sabato 31 marzo 2012
BERGEN BELSEN
Sentono
Gli uccelli
La stagione che passa,
tra un vento
che balla tra i rami,si staccano,con rapidi guizzi,
le foglie
e ,lente,ondeggiano.
Vola alta
La poiana
Con il suo dolore senza fine.
E noi,come foglie staccate
Dal ramo,ondeggiammo e
cademmo.
E,quando il cancello,
con inavvertito rumore,
si apri,
a noi rimase solo il ricordo
di quella ,inestinguibile,
morte di vivi.
Susanna Berti Franceschi
riproduzione riservata
giovedì 29 marzo 2012
domenica 18 marzo 2012
Chirurghi ma anche patrioti Quei medici che salvarono la gamba dell?eroe Garibaldi
yyA conclusione del 150° anniversario dell'Unità d'Italia, il Complesso del Vittoriano di Roma ospiterà fino al 6 maggio la mostra "Il 150° si racconta. Le manifestazioni celebrative" che, attraverso foto, filmati, documenti, oggetti, ripercorre le molteplici iniziative, le grandi mostre, gli eventi speciali, le manifestazioni musicali, le rappresentazioni teatrali, le pubblicazioni, i discorsi istituzionali dell'anno celebrativo. La mostra al Vittoriano resterà aperta ogni giorno dalle 9.30 alle 18.30 (la domenica e i festivi fino alle 19.30). di Gian Ugo Berti wPISA Il vero problema era che la pallottola non si trovava. Un primo tentativo d'estrarla da parte dei medici presenti all'Aspromonte (Enrico Albanese, Pietro Ripari e Giuseppe Basile)aveva avuto esito negativo. Da quel momento, altri sedici colleghi s'avvicendarono al capezzale di Garibaldi negli 86 giorni che seguirono, fino alla ormai insperata soluzione. Tutti volevano evitare il taglio dell’arto ma nessuno prendeva una decisione concreta, nonostante che fosse Garibaldi stesso a dire: «Se necessario, amputate». Nessuno infatti se la sentiva d'aprire alla cieca, data forse anche l'importanza del paziente. In realtà, la pallottola, che era entrata all'altezza del malleolo interno destro, dopo aver bucato il calzone di panno, lo stivale e la calza di lana, s'era posizionata nelle strutture interne profonde della gamba ( i raggi X vennero scoperti solo trent'anni dopo) e la massa non era palpabile dalla visita esterna. D'altra parte, l'amputazione rappresentava l'intervento in uso per bloccare la gangrena, da eseguire rapidamente, spesso già sul campo di battaglia. Per Garibaldi, da quel 29 agosto 1862 iniziò un vero e proprio calvario, con la beffa che l'autore del ferimento fu involontariamente uno dei suoi garibaldini, il tenente Lucio Ferrari. Il Generale, fatto quindi prigioniero dall'esercito piemontese, fu portato in barella via mare sulla fregata Duca di Genova fino al carcere del Forte di Varignano a La Spezia, dove seguirono numerosi consulti clinici. Senza alcun intervento risolutore, però, la gamba gonfiava e s'infiammava ed inutili erano i linimenti apposti sulla ferita. La tumefazione dal malleolo destro interessò progressivamente tutta la gamba, provocando intenso dolore e febbre alta. Dopo le visite, fra gli altri, di Francesco Rizzoli di Bologna e Luigi Porta di Pavia, a sbloccare la situazione venne l'idea di un chirurgo napoletano, Ferdinando Palasciano, che suggerì d'ascoltare il parere del chirurgo francese Auguste Nélaton. Il consulto confermò l'ipotesi del proiettile ritenuto. Costretto però a rientrare d'urgenza a Parigi, Nélaton inviò ai colleghi italiani due speciali sondini da lui ideati: una piccola sfera di porcellana, usata proprio per individuare i proiettili nelle ferite, una novità assoluta per l'epoca. Introdotta infatti nella ferita, la pallina di porcellana della sonda, a contatto con il piombo del proiettile, s'anneriva, evidenziandone la presenza e la posizione. L'indagine diede i frutti sperati. Ed è a questo punto che entra in scena, la capacità operatoria di Zannetti. Il 23 novembre, a Pisa, il chirurgo pratica nel piede, ormai in pessime condizioni, un'incisione profonda quattro centimetri ed estrae una pallottola di carabina del peso di ben 