sabato 28 gennaio 2012


WILLIAM BUTLER YEATS
(Dublino 13 Giugno 1865 - Cap Martin 28 Gennaio 1939)




VITA E OPERE:

Nasce da una famiglia di origine inglese, figlio di un pittore vicino al pre-raffaelismo (John Butler Yeats) e di una madre proveniente da una famiglia di armatori e commercianti protestanti e unionisti. Passa la sua adolescenza tra il paese di origine (si avvicina alla poesia durante le estati tranquille trascorse a Sligo, nella casa del nonno materno, grazie alle letture dello stalliere) e Londra. Nel 1883 entra alla Metropolitan School of Art di Dublino dove conosce George Russel con il quale ha in comune l'interesse per l'occultismo e il misticismo da cui continuerà a ricavare per tutta la sua vita profonde suggestioni.
Già a soli 24 anni pubblica la sua prima raccolta di poesie, I viaggi di Ossian (The wonderings of Oisin, 1889), esempio tipo della sua prima maniera mitizzante e sognante sui temi della terra d'Irlanda. Nel 1889 comincia con la collaborazione di Ellis l'edizione critica delle opere di Blake.
Nel 1892 a Dublino fonda la Società Letteraria Irlandese. In Inghilterra si aggiorna sul decadentismo ed il simbolismo, mentre in Irlanda prende contatto con le proprie radici. Nasce l'amore non corrisposto e mai spento per l'attrice e patriota irlandese Maud Gonne. In poesia i risultati sono splendidi ma senza grandi possibilità di evoluzione: ne Il vento fra le canne (The Wind among the reeds, 1899) alcune liriche hanno per noi un grande incanto che però non fa prevedere la o straordinario decollo delle poesie della maturità e della vecchiaia.

Grazie all'incontro con il geniale commediografo J.M.Synge e con Lady Gregory, Yeats si dedica a quel teatro popolare irlandese che preannunciava la liberazione e l'autonomia del suo paese. Nel 1899 fonda la Compagnia del Teatro Irlandese che sfocerà nel 1906 con l'apertura dell'Abbey Theatre di cui sarà direttore insieme a Lady Gregory e Synge.
Fra i drammi da ricordare La Contessa Cathleen (The Countess Cathleen, 1892), Il paese del desiderio (The Land of Heart's Desire, 1894), Deirdre, 1907.
Yeats non si impegna però mai troppo attivamente nell'azione politica dell'Irlanda anche perché nemico di ogni violenza.
L'elmo verde (The Green Helmet, 1910), Responsabilità (Responsabilities, 1914) - punto di passaggio da una fase "privata" ad una "pubblica", in cui non rifiuta più la politica - I Cigni Selvatici a Coole (The Wild Swans at Coole, 1919) e Michael Robartes e la Ballerina (Michael Robartes and the dancer, 1921), usciti nel decennio che vede il suo matrimonio con George Hyde Lees, mostrano il distacco dal crepuscolarismo e la sua evoluzione verso una mirabile concretezza di linguaggio, cui l'aveva portato anche l'insegnamento del giovane Ezra Pound, ed una capacità visionaria forse attinta dal grande esempio di William Blake.


Tra il 1915 e il 1922 evoca i tempi della sua giovinezza, delle estati trascorse a Sligo, in una serie di opere poi raccolte nel volume Autobiografie (Autobiographies, 1926). Ispirato dalle capacità di scrittura automatica della moglie cerca di teorizzare il suo pensiero filosofico soggettivo sulle diverse personalità dell'uomo e sulle maschere che egli assume nel libro intitolato Una Visione (A vision, 1925).
Indebolito nella salute nel 1928 si trasferisce a Rapallo. Pubblica La torre (The tower, 1928) cui seguiranno La scala a Chiocciola (The winding stair, 1933), Luna piena di Marzo (A full moon in March, 1935) e Ultime poesie (Last poems, 1936-39) dove si trovano alcune delle sue riuscite più vertiginose come la celebre "Viaggiando verso Bisanzio (Sailing to Bysanthium)". Specialmente nelle liriche della Torre, considerata il punto più alto della sua produzione, le sue idee si incarnano in immagini e si svolgono in ritmi indimenticabili, che lo hanno fatto considerare come il più grande lirico di lingua inglese di questo secolo.
Divenuto simbolo dell'Irlanda riceve il premio Nobel nel 1923 e viene nominato membro del Senato d'Irlanda nel 1922, appena creato lo Stato Libero.
Per la malferma salute spende i suoi ultimi anni in paesi caldi e muore nel sud della Francia.
la Repubblica Irlandese manderà un a nave da guerra per riprendere il corpo che giace, per volontà stessa del poeta, nel cimitero di Drumcliff, Sligo, sotto la montagna di Ben Bulben a cui aveva dedicato una delle sue ultime poesie e da cui sono tratte le parole del suo epitaffio ("Cast a cold eye, on death on life, horseman pass by").

