giovedì 15 luglio 2010



 
 


 

ABBAZIA  BENEDETTINA DELLA SS. TRINITA'

Cava de' Tirreni  (SA)

 
 

 
 

 
 

 
 

Introduzione

 
 

L'Abbazia Benedettina della Santissima Trinità di Cava fu nel Medioevo uno dei centri religiosi e culturali più vivi e potenti dell'Italia Meridionale. Fondata da un nobile Longobardo, S. Alferio Pappacarbone che ebbe la visione della Santissima Trinità sotto forma di Tre Raggi Luminosi sorgenti dalla Roccia, ritiratosi in quei luoghi per vivere in preghiera e contemplazione, vedrà in poco tempo sorgere una comunità numerosa di monaci. L'Abbazia di Cava formò nell'Ordine di San Benedetto una congregazione autonoma: la Congregazione della Santissima Trinità di Cava, che ebbe in pochi decenni un notevole sviluppo divenendo una delle congregazioni benedettine più fiorenti. L'Abate della SS. Trinità di Cava nel XII e XIII secolo governava oltre 340 chiese, più di 90 priorati, almeno 29 abbazie. Egli era anche onorato del titolo di Grande Abate di Cava: "Magnus Abbas Cavensis". L'Abbazia della SS. Trinità di Cava divenne la Chiesa madre dell'Ordine Cavese : " Mater vel matrix ecclesia Ordinis Cavensis ".

 
 

 
 

La storia

 
 

Il fondatore della Badia della Santissima Trinità fu S. Alferio Pappacarbone che nel 1011 si ritirò sotto la grande grotta Arsiccia (significa asciutta) per trascorrervi vita eremitica. L'accorrere dei discepoli, attratti dalla sua santità, lo indusse a costruire un monastero di modeste dimensioni. Morì in età molto avanzata il 12 aprile 1050. Fin quasi alla fine del sec. XIII Alferio ebbe una serie di successori eccezionali, di cui undici, oltre il fondatore, sono stati riconosciuti dalla Chiesa come santi o beati. Tra di essi si distinse S. Pietro I, nipote di Alferio, che ampliò notevolmente il monastero e lo fece centro di una potente congregazione monastica l' Ordo Cavensis (Ordine Cavense) con centinaia di chiese e monasteri dipendenti, sparsi in tutta l'Italia meridionale. Furono più di 3.000 i monaci a cui S. Pietro diede l'abito.

 
 

