mercoledì 13 gennaio 2010



martedì 12 gennaio 2010


SANTA GIULIA


 

LA CARTAGINESE


 

"Ego qui supra Boniprandus et mei eredes laborare et excolere,debeamus casalino et res vestra illa in loco Lajatico,qui est pertenentes ecclesie SANCTE IULIE……"

Così inizia la prima pergamena che nomina la chiesa dedicata a Santa Giulia in Livorno:risale al 6 giugno 891:Livorno città non esisteva ancora ,il territorio apparteneva al vescovado di Pisa.

La popolazione era ridotta ad un esiguo numero di pescatori e pastori,ma Giulia,la santa dalla pelle scura è già patrona del luogo.

Giulia è la Santa protettrice di Livorno ,ma anche patrona della Corsica a delineare gli stretti rapporti etnici e culturali che per tutto il medioevo caratterizzarono gli abitanti della costa tirrenica ed i fieri isolani.

Ma chi era Giulia?

Poco si sa di lei se non notizie frammentarie e inquinate da leggende:le poche notizie storicamente attendibili fanno tutte riferimento ad una Passio del VII secolo scritta secoli dopo la sua morte ed anch'essa intrecciata a miti .

Vero è che comunque questa scarsità di documenti storici è comune a quasi tutte le sante e martiri del basso medioevo la cui storia fu affidata più ad una trasmissione orale che alla scrittura ufficiale.

Dal nome si è derivato che Giulia appartenesse ad una nobile gens romana :la gens Giulia appunto e che senz'altro facesse parte di quelle nobili famiglie che durante il periodo aureo dell'Impero di Roma si erano stabilite nelle colonie del Nord Africa:nasce molto probabilmente a Cartagine nel 420.

Secondo la succitata Passio la famiglia di Giulia segue il destino di molte nobili famiglie durante la lenta decadenza dell'Impero:cade in rovina economica.

Roma è lontana,probabilmente da generazioni i Giuli di Cartagine non mettevano più piede nella capitale,il viaggio ,viste le distanze e la sopravvenuta disgrazia economica,è impossibile,ed i Giuli affrontano il problema con modalità allora consuete:i maschi si arruolano come mercenari nelle ormai stanche legioni e le femmine,tra cui Giulia,vengono vendute come schiave.

Non c'è da scandalizzarsi,né tanto meno da stupirsi:il nostro concetto di schiavitù è senz'altro falsato dalla nostra visione post rivoluzione francese del problema e da molti stereotipi.

Essere venduti come schiavi o anche vendersi come schiavi,poteva essere assimilato ad un nostro"andare a servizio"o "mettersi sotto padrone",cosa che oggi facciamo con disinvoltura assumendo badanti o collaboratori domestici dal terzo mondo.

LA giovanissima Giulia non capitò poi tanto male.

Fu infatti comprata da un mercante siriano di nome Eusebio,un bonaccione che la trattava come una figlia e le fece girare il mondo(allora conosciuto) con le sue carovane di merci.

Fu proprio in uno di questi viaggi di "lavoro"che accadde l'irreparabile e l'imprevedibile:la nave sulla quale viaggiavano Eusebio e Giulia ,carica di pregiate merci,durante una terribile mareggiata,fece naufragio sulle coste della Corsica.

Su quel territorio costiero spadroneggiava un despota di nome Felice.

E' chiaro che una donna,allora come ora,non può trovare tutti gentiluomini come Eusebio,e Felice era veramente un villano depravato.

Aveva da subito messo gli occhi sulla ragazza ,che era assai graziosa,e subito propose ad Eusebio di vendergliela.

Eusebio intuendo lo scopo del despota ed essendo veramente affezionato a Giulia,rifiutò qualsiasi ricompensa e disse che la ragazza non era in vendita.

Felice cambiò tattica:una notte,mentre Eusebio dormiva,si fece portare Giulia e le chiese di adorare gli dei del luogo e di giacere con lui ed in cambio avrebbe avuto la libertà.

Ma Giulia era cristiana e rispose:"io sono già libera servendo Dio"e rifiutò ogni profferta amorosa.

Il rifiuto fu considerato oltraggioso dal despota e poiché,essendo Giulia una schiava,la legge glielo consentiva,ordinò per la giovane un terribile supplizio:a Giulia furono strappati i capelli,fu flagellata e poi crocifissa ,per dirla con Felice:"come il Dio che adorava".

.La mattina seguente ,alcuni monaci di un monastero vicino,avvertiti dalla popolazione,si recarono alla croce,deposero il corpo martoriato di Giulia,lo trasportarono in una barca all'isola di Gorgona,davanti al territorio di Livorno,e le dettero sepoltura.

Questo secondo l'antico manoscritto è la storia della martire Giulia,ma esiste un'altra versione che fa capo alla tradizione orale corsa.

Secondo questa tradizione Giulia nacque a Nonza sulla punta ovest di Capo Corso nel III secolo.

Durante tutto il III secolo le persecuzioni per i cristiani erano state,da parte dell'ormai decadente regime imperiale,particolarmente intense.

L'imperatore stabilì che per onorare il Pantheon Latino ,fossero,a Roma ,come nelle provincie,organizzate feste ed in particolare le giovani donne si dovevano,durante questi ludi,inginocchiare davanti alla statua di Giove.

Tra le giovani donne costrette a partecipare alle feste,a Nonza,ci fu la giovane Giulia.

Giulia aveva aderito alla nuova religione ed era una fedele cristiana:si rifiutò quindi di adorare Giove.

Le fu chiesto di rinnegare il suo Dio,ma con la forza che solo i fedeli delle nascenti religioni hanno ,rifiutò.

Fu,come era d'uso,condannata alla crocefissione.

Ma la calma e la serenità con cui la giovane donna affrontava il martirio(la morte per crocefissione è lunga e dolorosissima)imbestialirono il governatore romano che le fece amputare i seni durante la crocefissione.

I seni furono gettati su un masso lì vicino e,quello stesso giorno,ai piedi della pietra cominciò a sgorgare una sorgente di acqua calda.

Ancora oggi a Nonza si può ammirare la cappella che venne costruita vicino alla miracolosa sorgente.

Il corpo della martire fu costudito fino al VII secolo a No0nza e poi le reliquie furono affidate ai monaci benedettini di Gorgona.

