domenica 18 marzo 2012







Chirurghi ma anche patrioti Quei medici che salvarono la gamba dell?eroe Garibaldi




yyA conclusione del 150° anniversario dell'Unità d'Italia, il Complesso del Vittoriano di Roma ospiterà fino al 6 maggio la mostra "Il 150° si racconta. Le manifestazioni celebrative" che, attraverso foto, filmati, documenti, oggetti, ripercorre le molteplici iniziative, le grandi mostre, gli eventi speciali, le manifestazioni musicali, le rappresentazioni teatrali, le pubblicazioni, i discorsi istituzionali dell'anno celebrativo. La mostra al Vittoriano resterà aperta ogni giorno dalle 9.30 alle 18.30 (la domenica e i festivi fino alle 19.30). di Gian Ugo Berti wPISA Il vero problema era che la pallottola non si trovava. Un primo tentativo d'estrarla da parte dei medici presenti all'Aspromonte (Enrico Albanese, Pietro Ripari e Giuseppe Basile)aveva avuto esito negativo. Da quel momento, altri sedici colleghi s'avvicendarono al capezzale di Garibaldi negli 86 giorni che seguirono, fino alla ormai insperata soluzione. Tutti volevano evitare il taglio dell’arto ma nessuno prendeva una decisione concreta, nonostante che fosse Garibaldi stesso a dire: «Se necessario, amputate». Nessuno infatti se la sentiva d'aprire alla cieca, data forse anche l'importanza del paziente. In realtà, la pallottola, che era entrata all'altezza del malleolo interno destro, dopo aver bucato il calzone di panno, lo stivale e la calza di lana, s'era posizionata nelle strutture interne profonde della gamba ( i raggi X vennero scoperti solo trent'anni dopo) e la massa non era palpabile dalla visita esterna. D'altra parte, l'amputazione rappresentava l'intervento in uso per bloccare la gangrena, da eseguire rapidamente, spesso già sul campo di battaglia. Per Garibaldi, da quel 29 agosto 1862 iniziò un vero e proprio calvario, con la beffa che l'autore del ferimento fu involontariamente uno dei suoi garibaldini, il tenente Lucio Ferrari. Il Generale, fatto quindi prigioniero dall'esercito piemontese, fu portato in barella via mare sulla fregata Duca di Genova fino al carcere del Forte di Varignano a La Spezia, dove seguirono numerosi consulti clinici. Senza alcun intervento risolutore, però, la gamba gonfiava e s'infiammava ed inutili erano i linimenti apposti sulla ferita. La tumefazione dal malleolo destro interessò progressivamente tutta la gamba, provocando intenso dolore e febbre alta. Dopo le visite, fra gli altri, di Francesco Rizzoli di Bologna e Luigi Porta di Pavia, a sbloccare la situazione venne l'idea di un chirurgo napoletano, Ferdinando Palasciano, che suggerì d'ascoltare il parere del chirurgo francese Auguste Nélaton. Il consulto confermò l'ipotesi del proiettile ritenuto. Costretto però a rientrare d'urgenza a Parigi, Nélaton inviò ai colleghi italiani due speciali sondini da lui ideati: una piccola sfera di porcellana, usata proprio per individuare i proiettili nelle ferite, una novità assoluta per l'epoca. Introdotta infatti nella ferita, la pallina di porcellana della sonda, a contatto con il piombo del proiettile, s'anneriva, evidenziandone la presenza e la posizione. L'indagine diede i frutti sperati. Ed è a questo punto che entra in scena, la capacità operatoria di Zannetti. Il 23 novembre, a Pisa, il chirurgo pratica nel piede, ormai in pessime condizioni, un'incisione profonda quattro centimetri ed estrae una pallottola di carabina del peso di ben 22 grammi, evitando così l'amputazione. L'anno successivo, da Caprera,Garibaldi gli scrive: «La mia guarigione procede a gonfie vele … sono per la vita vostro di cuore». Eppure nel carteggio di Zannetti,esposto in una mostra rievocativa a Palazzo Medici Riccardi a Firenze, un Gesuita lo accusa d'aver curato un impostore ed un assassino, «…perché - si legge - un uomo che tradisce il suo re non merita altro che il titolo di assassino». Comunque a Firenze, in via Conti 1, per decreto del Comune una lapide ricorda: “Qui abitò ed ottuagenario morì, il 3 Marzo 1881, Ferdinando Zannetti, medico e chirurgo, senatore del Regno e fra i veterani delle patrie battaglie, presidente, degno di passare ai posteri per la scienza onorata sulla cattedra e per l'amore all'Italia”. Garibaldino fu anche Corrado Tommasi Crudeli, arruolatosi nei Cacciatori degli Appennini e poi nella spedizione dei Mille. Fu docente di Anatomia Patologica a Firenze ed autore della riforma sanitaria voluta dal primo ministro Francesco Crispi, nel 1988. Il suo Generale così gli espresse gratitudine: «Il vostro nome mi è noto come quello di uno dei valorosi giovani che hanno combattuto al mio fianco, riportando segni gloriosi delle battaglie combattute». Una fiducia ripagata con i decisivi interventi nei consulti medici al Varignano e a La Spezia, opponendosi decisamente all'ipotesi dell'amputazione. Garibaldi, nel ringraziarlo da Caprera, gli inviò la bandiera tricolore con il logo “Italia Libera”. Aderente alla Giovane Italia di Giuseppe Mazzini, poi combattente a Curtatone e Montanara ed infine garibaldino nelle Due Sicilie, Emilio Cipriani, fiorentino giunse anche alla carica di Senatore in Parlamento per tre legislature nel collegio elettorale di Firenze nel 1881. Grazie ai suoi studi universitari, meritò professionalmente di salire a dirigere, nell'Istituto di perfezionamento, la cattedra di Oculistica presso l'ospedale Santa Maria Nuova. Nella commemorazione in Parlamento il presidente dell'Assemblea, Sebastiano Tecchio, scrive: «Spetta ad Emilio Cipriani la gloria di avere, forse meglio che ogni altro, contribuito al ritrovamento del proiettile e quinci agevolato il prof. Ferdinando Zannetti che potè liberare da sì fiero nemico il piede offeso». «Non ho fatto abbastanza per l'Italia». Furono le ultime parole pronunciate da Leopoldo Pilla a Curtatone, colpito in pieno petto da una cannonata. Era giunto all'Università di Pisa, su chiamata del Granduca di Toscana, nel 1842, diventando uno dei maggiori esperti internazionali di geologia e mineralogia. I moti insurrezionali dell'epoca lo spinsero il 22 marzo ad imbracciare il fucile e partire, con il grado di capitano, comandante la prima compagnia, alla testa dei volontari del battaglione universitario. Infine, ma la lista sarebbe lunga, è da ricordare la figura e l'impegno di Atto Tigri, laureatosi a Pisa dove divenne assistente di Filippo Civinini. Attraverso le sue ricerche si cominciò a parlare di tubercolosi e colera. Come riferisce Luciano Sterpellone nel suo libro “Camici bianchi in camicia rossa”. A lui va forse il merito di aver scoperto, prima del tedesco Karl Joseph Eberth, il bacillo del tifo.

Riproduzione vietata Gian Ugo Berti

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