martedì 27 luglio 2010


    

 
 
  
 

La storia del diabete, l'antichità (1)

  

Il papiro di Ebers.

I primi riferimenti al diabete si trovano nel papiro di Ebers, il più ricco e integro dei dodici papiri medico-chirurgici oggi conosciuti. La prima edizione fu pubblicata nel 1875 da Georg Moritz Ebers (1838-1898), docente di archeologia a Berlino e Lipsia, al quale era stato ceduto dall'americano Edwin Smithun. Il "libro" di medicina, lungo 20 metri e alto 30 centimetri, fu scritto in Egitto intorno al 1552 a.C. e scoperto nel 1862 a Thebes (Luxor). Nel papiro vi sono tre ricette per eliminare la sete nel bambino, con prevalente componente religiosa (viene fatto un appello a Isi e Osiri: "La tua sete è nel mio pugno, la tua fame l'ho in mano "). Hassan Kamal include il diabete nel suo dizionario di medicina egizia, accettando l'opinione di Ebbel riguardante  quanto da lui tradotto nel papiro Ebers: "Se tu esamini un uomo per una malattia nella pancia, il cui corpo si raggrinza sempre più come per incantesimo, ma non trovi questa malattia, allora devi dire: è un decadimento interno. Contro questo devi preparargli dei rimedi. La sete svanisce ed il decadimento interno è espulso". Qui si scorge una sintomatologia che ricorda vagamente il diabete, ma risalire da questi accenni alla malattia come oggi la intendiamo, è molto arduo.

L'antica letteratura Indù descrive l'urina con sapore di miele che attrae le formiche.

Susruta, il padre della medicina Indù descrive il diabete mellito e differenzia un diabete giovanile che porta alla morte ed anche un diabete nelle persone di una certa età.

Demetrio da Apamea raffinò la diagnosi del diabete mellito.

Sembra sia stato Apolonio da Menfi a coniare il termine diabete (derivato da  = DIA = attraverso e  = BETES
= passare "acqua che passa") per definire lo stato di debilitazione e poliuria tipico della malattia.

Pablo da Aegina raffinò ulteriormente la diagnosi del "dypsacus" (diabete) associata ad uno stato di debilitazione ed un eccesso di minzione che porta alla disidratazione. Prescrisse un rimedio a base di erbe, indivia, con decotti di datteri e mirto da bere nel primo stadio dell'infermità, a seguire, cataplasmi a base de aceto di vino e di rosa sui reni.

Galeno
pensava che il diabete fosse un'infermità molto rara, usò termini alternativi come "diarrea urinosa" e "dypsacus", quest'ultimo termine per enfatizzare l'estrema sete associata alla patologia.

Areteo di Cappadocia (81 - 138), scrisse nel capitolo II° del Libro Secondo (traduzione di Francesco Puccinotti 1794 - 1872):
"La malattia che porta il nome di Diabete, sebbene non molto frequente alla umana specie, è oltre modo sorprendente, per il fenomeno che in essa si effettua del disciogliersi in urine le carni e le membra dell'organismo. Riconosce una causa interna di freddo ed umido siccome l'idropisia; colla differenza che cotesta causa qui risiede solitamente ne' reni e nella vescica. Le urine non si rendono a intervalli; ma come se i canali non fossero spezzati, il profluvio è perenne. La genesi di questo morbo si opera lentamente, e lungo tempo impiega sempre nello sviluppo. Sviluppato però che sia perfettamente, abbrevia la vita dell'infermo, perché il discioglimento si opera con velocità, e repentina sopravviene la morte, e il diabetico mena una vita travagliosa e crucciata da spasmi. Inestinguibile è la sete; e sebbene si beva copiosamente, la quantità delle urine è sempre superiore della bevanda: e non v'ha diabetico che possa esimersi tanto dal bere, come dall'urinare. Che se per breve spazio di tempo si forzino taluni ad astenersene; gli si inaridisce la bocca, il corpo si dissecca, le viscere si sentono come bruciare, sono presi da fastidio, da titubanza, la sete ardentissima li tormenta, e non molto dopo sen moiono. In tal modo però potranno astenersi dall'urinare? Qual verecondia sarà più potente del dolore? E così questi due fenomeni della sete, e del bere avvicendano, l'uno rinforzando l'altro. Cotesta esorbitante bevanda in alcuni non trapassa né poco né molto per urine, e vieppiù tormentati da una inestinguibile bramosia, dall'allargamento del liquido trangugiato, cotanta distensione patisce il ventre, che infine scoppia". Areteo prescrisse per la malattia una dieta ristretta e vino allungato.


 

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