mercoledì 18 maggio 2011




Jack Cade, il cui vero nome forse era John Mortimer ,è stato un rivoluzionario irlandese.

Nel 1450 capeggia una insurrezione popolare, scoppiata nella contea del Kent in Inghilterra, sotto il regno di Enrico VI.



La situazione in Inghilterra prima della ribellione[modifica]Tra il 1435 e il 1450 - l'anno della ribellione di Cade - l'Inghilterra, impegnata nelle fasi finali della guerra dei cent'anni, subiva pesanti sconfitte, perdendo quasi tutte le province francesi.

Il corso negativo della guerra, l'incoronazione di Carlo VII nel 1429 in Notre-Dame di Reims e il disconoscimento della sovranità inglese sulla Francia, precedentemente sancita dal Trattato di Troyes, concretizzavano la prospettiva di una rinuncia definitiva delle aspirazioni inglesi in terra francese.

Nel 1446 scoppiava, inoltre, uno scandalo per la restituzione alla Francia di alcuni territori; un atto di cui il parlamento era stato tenuto all'oscuro. I territori del Maine e dell'Anjou, venivano segretamente ceduti dalla corona inglese, su richiesta di Carlo VII, per acconsentire al matrimonio di Enrico con sua figlia Margherita di Anjou.

La debole condotta del Re, schiacciato fra la corruzione e le tensioni montanti con la casata York che sarebbero sfociate nella guerra delle due rose, paralizzava la politica interna.

L'impopolarità di Enrico VI, conseguentemente, era all'apice.

Successione degli eventi[modifica]Nella primavera del 1450, i contadini del Kent protestano contro l'incapacità del governo reale, la tasse elevate, la corruzione e gli effetti negativi della perdita della Francia.

Il 4 giugno, Jack Cade, leader dei ribelli, pubblica The Complaint of the Poor Commons of Kent ("La protesta dei poveri popolani del Kent"), una lista di rimostranze contro il parlamento e l'aristocrazia della corte reale, accusati di manipolare le decisioni del debole sovrano. Nell'intestazione, infatti, vi si legge:

« ..Noi, riconoscendo il re come nostro signore e sovrano, e che insaziabili e maligni manipolatori circondano notte e giorno sua altezza, convincendolo, ogni giorno, che ciò che è buono è malvagio e ciò che è malvagio è buono:... »


Ai primi di giugno, ventimila ribelli si concentrano presso la città di Blackheath (ora Lewisham, sobborgo parte dell'area metropolitana londinese), a sud-est della capitale. Ai rivoltosi, in gran parte contadini, si unisce una parte della cittadinanza e, soprattutto, un buon numero di soldati e marinai inglesi di ritorno dalla Francia, raddoppiandone il numero.

Mentre il re cerca rifugio nella contea shire di Warwickshire, i quarantamila uomini, guidati da Jack Cade, raggiungono Southwark (che all'epoca non faceva parte ancora del nucleo cittadino) e, stabilito il quartier generale nella locanda The White Hart[1], il 3 luglio attraversano il London Bridge[2]. Il Lord Tesoriere (una delle più alte cariche dello stato) e diversi membri della corte reale, vengono arrestati e decapitati e la città, nonostante le promesse contrarie di Cade, viene messa al sacco dai ribelli, fino al sopraggiungere della notte, quando i rivoltosi fanno ritorno a Southwark. La notte del giorno seguente, i ribelli subiscono ingenti perdite in uno scontro con l'esercito regolare organizzatosi presso il London Bridge.

Conclusa la battaglia, il Lord Cancelliere, l'arcivescovo John Kemp[3], convince Cade a porre fine alla rivolta in cambio del perdono e la promessa che il governo ottempererà alle richieste del manifesto. La ribellione si conclude, i contadini si disperdono, ma la settimana successiva, Cade viene condannato come traditore e viene posta una taglia sulla sua testa. Catturato e ucciso, il corpo di Jack Cade viene trasportato a Londra e squartato per essere esposto come monito in diverse città. La sua testa, assieme a quelle degli altri capi della rivolta, viene esposta sul London Bridge. Dopo la sua morte, i ribelli sono perdonati, tranne 34 che vengono giustiziati.

Jack Cade e la rivolta da lui guidata figurano nel dramma teatrale Enrico VI, parte II di William Shakespeare. Un seguace di Cade, in una discussione con il capopopolo, pronuncia la celebre frase:

« E la prima cosa che faremo sarà uccidere tutti gli avvocati »
(William Shakespeare, Enrico VI, Atto Secondo)

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