22 grammi, evitando così l'amputazione. L'anno successivo, da Caprera,Garibaldi gli scrive: «La mia guarigione procede a gonfie vele … sono per la vita vostro di cuore». Eppure nel carteggio di Zannetti,esposto in una mostra rievocativa a Palazzo Medici Riccardi a Firenze, un Gesuita lo accusa d'aver curato un impostore ed un assassino, «…perché - si legge - un uomo che tradisce il suo re non merita altro che il titolo di assassino». Comunque a Firenze, in via Conti 1, per decreto del Comune una lapide ricorda: “Qui abitò ed ottuagenario morì, il 3 Marzo 1881, Ferdinando Zannetti, medico e chirurgo, senatore del Regno e fra i veterani delle patrie battaglie, presidente, degno di passare ai posteri per la scienza onorata sulla cattedra e per l'amore all'Italia”. Garibaldino fu anche Corrado Tommasi Crudeli, arruolatosi nei Cacciatori degli Appennini e poi nella spedizione dei Mille. Fu docente di Anatomia Patologica a Firenze ed autore della riforma sanitaria voluta dal primo ministro Francesco Crispi, nel 1988. Il suo Generale così gli espresse gratitudine: «Il vostro nome mi è noto come quello di uno dei valorosi giovani che hanno combattuto al mio fianco, riportando segni gloriosi delle battaglie combattute». Una fiducia ripagata con i decisivi interventi nei consulti medici al Varignano e a La Spezia, opponendosi decisamente all'ipotesi dell'amputazione. Garibaldi, nel ringraziarlo da Caprera, gli inviò la bandiera tricolore con il logo “Italia Libera”. Aderente alla Giovane Italia di Giuseppe Mazzini, poi combattente a Curtatone e Montanara ed infine garibaldino nelle Due Sicilie, Emilio Cipriani, fiorentino giunse anche alla carica di Senatore in Parlamento per tre legislature nel collegio elettorale di Firenze nel 1881. Grazie ai suoi studi universitari, meritò professionalmente di salire a dirigere, nell'Istituto di perfezionamento, la cattedra di Oculistica presso l'ospedale Santa Maria Nuova. Nella commemorazione in Parlamento il presidente dell'Assemblea, Sebastiano Tecchio, scrive: «Spetta ad Emilio Cipriani la gloria di avere, forse meglio che ogni altro, contribuito al ritrovamento del proiettile e quinci agevolato il prof. Ferdinando Zannetti che potè liberare da sì fiero nemico il piede offeso». «Non ho fatto abbastanza per l'Italia». Furono le ultime parole pronunciate da Leopoldo Pilla a Curtatone, colpito in pieno petto da una cannonata. Era giunto all'Università di Pisa, su chiamata del Granduca di Toscana, nel 1842, diventando uno dei maggiori esperti internazionali di geologia e mineralogia. I moti insurrezionali dell'epoca lo spinsero il 22 marzo ad imbracciare il fucile e partire, con il grado di capitano, comandante la prima compagnia, alla testa dei volontari del battaglione universitario. Infine, ma la lista sarebbe lunga, è da ricordare la figura e l'impegno di Atto Tigri, laureatosi a Pisa dove divenne assistente di Filippo Civinini. Attraverso le sue ricerche si cominciò a parlare di tubercolosi e colera. Come riferisce Luciano Sterpellone nel suo libro “Camici bianchi in camicia rossa”. A lui va forse il merito di aver scoperto, prima del tedesco Karl Joseph Eberth, il bacillo del tifo.
Riproduzione vietata Gian Ugo Berti
venerdì 16 marzo 2012
Dalla morte di Cesare alla battaglia di Azio
Sia Ottaviano, che ne era il nipote, che Antonio, il suo più fidato luogotenente, avrebbero voluto succedere al defunto Cesare. Per evitare di dover abbandonare la propria carica, Decimo Bruto, governatore della Gallia e cospiratore nella congiura, si schierò dalla parte di Ottaviano e del senato contro Antonio. Nel 43 a.C. si giunse allo scontro tra Antonio ed Ottaviano, con la guerra di Modena, al termine della quale Antonio, sconfitto, deve lasciare il potere ad Ottaviano. Ottaviano nel 43 a.C., per rafforzare la propria posizione, si alleò con Lepido ed Antonio, dando vita al secondo triumvirato.