Il Papa Urbano II, che lo aveva conosciuto a Cluny, nel 1092 visitò l'Abbazia e ne consacrò la basilica. Importante fu anche il governo del B. Benincasa, che nel 1176 inviò in Sicilia un centinaio di monaci per popolare la celebre abbazia di Monreale, eletta dalla munificenza del re Guglielmo II. Papi e vescovi, principi e signori feudali favorirono lo sviluppo della Congregazione Cavense, che giovò moltissimo alla riforma della Chiesa, promossa dai grandi papi del sec. XI, e al benessere della società civile. I principi e signori, oltre ad offrire feudi, beni e privilegi, donarono all'abbazia o la proprietà o il diritto di patronato su chiese e monasteri. I vescovi ambivano di avere nelle loro diocesi i Cavensi per il bene che vi operavano. I Papi, oltre la conferma delle donazioni, concessero il privilegio dell'esenzione, per cui l'abate di Cava finì per avere una giurisdizione spirituale, dipendente solo dal Papa, sulle terre e sulle chiese di cui la Badia aveva la proprietà. Da parte sua Cava costituiva per i Papi un caposaldo di cui potevano fidarsi pienamente, tanto da affidarle in custodia alcuni antipapi. Amorosa fu la cura che gli abati avevano delle popolazioni. Ad esse assegnavano le terre delle vaste possessioni dell'abbazia con l'obbligo di metterle a coltura e di prestare, dopo un certo numero di anni, o mano d'opera o un censo proporzionato alla fertilità del suolo. Per la difesa delle popolazioni del Cilento dalle incursioni saracene S. Costabile e B. Simeone costruirono il castello dell'Angelo, detto poi Castellabate. I monaci inoltre gestivano ospizi e ospedali, che venivano generosamente destinati alle necessità dei bisognosi ed esercitavano il ministero pastorale nei monasteri dipendenti. Le chiese invece venivano affidate dagli abati a sacerdoti secolari di loro fiducia. Il sec. XIV rappresenta per Cava un periodo di ripiegamento su se stessa. E' particolarmente curata la difesa e l'amministrazione dei beni temporali, sono prodotte splendide opere d'arte, ma l'incidenza dell'azione spirituale e sociale della badia, anche a causa dei rivolgimenti politici, diminuisce sensibilmente. Nel 1394 il papa Bonificacio IX conferì il titolo di città alla terra di Cava, elevandola in pari tempo a diocesi autonoma, con un proprio vescovo, che doveva però risiedere alla Badia, la cui chiesa venne dichiarata cattedrale della diocesi di Cava. Il monastero non sarà governato da un abate, ma da un priore e la comunità dei monaci formerà il capitolo della cattedrale. L'abate Mons. Angelotto Fusco nel 1431 fu elevato alla dignità cardinalizia e, malauguratamente, volle ritenere in commenda, percependone le rendite, l'abbazia e la diocesi cavense. Fu il periodo degli abati commendatari, i quali portarono l'abbazia ad una grande decadenza. Lontani da essa, la governarono mediante fiduciari, ai quali interessava soltanto la diocesi e l'amministrazione dei beni temporali. L'ultimo commendatario unì la badia di Cava alla congregazione di S. Giustina da Padova. La riforma poneva a capo della badia non più un vescovo o un cardinale ma un abate temporaneo: così rifiorì la disciplina monastica e il culto delle scienze e delle arti. Nel corso dei secoli XVI-XVIII l'abbazia fu rinnovata anche architettonicamente. L'abate D. Giulio De Palma ricostruì la chiesa, il seminario, il noviziato, e varie altre parti del monastero. La soppressione napoleonica, per merito dell'abate D. Carlo Mazzacane, passò senza arrecare gravi danni alla badia: 25 monaci rimasero a guardia dello Stabilimento (tale fu il titolo dell'abbazia) e il Mazzacane ne fu il Direttore. La restaurazione, dopo la caduta di Napoleone, portò a un rinnovamento dello spirito religioso. Nel 1866, in considerazione dei valori artistici e scientifici accumulati nelle sue mura e del fatto che era centro di una diocesi, il monastero fu dichiarato Monumento Nazionale e, come tale, si salvò dalla rovina a cui andarono incontro tante altre illustri abbazie italiane. Eroica si dimostrò allora la virtù dei pochi monaci rimasti. Aprirono un nuovo campo di apostolato monastico istituendo un collegio laicale, che è tuttora fiorente, e redassero il Codex Diplomaticus Cavensis, in cui pubblicarono il testo integrale delle più antiche pergamene dell'archivio Cavense. Si tratta di un'opera monumentale, che ha resa famosa la Badia in tutto il mondo scientifico. I più moderni abati hanno continuato degnamente l'opera dei SS. Padri Cavensi. Essi hanno restaurato ed ampliato gli edifici del monastero e dato nuovo impulso alla sua vita millenaria, che dura ininterrotta ancora oggi.

 
 

 
 

 
 


 

La basilica

 
 

