manoscritti. Era usualmente rappresentata o al momento di ricevere l’incarico da Gesù o mentre predicava alle folle.
Si diffuse in tutta europa il racconto del suo arrivo in Francia attraverso la “Legenda Aurea”, un testo del XIII° secolo sulle vite dei santi che veniva letto in ogni chiesa e monastero.

Iconografia di Maria Maddalena
Nell'iconografia classica Maria Maddalena veste di nero e porta un mantello rosso, oppure, come appare in molti dipinti, sotto la tunica nera ne indossa una rossa, segno della sua dignità sacerdotale.

Probabilmente, come Gesù, ella apparteneva alla prisca setta dei Nazirei. Nazireo deriva da " Netzah " figura associata alla lunare Iside egizia e gli appartenenti alla setta vestivano tuniche nere. Maddalena trova la sua etimologia in Magdalha, "Torre", e proprio Maria Maddalena spesso veniva indicata dai Templari come Madre del Graal e sposa del Messia. Da questi i simboli si intuisce anche un legame fra il culto di Maria Maddalena e le celebri Madonne Nere, presenti non a caso soprattutto in Francia.

Altri attributi iconografici di Maria Maddalena:
Il Vaso - Il Teschio - Il Cilicio o la Sferza - La Croce - Il Libro - La Stuoia - Lo Specchio rotto - I Capelli Lunghi - La Nudità - Le Gioie disprezzate collana di perle rotta - Le Radici amare - La Grotta - Gli Angeli

Un miracolo di Maria Maddalena
Dal momento che Maria Maddalena rappresentava la prostituta sacra, ella era la mediatrice fra il mondo del divino e il mondo umano e ci sono diversi miti in cui si parla della capacità di Maria Maddalena di operare miracoli. In uno di essi si racconta di quando per prima ella vide e comunicò di aver visto Gesù risorto. Mentre correva a raccontarlo agli altri discepoli, ella incontrò Ponzio Pilato e gli disse della meravigliosa notizia. “Provalo!” rispose Pilato. In quel momento stava passando una donna con un cestino di uova e Maria Maddalena ne prese uno in mano. Come lo mostrò a Pilato, l’uovo divenne di colore rosso brillante.

giovedì 7 aprile 2011


Anaïs Nin (1903-1977), la poesia dell'erotismo

“La vita ordinaria non mi interessa. Cerco solo i grandi momenti. Voglio essere una scrittrice che ricorda agli altri che questi momenti esistono…”. E’ una delle autrici più controverse del 900. Donna di grande fascino, cosmopolita, e scandalosa per la sua epoca. Ha destato scalpore nella Parigi della Belle Epoque per la pubblicazione di racconti erotici: Anais Nin, profonda conoscitrice dell’animo umano.

Scoprì l’amore per la scrittura a 11 anni (1914), durante il viaggio che dall’Europa la portava a New York.

“Voglio descriverti, caro papà, ciò che sto vedendo in questo stupendo viaggio. Potrò così avere l’illusione che tu sia qui con me e che tu stia guardando le cose con i miei occhi“.

In realtà suo padre era definitivamente uscito dalla sua vita, salvo qualche fugace riapparizione in futuro (con presunte implicazioni di natura incestuosa) che comunque non colmarono mai la sua ossessiva ricerca di figura paterna che si trascinò dietro per tutta la vita. Anaïs sentiva il bisogno della conquista. Aveva la necessità di essere circondata da più uomini, soprattutto dopo aver perso quello più importante della sua vita.

“Se mio padre se n’è andato… se non mi amava dev’essere perché non ero amabile… come cortigiana avevo già assaggiato il fallimento. Dovevo trovare altri modi per interessare gli uomini“.

Sposò Hugh Parker Guiler (pseudonimo Ian Hugo), l’uomo a cui rimase infedelmente fedele per 50 anni, anche se in verità ci sarebbe da annoverare negli annali un matrimonio tenuto segreto con Ruper Pole (1955) poi annullato dalla stessa Nin per evitare guai a livello tributario.

Anaïs arrivò a Parigi nel 1929 richiamata dal fervido clima intellettuale della città, che negli anni ’30 ospitava molti dei più grandi artisti, scrittori, poeti, musicisti dell’epoca, e con molti dei quali ebbe delle liason, alcune sicuramente accertate altre di dubbio avvenimento: Antonin Artaud, Gore Vidal, Dalì, Edmund Wilson, André Breton. Tra le sue vittime ci fu anche Otto Rank, allievo di Sigmud Freud, con il quale collaborò come psicanalista, sebbene interruppe questa carriera nel giro di poco tempo. Con la psicoanalisi ebbe un rapporto controverso.

