giovedì 12 agosto 2010



B i o g r a f i a di Mary Louise Brooks

  

Mary Louise Brooks nasce a Cherryvale, nel Kansas, il 14 Novembre 1906. Il padre, Leonard Porter Brooks, è un onesto avvocato di provincia; la madre, Myra Rude, donna colta, amante della musica classica e delle buone letture, avrà una grande influenza sul carattere di Louise spingendola, peraltro, sin da giovanissima, alla danza.

  

 

  


 

Infatti, a soli quindici anni, Louise abbandona il liceo per recarsi a New York dove entra a far parte della compagnia Denishawn. Da qui allontanata a causa del suo atteggiamento insofferente e anticonformista, lavora dapprima per i George White Scandals, quindi, dopo una breve parentesi al Café de Paris a Londra, viene ingaggiata nelle riviste Ziegfeld Follies.
          Spirito erratico e mutevole, Louise riesce a distinguersi nella vita mondana per la franchezza disarmante delle battute, inusuale in una giovanissima provinciale, che, in un ambiente di ipocrisie e verità sottaciute, viene presa per snobismo o insolenza:

"feci il mio ingresso nel mondo con una radicale abitudine alla verità che ha automaticamente eliminato dalla mia vita quella piatta monotonia che devono provare i bugiardi (...) e così sono rimasta, in una crudele ricerca di verità e perfezione, come il carnefice inumano di ogni ipocrisia , evitata da tutti, tranne da quei pochi che hanno vinto la propria avversione alla verità per poter liberare quanto di buono c'è in loro"

          Tuttavia il carattere irriducibile e disinibito fa della Brooks il prototipo perfetto della ragazza flapper, caratteristica che riuscirà a trasferire nelle prime commedie della propria carriera cinematografica. La flapper girl, ispirata da una novella di Francis Scott Fitzgerald, This side of Paradise, si distingue per la gioventù, l'indipendenza, la capricciosa volubilità e fiducia nel futuro nonché per l'assenza delle tradizionali virtù femminili (quali la fedeltà) e, nel tipo fisico, per una figura snella e quasi da ragazzo sottolineata dal corto taglio di capelli acconciati a caschetto.
          Dopo l'esordio cinematografico nel 1925 in The street of forgotten men, grazie anche all'amicizia col produttore Walter Wanger, Louise gira A social celebrity con Adolphe Menjou, quindi It's the old Army game con W. C. Fields sino a Love 'em and leave 'em, il miglior film del periodo di New York.

  

 

  

          Louise fissa definitivamente il tipo della maschietta anni '20 : il caschetto di capelli neri e lisci, gli occhi vivissimi e una vitalità irrefrenabile; nel film, dove interpreta la pestifera sorella minore della virtuosa Evelyn Brent, semina a ripetizione seduzioni, fatali intrighi, falsi pentimenti e malversazioni con deliziosa amoralità (restando oltretutto impunita): il versante leggero dell'età del jazz si ritrova anche qui.
          Nel luglio del 1926 Louise sposa Eddie Sutherland, il regista di It's the old Army game, che, come quasi tutti, si era innamorato a prima vista, accettando, come suo solito, con svagata avventatezza:

"[lo sposai] perché era un uomo attraente che mi aveva ricoperta d'oro. Apparteneva anima e corpo a Hollywood, e io, là, mi sentivo un'estranea: lui amava le feste, io la solitudine"

          La Brooks non credette mai nel matrimonio (nell'ottobre del 1927 aveva intrecciato una relazione con l'uomo d'affari e cinefilo George Marshall) e nell'aprile del 1928 divorzierà, abbastanza tumultuosamente: appare comunque già qui la sua insofferenza per l'impersonale macchina hollywoodiana rispetto ai giorni felici di New York.
          Un'insofferenza che si tramuterà poi in ripulsa esistenziale come testimonierà decenni più tardi in una memorabile lettera a Guido Crepax (il personaggio di Valentina è, infatti direttamente ispirato da Louise ).
          Il 1928, comunque, fu un anno di svolta per la carriera cinematografica della Brooks: infatti gira Beggars of life  di William Wellman e A girl in every port (Capitan Barbablù) di Howard Hawks.
          Il primo film rappresenta la migliore prova drammatica dell'attrice in terra americana: Louise interpreta il ruolo di una ragazza che, ucciso il patrigno che voleva abusare di lei, sarà costretta a fuggire, vestita da uomo, assieme ad un altro vagabondo da poco conosciuto. L'avvio, quasi chapliniano per certi toni melanconici e randagi, é pervaso dall'insinuante erotismo dettato dal contrasto tra la morbida e minuziosa bellezza di Louise e il suo dimesso abbigliamento maschile.


 

  

 

  

          La seconda parte risente della pervasiva gigioneria di Wallace Beery e, tuttavia, la scena in cui i vagabondi improvvisano una Corte di Giustizia sul treno (tre anni prima di M) e il tono generale del film che anticipa certi temi della Depressione lo impongono come pellicola da scoprire e, negli USA, da riscoprire (c'è da dire che Louise elogiò con enfasi Beery sino a definire la sua caratterizzazione "un piccolo capolavoro").
          In A girl in every port, il maggior successo muto di Howard Hawks, torna a vestire i panni della seduttrice seminando discordia tra i due marinai Victor MacLaglen e Robert Armstrong.
          Lo spettatore più interessato all'interpretazione di Louise sarà però il regista austriaco G. W. Pabst che, con intuizione felicissima, la vorrà per il ruolo di Lulu in Die Büchse der Pandora
(Lulu o il vaso di Pandora), trasposizione cinematografica dei due drammi di Frank Wedekind  Il vaso di Pandora e Lo spirito della terra.
          Louise, che aveva spodestato dal ruolo una certa Marlene Dietrich, sarà la protagonista assoluta del film e regalerà un'interpretazione leggendaria che può anche essere letta come una sintesi della sua vita e delle sue pulsioni più segrete.
          Lulu rappresenta davvero lo spirito della terra, un erotismo immediato, elementale, fuori dalla società e dalla storia; in Lulu tutti si perdono poiché il suo istinto non conosce mascheramenti o valori, e gli uomini che si imbattono in lei, che in essi e per essi vivono, riconosceranno in Lulu la falsità della vita normale e la propria perdizione.
          Non a caso l'unico personaggio a lei pari sarà il suo assassino Jack lo Squartatore, anche lui un outcast, un reietto: durante il loro incontro fatale Lulu si donerà assolutamente, sino alla morte (tanto che nel prostituirsi a lui non aveva chiesto denaro), mentre Jack non potrà che prenderla nel modo più estremo.


 

  

 

  

          Nel film, che procede per quadri descrittivi, per slanci improvvisi, le istituzioni vengono necessariamente svelate nella loro menzogna, dall'arte (il teatro, la rivista) al matrimonio, dal mondo degli affari (rappresentato da Schön) alla Giustizia (nella scena del processo), dalla putrescenza dell'aristocrazia alla ipocrita filantropia dell'Esercito della Salvezza sino al pervertimento del sesso.
          Se storicamente il film decifra il disagio della Germania pre - hitleriana, esso può venir letto come uno scontro tra una civiltà che mente a sè stessa per sopravvivere e la vera ed aspra natura umana.


 

  

 

  

          Nel successivo capolavoro di Pabst il personaggio di Louise Brooks si raffina ed il tono appare più controllato rispetto all'incandescenza di Die Büchse der Pandora.  Infatti in Das Tagebuch einer Verlorenen (Diario di una donna perduta) la protagonista Thymian è, al principio, nettamente inserita nella società borghese: solo dopo esserne stata espulsa in nome di una rispettabilità esteriore (viene infatti sedotta e messa incinta) saprà riconoscerne la sostanziale falsità. Non solo, ma ciò che la società addita come male (in questo caso il bordello) appare invece come fondamentalmente sincero e riposante rispetto all'inferno delle istituzioni classiche (la famiglia, la Casa di correzione, le dame di carità...). Appare: il breve attimo in cui Thymian riconosce una piega avida nella bocca della tenutaria del bordello (e Thymian passa dal sorriso alla tristezza), danno il senso del film: non c'è differenza tra bene e male: tutto è involto nella meschinità del male, senza salvezza. Il finale, con la redenzione, conferma paradossalmente le scene che lo precedono.
          Thymian, insomma, è una Lulu consapevole.
          Da notare che il film, che ebbe numerosi problemi di censura, è ancora più radicale nella versione originale dove Thymian, con simmetrico rigore, diviene la tenutaria del bordello ponendosi così in perfetta, bensì apparente, contrapposizione al perbenismo dominante.