Oggi le reliquie della Santa sono conservate in tre chiese a lei dedicate:a Nonza due vertebre e la base del cranio,a Livorno è conservato un dito ed alcuni frammenti ossei,ed a Brescia,dove si trovano,nella chiesa del villaggio Prealpino,gran parte dei resti del corpo.

Curiosità storica:fu la cristiana moglie di Desiderio,ultimo re longobardo,ad orinare che i resti di Giulia fossero portati a Brixia(attuale Brescia)città dove lei risiedeva,per poterli venerare.

La ricorrenza di Santa Giulia viene festeggiata il 22 Maggio.

S.F.

domenica 10 gennaio 2010


MARIA TUDOR

LA SANGUINARIA


 


 

La figura di Maria Tudor è stata indubbiamente emarginata e poco valorizzata nel contesto degli studi storici dell'epoca Tudor.

Per quanto alone di splendore e grandezza circondi la figura della sorellastra Elisabetta I, tanta è la trascuratezza di analisi del ruolo di Maria che passa alla storia ,invece ,con sulle spalle il peso di una "leggenda nera" ed il ruolo di regina sanguinaria.

Maria fu invece e soprattutto una bambina prima, una ragazza poi, ed infine una donna ,profondamente sola ed infelice.

L'albero genealogico è impressionante .il padre è Enrico VIII ,la madre Caterina d' Aragona ,nonni materni Isabella di Castiglia e Ferdinando d'Aragona, è cugina di Carlo V e ha cugini sui troni di mezz'Europa.

Quando Maria nasce ,nel1516 il matrimonio di Enrico e Caterina attraversa una profonda crisi .

La regina , più anziana del re ,e non bellissima , non è ancora riuscita a dare all' Inghilterra il tanto atteso erede maschio. Anzi non è proprio riuscita a partorire figli nati vivi .

Le gravidanze ,numerose ,gli aborti e le morti premature dei figli l'hanno sfibrata fisicamente ,ma soprattutto hanno profondamente irritato Enrico e l'hanno allontanato da lei.

Il re ,ancora bello e giovane si sta guardando intorno e certo ad un re potente ed affascinante le donne non mancano.

Ha già avuto un figlio bastardo ,riconosciuto da lui ,il Fitzroy, vuole però l'erede ufficiale e se Caterina non saprà darglielo ,probabilmente la decisione del ripudio sarebbe appoggiata anche da Roma.

Ma la regina è di nuovo incinta ,e questa volta con l'aiuto di Dio, l'erede nasce vivo e sopravvive :solo che è una femmina.

Enrico fa qualcosa di più che storcere il naso , il giorno della nascita di Maria parte per una battuta di caccia con cavalieri e dame :l'affronto è enorme.

Il re però sa che la famiglia ed il casato d'Aragona sono una garanzia per la successione al trono d' Inghilterra ,fosse anche per una femmina (non è forse stata una grande regina Isabella ?) ,torna e sollevandola tra le braccia davanti alla corte la riconosce sua erede.

Per lo meno fino alla nascita di un maschio.

E sarà questa la spada di Damocle sulla testa di Maria ,fino alla morte di Enrico ed anche oltre.

Al contrario di quanto ci tramanda l'iconografia dell'epoca ,Maria è una bambina se non bella ,graziosa :piccola di statura ,minuta in giovinezza ,ha i lineamenti dolci e tondi dei Tudor e riccioli biondi che le incorniciano il viso.

Adora i genitori ed è amata fortemente da Caterina ,amata a seconda degli umori da Enrico.

Il re ,però senza dubbio apprezza in Maria ,carattere ed intelligenza :la bambina studia come un ragazzo,apprende con estrema facilità ,i suoi insegnanti sono entusiasti di lei.

A 15 anni Maria è già una donna colta e i suoi pareri sono molto apprezzati a corte.

Non fu dunque Maria una piccola ed arrogante arrivista,tesa a conquistare il potere anche a scapito dei rapporti e degli affetti famigliari ,ma una giovane angariata e perseguitata per gran parte della sua vita ,per il rifiuto di schierarsi contro la madre , Caterina ,da cui il re divorzia in maniera teatrale, per sposare Anna Bolena .

Rifiutò anche di abiurare alla religione cattolica e questo le costò l'esilio dalla corte ,prima con la madre , poi ancora più punitivo ,da sola ed in grande miseria.

Enrico non sopportava di essere contradetto ed ostacolato e diventava crudele e spietato.

Dall'unione ,finita malissimo con la Bolena (muore decapitata ed accusata di alto tradimento a pochi anni dalle fastose nozze) è nata un 'altra bambina Elisabetta .

Ufficialmente Maria è ancora erede al trono.

Alla morte della Bolena, anche Elisabetta viene allontanata dalla corte ,anche perché Enrico si è di nuovo sposato e questa volta ha avuto il maschio :il malaticcio e fragile Edoardo.

Non è affatto vero che le due sorellastre si odiassero,anzi Maria nutrì sempre per Elisabetta un affetto quasi materno ,che le permise ,una volta regina di perdonarle svariati tentativi di tradimento.

Non voglio qui affrontare una cronologia biografica di Maria,ma esaminare il su caso umano,e il suo essere donna dilaniata da sfide e poteri che avrebbero distrutto un eroe epico.

Maria Tudor fu una donna che sfidò il suo tempo,ma neanche il suo destino personale.

Sfidò i pregiudizi secolari che relegavano la donna ai margini delle scelte sociali e politiche ,sfidò le convinzioni regnando con forza ed autorità,da sola e decidendo anche senza il consenso del potente marito che le avevano"affibbiato" per motivi di stato .

Gli avversari ,e ne ebbe molti , addirittura dicevano che ogni sua scelta venisse manovrata dal cugino ,l'imperatore Carlo V e mai ci fu diceria più menzoniera .

Con il suo stile di governò spianò la strada ad Elisabetta che prese dal suo insegnamento assertività e determinazione.

Quando,dopo la precoce morte di Edoardo VII,diventa regina il suo tentativo ,anche repressivo di riportare il cattolicesimo in Inghilterra ,va contestualizzato.

Erano tempi bui ,feroci ,re Enrico aveva imposto la sua nuova religione bagnando di sangue le strade inglesi ,da Londra alle provincie ,aveva umiliato i cattolici come popolo ,ma anche la grande Caterina e la figlia Maria che non aveva mai fatto mistero di voler ,una volta sul trono,riportare l'Inghilterra al papato.