Nel 1025 S. Alferio aveva già costruito la sua chiesa, che aveva una sola navata. Questa nel 1092 fu ampliata e trasformata in basilica a più navate da S.Pietro I abate. L'attuale basilica sorse invece nel 1761 per iniziativa dell'abate D. Giulio De Palma e su disegno dell'architetto Giovanni del Gaizo, il quale, qualche anno dopo, progettò anche la facciata. Vi fu un tentativo di bloccare i lavori, ma i monaci seppero blandire Carlo di Borbone sostenendo che "... le povere parrocchie di Cava avevano chiese migliori che non ha il monastero tanto ricco di rendite". Nel 1778, la nuova chiesa era pronta. Seguendo i criteri dell'epoca, la vecchia basilica venne abbattuta, ad eccezione della cappella dei SS. Padri e delle fondamenta, che furono rinforzate. L'interno della basilica, specialmente dopo il moderno rivestimento delle pareti e la pavimentazione con marmi policromi, è luminoso ed armonico. La prima cosa che attira l'attenzione del visitatore della basilica è l'ambone con mosaico del secolo XII, recentemente ricostruito. E' molto probabile che sia un dono del re di Sicilia Ruggiero II, il quale volle che la regina Sibilla, sua seconda moglie morta a Salerno nel 1150, fosse seppellita nella chiesa della badia e le fosse edificata una magnifica tomba ornata di mosaici, di cui si conserva solo il sarcofago. Il seppellimento nella chiesa o nel cimitero della badia era ordinariamente accompagnato ad una donazione. Dell'antica basilica, oltre all'ambone, resta ancora, in fondo alla navata destra, la "Cappella dei SS. Padri", ristrutturata e rivestita di marmi policromi (mosaici fiorentini) nel 1641. Subito dopo la balaustra, prima della cappella seicentesca, si notano sulle pareti quattro statue marmoree, notevoli quelle cinquecentesche di S. Felicita e di S. Matteo. Procedendo, a destra è la cella grotta di S. Alferio con l'urna che ne custodisce le reliquie e resti di affreschi parietali del XIV secolo; a sinistra è l'altare di S. Leone con la sua urna e, sulla parete, altre reliquie di santi; di fronte l'altare del SS. Sacramento con l'urna contenente le reliquie di S. Costabile. Gli affreschi della basilica sono opera del pittore calabrese Vincenzo Morani, che nel 1857 vi rappresentò: sulla volta del coro "S. Alferio in contemplazione della SS. Trinità"; nella cupola una visione dell'Apocalisse, cioè l'"Adorazione del Redentore"; nel transetto a destra la "Morte di S. Benedetto" con altre scene della sua vita e santi e sante benedettini; a sinistra la "Resurrezione" con profeti ed apostoli. Il suo capolavoro però è la tela della "Deposizione dalla croce", che si trova sull'altare del transetto a sinistra. Sono da notare inoltre il quadro del primo altare a destra dell'ingresso rappresentante "S. Mauro" di Achille Guerra, il trecentesco altorilievo della Madonna con Bambino tra San Benedetto e Sant'Alferio, opera di Tino da Camaino, la porta del battistero (sec. XVI) a sinistra e il portale marmoreo con la bellissima porta cinquecentesca della sagrestia. Sotto i 12 altari della basilica sono deposte le reliquie dei 12 abati santi o beati della badia. Nel paliotto è inserita una lastra di marmo dell'XI secolo. Accanto alla chiesa è da segnalare la fontana realizzata nel 1772 da Tommaso Liguoro.

 
 

Il chiostro

 
 

Nel poco spazio esistente fra la grotta Arsiccia e il ruscello Selano non si è potuto creare un chiostro proporzionato alla grandiosità del monastero. In compenso il piccolo chiostro dei secoli XI-XIII è la parte più suggestiva e caratteristica della badia. Un muro romano, ancora in piedi in questa parte più profonda della grotta, dimostra l'esistenza di costruzioni anteriori alla venuta di Alferio. La piccola scultura del fauno, rinvenuta qui, in un muro che delimitava una porzione della grotta, è forse segno di un culto pagano esercitato nella grande spelonca. Il piccolo chiostro ha subìto diverse manomissioni, ma nella sua struttura fondamentale è stato messo in relazione con i coevi chiostri amalfitani e con quelli del San Domenico di Salerno e di Santa Sofia a Benevento, spartiti in quadrifore con archi a ferro di cavallo che testimoniano influenze musulmane. Adiacente al chiostrino è la grande sala del Capitolo del secolo XIII. In essa sono sistemati alcuni pregevoli sarcofagi romani, attribuiti per lo più al III secolo d.C. Essi furono inviati qui da illustri personaggi per esservi seppelliti.

