venerdì 9 luglio 2010


LA SITUAZIONE DELLA DONNA DAVANTI ALLA LEGGE MEDIEVALE


 

Come sostiene Georges Duby,il Medioevo è maschio.La donna,per il mondo medievale,è un essere inferiore.Anche per la Chiesa,che pur ammetteva la parità,davanti a Dio,tra uomo e donna,questa era pur sempre vista come un essere debole,e come tale,destinata ad essere perpetuamente soggetta all'uomo sia da ragazza,che come moglie o come vedova.

La donna era definita "confusione dell'uomo,bestia non socievole,continua preoccupazione,battaglia senza pausa,danno quotidiano,casa della tempesta,impedimento al ben provvedere,naufragio dell'uomo incontinente,vaso d' adulterio,guerra continua,animale pessimo,serpe insaziabile,schiavitù umana".

Parità teorica,dunque,ma non nella vita e nell'ambiente della società:persino la Chiesa è vista come una società di membri perfetti in quanto non vi erano donne.

Ci sono stati casi comunque di donne che hanno esercitato poteri vescovili anche se contro di esse reagivano concilii e papi,tra i quali particolarmente Innocenzo III.

La donna subiva proprio nel campo religioso-liturgico una serie di limitazioni e d'incapacità:non poteva toccare i vasi e i lini sacri,non poteva salire sull'altare durante gli uffici,non poteva servire la messa.Persino le vere e proprie antiche confraternite erano aperte solo agli uomini,mentre le donne potevano esserci ascritte solo per lucrare le indulgenze e le grazie speciali connesse ai confratelli.

Pier Lombardo, un celebre canonista, pur ammettendo che"la donna è la stessa sensualità" e che per le cose temporali è inferiore all'uomo, sostenne che la donna, come l'uomo, è stata creata"ad immagine di Dio", ipotesi che alcuni padri della chiesa avevano messo in dubbio. Pier Lombardo diede spiritualità al matrimonio sostenendo che il consenso spontaneo dei nubendi era l'elemento decisivo per ritenere un matrimonio valido e non dunque la consumazione come succedeva sino ad allora.Solo verso la seconda metà del XII secolo il Diritto Canonico era riuscito ad affrancare la donna dal consenso paterno, consenso che, fino a quel momento, era elemento indispensabile per la validità del matrimonio sia per diritto civile sia per quello canonico.

L'Editto di Rotari, stabiliva che nessuna donna libera longobarda fosse mai da ritenersi capace di disporre da sola dei propri beni ed indipendentemente da qualsiasi tutela maschile: perciò, disponeva il re, la donna doveva essere sotto la podestà di un uomo (marito, padre, figlio, parente più prossimo) o mancando questi sotto la podestà del re. Così tale donna non poteva vendere o donare alcuna cosa mobile o immobile senza l'autorizzazione dell'uomo cui era affidata.

Questa situazione durò a lungo e influenzò anche la posizione delle donne sottoposte alle norme della legge romana o di quelle che già vendevano e compravano senza alcuna autorizzazione da parte di parenti maschi.In Italia si trattava quindi di far sviluppare assieme la norma romana e quella longobarda.Ne risultò un miglioramento della situazione per la donna longobarda, ma un peggioramento per quella romana.


 

"IL MATRIMONIO NELLA SOCIETA' DELL'ALTO MEDIOEVO"


 

Il Medioevo vide svilupparsi in Occidente le fasi più o meno aspre di un conflitto tra due poteri: profano e religioso. Il potere profano era fondato sulle leggi; il potere religioso era fondato sull'azione del clero che cercava di far divenire il matrimonio un costume sacramentalmente fondato.

Nel corso di questa secolare competizione il potere religioso tendeva a sovrapporsi al potere civile: era l'epoca di una progressiva cristianizzazione dell'istituto matrimoniale. Il modello laico aveva il compito di preservare, nel corso delle generazioni, il permanere di un sistema di produzione; il modello ecclesiastico aveva il compito extratemporale di tenere a freno gli istinti, di respingere il male, contenendo entro stretti limiti gli straripamenti della sessualità.