Quello che invece Maria sottovalutò fu quanto in quegli anni ,da lei trascorsi isolata e in esilio, la tesi protestante avesse messo radici profonde e radicate nella mentalita' inglese ,dal contadino del Devon ,al borghese di Londra ,al nobile barone ,al cortigiano.

Le repressioni durante il suo regno sono storicamente incontestabili ,ma se leggiamo la storia ben poche assoluzioni potrebbero essere impartite:rimanendo nel 1550 e parlando di un'altra grande regina ,pensiamo a Caterina dei Medici e alla notte di San Bartolomeo.

Vero è che nel nome della verità religiosa si sono fatti più morti nel corso dei secoli che per qualsiasi altro motivo bellico.

La morte di questa donna regina ha del simbolismo psicoanalitico :quel suo desiderio di maternità lasciato sopire negli anni dalla lotta per il potere ,ricompare.

Il ventre di Maria si gonfia e le mestruazioni scompaiono:i medici di corte sono preoccupati.

Ma la regina si intestardisce e dichiara di aspettare un figlio,rifiuta ogni indagine medica ,e cova con determinazione e dolcezza la sua pancia sempre più grande e tesa.

Nemmeno Elisabetta ,corsa al suo capezzale ,un po' per essere dichiarata erede (e Maria ,morente,lo farà) un po' per affetto ,riesce a convincerla :tutti sanno che il re Filippo non ha più rapporti con la regina e,vista la personalità di Maria ,un relazione clandestina è impensabile.

E' un tumore all' utero e la regina sanguinaria muore in pochi mesi cullando nel ventre il mostro divoratore che lei ha amato come un figlio.


 

Susanna Franceschi

venerdì 8 gennaio 2010


Carlo Pisacane ed Enrichetta Di Lorenzo


 

Quello che mi ha sempre colpito e nello stesso tempo affascinato della figura di Carlo Pisacane ,è la sua incongruità storica.

In altre e più semplici parole Pisacane è l'uomo giusto nel periodo storico sbagliato.

Studiando e riflettendo sulla vita e sul pensiero di questo antieroe risorgimentale si percepisce l'assoluta modernità del pensiero politico,ma anche della condotta di vita.

Pisacane non si può infatti collocare in nessuno dei movimenti eversivi

del risorgimento italiano.

Fu un rivoluzionario vero e proprio:antiautoritario,precursore del socialismo libertario,e primo anarchico italiano:il suo pensiero e il suo ideale politico sono infatti esclusivamente legati allo studio e all'adesione alle teorie di Prouhon.

Lo studio di Proudhon,ma anche di Cattaneo lo fanno giungere ben presto

Ad una teoria di stato socialista,federalista ed antiautoritario:auspicava infatti un 'associazione di comuni federati libertariamente.

Questa semplificazione del suo pensiero fa rò già ben capire la distanza incolmabile dagli ideali risorgimentali.

E questo,come per tanti rivoluzionari ,lo isolò politicamente e ne fece un personaggio scomodo.

I cardini del suo pensiero sono tre:Non esiste libertà senza uguaglianza,il Risorgimento deve essere rivoluzione,nel senso che deve eliminare le disuguaglianze sociali e non essere semplicemente teso a fondare uno stato nazionale,il popolo è mosso sempre e solo da bisogni materiali piuttosto che da quelli ideali(prerogativa della borghesia)come diceva invece Mazzini.

E inimicarsi Mazzini non fu cosa da sottovalutare storicamente.

Carlo Pisacane non fu quindi assolutamente un patriota come viene superficialmente(o strumentalmente?)definito dalla storiografia ufficiale e scolastica,ma un rivoluzionario di matrice libertaria come è ben definito nel suo misconosciuto "testamento politico"

"Per quanto mi riguarda io non farei nulla per cambiare un ministero o per o per ottenere una costituzione,e neppure per cacciare gli austriaci dalla Lombardia………………………per quanto mi riguarda la dominazione della Casa di Savoia e quella Austriaca sono esattamente la stessa cosa…..

………Io credo nel socialismo e il socialismo di cui parlo può definirsi in due parole:libertà e associazione."

Altrettanto,per quei tempi,sopra le righe,la sua vita di uomo.

A Napoli,dove nasce da nobile famiglia viene avviato ,dopo anni di studi creativi ma confusi,alla carriera militare.

Carriera militare che,nell'ottica del padre,lo dovrebbe raddrizzare,ma Carlo non solo è soffocato dalle regole rigide di quel mondo,ma ne combina una grossa per davvero:si innamora e fugge con una donna sposata,anzi"sposatissima":la bella ed intelligente Enrichetta Di Lorenzo,moglie di suo cugino.

I due abbandonano tutto:fuggono da Napoli sotto falso nome.Il marito e la famiglia,infuriati per l'oltraggio e lo scandalo,denunciano i due per farli arrestare.

Carlo ed Enrichetta sbarcano fortunosamente a Livorno fanno perdere le loro tracce a poliziotti e agenti della diplomazia e si dirigono in Inghilterra.

Comincia per i due una vita di sacrifici e di rinunce ,solo il grande amore e la capacità di condividere ideali e battaglie, permette ai due di superare le troppe difficoltà.

Si spostano tra Francia ed Inghilterra:ovunque Enrichetta è ammirata per la sua condizione di donna emancipata che vive un progetto politico alla pari accanto al suo uomo.

In Francia è addirittura arrestata,e la prigionia la farà abortire,e nello stesso tempo,sempre i Francia vivrà il distacco da Carlo che è partito

per la legione straniera.

I due si riuniscono nel 1848 dove vivono l'avventura lombarda:rientrano in Italia nel 1850 e subito Carlo riparte per la Svizzera.

E'in questo periodo che si colloca la relazione amorosa della donna per l'amico di entrambi,il Cosenz:i due non nasconderanno mai al Pisacane la passione,per altro breve.

La coppia comunque regge animata dalla forza degli ideali ed anche da una dichiarata,irrinunciabile passione fisica.

La crisi ,invece,arriva nel 1857,con la spedizione:Enrica rispetta la decisione del compagno,ma con intuizione tutta femminile,ne intuisce la pericolosità e l'esito disastroso.

Tra i due,questa volta è scontro,ma Pisacane parte lo stesso.

Enrica saprà della sua morte per suicidio solo il 4 luglio.

Il sogno del giovane anarchico era finito a Padula dove la spedizione era stata circondata da contadini e massacrata.