 

  

 

  

          Hollywood non attira Louise, così, nel 1930, ella gira, a Parigi, Prix de beauté (Miss Europa), per la regia del nostro Augusto Genina (su sceneggiatura di Pabst e René Clair).
          Il film parla di una modesta impiegata che, vinto un concorso di bellezza ed entrata nel mondo dello spettacolo, grazie anche alle lusinghe di un principe, verrà poi uccisa dal marito, incapace di rassegnarsi a perderla.
          La sola presenza della Brooks basta a giustificare la pellicola: è il suo semplice esserci a sprigionare una sensualità diffusa e impalpabile fra le eleganti ambientazioni costruite da Genina; e l'indimenticabile sequenza finale illumina retrospettivamente il film accendendolo di toni melodrammatici e simbolici: Lucienne - Louise verrà infatti uccisa mentre assiste ad un filmato dove lei stessa recita. Quando Lucienne giacerà morta la sua immagine sullo schermo continuerà a sorridere ed a cantare .
          Il contrasto simbolico tra caducità e grettezza del reale e inalterabilità dell'arte diverrà, in seguito, anche l'involontaria epitome della vita di Louise Brooks la cui icona rifiuta il tempo e sta indifferente di fronte a qualsiasi giudizio di valore.


 

  

 

  

          Genina forse non si rese conto di aver girato il miglior film della sua carriera e, nonostante fosse colpito da Louise, distillò giudizi duri sull'attrice:

"Molto bella, straordinariamente fotogenica, sarebbe stata un'ottima attrice se non avesse avuto il vizio di bere. Non faceva che inghiottire cognac e champagne. La sua ubriachezza cominciava alle quattro del mattino [...] Dormiva sempre [...] si svegliava solo per girare la scena; dopodiché tornava a bere e si rimetteva a dormire. Era l'amante di un barman. Il giorno in cui dovevamo fare l'ultima scena, sparì di scena. Fu necessario affidarsi alla polizia, che la trovò in un castello, naturalmente ubriaca"

          Interessante ricordare ora la succitata lettera a Guido Crepax:

"[...] c'è stato un momento a Parigi nel 1929, quando giravo Prix de beauté e vivevo in pace con me stessa: credo che fosse perché non parlavo il francese. Il fatto di essere perduta era perfettamente naturale tra quelle persone con cui non potevo esprimere né pensieri nè sentimenti [...]
Ricorda che quando tornò il figliol prodigo il padre disse :
'era perduto ed è ritrovato'. Fu il padre a trovare il figlio perduto: In certo modo mi è mancato questo esser ritrovata."

          Louise Brooks si considerava irrimediabilmente perduta e anelava, senza saperlo, alla propria autodistruzione: i seguenti anni congiureranno velocemente a questo.
          Nel 1930 rifiuterà di doppiare un suo precedente film muto,
The Canary murder case (La canarina assassinata), tratto da un romanzo giallo di S. S. Van Dine, e si attirerà la vendetta degli studios hollywoodiani.
          La sua parte verrà doppiata (male) da Margaret Livingston e contribuirà a creare la fama che il declino della Brooks fosse dovuto alla sua pessima voce incompatibile con l'avvento del sonoro.

Il film rimane comunque memorabile a causa di Louise e del suo costume da canarina ideato dal figurinista Travis Banton.


 

  

 

  

          Da notare che, finita la spensieratezza degli anni '20, il pubblico della Depressione sembra orientarsi su attrici più clamorosamenti fatali. Come ammetterà la stessa Louise in un articolo su Marlene Dietrich:

"Le attrici brune, di piccola taglia si eclissarono o si fecero bionde e si ridisegnarono le loro sopracciglie con archi stretti e con false ciglia. Davanti alla macchina da presa lanciavano in primi piani sguardi misteriosi, gettando la testa indietro ad ogni momento e afflosciandosi su letti o divani, prive di difesa"

          Sarà proprio da un tipo d'attrice come quello appena descritto che Louise si vedrà soffiare il posto come protagonista di The public enemy (Nemico pubblico) con James Cagney. Il regista William Wellman si era ricordato di lei, ma la Brooks decise che era meglio correre tra le braccia di George Marshall (o fu forse lui a consigliarla in tal senso) che girare un film che si rivelerà storico.
          La parte fu presa da una certa Jean Harlow.
          Louise girerà alcuni film anonimi (nel 1935 non si concretizzerà un film con Pabst e la Garbo), si risposerà e divorzierà nel giro di alcuni mesi, e poi scomparirà per tornare, nel 1936, con due western, Empty saddles e soprattutto Overland stage raiders
con un giovane John Wayne.
          In Overland si condensa, come spesso nella vita dell'attrice, la parabola hollywoodiana di Louise Brooks: la solida mediocrità di John Wayne, l'americano par excellence, amato, ricordato e onusto di gloria e prebende o l'eversiva di talento, autodistruttiva e irregolare.
          I produttori (e quindi il pubblico) scelsero il primo, il tempo sceglierà per chi sa.
          Overland
sarà l'ultimo film della Brooks: a soli trentadue anni la divina Louise è un'attrice finita e una donna profondamente sola.
          Nel 1940 apre una scuola di danza a Wichita che terrà sino al 1943 quando si trasferirà New York:

"[...] mi resi conto che l'unica carriera ben retribuita che mi si offriva era quella della squillo. Cancellai il mio passato, mi rifiutai di vedere i pochi amici che mi legavano ancora al mondo del cinema, e cominciai ad affezionarmi a delle bottigliette piene di piccoli sonniferi gialli"

          Louise cerca ancora l'oblio, la dimenticanza, ma sarà la grigia quotidianità a scovarla. E' costretta a lavorare alla radio in alcune soap operas, per la pubblicità e ai grandi magazzini Saks, presso il negozio della Fifth Avenue (lei, che era inetta al lavoro manuale).
          Lasciato l'impiego nel 1948 si accontenterà di essere mantenuta da alcuni ricchi "amici" sino al 1955 quando un doppio avvenimento segnerà il resto della sua vita. Infatti, a Parigi, il direttore della Cineteca Nazionale, Henri Langlois, in occasione della mostra 60 ans de cinema, non solo riproporrà i suoi film dimenticati, ma userà il suo volto come simbolo della mostra stessa (assieme a quello di Renée Falconetti). Interrogato in merito all'esclusione di attrici come Marlene Dietrich e Greta Garbo, il vulcanico Langlois, fine conoscitore del periodo muto, risponderà:"Ma quale Dietrich, ma quale Garbo, c'é solo Louise Brooks!".
          Henri Langlois (che aveva chiamato a collaborare alla Cineteca un'altra divina dimenticata, Jeanne Roques, alias Musidora) sarà quindi all'origine della rivalutazione artistica dell'attrice.
          Ma un altro incontro si rivelerà decisivo (e fatale), quello con James Card, il fondatore, nel 1947, della cineteca della George Eastman House e, come Langlois, profondissimo conoscitore e ricercatore del periodo muto.