OPERE CONSIGLIATE:

Yeats è sicuramente uno dei più importanti scrittori dell'isola di Smeraldo ed è quello a cui mi sento più legato perché proprio grazie alle sue liriche, ai suoi racconti, ho iniziato a conoscere questa meravigliosa terra. Non mi sento quindi di consigliare o sconsigliare qualcosa in particolare, anche perché la produzione è talmente varia (poesie, autobiografia, trattato filosofico, drammi teatrali, ha curato la pubblicazione di alcuni racconti fantastici e ne ha scritti lui stesso) che credo vada apprezzata in tutta la sua interezza. Date uno sguardo alla Bibliografia in italiano o provate a leggere qualcosa in inglese fino a trovare quello che più vi affascina.
In Italia è uscito qualche anno fa un disco di Angelo Branduardi che ha musicato alcune liriche di Yeats tradotte in italiano, merita un ascolto.



William Butler Yeats


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GIANNA LA PAZZA PARLA CON IL VESCOVO



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Incontrai il vescovo lungo la strada
E molto egli disse e io dissi.
« Quel petto è flaccido e cadente ora,
Quelle vene saranno presto disseccate;
Vivi in una casa celeste,
Non in una lurida stia ».

« Bellezza e sozzura sono stretti parenti,
E bellezza esige sozzura », io gridai.
« I miei amici sono scornparsi, ma quella è una verità
Mai negata dalla tomba o dal letto,
Appresa in infamia del corpo
E orgoglio del cuore.

« Una donna può essere orgogliosa e fiera
Quando intenta all'amore;
Ma Amore ha piantato la sua reggia
Nel luogo dell'escremento;
Perché nulla può essere unico o intero
Che non sia stato lacerato ».

giovedì 26 gennaio 2012


Gian Ugo Berti



Ho parlato di te


Ci sono persone che conosci solo “dopo”. Anche se le hai viste, hai stretto loro la mano, ci hai parlato, metti al posto giusto contorni e istinti, umanità e limiti solo dopo che se ne sono andate, quando te li racconta qualcuno che ne ha potuto registrare i passi, contare le pause, osservare dove gli occhi andavano a scavare. In questo libro ci sono Angiolo Berti e il buio che lo ha preso negli ultimi anni. Ma il racconto è anche quello delle luce che gli ha cucito intorno una lunga vita di cronista e protagonista nel mondo dei giornalisti italiani. Chi fa il nostro mestiere, e lo fa davvero, cucinando senza usare precotti, vive vite ricche di fardelli da portare. Mette le mani - quasi come un medico - in miserie e grandezze diventando capace, a volte, di gesti importanti che non cercano una cronaca. Agli altri, spesso, restano lische puntute di determinazione, di forza usata per fare cose grandi o anche grossolani errori. Non importa. Che poi tutto questo leggere e raccontare finisca nel buio dell’Alzheimer è un’altra storia. Forse una di quelle che ha da qualche parte una forma di contrappeso, come se in quella fuga dalla vita vissuta appieno ci fosse una ricompensa di riposo che, giustamente, mai potrà essere accettata da chi ti sta vicino.

