domenica 20 febbraio 2011
Grasso e Magro storia dei canoni estetici
La tradizione etrusca e romana, frutto di una civiltà agricola, non esitava a porre il pane al centro del suo sistema alimentare e a designarlo come ideale per ogni uomo, dal contadino al soldato. L'ìmmagine estetica da sublimare era quella del condottiero agricoltore, perfettamente identificata dall'asciutto Lucullo.
Questo cambiò nell'alto Medioevo, quando il cibo carneo andò ad identificare per gli strati dominanti la prima occasione per manifestare superiorità.
Ciò era legato alla concezione fisica e muscolare del potere, che vedeva nel capo anzitutto un valoroso guerriero e cacciatore. L'imperatore Carlo Magno, rappresentava perfettamente questa icona di uomo potente che consumava più cibo degli altri. Per rafforzare questa identità spesso anche i cognomi delle famiglie nobili erano presi a prestito dal mondo degli animali carnivori: Lupi, Orsi, Leoni, Leopardi.
Con il trascorrere dei secoli, il passaggio da una nobiltà di "fatto" conquistata con la forza fisica sul campo, ad una nobiltà di "diritto" acquisita per via ereditiera, fece affermare un modello alimentare diverso.
L'importante non era più consumare obbligatoriamente più cibo degli altri commensali, ma averne a disposizione di più sulla tavola, per poi distribuirlo a compagni, ospiti, servi e cani.
Il linguaggio alimentare sviluppò così un contenuto sempre più ostentatorio e scenografico. Tra il XIV e XVI sec. e fino alle soglie della contemporaneità, questo concetto venne applicato nei cerimoniali di corte in modo quasi aritmetico.
Pietro IV d'Aragona voleva che a tavola si segnalassero con precisione le differenze:
"Poichè nel servizio è giusto che alcune persone siano onorate più delle altre, secondo la condizione del loro stato", leggiamo negli Ordinacions del 1344 "vogliamo che nel nostro vassoio sia posto il cibo necessario per otto persone; cibo per sei sarà posto nei vassoii dei principi reali, degli arciverscovi, dei vescovi; cibo per quattro nei vassoi degli altri prelati e cavalieri che siedano alla tavola del re".
Regole ispirate alla medesima logica valevano ancora nel XIX sec. alla corte napoletana dei Borbone.
Ne seguiva come ideale estetico un generale apprezzamento del corpo robusto, perché essere grassi era bello e segno di ricchezza.
Il valore della magrezza, collegato a quelli di rapidità e produttività, sembrò proporsi come nuovo modello culturale ed estetico solo nel corso del Settecento, ad opera degli intellettuali borghesi che si opponevano al vecchio ordine.
Il puritanesimo ottocentesco, riprendendo certi valori del penitenzialismo cristiano medievale, contribuì ad affermare ulteriormente l'immagine del corpo magro e snello: il corpo borghese, che "si sacrificava" per la produzione dei beni.
A poco a poco, già nel corso del XIX e poi sopratutto del XX sec., mangiare molto ed essere grassi cessò di rappresentare un privilegio indicante superiorità sociale.
Di fronte alla progressiva democratizzazione dei consumi, imposta dalla logica industriale di produzione del cibo, nuovi ceti sociali vennero ammessi all'abbuffata.
L'ostentazione di mangiare molto si ridefinì come pratica popolare, dalla piccola borghesia ai ceti contadini. Esempio di questo erano gli usi linguistici delle nonne, che per indicare un nipote in salute affermavano "sei proprio bello grasso".
Il modello estetico della magrezza, arricchito di implicazioni salutistiche, trovò ampia diffusione nelle classi dominanti europee della prima metà del Novecento.
Poi l'esperienza devastante della guerra, riportò la fame e i modelli tradizionali medievali ripresero il sopravvento: negli anni Cinquanta le figure femminili che campeggiavano sui cartelloni pubblicitari erano improntate sopratutto verso una corporeità florida e piena.
Solo a iniziare dagli anni Settanta-Ottanta l'ideologia del magro ha trionfato, rafforzata anche dalle esigenze salutistiche sempre più importanti della società attuale.
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