Susanna Franceschi

martedì 5 gennaio 2010


SANT'ORSOLA

LA PRINCIPESSA BRETONE


 

Nel Museo Nazionale di San Matteo ,a Pisa ,c'è una insolita raffigurazione di Sant'Orsola.

In questo dipinto di scuola pisana del1375 la Santa ,con una corona sul capo e nella mano sinistra il vessillo della città di Pisa,porge la mano destra ad una personificazione della città(riconoscibile dall'abito).

Sant'Orsola aiuta la donna che rappresenta Pisa ad uscire dalle acque.

Questo è un chiaro riferimento ad una inondazione devastante del fiume Arno di cui la Santa avrebbe scongiurato i danni.

Accanto a questo pregevole dipinto su tavola ,Pisa possiede altre quattro raffigurazioni di Orsola ,tutte di proprietà della Misericordia della quale è la prima patrona.

Infatti tra il 1200 ed il 1500 si diffusero in Italia delle confraternite chiamate appunto"navicelle di Sant'Orsola" ed una di queste fu appunto l'attuale Misericordia di Pisa.

Gli iscritti alle "navicelle"si impegnavano ad aiutare e sostenere i più deboli oltre che a soccorrerli in caso di bisogno.

Sant'Orsola è inoltre patrona delle insegnanti ,in quanto nel 1535 fu fondato a Brescia un nuovo ordine religioso dedicato alla Santa e chiamato appunto ordine delle Orsoline che si occupava anche dell'educazione e dell'istruzione delle fanciulle.

La ricorrenza celebrata dalla chiesa per questa Santa è il 21 ottobre.

Ma chi era, e perché la si ricorda e celebra come Santa ,Orsola.

Tutta la sua storia è un affascinante intrecciarsi di realtà e leggenda.

Orsola visse probabilmente nel IV secolo D.C ed era una principessa bretone.

In altre parole in quei giorni oscuri che segnarono la fine di un grande impero ed il passaggio all'età di mezzo,Orsola era una barbara(barbaro,dal greco straniero,era la definizione che i romani assegnavano a coloro che vivevano fuori dai confini dell'impero o al loro limitare.

Orsola era una barbara bretone anche perché il padre,valoroso re guerriero ,combatteva attivamente contro le legioni romane dislocate sul suo territorio per garantire autonomia al suo popolo.

Come tutte le principesse di sangue reale anche Orsola fu promessa ,per alleanze di potere,ad un principe barbaro :Ereo.

Probabilmente il matrimonio si sarebbe fatto e la bella Orsola avrebbe partorito al suo Ereo una sfilza di eredi,ma non andò così.

Il messaggio rivoluzionario del Cristo e le sue parole di speranza e di evangelizzazione ,erano giunte anche ai confini dell'Impero.

Orsola si era segretamente convertita alla nuova religione e non poteva sposare un principe pagano.

Giovane donna intelligente ed educata ai giochi della politica,Orsola però sapeva che un suo netto rifiuto avrebbe potuto scatenare una guerra tra i due regni bretoni.

Decise per una strada diplomatica e di attesa .

.Consigliata dall'arcangelo Gabriele,secondo la leggenda,che le apparve in sogno,chiese di rimandare le nozze di tre anni

.Il suo scopo era quello di convertire il principe barbaro e di partire con lui per i luoghi della nascente cristianità.

Sempre secondo la leggenda,passati i tre anni ,Orsola si imbarcò con il futuro marito,ormai convertito alla parola di Cristo ed undicimila vergini.

Questo particolare delle undicimila vergini è senza dubbio simbolico e sta ad indicare la grandezza,per traslato ,della purezza dell'animo di Orsola.

Orsola .Ereo ed il gruppo di convertiti al loro seguito attraversarono la Manica,risalirono il corso del fiume Reno fino alla città di Colonia e poi in Svizzera,a Basilea.

Da Basilea ,il nutrito pellegrinaggio prese,a piedi,la via per Roma.

Probabilmente passarono il valico del San Bernardo e seguirono poi la Via Francigena,la famosa via medievale che da Canterbury portava a Roma,strada percorsa per tutto l'età di mezzo,da milioni di pellegrini che si recavano a Roma..

Il viaggio durò probabilmente anni e fu funestato da malattie e morti di pellegrini bretoni,oltre che da scorrerie di briganti che vivevano lungo le vie maestre dei pellegrinaggi nella speranza di saccheggiare qualche benestante viaggiatore della fede

.Era probabilmente nell'enorme difficoltà di questi,oggi impensabili ,viaggi,a piedi ,nella neve o sotto il sole cocente,per anni, che si connotava la possibilità di espiazione e salvezza dell'anima.

A Roma comunque giunsero e furono accolte da un papa che rimane sconosciuto alla storia:Ciriaco.

Una volta sciolta la promessa ed il voto del pellegrinaggio i bretoni con alla testa la coraggiosa Orsola ,ripresero il cammino per tornare a casa,in Bretannia.

Ripercorsero,com'era usanza del tempo ,la stessa via dell'andata.

Quando giunsero a Colonia la trovarono però conquistata dal fiero e crudele re Attila.

Attila ,e la storia a volte è matrigna,è ricordato con il soprannome "flagello di Dio".

Pur non essendo esattamente un effemminato e diplomatico principe bizantino,re Attila fu un grande re per il suo popolo e un grande stratega militare ed il soprannome è senza dubbio esagerato.

Sicuramente però non nutriva particolari simpatie per i cristiani o per i pellegrini in genere.

Le undicimila(?)vergini,probabile rappresentazione dell'Orsola stessa furono invitate all'abiura e a darsi ai piaceri della carne con i virili guerrieri.

Al rifiuto ,chiaramente sdegnato,Attila ordinò di trucidarle tutte e così fu fatto.

Fu risparmiata ,in un primo momento,solo Orsola poiché quel romanticone di Attila si era invaghito di lei.

Attila le propose il matrimonio ,cosa che provocò lo sdegno della principessa.

Al rifiuto Attila,abbandonando ogni velleità erotica non fece discorsi e la fece trafiggere da una freccia.

Niente la leggenda dice di quello sciagurato di Ereo che per andar dietro alla promessa sposa si era messo in un guaio dopo l'altro ed aveva perso anche il regno.