Il modello laico aveva lo scopo di mantenere di età in età lo "stato" di una casa; la sua base era la nozione di eredità; il suo compito era di assicurare senza rischi la trasmissione di un capitale di beni, di prestigio, d'onore, e di garantire alla discendenza una condizione, un "rango", per lo meno uguale a quello di cui beneficiavano gli avi. La morale ammessa obbligava il marito a contentarsi della moglie, ma non lo impegnava affatto a negarsi i rapporti con altre donne prima del matrimonio, in quella che nel secolo XVII si chiamava la "giovinezza", né dopo, durante la vedovanza.

Numerosi indizi attestavano l'ampio dispiegarsi del concubinaggio, degli amori ancillari e della prostituzione, come pure l'esaltazione, nel sistema dei valori, delle prodezze della virilità.

In compenso, in una ragazza si esaltava la verginità e si cercava di preservarla con tutta una serie aggrovigliata di divieti precauzionali; in una moglie si esaltava la fedeltà.Questa morale era domestica e privata come erano private le sanzioni che le facevano rispettare.


 

PROSTITUZIONE E PUBBLICA MORALITA'


 

Era definita meretrice una donna che si era concessa per denaro a più di due uomini.

Il problema della prostituzione, della sua regolamentazione e del come trattare le donne che si davano a questa attività fu molto grave per il Medioevo, che spesso la tollerò per evitare mali peggiori, quali la sodomia imperversante già dal secolo XII e forse sviluppata da esperienze nel Medio Oriente.

La Chiesa era contro la prostituzione, contro chi la esercitava e contro chi la sfruttava.Alcuni comuni non nascondevano che certe norme contro il meretricio provenivano da influenze di ecclesiastici.Si stabilì che una meretrice poteva essere allontanata da dove abitava, su richiesta dei vicini della parrocchia o della via, da essa disturbati.

Quando ci si rese conto che lo stato non poteva trar lucro da una simile attività, si obbligarono le meretrici a vivere riunite in una determinata zona della città, tassandole e limitandole anche nei movimenti; infatti, nei giorni e nelle ore in cui potevano uscire dalla loro zona, dovevano portare un segno distintivo, che poteva essere un martelletto di fustagno come a Milano o una banda gialla sulla spalla come a Trento: evidentemente si sentiva la necessità di distinguere le prostitute dalle altre donne.

La prostituzione, sia pure vista come un male e causa di peccato, fu accettata dai nostri comuni che, con i loro statuti, mirarono a regolarla per evitare scandali, ma anche a trarne lucro attraverso concessioni e multe.


 


 


 


LA DONNA E L'ADULTERIO


 

C'erano casi in cui la donna aveva una particolare protezione, per esempio nel diritto penale, per quei reati a carattere sessuale di cui poteva essere vittima; ma non doveva trattarsi di "femina onesta", altrimenti la sua tutela diminuiva rapidamente, come nel caso dell'adulterio, frequentemente visto come reato più grave per la donna che per l'uomo.Ancora dopo il 1000 le Costituzioni in Sicilia permettevano al marito di uccidere la moglie ed il suo amante sorpresi in flagrante adulterio; ciò non era più lecito fare se era passato del tempo; infatti, se non c'era la flagranza, il marito poteva solo tagliare il naso alla moglie.

Col primo risorgere del diritto romano, si vollero riportare in uso quelle norme che stabilivano la fustigazione e la reclusione in monastero per la donna adultera e la pena di morte per il suo complice; alcuni Statuti (Brescia, Piacenza, Pavia, Genova, Corsica) stabilivano addirittura la pena di morte per entrambi.

Ma già nelle leggi di Federico II di Svevia la morte per l'uomo fu commutata nella confisca dei beni e molti Statuti, pur fissando anche una pena corporale, spesso ne ammettevano la trasformazione in una multa pecuniaria che alle volte, per entrambi i colpevoli, era in sostituzione di pene derisorie, come quella di dover correre nudi per la città tra lo schiamazzo di molti che forse erano non meno colpevoli. Ma per la donna la pena era frequentemente quella del carcere a volontà del marito o di punizioni corporali, oltre naturalmente la perdita della dote a vantaggio del marito stesso.

