martedì 27 settembre 2011

FRAMMENTI


 

Momento


 


 

Il vento trema le foglie

Al platano orgoglioso

Aria di sole puro

Ricopre la campagna

Giacciono a terra

Le ossa del nemico

E riposa il mio cuore


 

VOI


 

Più vi guardo

E vi ascolto,

voi che non appartenete alla mia vita.

Ascolto suoni

Che rallegrano le mie orecchie

E parlo con chi solo ama questo silenzio


 


 


 


 

Morte


 

Immobile

Portata

Dal vento di sabbia

La locusta cieca

Attende.


 


 

Solo ieri


 

Scura e pesante

La sera mi sta davanti

Solo ieri chiamava il mio nome

E invocava il tocco

E

Ora

Solo i richiami dei pastori e

Uccelli alla ricerca di riposo

Tra rami nascosti di antiche querce


 


 


 


 


 


 

Ossessioni


 

Caldo opprimente ottunde

Pensieri di un abbraccio

E un ginocchio sbucciato,

viale ombroso e foglie

precocemente cadute

di vecchi sulle panchine e tu

che correvi avanti,

io dietro come di chi non saprebbe essere in altro posto.

Ferite sanguinanti

Di indicibili torture

La mente disfatta e il corpo a sostenerla che si muove

Convulso

a non sentire il dolore.

Le lame aguzze

Che impedirono il riposo

Rovistando implacabili .

Ne renderanno conto

A me

A te


 


 


 


 


 

Lapide


 

Se è vero che si può rinascere

Se è vero che la morte non sempre

Rende ineluttabile il passaggio alla collina

Certo così fu per me.

Quando mi chiusero la cassa con occhi soddisfatti di tanta cura

Udii il vorticare dei bulloni che si stringevano

Soffocando sentii la terra stringersi su di me,

fu allora che decisi di uscire

senza curarmi di esser vista

e non mi videro,

risalì con movimenti veloci ,scossi rimasugli di foglie dai capelli

e mi incamminai

a piedi nudi ormai,su per il sentiero che non conoscevo.

Lo percorsi tutto

Senza voltarmi mai

Che la cosa mi avrebbe reso incerta.

Fu davanti ai platani danzanti che mi fermai

Seduta son qui ancora che riposo le mie quattro ossa.


 


 


 


 


 


 


 


 

Tara


 


 

Arano

Di notte,

i contadini ,sotto la luna che osserva

antichi gesti di

memorie perdute

ancora come

le colline di Tara

solcate da aratri di ferro e lacerate da sogni .

Lavorano silenziosi,

soli tra tanti,

lontani dalle miserie del mondo.


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 

Ti ho sentito


 

Ho riconosciuto il tuo volto

E le tue mani,

ho riconosciuto,tra tanti ,il tuo odore,

non mi sono scordata il tuo tocco

né lo sguardo.

Mi hai accompagnato in tutte le mie vite

Lungo lo scorrere quieto del tempo.

Oscurità e dolore

Noi nel rifugio della cava

Freddo

Ma tu mi hai preso la mano

Non l'hai lasciata,

chi fu più coraggioso non me lo chiesi allora

né ora

che noi fummo da subito uno.


 


 


 


 


 


 


 


 


 

Cantarono i poeti


 

Potevano

I poeti scrivere

con i corpi dilaniati dei ragazzi,

viscere aperte

proiettili a perforare i cervelli

lame a straziare?

Potevano

I poeti scrivere

con donne violate e torturate

cuori grondanti di sangue?

Potevano i poeti cantare i loro versi

Con bimbi dentro cancelli d'orrore

E vecchi attoniti senza ricordi?

Eppure scrissero

I poeti

E riempirono di suoni

Il vuoto del tempo confuso del putrido odore

Della violenza.

Ora

I poeti

Scrivono d'amori infelici

Di piegate passioni

Di sogni infranti

Si voltano

Sdegnosi

Alla mesta e dolorante miseria.


 


 


 


 

Tramonto


 

Che il tempo

Sia gentile con te

gli anni sfiorino appena

Il tuo viso,

e che il tramonto

ti sia

dolce come lo fu l'alba.


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 

Semi


 

Semi

Portati dal vento

Germinano

Nella terra.

Per caso

Così,

fatti

e improbabili amori

senza ragione.


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 

Lapide II


 

Quando mi presero

Sperai a lungo

Di rivederti,

ma uccisero

in me

e in te

i ricordi.

Riposai,allora,in improbabili stanza.

Quando verrai

Dove le mie ceneri

Sono disperse

Respira piano

La mia anima che fu dolente


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 

Non sono un poeta


 

Dove sono le mie poesie

Sparse in foglietti?

Non sono un poeta,

io sono un cantore di storie.

I poeti hanno un'anima,

la mia mi fu estirpata

come un tumore antico

che mi avrebbe portato alla morte.

Dove sono le mie poesie

Sparse in foglietti?

Riascoltare i rumori

Risentire odori

Ricordare gli oggetti

Riconoscere volti

Non sono un poeta,

io sono un cantore di cose.