 

  

 

  

          Card, una figura misteriosamente affascinante e passionale, con cui Louise intreccerà una relazione tempestosa, non solo le aprì le porte degli archivi  (dove vide per la prima volta le sue pellicole), ma, colpito dalla qualità della sua prosa, la incoraggiò a scrivere.
          Louise, che aveva già distrutto una propria autobiografia, Naked on my goat, comincerà a comporre articoli su Bogart, Lillian Gish, Chaplin, Buster Keaton, pubblicati su riviste come Positif e Sight and sound, con uno stile difficilmente definibile e di alto livello letterario.
          Viene alla mente un' espressione foscoliana :"calore di fiamma lontana"; in scritti come Marion Davies' niece ( La nipote di Marion Davies), ad esempio, dedicato alla morte dell'amica Pepi Lederer, si ritrovano infatti inseparabilmente frammisti autobiografismo e pettegolezzo fintamente svagato, l'ironico distacco (a volte feroce verso se stessa) e la nostalgia per un tempo e una giovinezza
ormai perduti per sempre.
          Non a caso Louise nutrirà sempre un amore inestinguibile per la Recherche di Marcel Proust: sapeva quindi del conforto e del dolore della memoria.
         Nel 1956 Louise si era definitivamente trasferita a Rochester (New York) dove rimarrà sino alla morte conducendo una vita riservatissima (come rarissima eccezione un viaggio a Parigi nel 1958 dove stringerà amicizia con Lotte Eisner).
         Nel 1979 Kenneth Tynan le dedicò un lungo articolo
sul New Yorker che la fece riscoprire presso il grande pubblico; nel 1982 fu pubblicato con successo Lulu in Hollywood, una raccolta di alcuni suoi articoli; si rifiutò sempre di pubblicare una sua autobiografia come spiegò coerentemente nel bellissimo articolo Why I'll never write my memoirs (Perché non scriverò mai le mie memorie). Come confesserà a Lotte Eisner:

"scrivere la verità per lettori nutriti dalle sciocchezze della pubblicità è un esercizio senza senso"

          Gravemente malata per un enfisema, non acconsentì a lenire i dolori con i farmaci rimanendo lucida sino alla fine. Muore l'8 Agosto 1985.


 

  

 

  

 

mercoledì 11 agosto 2010

Il folletto di "Sogno di una notte di mezz'estate"


Puck (mitologia)
Puck rappresentato come essere fatato

Puck è un spirito ingannatore della tradizione Inglese pagana, è conosciuto anche come Robin Goodfellow e come Hobgoblin. Il termine Puck deriva dall'Inglese antico
Púca che indicava, appunto uno spirito dei boschi, dall'aspetto mutevole ed ingannatore, che attirava le persone di notte nella foresta con luci e suoni incantatori (similmente alle celtiche
Dame Bianche) o rubava il latte dai mastelli nelle fattorie. Il Puck si può anche trasformare in cavallo e portare gli incauti nel profondo delle foreste oppure farli cadere in acqua.

Nomi simili in altre lingue

In genere il nome porta al significato di "diavolo", "demone", o "spirito maligno".

A Puck viene anche associato Hobgoblin, uno spirito dei boschi che scherza con i viandanti (li aiuta o fa loro sbagliare strada).

Nel corso del Medioevo, Puck viene accostato alla figura di Robin Goodfellow. Robin Goodfellow era un diavoletto che, fra l'altro, aiutava le massaie nel lavori domestici. Spazzava le case e puliva gli angoli in cambio di panna e latte e smetteva subito se gli venivano offerti dei vestiti nuovi.

Queste figure a loro volta tendono a unificarsi in una sola. D'altra parte Hob è una contrazione di Robin e "robin" era un nomignolo medievale per diavolo o diavoletto. Diventa chiaro, a questo punto, il percorso compiuto dal nome di "Robin Hood", probabilmente visto, dapprima, come una fata o un elfo della tradizione pagana.

Puck nella cultura

Una delle più note rappresentazioni letterarie di Puck è il personaggio omonimo di Sogno di una notte di mezza estate di William Shakespeare. Un Puck folletto dispettoso è anche protagonista di due opere di Rudyard Kipling, Puck il folletto e Il ritorno di Puck; Kipling lo presenta come un piccolo fauno dagli occhi cerulei. A Puck è dedicato anche il nome di uno dei satelliti di Urano, ed è un personaggio della serie TV animata della Disney Gargoyle. Il "pooka" Harvey è anche il protagonista invisibile dell'ononimo film diretto da Henry Koster con James Stewart su soggetto tratto dalla pièce omonima di Mary Chase, vincitrice del premio Premio Pulitzer nel 1945.





 

lunedì 9 agosto 2010


San Lorenzo, la notte delle stelle cadenti


Certamente oggi la fama di San Lorenzo di Roma, la cui festa liturgica cade il 10 agosto, è legata al fenomeno conosciuto come "la notte delle stelle cadenti" intorno al quale sono sorte numerose credenze popolari che attirano anche i giovani di oggi. Praticamente non si tratta di stelle, ma di polveri spaziali, esito di frammenti di roccia o di ghiaccio rimasti sospesi nello spazio dopo l'ultimo passaggio della cometa Swift Tutle, che ha incrociato la Terra nel 1862, che si incendiano e che cadono sulla Terra senza arrecare alcun danno alle cose e alle persone. Anche dai giovani la notte di San Lorenzo è attesa come momento di evasione aspettando lungo la spiaggia, di notte, condizioni del tempo permettendo, la visione di un frammento di stella cadente al quale confidare il segreto del proprio cuore con la speranza che, come vuole la tradizione, il desiderio si possa concretizzare. Attenti, però, ci sono espliciti divieti per l'accensione dei falò sulla spiaggia. Dunque, la notte del 10 agosto, niente spavento se qualcuno, alzando gli occhi al cielo, vedrà una stella filante che si accende improvvisamente, sfrecciando nel cielo, cambiando, forse, anche colore e spargendo scintille, come è dato vedere in queste sere d'agosto nei nostri paesi a conclusione delle feste patronali quando il cielo si accende con i meravigliosi bagliori dei fuochi d'artificio. Si tratta, indubbiamente, di uno degli appuntamenti più spettacolari e romantici del cielo stellato e per il quale madre natura non ha previsto alcun biglietto da pagare per assistervi. Le meteore visibili nelle notti del 10 agosto, ma anche dieci giorni prima, e in quelle seguenti, anche fino al 20, sono state definite in diversi modi; c'è chi le chiama "stelle cadenti dei desideri, chi "lacrime di San Lorenzo". Per gli astronomi sono, invece, rigorosamente le Perseidi, cioè le meteore che sembrano provenire dalla costellazione di Perseo. Anche quest'anno le Perseidi si potranno vedere con la massima frequenza di apparizioni nelle due notti tra l'11 e il 12 e tra il 12 e il 13 e, in forma più ridotta, fino alla fine d'agosto. Grazie al fenomeno vedremo viaggiare ciascuno dei frammenti celesti ad una velocità di 60 chilometri al secondo. L'orario più opportuno per osservare il fenomeno è tra le 21.30 e le 00.30, ma il momento più bello sarà all'una di notte. Le meteore d'agosto non sono le stelle che cadono e neppure le lacrime di San Lorenzo che, come immaginava il poeta Giovanni Pascoli, piange per le malvagità del mondo. Si tratta, invece, di piccoli detriti che possono variare dalla dimensione di un granello di sabbia a quella di un sassolino e che una cometa, scoperta nell'800, si lascia dietro lungo la sua orbita attorno al Sole. Sciami di meteoriti sono visibili sulla Terra dal 9 al 14 agosto, dal 13 al 15 novembre, dal 23 al 28 novembre dal 12 al 14 dicembre. Il fenomeno delle stelle cadenti è registrato nelle più antiche cronache ed è associato alle più strane leggende. Abbiamo già detto che la tradizione popolare, a chi vedendo il fenomeno esprime in quel momento un desiderio, promette che questo si avveri. Ma nell'antichità le apparizioni di meteore e di altri fenomeni legati agli astri erano considerate segni infausti. Così, per gli antichi orientali, per i greci e i romani le stelle cadenti erano lacrime di divinità che piangevano a causa dei disastri già avvenuti o annunciati. Secondo i cinesi dovevano preoccuparsi i governanti del fenomeno delle stelle cadenti. Anche la tradizione cristiana ha ereditato il concetto della pioggia di stelle cadenti come pianto celeste. Secondo la leggenda il diacono San Lorenzo fu bruciato vivo su una graticola di ferro dai romani il 10 agosto del 258 dopo Cristo. Da allora, ogni anno, le sue lacrime infuocate continuano a diffondersi nel cielo come scintille. Il Pascoli nella poesia "X Agosto" ha consolidato questa credenza popolare associandola all'uccisione del padre Ruggero, avvenuta il 10 agosto 1867. La tradizione popolare cristiana, però, ha voluto anche introdurre un elemento positivo. Così, oggi, quanti ammirano quelle scintille e ricordano il sacrificio di San Lorenzo, possono chiedere una grazia ed esprimere un desiderio. Insomma, la pioggia delle stelle cadenti diventa occasione di festa e di speranza. San Lorenzo è il patrono principale di Grosseto. Il suo culto si è diffuso anche in Germania e in Spagna era considerato un santo nazionale. Filippo II, nel costruire il grande Escorial, volle riprodurre nel palazzo la pianta della graticola sulla quale si sacrificò San Lorenzo. Anche la Certosa campana di Padula ripete nella pianta la leggendaria graticola di San Lorenzo. San Lorenzo viene invocato contro gli incendi e si crede che il giorno della sua festa sia il più caldo dell'anno. Ce lo potranno confermare, come ci hanno insegnato gli esperti uomini antichi della campagna, i bravi grilli che non faranno mancare il loro "cri-cri"; e sarà possibile sapere, appunto, sulla base del numero dei loro "cri-cri" che ascolteremo per un minuto nella magica notte di San Lorenzo, moltiplicato per un numero fisso, se veramente avremo raggiunto l'apice del caldo dell'anno. Comunque, staremo a vedere! Inoltre gli studiosi del settore hanno previsto che l'anno in cui la pioggia di stelle cadenti sarà molto copiosa sarà il 2126. Chi vivrà, vedrà.

domenica 8 agosto 2010

Per una notte di mezz’estate,il sogno più famoso


ATTO QUARTO
>Entrano TITANIA e BOTTOM colle Fate del seguito.