Per vendicare la memoria di Cesare, nel 42 a.C. i protagonisti della congiura, Bruto e Cassio, sono sconfitti ed uccisi dai triumviri nella battaglia di Filippi. Rimasti soli a spartirsi il potere, i triumviri si organizzarono nel seguente modo: Ottaviano ebbe il governo della Spagna e delle isole, Lepido l'Africa ed Antonio la Gallia e l'Oriente. Fu proprio durante il suo soggiorno nella provincia d'Egitto che Antonio si innamorò di Cleopatra ed ebbe da lei tre figli ( Helios, Selene e Cesarione ). Nel frattempo Fulvia e Lucio Antonio - rispettivamente moglie e fratello di Antonio - scatenarono una rivolta che venne sedata con la guerra di Perugia, con cui nel 40 a.C. vennero costretti alla resa. Per scacciare il pesante sospetto di tradimento che pesava su di lui da parte di Ottaviano dopo quanto era appena accaduto, Antonio fu allora costretto a sposare - alla morte di Fulvia - Ottavia, la sorella di Ottaviano, e siglare l'accordo di Brindisi, perfezionato nel patto di Miseno nel 39 a.C.. Nel 36 a.C. Ottaviano si sbarazzò dei pirati di Sesto Pompeo a Naucolo.
Antonio nel 37 a.C. aveva infine sposato - senza ripudiare la moglie Ottavia - Cleopatra e stava favorendo i propri figli, attirandosi le ire di Ottaviano e degli ambienti più ostili alla "orientalizzazione" dello stato romano. Lo scontro tra Ottaviano ed Antonio fu inevitabile e nel 31 a.C., sconfitto da Ottaviano nella battaglia navale di Azio, Antonio cercò infine riparo in Egitto, dove si suicidò assieme a Cleopatra.
Con la vittoria di Azio, che segna anche il termine di quella che canonicamente è detta Epoca Ellenistica ed inaugura il dominio incontrastato di Roma ad Occidente ed a Oriente, Ottaviano trovò campo libero per mettere in atto - senza più oppositori - il proprio progetto politico. Era chiaro che - per quanto il senato e gli ambienti più conservatori ancora non riuscissero ad ammetterlo - la repubblica era ormai morta negli scontri che avevano visto contrapposti Mario e Silla, Cesare e Pompeo ed infine Antonio ed Ottaviano. Ormai bisognava riformare ampiamente lo stato ed Ottaviano, perfettamente consapevole del compito che lo aspettava, vi si accinse di buon grado, finendo per consegnare non solo ai cittadini romani "una città di marmo", da quella di legno che aveva trovato, ma anche una forma di governo, l'impero, che sarebbe durata ben oltre la sua morte.
domenica 11 marzo 2012
MARY SHELLEY
Quando Mary Shelley scrive il suo romanzo è influenzata dalle scoperte scientifiche avvenute all'inizio del diciannovesimo secolo. Proprio in questo periodo gli scienziati cominciarono a chiedersi seriamente se fosse possibile riportare in vita i morti e se la vita potesse tornare spontaneamente da materiale inorganico. Infatti, gli scienziati e i fisici del suo tempo, tormentati dalla sfuggente linea di separazione tra vita e morte, analizzando organismi minori e facendo esperimenti di anatomia umana, tentarono di resuscitare persone annegate o morte recentemente con delle scosse elettriche. L'autrice di Frankenstein segue soprattutto i principi di Galvani. Si capisce chiaramente che Mary Shelley è stata influenzata da questo scienziato dall'espressione "scintilla di vita alla cosa inanimata che giaceva ai miei piedi" usata per descrivere la nascita del mostro. In ogni modo, quando "Frankenstein" fu pubblicato, la parola galvanismo era implicitamente sulla bocca di tutti; infatti, l'elettricità era considerata una misteriosa forza vitale che aveva l'apparente capacità di ridare vita ai morti. La popolazione era talmente interessata ai principi galvanici che nel 1836 un cartone politico trattava di cadaveri "galvanizzati". Le persone, però, si preoccupavano anche del problema etico delle nuove scoperte; infatti, molti si chiedevano come sarebbe stata la psicologia degli esseri che si sarebbero potute creare con i principi di Galvani. Mary Shelley, grazie al suo libro, risponde a questi dubbi morali dando vita ad una creatura complicata in grado di parlare, leggere, pensare e soffrire; in questo modo supera immaginariamente il tanto sospirato confine tra vita e morte, e mette in guardia gli scienziati troppo ambiziosi sulle probabili conseguenze che potrebbe portare una "creatura di laboratorio", come il mostro cui Victor Frankenstein dà vita. Nel libro Frankenstein, il mostro, intelligente e sensibile, legge il romanzo scritto in poesia "Paradise Lost" (Paradiso Perduto) il cui autore è John Milton. L'orribile creatura si riconosce nelle forti emozioni descritte dal libro; infatti paragona la sua situazione a quella di Adamo, ma il mostro non "è nato dalle mani di Dio come una creatura perfetta", l'essere di Victor è creato orrendamente. Abbandonato dal suo creatore, il mostro si sente sciagurato, inutile e solo. Mary Shelley vuole far capire che dare vita ai morti è una cosa macabra; infatti decide di prendere dei pezzi di corpi differenti per poi legarli insieme (invece di prendere semplicemente un unico corpo), non solo per facilitare il lavoro di Victor Frankenstein, ma anche per dare vita ad una creatura mostruosa, suscitando molto disgusto nel lettore. Infatti, il corpo umano, vivo o morto, diviso in pezzi, può fare sorgere forti emozioni. Bisogna però ricordare che l'autrice di Frankenstein non usa soltanto le nuove scienze di chimica e elettricità per descrivere la creazione del mostro, ma anche la vecchia tradizione rinascimentale della ricerca alchimistica di evocare la possibilità prometeica di rianimare i corpi dei morti.
Da sempre gli scienziati sembrano determinati a rompere le sacre barriere tra vita e morte, una prospettiva che occupa sia la mente che l'immaginazione della popolazione. Ancora oggi i giornali speculano liberamente sull'ipotesi che un giorno si potrà far resuscitare i morti, raggiungendo l'immortalità grazie all'utilizzo di organi artificiali, e alterando la forma genetica delle generazioni future con l'eugenetica. Inizialmente (quando la scienza iniziò ad essere considerata un'importante disciplina) le scoperte furono primitive e molto semplici, come quella di Robert E. Cornish che uccise un cane con il gas neutrogeno e poi lo fece resuscitare, lo sviluppo del "cuore di vetro" (una pompa fatta di vetro Pyrex, destinata a sostenere gli organi rimossi dal corpo per lo studio o il trapianto), oppure il riuscire a tenere in vita cuori, reni, ovaie e altri organi per un lasso di tempo apprezzabile. Tutte queste scoperte contribuirono a far sembrare realizzabile l'antico sogno di alchimisti e scienziati e a cercare nuove tecniche per dare vita a uomini creati in laboratorio.
Nel XX secolo i fautori dell'eugenetica volevano migliorare il genere umano attraverso la sterilizzazione dei criminali, dei ritardati mentali, e altri considerati fallimenti della società; facendo un calcolo approssimativo, due terzi degli americani avrebbero dovuto sostenere queste misure. Questo genere di collegamenti ordinati tra biologia e destino andavano di moda tra gli intellettuali negli anni '2O; tutto ciò, nel suo piccolo, aiuta a completare la trasformazione del mostro creato da Mary Shelley in un'icona culturale.
La scienza corre in fretta e la popolazione ha tuttora, alle soglie del nuovo millennio, paura di una nuova tecnologia che può mettere a rischio l'umanità e che sfida i suoi ideali di esseri umani. Bisogna quindi porsi dei quesiti etici: "Che cosa è accettabile nella scienza e nella medicina? Chi lo decide?" I ricercatori si sono subito posti queste domande psicologiche. La dissezione dei corpi umani per la ricerca medica, come i trapianti di tessuti da una specie all'altra risollevano questa questione. Nel 1993, dei tecnici americani tagliarono in migliaia di pezzi il corpo di un assassino condannato a morte; ci fu un generale malcontento a causa di questo esperimento. Oggi, grazie alla fotografia e alla digitazione è possibile insegnare anatomia e chirurgia; infatti le persone possono prendere visione di documenti che raffigurano pezzi di corpi umani gratuitamente sulla "World Wide Web". Con questo metodo non si deve più tagliare il corpo delle persone e quindi non si va incontro a problemi sociali. I ricercatori che si impegnarono a fare il "Visible Human Progect" (un progetto per la visione dei tessuti umani) ricevettero il permesso dell'uomo condannato ad usare il suo corpo. Il consenso sociale sulla domanda per la dissezione umana, però, ripresentò il dibattito, esistente da prima del tempo di Mary Shelley, nel nostro. Il processo di risoluzione di queste due domande sfociò in un pubblico dibattito; si parlò anche di Victor Frankenstein, solo nel suo laboratorio, dove non avrebbe mai potuto immaginare le terribili conseguenze della sua creazione. Comunque ancora oggi queste domande non hanno avuto una risposta.