Dire che ho conosciuto bene Angiolo Berti è un po’ troppo. In due occasioni ho incontrato il pioniere della Casagit e mai avrei pensato, allora, di essere tra quelli destinati a raccoglierne il testimone. Lui parte della storia della nostra categoria, io giovane delegato, appena arrivato, ragazzino. Quello che non sapevo era che parlargli significava anche sottoporsi ad un piccolo interrogatorio, garbato, da signore d’altri tempi, ma diretto, schietto, a ben vedere anche un po’ ruvido. Ripensandoci oggi potrebbe essere la sintesi di quello che aveva tenacemente voluto: uno strumento molto concreto per dare peso alle sicurezze e completare il Welfare dei giornalisti italiani. Di lui sapevo poco, solo qualche cenno di storia personale. Lungo la strada di ricordi “riportati”, venuti fuori padre e uno zio partigiani, quest’ultimo, Lorenzo Cravero, deportato come Berti e ucciso a Mauthausen, arrivò più attenzione e altre domande. Era come se Berti avesse trovato un filo comune di ragionamento, una strada per parlare ad un giovane delegato che sembrava anche disincantato rispetto a quella Cassa da poco incontrata. Ai suoi occhi, forse, quel giovane poteva non aver ben compreso che il “modello” della Casagit si richiamava a concetti, forse sogni, che avevano cittadinanza proprio negli anni nei quali si lottava per qualcosa di ben più grande. Ma la conversazione diventò vivace, bella, curiosa. Diceva di come era stato immaginato un riparo per la salute di giornalisti liberi di scrivere dando loro uno strumento per mantenere pari autonomia anche nei momenti meno facili della vita privata. Qualcosa che li faceva addirittura più forti e tutelati di tanti altri professionisti italiani.

Chissà forse una “casta”, un cesto di privilegi. Dibattito che insegue gli italiani da sempre nei momenti più scarni, quando risulta impossibile migliorare le cose per tutti. Ma per la Casagit, oggi intitolata ad Angiolo Berti, la storia è ben lontana dai privilegi. È come comprare il pane: paghi di tasca tua per avere qualcosa che ti serve. Se però devo scegliere il momento in cui ho cercato di conoscere più a fondo il Presidente Berti è stato quando, a inizio mandato, in un passaggio difficile per i conti della Cassa e per il mercato del lavoro dei giornalisti italiani, mi sono chiesto banalmente “ma quel demonio dagli occhi aguzzi, che sorrideva e colpiva dritto e a fondo adesso cosa farebbe?” Sono andato a rileggere, cercando un filo per interpretare decisioni e momenti della nostra storia di giornalisti, anche i vecchi verbali di Consiglio d’Amministrazione. Ci ho trovato una sintesi estrema che oggi in parte rimpiango, sacrificata alle aumentate complessità di gestione pratica e politica della Cassa. Ai tempi di Berti poche righe raccontavano cambi di rotta fondamentali: come l’accogliere i familiari tra gli assistiti della Casagit. Poche parole senza tanti fronzoli, né vivaci oratori, dicevano che la comunità dei giornalisti si era data regole per la salvaguardia della sua salute in tutto il paese, cercando di dribblare le tante differenze di assistenza pubblica che ieri come oggi, ahimè, restano. Una lingua ancora una volta asciutta e a tratti ruvida quella dei primi Cda: pochi numeri e meccanismi di base fondamentali, quegli stessi che anche ancora oggi ci permettono di navigare e affrontare onde alte, addirittura tempeste. Credo quella fosse, in fondo, la lingua giusta per quei tempi e per i convincimenti di Berti: i giornalisti devono avere un sistema di tutela, capace di tenere insieme previdenza e salute che è come tenere insieme solidità e tentativi di “schiena diritta”. Chi navigava il Transatlantico di Montecitorio in quegli anni sapeva come andava il mondo. Se il corsivo iniziato pungente, diventa una preghiera alla politica perché tenga conto di questo e di quello, dell’esistenza di tanti e differenti modi di camminare l’Italia, è giusto che chi si assume il compito di raccontare possa provvedere a se stesso. Non può con la stessa mano sferzare, accarezzare, indicare e chiedere. Ma lo deve fare - sono certo Berti a questo punto offrirebbe anche me un caffè come faceva con i barboni - salvaguardando quanti più colleghi possibili, meglio ancora tutti. Un pensiero semplice e complicato, sfidante. Chi ha buone retribuzioni garantisca anche chi, ieri e molto di più oggi, ha meno risorse. Forse il fondatore della Casagit nel suo buio rimestava anche questo, o forse no. A me fa piacere pensare che, comunque, certe parole d’ordine non tramontino mai.
Buona lettura

Daniele M. Cerrato - Presidente Casagit

domenica 15 gennaio 2012



DAL MIO NUOVO LIBRO (COPYRIGHT SUSANNA BERTI FRANCESCHI)