Iniziò questo lavoro con l’intento di ritrovare se stessa, ma ben presto si ritrovò annoiata e confusa tra la sua ricerca interiore e le turbe dei pazienti. Sentiva di confondersi troppo con le loro sofferenze e questo non le piaceva. Negli anni ’50 sperimentò l’LSD e ne descrisse il modo il cui la sostanza agiva sulla creatività e sulla percezione del proprio subconscio.

L’autrice di “Diario”, “Il delta di Venere”, “D.H. Lawrence. Uno studio non accademico”, “Henry and June”, “The house of Incest” subì l’influenza dell’allora ancora poco noto Henry Miller (autore di “Tropico del Cancro” e “Tropico del Capricorno”); in particolare ne rimase affascinata per la rudezza, per il suo modo di trattare le parole. “

E’ venuto a colazione con Richard Osborn, un avvocato che avevo dovuto consultare a proposito del contratto per il mio libro ‘D.H. Lawrence’. Mi è piaciuto subito, non appena l’ho visto scendere dalla macchina e mi è venuto incontro sulla porta dove lo stavo aspettando. La sua scrittura è ardita, virile, animale, magnifica. E’ un uomo la cui vita inebria. E’ come me. Era caldo, allegro, disteso, naturale. Sarebbe passato inosservato in una folla. Era snello, magro, non molto alto. Ha occhi azzurri, freddi e attenti, ma la sua bocca rivela emotiva vulnerabilità”.


Conobbe e frequentò così Henry Miller, e insieme alla moglie June intrecciò uno dei triangoli più torbidi dell’ambiente letterario della prima metà del ‘900. Di questa storia ne parlerà ne “Diario I 1931 – 1934”, anche se in un primo momento furono epurate tutte le scene più scabrose. Avrebbe desiderato vedere pubblicato il suo “Diario” fin dagli anni ’30, invece la prima uscita fu del 1966 e immediatamente divenne un caso letterario, specialmente per il pubblico femminile dell’epoca, tanto da innalzare la Nin a icona del movimento femminista.

“Questo diario è il mio kief, il mio hashish, la mia pipa d’oppio. E’ la mia droga e il mio vizio. Invece di scrivere un romanzo, mi sdraio con questo libro e una penna, e indulgo in rifrazioni e diffrazioni”.

Il “Diario” era per lei una sorta di talismano che la proteggeva da oscure minacce. Lo portava sempre con sé, e coglieva ogni occasione possibile per appuntarvi osservazioni e riflessioni, mentre viaggiava in treno oppure stava seduta ad una tavolo di un caffè.

Tra il ’44 e il ’47 viveva tra New York e Los Angeles, e proprio in questo periodo iniziò la sua carriera di scrittrice scandalosa. Un collezionista di libri aveva offerto ad Henry Miller 100 dollari al mese per scrivere racconti erotici. Miller aveva accettato per bisogno di denaro e, allegramente, inventava storie piccanti sulle quali rideva con Anaïs. Ben presto si stancò e così propose all’amica-amante di scrivere qualcosa. Lei iniziò, ma il collezionista le disse: “Va bene, ma lasci perdere la poesia e le descrizioni di tutto quello che non è sesso. Si concentri solo sul sesso”.

“Così incominciai a scrivere ironicamente, divenendo così improbabile, bizzarra ed esagerata che pensai che il vecchio si sarebbe accorto che stavo facendo una caricatura della sessualità. Ma non ci fu alcuna protesta. Passavo i giorni in biblioteca a studiare il Kamasutra. Ascoltavo le avventure più spinte degli amici. ‘Meno poesia’ diceva la voce al telefono. ‘Sia specifica’”.

Ma più era condannata ad insistere solo sulla sessualità, più creava poesia. La Nin racconta a questo proposito che scrivere di pornografia era diventata una strada verso la santità, invece che verso la dissolutezza.

Anaïs Nin smise di scrivere il suo “Diario” solo con la morte, avvenuta il 14 gennaio 1977. Mito e poema al tempo stesso, fece di questa forma letteraria il suo talento. Opera monumentale di 15.000 pagine dattiloscritte raccolte in 150 cartelle. I diari sono ricchi di dialoghi, osservazioni, interventi critici e commenti sulle persone, la politica, la letteratura, i viaggi, oltre che sulle vicende personali. Il mondo visto attraverso gli occhi di Anaïs è un mondo ricco di fascino e di meraviglia. Anche le cose più piccole, le persone più insignificanti vengono descritte con amore, profondità e soprattutto curiosità.