OBERON sta di dietro non veduto.


 

TITANIA. Vieni, assiditi sopra questo letto di fiori, mentre io accarezzerò le tue amabili gote, coronerò di rose la profumata tua testa, e bacerò le tue belle e lunghe orecchie, mio gentile amore.

BOTTOM. Dov'è Fior- di- piselli?

PRIMA FATA. Son presta.

BOTTOM. Grattami il capo, Fior- di- Piselli. - Dov'è monna Tela- di- ragno?

SECONDA FATA. Eccomi.

BOTTOM. Madonna Tela- di- ragno, buona madonna, prendete le vostre armi e uccidete quella grossa a e' che sta sulla cima di quel cardo, recandomi la borsa del di lei miele. Non vi affrettate di troppo in ciò, madonna; e abbiate cura che la borra del miele non si dirompa non ml piacerebbe di vedervi tutta inondata di dolcezza, signora. - Dov'è Seme- di- mostarda?

TERZA FATA. Son qui.

BOTTOM. Datemi la vostra mano, signora. A parte le cerimonie, ve ne prego, buona signora.

TERZA FATA. Che cosa volete?

BOTTOM. Nulla, fuorchè aiutiate Tela- di- ragno a grattarmi. Ma converrà ch'io vada dal barbiere, poichè sembrami avere molto pelo sopra la faccia: e sono giumento così tenero, che se un soffio d'aria mi scompone i peli, forza è mi graffi.

TITANIA. Vuoi tu udire un po' di musica, mio dolce amore?

BOTTOM. Ho molto orecchio in musica, fate venire le campanelle.

TITANIA. O desidereresti invece di mangiare?

BOTTOM. Volentieri: mangerei con piacere un po' di fieno secco. Desidererei anche una manciata d'avena: la fava, l'avena ed il fieno sono incomparabili vivande.

TITANIA. Ho una Fata ardita che andrà a scorrazzare nei magazzini dello scoiattolo, e vi recherà noci fresche.

BOTTOM. Preferirei un centinaio o due di piselli. Ma vi prego, niuna mi fastidisca; ho una esposizione di sonno che mi vien sopra.

TITANIA. Dormi, ed io ti cullerò fra le mie braccia. Fate, partite e accudite ognuna alle vostre opere. Così il caprifoglio s'intreccia, così l'edera fedele cinge colle sue a nella il tronco dell'olmo. Oh com'io t'amo! Quanto ti vagheggio! (Si addormenta)


 


 

OBERON si avanza. Entra PUCK.


 

OBERON. Ben venuto, buon Robin. Vedi qual vago spettacolo? Comincia ad aver pietà del suo insensato amore. Poco fa, avendola incontrata nel bosco, ove andava in cerca dl fiori per quel deforme mostro, gliene ho fatto onta e l'ho garrita amaramente. Ella aveva cinto le tempie pelose dl quell'animale d'una corona di gigli; e la rugiada che cade sul fiori a gocce simili alle perle d'Oriente splendeva sovr'essi come se fossero state lagrime versate sulla loro ignominia. Allorchè io l'ebbi sgridata alquanto e ch'ella ebbe implorato il mio perdono con parole dolci e sottomesse, le chiesi quel fanciullo, ed ella me lo concesse tosto mandando le sue Fate perchè il portassero nel mio magico regno. Ora, che posseggo quel fanciullo, vuo' emendare quell'odioso errore de' suoi occhi. Perciò, amabile Puck, togli quel cranio dalla testa di quell'artefice ateniese, affinchè svegliandosi insieme cogli altri, ei possa riedere ad Atene e non pensar più ai casi di questa notte, che come al tormenti che dà un fiero sonno. Ma prima io vuo' svanire il prestigio alla regina delle Fate (toccandole gli occhi con un'erba), ond'ella ritorni quale sempre fu, e vegga come veder soleva. Il bottone di Diana sul fior di Cupido oprar può tanto, e solo è dotato di tal potere celeste. Ora, mia Titania, svegliati, svegliati, mia dolce regina.

TITANIA. Mio Oberon! Quali visioni ho io avute! Sembrami ch'io fossi innamorata di un ciuco.

-    OBERON. Quello era il vostro amante.

TITANIA. Come avvennero tali cose? Oh, quanto il mio occhio aborre quel volto!

OBERON. Silenzio per un istante. - Robin, togli via quella testa.

- Titania, fate che si oda la musica, e opprimete i sensi di queste cinque persone di un sonno ordinario dei mortali. -

TITANIA. Musica, olà! Musica che concilii il sonno.

PUCK. Allorchè tu ti sveglierai, vedrai cogli occhi dl uno stolto, cogli occhi tuoi. (A Bottom)

OBERON. Cominci la musica (Musica grave). Vieni, mia regina, unisci la tua mano alla mia, e facciamo oscillare la terra ove stanno adagiati questi dormienti. Ora siamo amici, e dimani a mezzanotte compiremo danze solenni e trionfali nel palazzo del duca Teseo, e la sua Illustre casa benedetta da noi si riempirà di una fortunata e bella figliuolanza. Là in pari tempo si uniranno tutte queste còppie dl fidi amatori, e la festa diverrà generale.

PUCK. Re delle Fate, porgi l'orecchio in silenzio; odo la lodola mattutina.

OBERON. Su, mia regina, con grave silenzio seguitiamo danzando le ombre della notte. Noi possiam fare il giro del globo con passo più rapido dell'errante luna.

TITAN lA. Vieni, mio sposo; e lungo la via narrami come accadde che questa notte trovata mi abbi qui dormiente sulla nuda terra con questi mortali. (Escono. Suoni dl cortil lontano)


 

Entrano TESEO, IPOLITA, EGEO e seguito.


 

TESEO. Ite qualcuno In traccia del custode dì queste foreste, perchè la nostra cerimonia è finita, e finchè il crepuscolo dura, l'amata mia ascolterà Il concerto de' miei mastini. - Scioglieteli nella valle; ite, affrettatevi, dico, e trovate la guardia. Noi saliremo la montagna accompagnati dai latrati dei veltri e dagli echi che li ripetono.

IPOLITA. Me ne stetti un tempo con Ercole e Cadmo allorchè cacciavano l'orso in una foresta di Creta con ceni dl Sparta: non mai intesi suoni tali. Oltre gli echi dei boschi, quelli dell'aria, delle fontane, di tutti I luoghi della convalle. parevano confondersi e non facevano che un suono solo. Non mai sentii tanta dissonanza musicale armonizzarsi in voce più aggradevole all'orecchio.

TESEO. I miei cani sono di razza lacedemona. di larga gola e lievemente screziati. Le loro teste portano lunghe orecchie che spazzano la rugiada del mattino: le loro gambe san curve come quelle dei tori di Tessaglia: lenti a inseguire, ma melodiosi nelle voci come squille persiane. Non mai ululi più canori furono tramandati da carni in Creta, In Sparta. o in Tessaglia. Giudicatene allorchè udirete. - Ma fermiamoci; che ninfe san quelle?

EGEO. Mio principe, quest'è mia figlia qui addormentata: vi A anche Lisandro, Demetrio ed Elena, la figlia del vecchio Nedar. Stupisco trovandoli tutti uniti in questo luogo.