 


 


 


 


 


 


 


 


 

Il profumo del tempo


 

Profumano

I sassi

Della memoria

Del tempo


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 

Airone


 

Vola

Armonioso

L'airone

Bianco.

giovedì 15 settembre 2011


Santa Notburga,la santa cameriera


La santità oggi è più estesa a tutte le categorie sociali, quindi non fa più meraviglia sentire di santi medici, operai, coniugi, ragazzi, studenti, scienziati, ecc., non solo papi, vescovi, religiosi, suore; ma nei secoli scorsi le categorie erano molto ristrette e quindi fece meraviglia che una santa, nel secolo XIV, provenisse dalla condizione degli addetti ai lavori domestici e dal mondo contadino, perché di solito nel campo femminile, erano badesse o regine.
Per questo il culto per s. Notburga, ebbe una diffusione immensa nei Paesi della sua regione l’Austria e degli Stati limitrofi. Su di lei sono state scritte numerose ‘Vitae’ e libri di devozione, come pure è stata raffigurata in tante opere d’arte.
Notburga nacque nel XIII secolo a Rattenberg nel Tirolo del Nord; fu cuoca di un nobile nel vicino castello sul Rottenburg e distribuiva ai poveri tutto ciò che avanzava dalla tavola dei padroni, poi si mise al servizio di un contadino ad Eben, con cui convenne, che avrebbe lasciato il lavoro servile al sabato all’ora dei Vespri, quando secondo il concetto medioevale, cominciava già la festa domenicale; per potersi dedicare alla preghiera ed alle faccende di casa.
Dopo qualche tempo di cui non si conosce la durata, tornò a fare la cuoca presso il nobile nel castello di Rottenburg, continuando nella sua opera caritatevole, fino alla sua santa morte, avvenuta il 14 settembre 1313; venne sepolta ad Eben.
Come già accennato prima, non esistono documenti contemporanei, il testo più antico della sua leggenda, in tedesco, si trovava sul dipinto ad olio e su tavola di legno, che una volta abbelliva la tomba di Notburga ad Eben ed ora disperso.
Questo testo che fu trascritto in latino e conservato nel Museo Ferdinandeum di Innsbruck, riporta il racconto di numerosi miracoli e prodigi verificatesi dopo la sua morte. L’iconografia che la riguarda è numerosa e riporta come simbolo la falce, che secondo la leggenda, di fronte all’insistenza a continuare a lavorare fatta dal contadino, Notburga lanciò in alto la falce che rimase sospesa nell’aria.
In tutti i secoli successivi ella ebbe notevole culto, si sa che nel Seicento i numerosi pellegrini erano soliti asportare un poco di terra dal cimitero di Eben, per usarla contro le malattie che colpivano uomini ed animali, si racconta di miracoli e di grande affluenza di devoti.
La chiesetta di Eben in cui era sepolta, venne ampliata nel 1434 e nel 1516 e abbellita con il concorso munifico dell’imperatore Massimiliano I d’Asburgo. Nel 1718 le reliquie furono ricomposte secondo l’uso dell’epoca, rivestite con seta, oro e argento e furono esposte sull’altare maggiore in posizione verticale e lì sono tuttora.
È invocata come modello e patrona della gioventù rurale e si venera come patrona dei contadini e delle domestiche. Il suo culto diffuso nel Tirolo, Austria, Istria, Baviera è stato confermato da papa Pio IX con decreto del 27 marzo 1862.

martedì 6 settembre 2011


Cavallo Pazzo, Sioux

“Abbiamo bisogno di una grande visione, e l’uomo che l’avrà deve seguirla come l’aquila segue il profondo blu del cielo. Io ero ostile all’uomo bianco… preferivamo la vita di caccia alla vita di inutilità nelle riserve. Durante quei tempi non avevamo cibo a sufficienza e non potevamo cacciare. Tutto quello che volevamo era la pace ed essere lasciati soli. Arrivarono i soldati e distrussero i nostri villaggi. Poi arrivò Custer… Dissero che noi lo massacrammo, ma egli voleva fare la stessa cosa con noi. Il nostro primo impulso fu di fuggire ma fummo circondati e dovemmo combattere.”
Noi non abbiamo chiesto a voi uomini bianchi di venire qui. Il Grande Spirito ci diede questa terra perché ne facessimo la nostra casa. Voi avevate la vostra. Non abbiamo interferito con voi. Il Grande Spirito ci affidò un grande territorio per viverci, e bufali, cervi, antilopi e altri animali. Ma voi siete arrivati; state rubando la mia terra, state uccidendo la nostra selvaggina rendendoci difficile la sopravvivenza. Ora ci dite di lavorare per mantenerci, ma il Grande Spirito non ci creò per faticare, bensì per vivere di caccia. Voi uomini bianchi siete liberi di lavorare, se volete. Noi non vi ostacoliamo, e ancora chiedete perché non ci civilizziamo. Non vogliamo la vostra civiltà! Vogliamo vivere come i nostri padri e come i padri dei nostri padri.

(Morendo) Di alla gente che non dipende più da me adesso!

Non ero ostile all’uomo bianco. I bisonti ci fornivano cibo e pelli per vestirci; preferivamo la caccia piuttosto che l’ozio, le liti o le gelosie, e i frequenti periodi di fame passati nelle riserve. Ma Volpe Grigia (il Generale Crook) comparve tra la neve ed il freddo pungente e distrusse il mio villaggio. Saremmo tutti morti di freddo e di fame se non fossimo riusciti a riprendere i nostri cavalli. Poi fu la volta di Lunghi Capelli (Custer). Dicono che lo abbiamo massacrato, ma sarebbe stato lui a sterminarci se non ci fossimo difesi e battuti fino alla morte.
Non si vende la terra sulla quale la gente cammina.