Grazie all'avanguardia biomedica si possono trasportare organi di animali di specie diverse per salvare persone ammalate; questo trapianto si chiama "xenograft" (dal greco xenos, straniero o ospite), cioè un trapianto eteroplastico. Questo significa che potremo avere un cuore di babbuino, un fegato di maiale, e altri organi animali. Numerosi sono gli esempi contemporanei che si possono fare per ricordare il mostro descritto da Mary Shelley. Ad esempio un neonato, conosciuto solo con il nome di "Baby Fae" per proteggere la sua privacy, nacque con un fatale difetto cardiaco. Nel 1984, divenne il primo neonato a ricevere il cuore di un babbuino, ma morì venti giorni dopo. Anche Jeff Getty, un paziente ottimista malato di AIDS, nel gennaio del 1996, subì un trapianto eteroplastico. Ricevette il midollo di un babbuino, con il fine di aiutare a incentivare il suo sistema immunitario. Getty è ancora vivo. La domanda che ci sorge spontaneamente è: "Quali sono i rischi che può correre un uomo con un trapianto di questo tipo? Può essere contagiato da virus che colpiscono solo gli animali? E i pericoli morali che nascono dal violare l'ordine naturale?" Le domande rimangono ovviamente irrisolte.
Il mito del mostro creato da Victor Frankenstein si può ricollegare non solo con le scoperte sopra elencate, ma anche con la clonazione della pecora "Dolly", una vera e propria creatura di laboratorio, un vero mostro. Nel 1997, per una fuga di notizie, il mondo seppe che alcuni ricercatori scozzesi avevano clonato una pecora; ci furono stupore e gioia in tutto il mondo per la creazione della pecora. Giornali, riviste e altri mass-media affermarono i dubbi sulla clonazione. Nelle settimane successive alla comunicazione i giornali annunciarono che la scoperta era fondamentale: in Scozia erano riusciti a clonare una pecora con successo. La domanda etica che molti iniziarono a porsi fu: "Possiamo lasciare che gli scienziati che sono a conoscenza del segreto della clonazione procedano senza contrasti? Osiamo abbracciare un beneficio emergente senza curarci dei suoi rischi?" Questa volta la società rispose, senza mezzi termini, "no" ad entrambe le domande. Le persone scrissero lettere al capo redattore del progetto, chiamarono i talk show, entrarono in rete. In quei pochi mesi, la clonazione divenne una preoccupazione sociale; bisognava quindi intervenire immediatamente per decidere come governare le conseguenze dell'inquietante cambiamento scientifico. Mentre lo scienziato di Mary Shelley, Victor Frankenstein, aveva fatto semplicemente ciò che voleva, segretamente, con disastrose conseguenze su sé stesso e sui suoi cari, oggi gli scienziati possono procedere alla loro ricerca solo se il governo è a conoscenza delle loro azioni. Poiché la scienza farà sempre più chiarezza sui segreti della natura, i quesiti morali, come è avvenuto per la clonazione, risorgeranno ancora. Ogni volta che la conoscenza supererà i limiti, Frankenstein farà sentire le sue note di avvertimento.
giovedì 8 marzo 2012
venerdì 2 marzo 2012
LAPIDE III
Il mio nome è Susanna,
anzi
fu il nome della mia prima vita,lo tenni
non per essere riconosciuta,ma
per riconoscere ancora
di quel che restava
qualche frammento.
Ogni mattina
Per me
Fu segnata dal dolore,ma
Allora,da viva
Ancora non sapevo e camminai senza curarmi del buio che mi attendeva.
Fu dopo che
Perduta la memoria dei suoni e di volti
Capii.
Niente era rimasto di quel cammino
Solo il dolore
anche dopo
tenace
al mio fianco non mi lasciò,
come un amico antico.
Copyright Susanna Berti Franceschi
Riproduzione vietata
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