TESEO. Certo si saranno alzati coll'alba per venire a celebrare il maggio; e Istruiti del nostro intento ci avran qui preceduti per onorarci. - Ma parla, Egeo: non A questo il giorno in cui Ermia doveva dare una risposta per la sua scelta?

EGEO. Si. mio signore.

TESEO. Ite, ordinate ai cacciatori di svegliarli coi loro carni. (Squilli di corno al di dentro. Demetrio; Lisandro, Ermia ed Elena si svegliano trasalendo) Buon giorno, amici. San Valentino è passato. - Questi uccelli di bosco cominciano forse ad accoppiarsi soltanto oggi?

LISANDRO. Perdono, signore. (Insieme cogli altri s'inginocchia dinanzi a Teseo)

TESEO. VI prego. alzatevi: so che siete rivali. Come avvenne questa pacifica radunanza fra di voi? Come mal il vostro odio è divenuto così poco geloso che vi trovo caricati l'uno accanto all'altro, senza tema d'alcuna ostilità?

LISANDRO. Mio principe, vi risponderò come rnel permette la meraviglia da cui sano compreso, e i miei sensi ancora a metà assopiti. Impossibile mi è Il dire com'io sia venuto in questi luoghi. Sospetto, e vorrei esporre il vero, di esser venuto qui con Ermia; nostro disegno essendo di uscire di Atene, e di ire in traccia di un luogo in cui fossimo lungi dalle pene della legge ateniese.

EGEO. Basta, basta, mio buon principe; assai udiste, ed io invoco 1a legge sopra Il suo capo. -. Essi volevano fuggire e con tal fuga ingannare voi, Demetrio e me. A voi volevano togliere la sposa, a tue la figlia.

DEMETRIO. Nobile duca, A la bella Elena che mi ha Istruito della loro fuga in questo bosco, e del disegno che ve li guidava, talché io nel mio furore ho seguite le loro orme ed Elena trascinatavi dalla sua passione, ha calcate le mie. Ma. mio buon principe, io non so per qual potenza sconosciuta (certo qualche potere superiore a noi) il mio amore per Ermia si è disciolto come la neve, ed io noi sento ora che come una dl quelle vane rimembranze della fanciullezza; é l'unico oggetto di tutte le affezioni del mio cuore e del piacere de' miei occhi A Elena. A lei ero fidanzato, mio principe, prima di veder Ermia; come un infermo lo ebbi a schifo poscia la sua bellezza; ma ora tornato in salute riprendo i miei antichi sensi: ella è ora l'oggetto di tutti i miei voti, di tutto il mio amore, di tutti i sospiri miei; lei sola desidero. e a lei sempre sarò fedele per l'avvenire.

TESEO. Cortesi amanti, l'incontro è fortunato. Udremo in altro momento i particolari di quest'avventura. Egeo. sorpasserò i vostri desideri: fra poco nel medesimo tempio con noi queste due coppie al uniranno. e abbandoneremo intanto il nostro divisamento della caccia. avvegnachè il mattino è già un po' troppo inoltrato. - Andiamo, ritorniam tutti ad Atene, dove celebreremo una festa solenne. - Vieni. Ipolita. (Escono Teseo, Ipolita. Egeo e seguito) -

DEMETRIO. Tutte queste vicende sembrano indiscernibili come montagne lontane e confuse colle nubi.

ERMIA. Parmi di vedere tutti questi fatti con occhi doppi.

ELENA. Ed a me pure sembra così: perocché io ho trovato Demetrio come un gioiello che sì e no mi appartiene.

DEMETRIO. A me pare che sogniamo ancora. - Siete certi che il duca forse qui poco fa, e ci comandasse di seguirlo?

ERMIA. SI, è v'era anche mio padre.

ELENA. Ed anche Ipolita.

LISANDRO. Ed ei ne comandò di accompagnarlo al tempio.

DEMETRIO. Dunque è vero che siam desti: seguiamo!!: e lungo la via narriamoci i nostri sogni. (Escono; mentre van fuori Bottom si sveglia)

BOTTOM. Allorchè il mio momento verrà, chiamatemi e risponderò: Io entro dopo 1. parole: vaghissimo Piramo. - Olà, olàl Pietro Quinzio! Flute, racconciatore! Snout calderaio! Starveling, dio della

mia vita! san pronti, e mi han lasciato qui addormentato! Ho avuta una ben strana visione. Ho avuto un sogno che è oltre le forze dell'uomo di poter esplicare: l'uomo non è che un giumento se chiarire vuole I sogni. Sembrami che fossi.., non v'è alcuno che possa dir quale. Parevami di essere e parevami di avere.., ma sarebbe da folle il voler dire quello ch'io era. L'occhio dell'uomo non ha udito, l'orecchio dell'uomo non ha veduto, la mano dell'uomo non può gustare, non la sua lingua concepire, nè il suo cuore narrare quel sogno era quello. Vuo' raggiunger Pietro Quinzio per scrivere sopra di esso una ballata che chiamata sarà il Sogno di Bottom che non ha fondo; ed io la canterò alla fine del dramma dinanzi al duca, Forse per render la rappresentazione più graziosa la canterò alla morte di Tisbe. (Esce)


 


 


 

SCENA Il

- Atene. - Una stanza nella casa di Quinzio.


 

Entrano QUINZIO, FLUTE, SNOUT, e STARVELING.


 

QUINZIO. Avete mandato alla casa di Bottom? E' ancora ritornato?

STARVELING. Non si possono aver notizie di lui; gli Spiriti l'avran portato via.

FLUTE. S'ei non torna, il dramma non si fa; non è così?

QUINZIO. SI certo, è impossibile; non v'è niun altro in Atene che possa far da Piramo, fuori di lui.

FLUTE. E' il più bell'ingegno fra gli artieri ateniesi.

QUINZIO. Sì, e il più vago uomo ancora, dotato della più vaga voce.

FLUTE. Dovreste dire senza paragone; dir che è vago A dir poco.


 


 

Entra SNUG.


 

SNUG. Amici, il duca ritorna dal tempio, e vi san con lui altre due o tre coppie di sposi. Se il nostro dramma fosse stato pronto, la nostra sorte era assicurata.

FLUTE. Oh, Il dolce bovino Bottom, ecco in qua! guisa ha perduto sei soldi di reddito per tutta la vita: sei soldi al certo ogni dl non gli sarebbero più mancati: se il duca non gli avesse accordato una pensione dl sei soldi al giorno per recitare il Piramo, vuo' essere appeso. Ed egli li avrebbe ben meritati: sì, sei soldi al giorno, o nulla, per la parte dl Piramo.


 

Entra BOTTOM.


 

BOTTOM. Dove sono gli amici? Dove sono questi amabili cuori? QUINZIO. Bottom! Oh, magnanimo giorno! Oh, felicissima ora! BOTTOM. Amici, vi narrerò alte meraviglie: ma non mi chiedete quali sono: perchè se ve ne dico, penserete d'io non sia un vero ateniese. Vi narrerò ogni cosa come è esattamente accaduta.

QUINZIO. Udiamo, caro Bottom.

BOTTOM. Non Intenderete una parola da me. Tutto quello ch'io viso' dirvi è che il duca ha desinato. - Vestitevi, radetevi, ugnetevi, ite senza Indugio al palazzo; ognuno, pensi alla sua parte; perocchè alla breve e alla lunga il nostro dramma è il divertimento preferito In ogni caso Tisbe abbia i panni tersi; quegli che fa da leone, non si rada le unghie, perocchè sembrar debbono artigli. Poi, miei dolci attori, non mangiate nè aglio nè cipolla, perché ci è forza di possedere un fiato dolce; e avute tutte queste cautele, son sicuro che la nostra commedia troverà buon accoglimento. Non più parole, andiamo. (Escono)

sabato 7 agosto 2010


  

 


 

   
 

La Contessa sanguinaria

Tratto da "Il Vampirismo" di M. Centini

Erzsébet Bathory nacque nel 1560 da una facoltosa e importante famiglia strettamente legata ai regnanti d'Ungheria; suo padre aveva sposato una donna appartenente a un altro ramo della sua stessa famiglia, Anna sorella del re di Polonia, Stefano Bathory.