I dati storici invece sono altri e abbastanza frammentari

Un dato certo è il ritrovamento in una chiesa di Colonia di reliquie accompagnate da un'iscrizione di un certo Clematius,iscrizione in cui si diceva che il luogo di culto era stato edificato in memoria del martirio di alcune giovani donne(vergini) che erano state uccise per la loro fede cristiana sotto l'imperatore Diocleziano.Vengono nominate le vergini e tra i nomi compare quello di Orsola.

Per quanto riguarda altre ipotesi rispetto alle undicimila vergini,oltre alla personificazione della Orsola stessa,alcuni parlano di un errore di trascrizione del numero romano indicante la probabile età della giovane sulla tavola dell'iscrizione o di un altro nome di martire e compagna di Orsola ,Undecimilla,anch'essa.bretone,che sarebbe stato trascritto come Undecim Milia.

A rigor della verità storica,seppure sempre opinabile e difficile da accertarsi,questa volta Attila non c'entrava per niente.

S.F

lunedì 4 gennaio 2010


 
 


 

La Befana
Le origini e la storia della Befana.

La Befana, (termine che è corruzione di Epifania, cioè manifestazione) è nell'immaginario collettivo un mitico personaggio con l'aspetto da vecchia che porta doni ai bambini buoni la notte tra il 5 e il 6 gennaio.
La sua origine si perde nella notte dei tempi, discende da tradizioni magiche precristiane e, nella cultura popolare, si fonde con elementi folcloristici e cristiani: la Befana porta i doni in ricordo di quelli offerti a Gesù Bambino dai Magi.
L'iconografia è fissa: un gonnellone scuro ed ampio, un grembiule con le tasche, uno scialle, un fazzoletto o un cappellaccio in testa, un paio di ciabatte consunte, il tutto vivacizzato da numerose toppe colorate. Vola sui tetti a cavallo di una scopa e compie innumerevoli prodigi. A volte, è vero, lascia un po' di carbone (forse perché è nero come l'inferno o forse perché è simbolo dell'energia della terra), ma in fondo non è cattiva. Curioso personaggio, saldamente radicato nell'immaginario popolare e - seppure con una certa diffidenza - molto amato. Fata, maga, generosa e severa... ma chi è, alla fine? Bisogna tornare al tempo in cui si credeva che nelle dodici notti fantastiche figure femminili volassero sui campi appena seminati per propiziare i raccolti futuri. Gli antichi Romani pensavano che a guidarle fosse Diana, dea lunare legata alla vegetazione, altri invece una divinità misteriosa chiamata Satia (dal latino satiaetas, sazietà) o Abundia (da abundantia).
La Chiesa condannò con estremo rigore tali credenze, definendole frutto di influenze sataniche, ma il popolo non smise di essere convinto che tali vagabondaggi notturni avvenissero, solo li ritenne non più benefici, ma infernali. Tali sovrapposizioni diedero origine a molte personificazioni diverse che sfociarono, nel Medioevo, nella nostra Befana. C'è chi sostiene che è vecchia e brutta perché rappresenta la natura ormai spoglia che poi rinascerà e chi ne fa l'immagine dell'anno ormai consunto che porta il nuovo e poi svanisce. Il suo aspetto laido, rappresentazione di tutte le passate pene, assume cosi una funzione apotropaica e lei diventa figura sacrificale. E a questo può ricollegarsi l'usanza di bruciarla.

Nella tradizione popolare però il termine Epifania, storpiato in Befana, ha assunto un significato diverso, andando a designare la figura di una vecchina particolare.

Come abbiamo avuto modo di vedere per le altre tradizioni italiane che si svolgono in tutto l'arco dell'anno, molte nostre festività hanno un'origine rurale, affondando le loro radici nel nostro passato agricolo. Così è anche per la Befana.

Anticamente, infatti, la dodicesima notte dopo il Natale, ossia dopo il solstizio invernale, si celebrava la morte e la rinascita della natura, attraverso la figura pagana di Madre Natura. La notte del 6 gennaio, infatti, Madre Natura, stanca per aver donato tutte le sue energie durante l'anno, appariva sotto forma di una vecchia e benevola strega, che volava per i cieli con una scopa. Oramai secca, Madre Natura era pronta ad essere bruciata come un ramo, per far sì che potesse rinascere dalle ceneri come giovinetta Natura, una luna nuova.

Prima di perire però, la vecchina passava a distribuire doni e dolci a tutti, in modo da piantare i semi che sarebbero nati durante l'anno successivo.
In molte regioni italiane infatti, in questo periodo, si eseguono diversi riti purificatori simili a quelli del Carnevale, in cui si scaccia il maligno dai campi grazie a pentoloni che fanno gran chiasso o si accendono imponenti fuochi, o addirittura in alcune regioni si costruiscono dei fantocci di paglia a forma di vecchia, che vengono bruciati durante la notte tra il 5 ed il 6 gennaio.


La Befana coincide quindi, in certe tradizioni, con la rappresentazione femminile dell'anno vecchio, pronta a sacrificarsi per far rinascere un nuovo periodo di prosperità.

Questa festa ha però assunto nel tempo, anche un significato lievemente diverso. Nella cultura italiana attuale, la Befana non è tanto vista come la simbolizzazione di un periodo di tempo ormai scaduto, quanto piuttosto come una sorta di Nonna buona che premia o punisce i bambini.


I bambini buoni riceveranno ottimi dolcetti e qualche regalino, ma quelli cattivi solo il temutissimo carbone, che simboleggia le malefatte dell'anno passato. Il potere psicologico della Befana sui bambini è quindi molto forte ed i suoi aspetti pedagogici non vanno di certo trascurati.

In alcune regioni, come il Lazio, la Befana è una figura molto importante ed intorno alla sua festa si svolgono importanti fiere culinarie, ma è anche l'ultimo giorno di vera festa, l'ultimo in cui si tiene l'albero di Natale a casa. Addirittura, in molte regioni d'Italia, c'è l'usanza, anche tra gli adulti, di scambiarsi dei regali più modesti rispetto a quelli del 25 dicembre, oppure, soprattutto tra innamorati, cioccolatini e caramelle.