Leahhaunnshee
Il lago era coperto da quella bruma sottile che fa apparire gli alberi solitari fantasmi.
L’aria ferma aveva il sapore dolce della terra umida.
Niente pareva vivere ,eppure tutto era pervaso dal movimento sottile del tempo che scorre.
Leahhaunnshee attendeva .
Sdraiata sull’erba bagnata ,si specchiava nell’acqua del lago.
Che immagine rimandava lo specchio dell’acqua!
I capelli di un rosso intenso,simile alle foglie del platano in autunno,scendevano lisci come seta sulle spalle .La pelle era bianca e trasparente come la neve incontaminata.
Nel viso,dall’ovale perfetto ,spiccavano come creature vive ,gli occhi ,di un verde intenso ed insieme trasparente.
Nessuna creatura del piccolo popolo era piu’ bella di lei,e nessuna creatura era più triste e sola.
Mille anni erano trascorsi da quando era nata .Sua madre era Eoste dal coniglio bianco,colei che fa fiorire i prati ,e suo padre il grande Adna mac Bitha.
Adna mac Bitha era ricordato del piccolo popolo,ma anche da coloro che sono uomini come colui che dette il nome alla terra.
Giungendo dal mare freddo del nord ,dopo aver attraversato i grandi ghiacci,Adna vide le scogliere e le colline verdi e nominò l’isola Isna Fid bad,la terra verde.
Leahhaunnshee era bella come la madre e fiera come il padre.
Mai ,nei mille anni,si era mossa dalle sponde del lago.
Mai aveva varcato le soglie della foresta.Gli altri venivano a lei ,richiamati dai racconti antichi della sua bellezza.
Molti del popolo degli uomini avevano amato la fata dai lunghi capelli rossi.
Avevano sfidato le rocce impervie ,i sentieri oscuri,si erano battuti con i migliori guerrieri degli elfi solo per avere un suo bacio,solo per stringere una volta ,tra le braccia il suo corpo flessuoso.
Ora tutti,re ,guerrieri,soldati,poeti,menestrelli ,forti contadini,giacevano dentro la sua anima.
Era stata Fodla,la crudele regina dei Tuatha De Dannan a lanciare la maledizione sulla figlia di Eoste.
Invidiosa della sua bellezza e dell’amore che tutti i principi provavano al solo vederla aveva lanciato il mon.la più antica delle invettive.
Aveva risucchiato il loro corpo e la loro anima.
In lei giacevano,scomposti in molecole leggere corpi muscolosi e si affannavano spiriti non rassegnati .
Tutti coloro che avevano voluto possederla ,erano stati posseduti.
Ricordava l’odore acre di guerriero di Erwin De Ghota.
Quando aveva avvertito il calore e il suono del FA aveva lacerato la sua mente,l’aveva guardata,stupito.
Leahhaunnshee era rimasta in silenzio per anni dopo Erwin e il suo odore aveva cullato le sue notti.
Ora attendeva.
Sarebbe passato ,il lago tingeva di un rosso cupo le sue acque .L’ora del tramonto era vicina,sarebbe passato e lei si sarebbe donata a lui.
Non importava il dopo,non pensava a cosa poteva accadere:solo averlo aveva un significato e solo amarlo
Poteva salvarla dal dolore del FA.
L’erba si mosse piano,appena un fruscio scosse le foglie,i passi gravi del cavallo rosso cullavano la terra con la loro musica uguale.
Comparve che il sole stava per sparire e il cuore di Leahhaunnshee fece una capriola come un leprotto in cerca di gioco.
Si alzò ,la fata,e tutt’intorno l’aria si tinse di verde.
Si fremarono gli animali del bosco,gli uccelli spensero il loro canto.
Tese le mani Leahhaunnshee invitandolo e un impercettibile sussurro uscì dalla bocca:”amore”.
Un turbine caldo la investì e la sollevò,il cuore cominciò a galoppare ,i polmoni si contrassero cercando aria.
Il turbine divenne soffio ,lieve,tiepido ,vorticò leggero intorno alla bocca semichiusa del giovane.
Entrò ,gentile ,nel suo corpo,aria tiepida,molecole luminose.
Un attimo solo si fermò il cavaliere,sorpreso.
Gli uccelli ripresero a cantare e il lago osservò silenzioso e pianse la morte per amore di Leahhaunnshee.
RIPRODUZIONE PARZIALE O TOTALE PROIBITA