Erzsébet ricevette un'ottima educazione: a undici anni era in grado di leggere in latino, conosceva la Bibbia e la storia d'Ungheria, il che costituiva certamente un primato se si tiene conto che le sue coetanee appartenenti al suo rango erano appena capaci di leggere e scrivere. Trascorse l'infanzia in uno dei castelli della famiglia con i fratelli; quando il padre morì Erzsébet aveva solo dieci anni e già allora fu promessa in sposa al conte Ferencz Nadasdy, un importante nobile del suo paese. Si sposarono nel 1575, nel castello di Varannò: la sposa aveva allora quindici anni.

Dopo dieci anni di matrimonio, Erzsébet era madre di quattro figli e, secondo le cronache coeve, pare che dedicasse tutto il proprio tempo libero alla magia nera.

Emblematico è un frammento di lettera che la contessa inviò al marito in guerra sul fronte valacco: «Thorko (uno dei suoi servi, N.d.A.) mi ha insegnato una procedura di magia: prendi una gallina nera e percuotila a morte con un bastone bianco. Raccogli il sangue e spargine un po' sul tuo nemico. Se non hai la possibilità di spargerlo sul suo corpo, procurati un suo indumento e allora spargilo sopra questo»...

Nella lettera non sono indicati i fini di questa pratica, ma possiamo immaginare che si tratti di una fattura destinata a colpire a distanza un nemico secondo le tipiche procedure della magia nera.

Appena ne ebbe la possibilità il suo castello, nei boschi di Csejthe, divenne un ricettacolo di maghi, streghe e forse anche alchimisti: tutta gente che era ben lieta di trovare rifugio tra le mura di una così autorevole casata, lontana dal controllo della Chiesa.


Sembra che con il passare degli anni la contessa avesse diretto le proprie ricerche in un’unica direzione: la conquista dell'eterna giovinezza. Venne a sapere che un elisir eccezionale era costituito dal sangue dì vergine: da quel giorno non riuscì a pensare ad altro. Forse la donna era già disturbata sul piano psichico, infatti abbiamo notizia di numerose sue crisi nervose che si manifestavano prima con acuti mal di testa e quindi con lunghi stati catatonici, dai quali si risvegliava con una irrefrenabile sete di sangue. Inoltre aveva scoperto che torturando le cameriere le sue crisi cessavano, scomparivano mal di testa e convulsioni e spesso subentrava uno stato molto vicino all'estasi mistica.

Pare che trascorresse periodi sempre più lunghi nel suo castello e ben presto le segrete di Csejthe si riempirono di giovani donne reclutate tra il popolo, forse invitate a lavorare per la contessa dietro il miraggio di un grosso conipenso. Ma quando giungevano nel castello degli orrori le donne erano testimoni di oscuri riti, molte tu loro erano sacrificate e il loro sangue utilizzato dalla Bathory che in quella linfa era certa di trovare il segreto dell'eterna gioventù.

Quando una delle vittime riuscì a scappare ebbe inizio il declino della Sanguinaria contessa. I fatti giunsero a Mattia II d'Austria, che pare fosse già a conoscenza dei turpi delitti di Csejthei ,ma non aveva potuto intervenire direttamente per non alterare i delicati rapporti politici locali. L'ultima denuncia però giunse in un momento in cui il sovrano aveva deciso di dimostra-re al popolo che il re era pronto a difenderlo contro lo strapotere dei nobili. Il 30 dicembre 1610 Erzsébet fu arrestata nel suo castello di Csejthe e con la donna furono rinchiusi in prigione numerosi suoi stretti collaboratori. Nelle segrete del castello furono ritrovate molte ragazze, numerose erano segnate da piccole ferite prodotte dagli aguzzini della contessa per prelevare il sangue da offrire alla terribile donna. Furono anche ritrovati molti cadaveri sotterrati nelle segrete del castello. Al termine dell'inchiesta furono rinvenuti i resti di seicento e dieci vittime, nella maggioranza dei casi si trattava di donne. Il processo fu celebrato a Bicse: iniziò il 2 gennaio 1611 e terminò il 7 dello stesso mese. Tutti i collaboratori della Bathory furono giustiziati dopo essere stati sottoposti a tremende torture; le donne che si erano prestate al gioco della contessa finirono tutte sul rogo con l'accusa di stregoneria. Per la nobile invece la condanna a morte fu commutata in segregazione a vita nella sua camera di Csejthe. Nel marzo 1611 la porta fu murata e fu lasciato solo un piccolo spazio necessario per il quotidiano passaggio del cibo. Fu trovata morta il 14 agosto 1614 senza che nessuno avesse avuto modo di conoscere con precisione quali fossero i riti praticati con il sangue di tante giovani innocenti vittime."

 
 

venerdì 6 agosto 2010

Il 5 Agosto 1962 moriva in circostanze misteriose un'icona della bellezza femminile


 


 


Marilyn Monroe

BIOGRAFIA


 


Attrice nata a Los Angeles, California, il 1° Giugno del 1926 e morta a Brentwood, California, nella notte tra il 4 e il 5 Agosto del 1962. L'identità di suo padre resta sconosciuta, mentre sua madre, Gladys Monroe, era una donna con molti problemi economici e psicologici. Gladys Monroe, inpossibilitata a tenere la bambina, decise di affidarla ad una famiglia adottiva. Marilyn, da questo momento, verrà accolta da più famiglie e, all'età di 9 anni, entrerà in orfanotrofio.
Il 19 Giugno del 1942, a sedici anni, si sposò con Jimmy Dougherty, un ragazzo di 21 anni con cui entrò in confidenza mentre lavorava in una fabbrica di assemblaggio per autoveicoli, ma, dopo soli quattro anni, la coppia divorziò. Intanto, nel 1944, Marylin venne fotografata da un giornalista durante un servizio sul contributo delle donne all'economia americana.


Il fotografo rimase incantato dalla bellezza di Marilyn e le propose un intero servizio. Iniziò così la sua carriera da modella. Nell'arco del 1945, le sue foto fecero il giro delle copertine dei giornali più famosi dell'epoca e Marilyn divenne immensamente popolare. La crescente fama le permise di abbandonare il lavoro di operaia in una fabbrica di assemblaggio per autoveicoli per dedicarsi totalmente alla sua carriera di modella e attrice. Il 23 luglio del 1946, Marilyn firma un contratto per 125$ alla settimana con la 20th Century-Fox. E' da questo momento che l'attrice sceglierà il nome di Marilyn Monroe: il cognome era dalla nonna materna e il nome dalla famosa attrice Marilyn Miller. Il suo primo film fu "The shocking Miss Piligrim", ma si trattò di una piccola parte.

Solo nel 1950, con il thriller di John Huston "Giungla d'asfalto" ("Asphalt Jungle"), ottenne una parte più significativa; poi, nello stesso anno, con una vera performace in "Eva contro Eva" ("All about Eve"), conquisterà la notorietà.
Il 14 gennaio del 1954, Marilyn sposò il famoso giocatore di baseball Joe Di Maggio, ma anche questo matrimonio sarà breve: soltanto 9 mesi. In questo periodo, Marilyn decide di abbandonare la sua immagine di "bella senz'anima" per dedicarsi seriamente allo studio e diventare una vera attrice.
Nel 1956, studiò con Lee Strasberg al New York's Actors Studio. Nello stesso anno, lanciò la Marilyn Monroe Productions con il fotografo Milton Greene e produsse "Fermata d'autobus" ("Bus stop") nel 1956 e "Il principe e la ballerina" ("The prince and the Showgirl") nel 1957, due films che confermarono il suo talento di attrice.

Ancora nel 1956, la Monroe si risposò, questa volta con il commediografo Arthur Miller che scrisse per lei "Gli Spostati" ("The Misfits"), realizzato poi nel 1961. Purtoppo, anche questo matrimimonio finì presto. La fama di Marilyn continuò a crescere a livello mondiale e, nel 1962, ricevette il Golden Globe categoria "World Film Favorite". In questo periodo, ha inizio la sua relazione segreta con il Presidente John Kennedy e in seguito con il fratello, Robert Kennedy. La notte tra il 4 e il 5 agosto dello stesso anno, morì all'età di 36 anni. Il motivo ufficiale fu ritenuto il suicidio, ma un alone di mistero intorno alla sua morte rimarrà per sempre. Il mondo rimase sconvolto dalla fine prematura di questa donna bellissima e, ancora oggi, una parte di lei continua a sopravvivere nell'immagine di leggendaria diva di Hollywood.