 

La leggenda della Befana

Secondo il racconto popolare, i Re Magi, diretti a Betlemme per portare i doni a Gesù Bambino, non riuscendo a trovare la strada, chiesero informazioni ad una vecchia.
Malgrado le loro insistenze, affinchè li seguisse per far visita al piccolo, la donna non uscì di casa per accompagnarli. In seguito, pentitasi di non essere andata con loro, dopo aver preparato un cesto di dolci, uscì di casa e si mise a cercarli, senza riuscirci.
Così si fermò ad ogni casa che trovava lungo il cammino, donando dolciumi ai bambini che incontrava, nella speranza che uno di essi fosse il piccolo Gesù.
Da allora girerebbe per il mondo, facendo regali a tutti i bambini, per farsi perdonare.


 

La Tradizione della Befana

La Befana, tradizione tipicamente italiana, non ancora soppiantata dalla figura "straniera" di Babbo Natale, rappresentava anche l'occasione per integrare il magro bilancio familiare di molti che, indossati i panni della Vecchia, quella notte tra il 5 il 6 gennaio, passavano di casa in casa ricevendo doni, perlopiù in natura, in cambio di un augurio e di un sorriso.
Oggi, se si indossano gli abiti della Befana, lo si fa per rimpossessarsi del suo ruolo; dispensatrice di regali e di piccole ramanzine per gli inevitabili capricci di tutti. Dopo un periodo in cui era stata relegata nel dimenticatoio, ora la Befana sta vivendo una seconda giovinezza, legata alla riscoperta e alla valorizzazione delle antiche radici, tradizioni e dell'autentica identità culturale.


 

I Re Magi

Nella tradizione cristiana i Re Magi sono magi. La parola 'mago' che si usa per indicare questi personaggi non va identificata con il significato che oggi noi diamo. Il vocabolo deriva dal greco 'magoi' e sta ad indicare in primo luogo i membri di una casta sacerdotale persiana (in seguito anche babilonese) che si interessava di astronomia e astrologia. Potremo meglio nominarli: studiosi dei fenomeni celesti.
Nell'antica tradizione persiana i Magi erano i più fedeli ed intimi discepoli di Zoroastro e custodi della sua dottrina che secondo il Vangelo di Matteo giunsero da oriente a Gerusalemme per adorare il bambino Gesù, ovvero il re dei Giudei che era nato. I Magi provenienti da oriente, ovvero dalla Persia, furono, quindi, le prime figure religiose ad adorare il Cristo, al quale presentano anche dei doni crismali.

La stella cometa dei Re Magi

"La stella, veduta dai Magi, secondo l'opinione più probabile, dedotta dalle sue caratteristiche, era una meteora straordinaria, formata da Dio espressamente per dare ai popoli il lieto annunzio della nascita del Salvatore"
Molto si è scritto su questa stella. Diverse sono state le ipotesi che possono riassumersi a tre: una cometa, una 'stella nova', una sovrapposizione di satelliti.

Non si può neppure pensare ad una 'stella nova', bagliore prolungato emesso da corpi celesti invisibili al momento della loro esplosione. Infatti nell'area di Gerusalemme non ne comparve nessuna tra il 134 a.C. ed il 73 d.C.

La Grande Enciclopedia Illustrata della Bibbia (21) sembra propendere per la terza ipotesi, già condivisa a suo tempo da Keplero: "Di tutte le spiegazioni possibili la più probabile rimane quella, in qualche modo accettabile sulle fonti, secondo cui si è trattato di un'insolita posizione di Giove, l'antica costellazione regale. L'astronomia antica si è occupata dettagliatamente della sua comparsa in un preciso punto dello zodiaco e l'ha identificata, sul grande sfondo di una religiosità mitologico-astrale molto diffusa, con la divinità più alta. Essa era importante soprattutto per gli avvenimenti della storia e del mondo, in quanto i movimenti di Saturno erano facilmente calcolabili. Saturno, il pianeta più lontano secondo gli antichi, era il simbolo del dio del tempo Crono e permetteva immediate deduzioni sul corso della storia. Una congiunzione di Giove e di Saturno in una precisa posizione dello zodiaco aveva certamente un significato tutto particolare. La ricerca più recente si lascia condurre dalla fondata convinzione che la triplice congiunzione Giove-Saturno dell'anno 6/7 a.C. ai confini dello zodiaco, al passaggio tra il segno dei Pesci e quello dell'Ariete, deve aver avuto un enorme valore. Essa risulta importante come una 'grande' congiunzione e, in vista della imminente era del messia (o anche età dell'oro), mise in allarme l'intero mondo antico".

domenica 3 gennaio 2010


VALCAMONICA

BENVEGNUDA

LA SAGAE


 

Ancora controversa,tra gli storici,l'etimologia della parola strega.In linea di principio dovrebbe derivare dal latino strix(plurale striges)che sta ad indicare una donna fattucchiera capace di trasformarsi in uccello notturno ,solitamente barbagianni(in Italia del nord) e volare.

Secondo altri che si indirizzano sulle tesi di alcuni grandi Inquisitori spagnoli,deriverebbe dal fiume Stige.

Diversa è anche la denominazione delle streghe a seconda della collocazione geografica.

In Italia si parla di "lamie"(da Lamia ,amante del libertino Giove,che era capace di trasformarsi a piacimento),o di "masche",termine usato soprattutto in Piemonte e in Val Padana e che sta a indicare donna che è qualcosa che non appare.

In Liguria le streghe vengono dette "baggiune".

In alcune vallate della Valle D'Aosta e del Trentino,ma anche in molte zone del sud Italia la definizione è "sagae"(dal latino sagire-sapere).

E' forse questa la denominazione che io ritengo più aderente a connotare socialmente e culturalmente il fenomeno della stregoneria.Ho esaminato molte storie di streghe in Italia ,non di tutte le informazioni sono sufficienti:spesso si risale a qualcosa della loro vita dagli atti processuali della Santa Inquisizione,ma una cosa accumuna un numero impressionante di streghe arse sul rogo:erano donne che "sapevano"medichesse o guaritrici,in buona percentuale levatrici.

Donne che avevano accesso al sapere terapeutico delle erbe e che talvolta conoscevano l'arte di incidere o amputare.

E' inevitabile che in una cultura maschilista ed improntata al necessario controllo delle donne e alla loro emarginazione ,donne che sapevano e che quindi potevano esercitare una forma di potere erano pericolose.

Erano più che pericolose,erano fuori dagli schemi e da quelle regole che la Chiesa Romana aveva assunto come dogmi per incutere timore e dominare le coscienze in forma pressoché assoluta.