 
 

 
 

Il Museo

 
 

 
 

La splendida sala del sec. XIII adibita a museo è stata una scoperta avvenuta dopo la seconda guerra mondiale, grazie ad un saggio fortuito che rilevò l'esistenza di un capitello sulle pareti e, successivamente, delle colonne e di tutta la struttura della sala. La volta è stata rifatta perché irreparabilmente lesionata; le finestre originali non si sono potute ricostruire perché mancavano gli elementi, ma tutto il resto conserva la sua originalità. Era parte di un palazzo, distinto dal monastero e adibito a foresteria. Un'altra sala dello stesso palazzo di dimensioni quasi uguali e adiacente alla prima dalla parte occidentale, crollò all'inizio di questo secolo, ma al piano terra resta ancora l'immenso salone su cui le due sale erano edificate. Tra le opere custoditevi: una Madonna con Santi, tavola senese del XV secolo; un Cofanetto d'avorio dell'XI secolo; un Polittico di scuola raffaellesca, attribuito ad Andrea Sabatini; tele di numerosi pittori caravaggeschi; numerosi reperti archeologici; una Collezione di monete, completa ed ordinata delle Zecche longobarde e normanne di Salerno; maioliche abruzzesi e vietresi; codici miniati.

 
 

L'archivio

 
 

 
 

L'archivio della Badia è molto importante. Nelle due elegantissime sale della fine del secolo diciottesimo sono contenuti preziosi manoscritti pergamenacei e cartacei, più di quindicimila pergamene, di cui la più antica è del 792 d. c., e un considerevole numero di documenti cartacei. Ciò ha richiamato l'attenzione di numerosi studiosi provenienti da ogni parte. Dei codici (manoscritti in pergamena) esiste un catalogo completo a stampa ancora disponibile; presto sarà approntato anche il catalogo dei manoscritti cartacei. Tra i codici più famosi ricordiamo la Bibblia visigotica del secolo IX, il Codex Legum Longobardorum (Codice di leggi longobarde) del secolo XI, le Etymologiae di Isidoro del secolo VIII e il De Temporibus del Ven. Beda del secolo XI, ai cui margini i monaci annotarono gli avvenimenti più importanti della badia e del mondo contemporaneo. Tali note marginali costituiscono gli Annales Cavenses più volte pubblicati. Quanto alle pergamene, i documenti privati sono ordinati in ordine cronologico e sistemati nella sala diplomatica in arche di cui ciascuna contiene 120 pergamene. I documenti pubblici (bolle papali o vescovili, diplomi di imperatori, re e signori feudali) si trovano invece nell'arca magna in numero di oltre settecento, ordinati anche essi cronologicamente. La consultazione è resa facile agli studiosi da un Regestum Pergamenarum, manoscritto di otto volumi in folio compilato da monaci nel secolo scorso. Vi si trova il riassunto di tutte le pergamene con l'indicazione dell'arca in cui sono contenute. I documenti già pubblicati nel Codex Diplomaticus Cavensis appartengono agli anni 792-1080 e sono esattamente 1669.
La Biblioteca della Badia possiede oltre 40.000 volumi con numerosi incunaboli e importanti cinquecentine. I volumi sono catalogati e sistemati in tre sale. Le scienze più rappresentate sono la Patristica, la Teologia, il Diritto e, soprattutto, la storia. Un catalogo per autori ne facilita la consultazione.

 
 

 
 

Il Collegio

 
 

 
 

Il Collegio "San Benedetto" fu istituito nel 1867 ed è situato nella parte più alta del monastero in locali ampi ed ariosi.
I collegiali frequentano le scuole della Badia (aperte ad esterni e semiconvittori, anche ragazze), che comprendono la scuola media, il ginnasio e il liceo classico, pareggiate alle statali nel 1894, e il liceo scientifico che è stato istituito di recente ed è legalmente riconosciuto.
I numerosi ex - alunni che occupano con onore posti elevati nella vita politica, amministrativa e professionale, attestano i lusinghieri risultati raggiunti dal collegio in oltre un secolo di attività.

 
 

 
 

 
 


 

 
 

FONTI : 

 
 

  
 

 
 

 
 

 
 

  

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