Tratta dal sito

www.palamito.it

giovedì 5 agosto 2010

Sant’Agnese:la martire bambina



 

Agnese nacque a Roma da genitori cristiani, appartenenti ad illustre famiglia patrizia, nel III secolo. Decise di consacare al Signore la sua verginità. Quando era ancora dodicenne, scoppio una persecuzione e molti furono i fedeli che s'abbandonavano in massa alla defezione. Agnese rimase fedele al Cristo e gli sacrificò la sua giovane vita. Fu denunciata come cristiana dal figlio del prefetto di Roma, invaghitosi di lei e da lei respinto per mantenre fede al suo voto di verginità. Fu esposta nuda al Circo Agonale, un luogo di piazza Navona (oggi cripta di Sant'Agnese) delegato alle pubbliche prostitute. Un uomo che cercò di avvicinarla cadde morto prima di poterla sfiorare e altrettanto miracolosamente risorse per intercessione della santa. Gettata nel fuoco, questo si estinse per le sue orazioni, fu allora trafitta con colpo di spada alla gola, nel modo con cui si uccidevano gli agnelli. Per questo nell'iconografia è raffigurata spesso con una pecorella o un agnello, simboli del candore e del sacrificio. S. Ambrogio e S. Damaso hanno esaltato il suo esempio e il suo nome è scritto nel canone della messa. Nel Martiriologo romano è riportato lo scritto del beato Girolamo, che di lei dice: "Con gli scritti e con le lingue di tutte le genti, specialmente nelle chiese, fu lodata la vita di Agnese; la quale vinse e l'età e il tiranno, e col martirio consacrò la gloria della castità". La principessa Costantina, figlia di Costantino il Grande, fece erigere in suo nome una chiesa sulla via Nomentana dove ogni anno, il 21 gennaio, due agnelli allevati da religiose vengono benedetti e offerti al papa perchè dalla loro lana siano tessute le bianche stole dei patriarchi e dei metropoliti del mondo cattolico. E' patrona delle giovani, dei Trinitari, dei giardinieri, degli ortolani e protettrice della castità. La data della morte non è certa, qualcuno la colloca tra il 249 e il 251 durante la persecuzione voluta dall'imperatore Decio e ordinata dal prefetto di Roma Sinfronio, altri nel 304 durante la persecuzione ordinata da Diocleziano.


 

Agnese, santa, martire di Roma, morì probabilmente verso la metà del III secolo. Il secolo successivo, secondo la tradizione, sul luogo della sua sepoltura, Costantina, figlia di Fausta e Costantino, volle costruire una chiesa per onorarla. Nel IX secolo il corpo di S. Agnese, venerato in una arca fissata alla parte superiore della cripta, fu privato della testa che venne trasportata nel Sancta Sanctorum. Plausibilmente in quell'occasione vi si aggiunsero le spoglie di S. Emerenziana. Il 21 gennaio del 1621 il corpo della santa fu riposto, unitamente ai resti d'Emerenziana, in una cassa d'argento, sotto l'altare maggiore della basilica di Via Nomentana. Il 7 ottobre 1625, durante alcuni lavori, venne operata una ricognizione del loculo. L'insigne reliquia della testa, per volere di S. Pio X (1903-14), è oggi venerata in un prezioso reliquiario, dono del cardinale Mariano Rampolla del Tindaro, posto nella cappella, dovuta al principe Don Alfonso Doria Pamphily, nella chiesa a lei dedicata a Piazza Navona. Il Posterla, nella sua guida del 1707, Roma Sacra e Profana, menziona un prezioso reliquiario in argento, contenente un braccio della Santa, custodito nella sagrestia di S. Pietro in Vincoli.


 

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mercoledì 4 agosto 2010


 


 

Sirena

La sirena è un essere fantastico con la parte superiore del corpo di donna, formosa e di aspetto piacevole, e la parte inferiore foggiata a forma di coda di pesce.
Si tratta di un essere marino, o comunque acquatico, dal temperamento malevolo, che sfrutta le sue doti di seduzione sessuale, mostrando la parte superiore del corpo, per attrarre ignari giovani, ed ucciderli trascinandoli nel mare.

La Sirena canta in maniera irresistibile e a volte suona anche qualche strumento.
Ha lunghi capelli, spesso verdi come il mare, che pettina accuratamente; ha in mano uno specchio in cui si rimira compiaciuta. 

Corrisponde a quello che ha il termine inglese mermeid, il mito della Sirena si ripete in tutto il mondo, nessun luogo escluso, e dimostra delle caratteristiche più costanti ed omogenee perfino di quelle del mito del Drago.

Nell'area occidentale, ed europea in particolare, questo mito ha una sua storia speciale. 
Infatti, nessun altro mostro è stato soggetto nel corso del tempo e nel medesimo ambito culturale, ad una trasformazione così complessa come quello della Sirena, passata da immagine dell'anima umana, a demone mortale a forma di uccello, a seducente ninfa dalla coda di pesce.

Le Sirene propriamente dette (Seirenes), nascono in Grecia, ma le tradizioni che le riguardano sono estremamente confuse e discordanti tra di loro. 
Il numero stesso delle Sirene non è ben certo: Omero, il primo a menzionarle, ne parla usando il duale, sottintendendo dunque che si tratta di una coppia; tuttavia nella tradizione figurativa ed in quella letteraria sono generalmente tre; non mancano però le eccezioni che parlano di quattro o addirittura di otto Sirene, come fa Platone.

Uguale incertezza c'è sui loro nomi: in un dipinto vascolare troviamo il nome di Imeropa; ma poi abbiamo le triadi Thelxinoe, Aglaope, Pasinoe e Partenope, Leucosia, Ligea; e la tetrade Teles, Raedne, Molpe e Thelxiope.
In tutto sono undici denominazioni differenti, talvolta legate a miti locali, come Partenope alla fondazione di Napoli. 

Lo stesso nome Seirenes non ha una etimologia sicura: può connettersi con seirà, (catena, laccio), o col verbo seirazein (legare con una corda), ambedue con un possibile riferimento alla qualità di incantatrici o maghe. 
Ma può anche essere fatto risalire a seirios (bruciante, da cui anche Sirio, l'astro della canicola) per alludere ai pericoli dell'ora MERIDIANA, quando il mare in bonaccia sotto il sole implacabile può essere più infido di quello in tempesta.

Analogamente, collegandolo al periodo delle grandi calure, quando tutto si dissecca, possiamo pensare ad un'altra variante del verbo seirazein, che significa "prosciugare".
Ma sono stati proposti anche legami etimologici con l'ebraico sir, canto, e col radicale sanscrito sr, fluido in movimento.


 

La genealogia delle Sirene non chiarisce le cose più dell'etimologia.

Platone dice che esse sono figlie di PHORKYS e KETO, divinità, marine ambedue, fratello e sorella incestuosi, da cui nascono numerosi altri mostri celebri della mitologia greca, tra cui Scilla, Echidna, le Graie.
Ma si tratta di una attribuzione isolata; per lo più le Sirene sono dette figlie di ACHELOOS, una tra le più antiche divinità, greche in assoluto. 
Meno certa è la maternità: si parla di due delle Muse Calliope (Tersicore) o di una donna dell'Etolia, regione in cui scorre il fiume Acheloo (oggi Aspropotamo), di nome Sterope. 
Secondo una variante esse nascerebbero addirittura direttamente da tre gocce del sangue di Acheloo, cadute a terra quando, durante la lotta per il possesso della bella Deianira, Eracle spezza al dio una delle sue corna.

Per quanto riguarda l'aspetto fisico delle Sirene, abbiamo meno incertezze: anche se Omero non le descrive ci sono numerose raffigurazioni vascolari e scultoree, nonché le descrizioni di autori più recenti, che ne testimoniano la forma ibrida, col corpo di uccello e la testa femminile. 
Nel tempo questa forma attenua i suoi caratteri ornitomorfi: compaiono le braccia umane, il seno, poi tutto il busto; successivamente solo le zampe restano a forma di uccello, finché non si perdono, in epoca alessandrina, anche questi ultimi residui di ibridismo.
Quello che resta invece incerto è il motivo di questa forma. Sembra che esse fossero all'inizio del tutto umane, e che la loro parziale trasformazione in uccelli sia conseguente ad un evento, che varia però a seconda degli autori.