Parlo della situazione dell'Europa continentale e dei paesi a matrice cattolico-romana poiché in altra sede abbiamo esaminato quanto fu diverso ,nel nord Europa il ruolo della Wicca.

Uno dei casi più eclatanti e vergognosi di questa persecuzione è stato il caso di Benvegnuda.

Benvegnuda nasce a Nave,in provincia di Brescia,in Valcamonica,nella seconda metà del 1440.

L'esatto anno di nascita non è conosciuto.

Sin da bambina Benvegnuda è detta Pincinella perché assai minuta e piccola di statura.

Era però assai bellina e soprattutto sveglia ed intelligente.

Figlia di pastori comincia da subito ,appena riesce a tenere un bastone in mano,a portare le pecore ai pascoli.

Ma si annoia a stare tutto il giorno ad osservare le bestie che brucano.

Inizia a raccogliere erbe ,ad assaggiarle,a studiarle,e poi,una volta a casa e riportato il gregge,va dalla medichessa del paese a farsi insegnare l'uso di ciascun erba o di ciascun germoglio.

E impara,presto e bene.

Comincia a usare le sue conoscenze sulle erbe rispondendo alle richieste dei compaesani per piccoli e grossi malanni e la sua fama di brava medichessa si estende a tutta la vallata.

Non porterà più le pecore al pascolo,ma si dedicherà a tempo pieno al suo nuovo lavoro e ci si dedicherà con impegno,passione e dedizione.

Tanta fama,ma forse soprattutto tanta perizia medica non passano inosservate all'Inquisizione che in quel periodo è molto attiva in tutta la

zona del bresciano.

Pincinella viene arrestata,senza delazione,su ordine del grande Inquisitore in persona.

Al processo sfilano moltissimi testimoni convocati dagli inquirenti,nessuno,naturalmente si poteva nemmeno sognare di rifiutare la testimonianza,ma dagli atti rimasti ci si presenta una situazione nuova,per i tempi e significativa:la Pincinella non ha testimoni contro.

Tutti coloro che sono convocati parlano benissimo di lei,della sua umanità e gentilezza e della sua grande perizia.

Donna Pasquina è una delle testimoni più importanti e le sue parole accuratamente trascritte si possono leggere negli atti.

Pasquina parla e descrive di numerosi infermi curati e guariti da Pincinella.

Sua madre stessa aveva ricevuto le cure della medichessa e si era rimessa"da un dolor del corpo"in breve tempo.

Una compaesana aveva ricevuto sollievo dai disturbi "di età avanzata"(menopausa)bevendo ogni sera tisana di menta piperita e lavanda,dopo di che il suo corpo "non era più stato bruciato da fiamme".

Donna Pasquina dice anche qual'era il metodo con il quale la Pincinella era in grado di individuare il disturbo di cui soffriva l'infermo:

"metteva o stringa o laccio al braccio dell'infermo e guardando la stringa diceva della malattia".

Il processo dura poco e Pincinella non viene neppure sottoposta a tortura perché confessi.

Sono proprio le testimonianze di guarigioni e buone cure a fornire,paradossalmente,il motivo della condanna:Pincinella è una Sagae,

una strige delle più pericolose .

Il rogo viene preparato a Brescia,perché in molti possano assistere alla punizione che la Santa Inquisizione dà alle sagae.

Benvegnuda,detta la Pincinella,muore bruciata in Piazza della Loggia nel 1518


 

S.F


 

sabato 2 gennaio 2010


Vita di Santa Chiara


 

Assisi vanta di aver dato i natali ad un altro personaggio che insieme a San Francesco ha significato molto nella storia e nella vita della Città. 

Chiara nasce da una nobile famiglia nel 1194, da Favarone di Offreduccio di Bernardino e da Ortolana. 

La madre, recatasi a pregare alla vigilia del parto nella Cattedrale di San Rufino, sentì una voce che le predisse:"Oh, donna, non temere, perchè felicemente partorirai una chiara luce che illuminerà il mondo". 

La bambina fu chiamata Chiara e battezzata in quella stessa Chiesa.
Si può senza dubbio affermare che una parte predominante della educazione di questa fanciulla è dovuta proprio alla Cattedrale di San Rufino, la sua Chiesa, dove poco distante sorgeva la casa paterna.

L'ambiente familiare di Chiara era pervaso da una grande spiritualità.

La madre educò con ogni cura le sue figlie e fu tra quelle dame che ebbero la grande fortuna di raggiungere la Terra Santa al seguito dei crociati.

L'esperienza della completa rinuncia e delle predicazioni di San Francesco, la fama delle doti che aveva Chiara per i suoi concittadini, fecero sì che queste due grandi personalità s'intendessero perfettamente sul modo di fuggire dal mondo comune e donarsi completamente alla vita contemplativa.

La notte dopo la Domenica delle Palme (18 marzo 1212) accompagnata da Pacifica di Guelfuccio (prima suora dell'ordine), la giovane si recò di nascosto alla Porziuncola, dove era attesa da Francesco e dai suoi frati.

Qui il Santo la vestì del saio francescano, le tagliò i capelli consacrandola alla penitenza e la condusse presso le suore benedettine di S. Paolo a Bastia Umbra, dove il padre inutilmente tentò di persuaderla a far ritorno a casa.

Consigliata da Francesco si rifugiò allora nella Chiesina di San Damiano che divenne la Casa Madre di tutte le sue consorelle chiamate dapprima "Povere Dame recluse di San Damiano" e, dopo la morte della Santa, Clarisse.

Qui visse per quarantadue anni, quasi sempre malata, iniziando alla vita religiosa molte sue amiche e parenti compresa la madre Ortolana e le sorelle Agnese e Beatrice.

Nel 1215 Francesco la nominò badessa e formò una prima regola dell'Ordine che doveva espandersi per tutta Europa.

La grande personalità di Chiara non passò inosservata agli alti prelati, tanto che il Cardinale Ugolino (legato pontificio) formulò la prima regola per i successivi monasteri e più tardi le venne concesso il privilegio della povertà con il quale Chiara rinunciava ad ogni tipo di possedimento.

Nel 1243 durante un'incursione di milizie saracene nel Monastero di San Damiano, Chiara scacciò con un atto di coraggio la soldatesca.

La fermezza di carattere, la dolcezza del suo animo, il modo di governare la sua comunità con la massima carità e avvedutezza, le procurarono la stima dei Papi che vollero persino recarsi a visitarla.