Per alcuni Statuti l'uomo adultero se la cavava con una multa, mentre la donna era condannata a morte o messa al rogo, poiché il fuoco pareva proprio avesse una funzione purificatrice.Per fortuna tutte queste gravi pene dovevano essere applicate su denuncia e richiesta del marito, il quale avrebbe portato così in pubblico la sua disgraziata vita coniugale. Spesso succedeva che coloro le cui mogli erano adultere non osavano portare l'accusa in giudizio per non incorrere in perpetua infamia, secondo una perversa consuetudine. Da parte della donna si perdeva la dote non soltanto per il commesso adulterio, ma talvolta persino per un bacio accettato da chi non era il marito.

Si trattava sempre, secondo un concetto formale e medioevale, di tutelare nella società il pubblico costume, convinti che gravi sanzioni e gravi pene rendessero il mondo più morale.


 


 


IL CONCUBINAGGIO


 

Il concubinaggio in quel mondo era tollerato se non addirittura ammesso: si riconosceva che potesse essere concubina colei che avrebbe potuto essere moglie. La giustificazione pratica poteva anche derivare da un problema economico. La concubina, infatti, era spesso di condizione umile ed esplicava quindi anche le funzioni di donna di servizio; per di più tra i due, tra i quali esisteva un rapporto di concubinato, non correvano vincoli di carattere economico, niente dote o donazione nuziale o altro.

La Chiesa si battè sempre contro il concubinato, poiché era un vincolo temporaneo e non perpetuo come quello del matrimonio, anche se vi erano degli altri Statuti in cui si parlava di concubine lecite che servivano nella casa dei loro signori, e cioè erano cameriere.

In Corsica le condizioni economiche non erano certamente buone e la concubina era sempre in posizione inferiore e precaria rispetto ad una vera moglie, almeno per quanto riguardava l'"honor" e la "dignitas", anche se tutti i punti perché una concubina fosse tale legittimamente erano stati rispettati. I punti erano nove:

  1. I due concubini non dovevano essere legati da matrimonio con altri;
  2. i due dovevano coabitare e l'uomo doveva avere verso la donna il medesimo rispetto che avrebbe avuto verso una moglie;
  3. la donna doveva essere tenuta e trattata come una concubina e ciò doveva essere a conoscenza dei vicini;
  4. la concubina doveva essere unica;
  5. esse doveva entrare nella casa dell'uomo come una concubina;
  6. doveva entrarvi pubblicamente,come sarebbe avvenuto per una moglie;
  7. lo scopo del rapporto di concubinato doveva essere quello di avere figli da quella donna;
  8. l'uomo doveva trattare la donna col rispetto dovutole;
  9. l'uomo doveva dichiarare che era sua speranza di poter un giorno sposare quella che era attualmente la sua concubina.

L'elemento differenziale vero e proprio tra matrimonio e concubinato, oltre quello dell'assenza della benedizione nuziale, era quello della mancanza di rapporti economici reciproci. La donna doveva essere dotata, per sposarsi, in quella società, anche a costo di mandare una famiglia in rovina, perché sul piano sociale era la dote che permetteva di non confonderla con una concubina.

Il problema della legittimità dei figli, in età comunale, comportava notevoli conseguenze: i figli avuti da una concubina, anche riconosciuti, si trovavano sotto molti aspetti in situazione di inferiorità rispetto ai nati da legittimo matrimonio, soprattutto per il diritto canonico e per la successione per il diritto feudale.

Il concubinato fu infine vietato anche da molti Statuti comunali.

In questo quadro complessivo di inferiorità delle donne e dei vincoli cui erano sottoposte,meglio si comprendono le dinamiche di un esaminante nelle letture sull'onore.

Nessun commento:

Posta un commento