venerdì 23 dicembre 2011
archeologia
I carboidrati complessi: in Toscana
si cucinavano cereali già 30mila anni fa
La scoperta di macine preistoriche rivoluziona quanto si sapeva sulla «paleo-dieta» tra gallette preistoriche e zuppe nutrienti
Siamo in un giorno imprecisato di circa 30mila anni fa, a Bilancino, fra le colline di quello che oggi chiamiamo Mugello, in Toscana. Un Homo sapiens sapiens, simile a noi come aspetto, sta riducendo in polvere le radici di una pianta di palude che cresce rigogliosa nei dintorni, la "Tifa": la farina che otterrà potrà essere facilmente conservata e trasportata e servirà per preparare l'impasto di una "galletta" preistorica o una zuppa molto nutriente, ricca di carboidrati complessi. Le due piccole pietre di arenaria che quell'uomo del Paleolitico superiore ha usato per macinare le radici sono rimaste sepolte fino a poco tempo fa, quando sono state rinvenute da un gruppo di archeologi dell'Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria. A prima vista sembravano due pietre qualsiasi ma Anna Revedin e Biancamaria Aranguren, le due ricercatrici responsabili dello scavo, si sono accorte che non era così osservandone la forma e gli avvallamenti, che indicavano tracce d'uso: si trattava infatti di una primitiva macina e di un macinello, e l'analisi degli amidi trovati sulle pietre ha svelato che la pianta usata per dare la farina era appunto la Tifa palustre. Prima di questa scoperta nessuno sospettava che l'uomo primitivo fosse in grado già 30mila anni fa di trasformare i vegetali selvatici in prodotti "raffinati", si credeva che i carboidrati complessi fossero stati introdotti nella dieta umana circa 20mila anni dopo, nel neolitico, con l'arrivo dell'agricoltura e dell'allevamento.
Il ritrovamento ha perciò "ridisegnato" l'evoluzione dell'alimentazione umana, che ha sempre avuto un'enorme influenza sull'evoluzione delle capacità e della vita sociale dell'uomo. Inizialmente l'uomo si nutriva della carne delle carogne, raccoglieva tuberi, radici, bacche, frutta, uova e catturava soltanto piccoli animali, come tartarughe o molluschi. Poi, circa un milione di anni fa, imparò a costruirsi armi più efficaci e poté cacciare animali più grandi, diventando più robusto e forte. «Un passaggio importantissimo fu l'uso del fuoco per cuocere la carne, attorno ai 500mila anni fa: la cottura rende la carne più digeribile e riduce l'energia necessaria ad assimilare i nutrienti, questo ha costituito un vantaggio evolutivo enorme», spiega Anna Revedin, ricercatrice all'IIPP. Lo conferma uno studio apparso di recente sulla rivista PNAS, secondo cui il passaggio dalla carne cruda a quella cotta ha consentito all'uomo preistorico di ottenere più facilmente energia dalla dieta, aprendo la strada a un rafforzamento del fisico e al miglioramento delle capacità cerebrali. Di certo, come scrive l'antropologo Richard Wrangham che ha condotto la ricerca, «Se vogliamo capire le caratteristiche anatomiche, fisiologiche e comportamentali di una qualsiasi specie animale, uomo compreso, dobbiamo guardare alla sua dieta». Imparare a macinare piante selvatiche e ricavarne farine significò, ad esempio, avere un prodotto ricco di carboidrati complessi, nutriente e facile da trasportare: una svolta per l'uomo preistorico, che poteva così affrancarsi per lunghi periodi dalla necessità della caccia, sopravvivendo meglio anche a mutamenti climatici e ambientali sfavorevoli. «La scoperta, oltre a svelare che le attività di raccolta e trasformazione di cibi vegetali avevano un ruolo importante quanto la caccia, dimostra che in Europa c'erano le competenze e le tecnologie per sfruttare l'agricoltura ben prima del suo avvento - spiega Revedin -. Quando l'uomo ha iniziato a coltivare i campi e allevare gli animali tutto è cambiato: da una struttura corporea robusta, necessaria per affrontare la caccia dei grossi animali, si è passati a un fisico più impoverito. L'uomo del neolitico mangiava meno carne, era in balia delle carestie; inoltre, vivendo in gruppi stanziali più numerosi per coltivare le terre, era più soggetto alla diffusione di malattie. La possibilità di fare scorte di cibo maggiori e conservare prodotti raffinati come le farine, unita alla maggiore sedentarietà, ha però contribuito all'incremento demografico». Secondo molti ricercatori l'uomo tuttavia non si è ancora completamente adattato all'agricoltura, e la prova sarebbe nell'attuale diffusione di intolleranze ad alimenti sconosciuti prima del neolitico: l'intolleranza al glutine dei cereali, ad esempio, o quella al lattosio del latte di animali da allevamento.
Sull'argomento c'è grande dibattito. «Certo è che lo studio delle abitudini alimentari degli uomini preistorici non è fine a se stesso ma può avere implicazioni importanti per l'uomo moderno, che dovrebbe capire meglio come è fatto e a che cosa è "più adatto" - osserva l'archeologa -. Probabilmente l'evoluzione culturale è stata più veloce di quella genetica e non siamo riusciti, o almeno non del tutto, ad adattare la nostra fisiologia alla nuova dieta ricca di cereali e carni e latte di animali d'allevamento: la carne della selvaggina cacciata dai nostri antenati più lontani, ad esempio, è ben diversa da quella ottenuta da mucche, capre o pecore allevate nei pascoli con metodi industriali. Non è perciò un caso se da qualche tempo ha preso piede la "paleodieta" che suggerisce di tornare, nei limiti del possibile, a un'alimentazione più simile a quella dell'uomo preistorico per la quale saremmo geneticamente più adattati». Si tratterebbe, in sostanza, di mangiare carni magre (meglio ancora la selvaggina) e tutto ciò che Madre Natura offriva prima che cominciassimo a coltivare i cereali: bacche, frutta fresca e secca, verdura soprattutto cruda, niente zuccheri, farine, cereali raffinati o a maggior ragione cibi industriali. Non facile da seguire, va detto. Revedin, che ha provato su se stessa una dieta più vicina a quelle "del cavernicolo", afferma: «Non si può certo vivere come 40mila anni fa, ma si può "temperare" la nostra dieta con suggerimenti presi da allora: nel mio caso ridurre drasticamente i carboidrati, mangiare carni magre provenienti da allevamenti meno intensivi e muoversi di più ha avuto un effetto indubbio di miglioramento del benessere. Non dico di eliminare i cereali, ma forse può essere opportuno limitarne l'uso o magari cercare fonti di carboidrati alternative che non siano gli attuali grani ricchi di glutine». Le gallette di Tifa pare siano buonissime: le ricercatrici hanno seccato le radici, le hanno macinate e poi con la farina hanno preparato gallette su focolari simili a quelli che usava l'uomo preistorico. Il risultato, dicono, è gradevole. «Dalla dieta dei nostri antenati possiamo prendere spunti per non dimenticare le nostre origini e ritrovare un rapporto più equilibrato con il nostro corpo e con l'ambiente», conclude Revedin.
Alice Vigna
13 dicembre 2011 (modifica il 20 dicembre 2011)
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