La morte di San Francesco e le notizie che vari monasteri accettavano possessi e rendite amareggiarono e allarmarono la Santa che sempre più malata volle salvare fino all'ultimo la povertà per il suo convento componendo una Regola (simile a quella dei Frati Minori) approvata poi dal Cardinale Rainaldo (futuro papa Alessandro IV) nel 1252 e alla vigilia della sua morte da Innocenzo IV, recatosi a S. Damiano per portarle la benedizione e consegnarle la bolla papale che confermava la su a regola; il giorno dopo (11 agosto 1253) Chiara muore, officiata dal Papa che volle cantare per lei non l'ufficio dei morti, ma quello festivo delle vergini.

Il suo corpo venne sepolto a San Giorgio in attesa di innalzare la chiesa che porta il suo nome.

Nonostante l'intenzione di Innocenzo IV fosse quella di canonizzarla subito dopo la morte, si giunse alla bolla di canonizzazione nell'autunno del 1255, dopo averne seguito tutte le formalità, per mezzo di Alessandro IV.




casa natale di Chiara(foto)

venerdì 1 gennaio 2010


GUENDALINA MALATESTA

AZZURRINA.


 


 


 

A Torriana,località nella vicinanze di Rimini, si erge splendido,il castello di Montello.

Il castello di Montello è oggi di proprietà della famiglia Guidi ed è meta di moltissimi turisti italiani ,ma anche inglesi,tedeschi e provenienti da varie parti del mondo.

Il forte richiamo turistico del castello è dovuto solo in parte al suo pregio architettonico ed allo splendido paesaggio circostante.

Molta della fama di Montello è indubbiamente legata alla leggenda che parla della presenza di un fantasma tra le sue mura.

Ogni 5 anni al sostilizio d'estate,il 21 giugno,e solo se c'è in atto un temporale,tra le severe mura e lungo le oscure scale si sente il pianto ed i lamenti di una bambina:sono i lamenti disperati di Azzurrina,bambina di 5 anni ,che scomparve misteriosamente nei sotterranei e che nessuno mai più riuscì a trovare.

Io ritengo che il credere o meno ai fantasmi sia una scelta personale e faccia parte della libertà di credenza individuale,ma quello che invece tengo a precisare è che,fantasma o non fantasma,Azzurrina è realmente esistita ed è stato una vittima inconsapevole di un periodo di buie credenze e di superstizioni.

Guendalina Malatesta,questo era il vero nome di Azzurrina,nasce a Montello nel 1370.

E' la figlia di Ugoliniccio Malatesta ,signorotto del luogo,uomo senza grossi difetti,ma senza rimirabili virtù:la storia non ricorda di lui che il disgraziato episodio della figlia.

Guendalina è una bambina bellissima con grandi occhi verdi,ma ha un difetto,un difetto che oggi comporta alcune problematiche rispetto alla cura e protezione della pelle,ma che allora era un problema assai grave:Guendalina è albina.

I suoi capelli sono candidi come quelli di una vecchia e la carnagione è così lattea e quasi trasparente che gli occhi verdi sembrano brillare anche nella notte.

Siamo nella seconda metà del trecento ed in Italia e nel centro Europa in generale si sta strutturando la più grossa e delirante psicosi di gruppo della storia dell'umanità occidentale:la caccia alle streghe e la folle paura del demonio.

E il guaio è presto detto:gli albini sono considerati non solo figli del demonio,ma ,specialmente se di sesso femminile,streghe capaci di qualsiasi sortilegio.

Da subito i genitori percepiscono il grave pericolo che corre la piccola,ma che corrono anche loro:in quanto genitori potrebbero essere accusati di patti demoniaci o di aver concepito sotto la diretta giurisdizione di Belzebù in persona.

Ugoliccio risolve il problema a modo suo ed ignora la figlia,la evita,non vuole nemmeno vederla.

La madre,come molte madri,invece non si arrende e cerca disperatamente e con ogni strategia di ovviare l'evidenza del problema.

Per prima cosa isola Guendalina,la bambina non entrerà mai in contatto con altri che la madre e due fedeli governanti.

Poi comincia a tingere i capelli alla bambina.

Li tinge in continuazione,di tutte le gradazioni del biondo.

Ma siamo nel medioevo e le tinture chimiche permanenti sono ancora da venire,e ad ogni tintura ,segue rovinosamente una scoloritura dei lunghi capelli che iniziano,da bianchi che erano,a virare verso quell'azzurrino che è tipico delle tinture da cachè.

Da questo la piccola Guendalina comincerà ad essere chiamata appunto Azzurrina.

Passano gli anni in questa tormentata solitudine.

.Ogni ospite del castello,ogni viandante,è per la madre fonte di incontenibile ansia,e per il padre di cupa paura,talvolta rabbiosa paura.

Il rogo,morte scontata per le presunte streghe,sembra al conte Malatesta,sempre più vicino.

Non ci sarà processo,non ci saranno torture e non ci sarà rogo,ma il destino di Azzurrina sarà altrettanto atroce.

E'il 21 giugno del 1575,un terribile temporale scuote il castello.I lampi illuminano con bagliori improvvisi gli angoli bui dei saloni.

Azzurrina gioca,sola come sempre,con una palla,la rincorre,la lancia ,la riprende.La madre non c'è,la governante la osserva distrattamente.

La palla,ad un tratto cade per le ripide scale che portano alle segrete del castello ed Azzurrina le corre dietro come tante volte ha fatto.

Azzurrina però ,questa volta,non risalirà più le scale:sparisce nel nulla e nessuno la troverà più.

Guendalina la bambina strega dai capelli azzurri è come inghiottita dai sotterranei del castello durante un temporale estivo.

La leggenda comincia in quel momento e iniziano le apparizioni e i lamenti.

La storia andò molto probabilmente in maniera diversa:Ugolinaccio aveva capito,o gli avevano fatto capire,che non si poteva più chiudere un occhio o tutti e due,su quella sua figlia strega e che doveva porci rimedio prima che il rimedio ce lo ponesse la Santa Inquisizione.

E il conte ci mise rimedio a modo suo:fece assassinare la bambina e con alte probabilità ne murò il corpicino in qualche segreta dei sotterranei,poi ,soprattutto per giustificare la scomparsa agli occhi della moglie disperata,raccontò della misteriosa scomparsa che comunque si inseriva perfettamente nella presunta stregoneria dell'infelice bambina.

S.F