lunedì 9 gennaio 2012


LOCUSTA


Una delle grandi maestre a Roma ai tempi di Nerone fu Locusta, un personaggio a cavallo tra mito e realta', tra il mondo della magia e la botanica. Per questo motivo, della vera Locusta si sa poco. Vi e' chi sostiene che fosse una strega di origini persiana che trascorse parte della sua vita come schiava al servizio di un medico greco, da cui apprese le sue conoscenze fino a quando diventarono entrambi schiavi a Roma. Altri collocano la sua origine nelle Gallie, probabilmente discendente di una qualche tribu' celtica dove pote' esercitare da druida, nome che ricevevano le sacerdotesse e le maghe tra i Celti.
Locusta aveva, certamente, una vasta cultura, conoscenze in ambito di erbe e persino di medicina, ma non era semplicemente un'altra avvelenatrice, ma l'avvelenatrice di Roma. Commercianti, uomini d'affari, nobili e perfino senatori passavano per la sua casa cercando da un rimedio o un feticcio per l'amore, fino ad una sostanza con la quale ravvivare la passione o con la quale eliminare un nemico. Il fatto che avesse rapporti con Agrippina, e ancora prima con Messalina, indica che ebbe relazioni eccellenti con la nobilta' romana, che sicuramente ottenne grazie alle case di prostituzione, un vero pululare di intrighi e contatti tra le sfere sociali.
La storia non ufficiale ci narra che Locusta era stata imprigionata e aspettava di essere condannata a morte per uno dei suoi assassinii quando Agrippina la salvo' e le diede l'incarico che avrebbe cambiato la sua vita; uccidere Claudio.
Fino alla morte di Claudio, al cui avvelenamento tramite funghi o fichi si suppone che partecipo' attivamente, Locusta era una donna rispettata, temuta e stimata, ma non lavorava per il potere. Quando mori' l'imperatore, fu contrattata esclusivamente da Agrippina, la madre di Nerone, il nuovo Cesare.
Dopo Claudio, il secondo serio incarico a cui dovette far fronte Locusta fu la morte di Britannico. Secondo gli storici, il primo tentativo falli' e fu torturata per ordine esplicito di Nerone. Fortunatamente per lei, la seconda volta avveleno' accuratamente alcuni dolci e inoltre creo' una bevanda aromatica e speciale.
Secondo Tacito "una pozione aromatica ancora innocua, ma molto calda, venne servita a Britannico dopo essere stata assaggiata. Quindi, dopo averla rifiutata perche' troppo calda, vi aggiunsero acqua fresca e, con questa, il veleno che ebbe un effetto cosi' rapido che si vide privato contemporaneamente della parola e della vita". Dato che si tratto' di un veleno che non poteva risaltare nell'acqua incolore, sicuramente si trattava del modernamente denominato acido prussico, di cui non conosciamo il nome usato dai romani.
Secondo Tacito i commensali rimasero inorriditi, ma Nerone guardava pazientemente il bambino, come se la situazione non fosse stata grave, disse che il fatto non era nulla di straordinario, in quanto era la conseguenza della grave sofferenza che affligeva il giovane. E' certo che il bambino soffrisse di epilessia, ma questa volta quei movimenti erano dovuti al veleno.
Molto probabilmente l'avvelenatrice, per desiderio esplicito della madre di Nerone, lavoro' gomito a gomito con Andromaco da Creta, medico personale del Cesare, che tra le altre missioni, doveva darle dell'oppio quotidianamente per calmare le sue terribili inquietudini e per favorire la sua necessita' di ispirazione.
Ad Andromaco si attribuisce, non sappiamo se con l'aiuto di Locusta o meno, che era colei che meglio conosceva i veleni e i loro effetti, la creazione della therica magna, anche se cio' che in realta' fece fu migliorare quella inventata dal re Mitridate con qualche variante, quale ricorrere alla carne di vipera invece di usare quella di lucertola. La theriaca di Andromaco conteneva, tra le altre meraviglie, acacia, artemisia, oppio, zafferano, cumino di Marsiglia, finocchio, miele, incenso e carne di vipera.
Secondo Locusta il veleno migliore era quello che uccideva "dal di dentro", quello che a causa della stitichezza che provocavano, gli alimenti gia' digeriti finivano per fermentare all'interno e per favorire quindi la putrefazione , non potendo quindi essere eliminati.
L'artemisia veniva usata per regolare le mestruazioni e favorire l'aborto.
Caduto Nerone essendo gia' lontana dall'influenza di sua madre, comparvero numerose persone che testimoniarono contro Locusta fino ad incolparla di 400 morti.
Fu condannata a morte dall'imperatore Galba che,dopo aver ordinato che venisse torturata per giorni,ordino' che venisse giustiziata in una piazza pubblica dopo essere stata violentata da una giraffa ammaestrata e posteriormente squartata e consegnata alle fiere del circo. Questo ci dice Lucio Apuleio. Sicuramente fu torturata e squartata, ma il dettaglio della giraffa solleva un po' di dubbi...