Sensibilità profonda. Vita intensa vissuta attraverso i sensi.
“La vita si rimpicciolisce e si ingrandisce in proporzione al proprio coraggio”, Anaïs Nin.

lunedì 4 aprile 2011



Il quadro, che è stato esposto in numerose occasioni, ha una cornice di legno argentato scolpita da Léon Jallot. E forse l’opera più famosa della Lempicka, diventata poi immagine simbolo di un’epoca, emblema della donna indipendente che si afferma. La pittrice si ritrae in caschetto e guanti di daino al voltante di un’auto sportiva. Il quadro nacque dall’incontro casuale tra l’artista e la direttrice della rivista Die Dame: questa, dopo aver visto la Lempicka alla guida della sua Renault gialla, le chiese di dipingere un autoritratto in automobile per la copertina della rivista. Al di là dell’attendibilità del racconto, che la pittrice data al 1927-1928, questo e i molti altri episodi narrati nella sua biografia forniscono utili informazioni per comprendere il personaggio Lempicka, il suo ruolo, le sue scelte, la sua totale adesione a un certo modello di vita caratteristico degli anni Venti-Trenta.


TAMARA DE LEMPICKA

Tamara de Lempicka nasce il 16 maggio del 1898 a Varsavia. Nel 1911 compie un importante viaggio in Italia insieme alla nonna materna, durante il quale scopre la sua passione per l’arte. Nel 1914, disobbedendo alla volontà dei genitori, interrompe gli studi e si trasferisce a San Pietroburgo, presso la zia Stefa Jansen. Durante una festa Tamara conosce il giovane avvocato Tadeusz Lempicki e se ne innamora. I due si sposano nel 1916, poco prima dello scoppio della rivoluzione russa. L’anno seguente il marito è arrestato per la sua militanza nelle file controrivoluzionarie, ma grazie alle relazioni della moglie viene presto liberato. I due si trasferiscono a Copenaghen, dove già si trovano i genitori di Tamara, e da lì giungono a Parigi. Nel 1920, poco dopo la nascita della figlia Kizette, Tamara decide di dedicarsi alla pittura e inizia a frequentare l’Académie de la Grande Chaumière, poi prende lezioni da Maurice Denis e André Lhote. Nel 1922 partecipa al Salon d’Automne. Dopo questa sua prima apparizione, la pittrice continua a esporre a Parigi fino alla seconda metà degli anni Trenta. Nel 1925 Tamara parte con la madre e la figlia per l’Italia per studiare i classici. A Milano conosce il conte Emanuele Castelbarco, proprietario della galleria d’arte Bottega di poesia, che le organizza la sua prima mostra personale. Durante la sua permanenza in Italia conosce Gabriele d’Annunzio, del quale desidera fare un ritratto. Negli anni seguenti, divenuta pittrice di successo, intensifica la sua partecipazione a mostre ed esposizioni parigine. Nel 1928 divorzia dal marito e ben presto si lega al barone Kuffner, che sposerà nel 1933. In seguito a una profonda crisi esistenziale, l’artista comincia a dipingere soggetti di contenuto pietistico e umanitario. Nell’estate del 1939 i coniugi Kuffner partono per New York, dove Tamara organizza una personale alla galleria di Paul Reinhardt. Nonostante i suoi numerosi impegni umanitari, la pittrice continua ad allestire mostre a New York, Los Angeles e San Francisco. Dopo un lungo periodo di silenzio, nel 1957 presenta le sue nuove opere a Roma alla Galleria Sagittarius. L’artista realizza in questi anni una serie di composizioni astratte, cui fanno seguito dei dipinti a spatola che non incontrano il consenso della critica. La mostra, allestita nel 1962, alla Galleria Jolas di New York è un fallimento. Dopo la morte del marito, avvenuta nel novembre di quell’anno, Tamara lascia New York e si trasferisce a Houston, dove vive la figlia Kizette. Nel 1969 torna a Parigi e riprende a dipingere. Una grande mostra antologica, organizzata presso la Galerie du Luxembourg (1972), riporta al successo l’anziana pittrice. Nel 1978 Tamara si trasferisce in Messico, a Cuernavaca, dove muore il 18 marzo 1980. Secondo le sue volontà testamentarie, le sue ceneri vengono sparse sul cratere del vulcano Popocatépetl.