giovedì 5 gennaio 2012




Tina Modotti

Pracchiuso (Udine) 1896-Città del Messico 1942

Assunta Adelaide Luigia Modotti (Tina) Modotti nasce il 16 agosto 1896 a Pracchiuso, vicino a Udine. Lascia la scuola a tredici anni e nel 1913, all'età di diciassette anni, si imbarca sul piroscafo Moltke ed emigra negli Stati Uniti. Si stabilisce a San Francisco dove lavora in una fabbrica tessile. Inizia in seguito un'attività di attrice di teatro: la sua avvenenza la porta a Hollywood, dove recita in alcuni film muti.

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A Los Angeles conosce il fotografo nordamericano Edward Weston, che diviene suo maestro e inizia con lui una relazione amorosa. Nel 1922 Tina ed Edward si trasferiscono in Messico. Inizia in quegli anni l'attività di Tina Modotti nel campo della fotografia.
Frequenta alcuni artisti messicani, tra cui Diego Rivera. Dal 1927 dedica la sua attività anche al Partito comunista e inizia a realizzare una serie di reportage fotografici sugli strati più disagiati della popolazione. Le sue fotografie fanno presto il giro del mondo.


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Nel 1925, dopo avere rotto i rapporti con Weston che riparte per gli Usa, Tina Modotti, rimasta a Città del Messico, si butta con ardore nella lotta politica. Si lega poi al dirigente comunista cubano Julio Antonio Mella, conosciuto durante una manifestazione di protesta contro la condanna a morte di Sacco e Vanzetti. Mella viene in seguito ferito mortalmente da sicari del colonnello Machado in un attentato compiuto mentre era in compagnia di Tina: le autorità di polizia cercano in quell'occasione di accusare Tina del delitto.
Mentre in Europa prendono il potere il fascismo e il nazismo, Tina si lega a Vittorio Vidali, esule antifascista e membro del Partito comunista.

Nel 1930, accusata ingiustamente di aver cospirato per assassinare il presidente del Messico viene espulsa dal Paese. Inizia il suo esilio, prima in Germania, poi nell'Unione Sovietica. Interrompe il suo lavoro di fotografa e dal 1934 partecipa al Soccorso rosso internazionale ed è attiva nella guerra civile spagnola nel Quinto Reggimento delle Brigate internazionali con il nome di battaglia di María.

Nel 1940 il governo di Lázaro Cárdenas annulla la sua espulsione e Tina Modotti rientra in Messico dove continua la sua attività politica con l'Alleanza Antifascista Giuseppe Garibaldi.

Muore nel 1942 a Città del Messico in seguito ad un attacco cardiaco. Oggi riposa nel cimitero della capitale, il Panteón de los Dolores, accanto alla tomba del generale Venustiano Carranza.

Tra le persone che l'hanno conosciuta e avuta per amica vi sono Diego Rivera, Frida Kahlo e David Alfaro Siqueiros; i poeti Pablo Neruda, Rafael Alberti e Antonio Machado sono tra coloro che l'ammirarono e la immortalarono nei loro versi.

lunedì 2 gennaio 2012


Paure archetipe... ed altre ancora
( Susanna Berti Franceschi )

Prezzo: €6.00






Questi brevi racconti parlano delle angoscianti ipotesi su quello che un famoso film definì ”The day after”, il giorno dopo, o il secolo dopo, o millenni dopo.

Ma, come dice il titolo, parla di “altro ancora”di quella condizione umana che è rimasta e rimarrà invariata, nel percorso dell’uomo: parla dell’amore, del ricordo, della nostalgia, dell’emarginazione dell’essere e sentirsi diversi.

Perché, se c’è un buon metodo per conoscere gli esseri umani, è conoscere le loro paure e le loro angosce.