Per Ovidio esse erano compagne di giochi di Persefone, alla quale stavano insieme anche quando il tenebroso Ade l'aveva rapita; allora esse avevano chiesto agli dei di diventare uccelli per poter cercare la loro compagna in mare e per terra. 
Secondo altre versioni sarebbe stata invece Demetra a trasformarle così, come punizione per non aver cercato di impedire il ratto della figlia; oppure sarebbe stata Afrodite, per punirle di aver disprezzato le gioie dell'amore.
Di certo c'è solo che esse, pur avendo le ali, avevano perso la capacità di volare in una gara di canto contro le Muse; queste ultime, dopo averle vinte, irritate dall'orgoglio dimostrato dalle Sirene, le avevano spennate.

Questa confusa congerie di miti trova una espressione compiuta solo nelle due grandi epopee di viaggio della mitologia greca: il viaggio di Ulisse e quello degli Argonauti. 
Nell'Odissea (XII) Ulisse, partito dall'isola di Circe, per sottrarsi alla seduzione perfida delle Sirene, contro le quali era stato messo in guardia dalla maga, si era fatto legare all'albero maestro della nave dai suoi marinai, ai quali aveva preso la precauzione di otturare le orecchie con la cera. 
Aveva potuto cosi ascoltare il letale canto delle Sirene senza pericolo, ed aveva potuto conoscere le loro irresistibili armi seduttive, basate non sul sesso (come quelle delle Sirene che oggi conosciamo), seduzioni contro le quali a poco sarebbe servito chiudere le orecchie dei marinai, sfiancati da anni di guerra e di peregrinazioni; ma sull'intelletto, sulle lusinghe di una conoscenza senza limiti, che il loro canto offriva. 
Anche Ulisse soccomberebbe all'irresistibile richiamo, se gli stretti nodi che lo avvincono all'albero non fossero più forti del suo corpo provato dalle fatiche; solo grazie a questa costrizione fisica riesce a scampare ad un pericolo contro il quale anche il suo intelletto sempre pronto naufragherebbe miseramente.

Meno conosciuto è l'episodio narrato da Apollonio Rodio ne Le Argonautiche (IV, vv 89l-92l). 
Dopo aver conquistato il Vello d'oro, Giasone e gli Argonauti, dopo numerosissime avventure, e dopo aver toccato anch'essi l'isola di Circe, giungono al Mare delle Sirene, di fronte al cui canto resterebbero inermi se Orfeo, il mitico cantore, imbarcato proprio con questo scopo, non suonasse ancora più dolcemente di loro, e non impedisse così che tutti i marinai si gettino in mare per raggiungerle. 
Solo uno di loro, Bute, soggiace al fascino delle seduttrici, ma viene salvato da Afrodite.
Secondo alcune versioni, dopo questo smacco le Sirene si gettano dalla loro rupe uccidendosi. 
Secondo altre, con maggiore coerenza, questo suicidio avverrebbe solo una generazione dopo, al passaggio di Ulisse, che costituisce per le Sirene il secondo grave smacco.

In tutti i miti vi sono alcuni elementi in comune: vi è sempre un rapporto con l'elemento acquatico, le loro imprese sono innestate nei grandi cicli di viaggio, il loro luogo di soggiorno è un isola e la loro ascendenza rivela caratteri acquatici sia che la si ascriva a Phorkys e Keto, sia ad Acheloos.
Altro tema fondamentale è quello della conoscenza, evidenziato tanto nelle parole che Ulisse riesce ad ascoltare, quanto nella loro presunta discendenza da una delle Muse.
La conoscenza a carattere profetico è una delle attribuzioni costanti delle divinità marine; ed il fatto che questo sapere venga comunicato attraverso la musica e il canto, induce a pensare che si tratti di una conoscenza segreta, iniziatica, aperta a pochi. 
Lo stesso Orfeo, vincitore delle Sirene, è l'iniziatore di una religione misterica; ed il suo potere di comandare, tramite la musica, agli animali ed alla natura, ci ricorda che la musica terrestre riflette un'altra musica, quella cosmica, divina, che è nello stesso tempo legge cosmica, potere creativo e vita: non a caso Platone sceglie proprio le Sirene come simbolo delle sfere.

Un terzo aspetto fondamentale è la correlazione con la morte; sia attraverso i riferimenti al ratto di Proserpina negli inferi; sia attraverso lo stesso comportamento mortifero delle Sirene che, se non riescono ad uccidere, si uccidono esse stesse.

Questa correlazione con la morte si evidenzia soprattutto nella loro forma più antica di uccelli dal viso umano, pervenuta certamente attraverso l'Egitto, dalle raffigurazioni del Ba, l'anima uccello del defunto. 
Le stesse Sirene greche sono rappresentate molte volte sui sarcofaghi, con in braccio una figura umana minuscola che è l'anima del defunto.

Queste tre tematiche non sono scisse tra di loro; il mondo acquatico rimanda da un lato al sapere, comune a tutti gli esseri dell'acqua, ma dall'altro ha stretti rapporti con la morte; oltre ad essere mortale e pericolosa di per sè, l'acqua è anche il tramite necessario per l'aldilà, sia che si vada verso una nuova vita (Isola dei Beati), sia verso la morte definitiva degli inferi. 
L'attraversamento dell'acqua è la prova necessaria per il passaggio tra due livelli di realtà, quello profano e quello sacro.

Questa connessione molteplice tra i temi, porta anche ad una loro interscambiabilità. E così nel tempo, accanto a quella progressiva umanizzazione che si produce nell'iconografia delle Sirene, si verifica parallelamente uno spostamento delle valenze dal mondo propriamente infero dei modelli egiziani, a quello marino, legato alla conoscenza iniziatica. Dal concetto oggettivo di morte materiale si passa cioè a quello simbolico della morte-rinascita, ottenuta attraverso l'iniziazione.

L'accostamento del nome Sirena alla descrizione di una donna pesce è attestato esplicitamente ed in maniera inequivocabile solo verso l'VIII-IX secolo, nel Liber Monstrorum.
Quello che è strano non è che l'autore del Liber Monstrorum abbia attribuito una forma errata (da un punto di vista della tradizione precedente) al nome Sirena; il fatto inspiegabile è che un simile errore (o invenzione voluta, creazione) abbia avuto ragione di una tradizione millenaria, e si sia imposto all'immaginario comune dell'uomo. 
Un simile cambiamento non può essere ascritto alla fantasia di un singolo autore, ma è necessario che corrisponda ad una motivazione più profonda e collettiva, le cui radici siano già, ben consolidate.  Nella mitologia greca l'unico appiglio sembra dato dall'appartenenza all'elemento acqua.
Non si tratta però di un argomento sufficientemente solido, perché altri animali non marini hanno valenze acquatiche altrettanto forti del pesce: si pensi che quasi tutte le divinità fluviali greche e romane hanno aspetto di toro a testa umana, ed ai rapporti strettissimi tra il cavallo e l'acqua.

Nella mitologia greca esistevano altri esseri di aspetto misto di uomo-pesce, come TRITON, e divinità multiformi, che a volte assumevano anche l'aspetto ittiomorfo (NEREUS;
PROTEUS); tuttavia la sola comunanza di forme, in se non è significativa: a parte il fatto che questi ultimi casi sono quasi sempre esseri di sesso maschile, nessuno di essi ha mai presentato aspetti di seduzione o relazioni con la musica o la morte, se non sporadicamente.

Nel mito di OANNES, il mostro dall'aspetto misto di uomo e pesce, che nell'iconografia è raffigurato come le Sirene moderne, nel primo anno dopo il diluvio, uscendo dal mare ogni mattina, e rientrandovi la sera, insegnò agli uomini tutte le scienze e le tecniche necessarie alla vita.
Oannes ha un evidente stretto nesso con l'acqua, nonché con il sole (e questo fatto potrebbe confermare l'etimologia di Sirena da Seirios, Sirio o sole); ma ha anche degli inequivocabili rapporti con la sapienza. 
Si trova quindi in lui il primo nesso fra il pesce e la conoscenza (oltre a quello, evidente ma insufficiente, tra pesce ed acqua) necessario a spiegare strutturalmente la nuova forma delle Sirene.

Una conferma della relazione tra la conoscenza e gli aspetti ittiomorfi si trova anche nella storia di Giona che, inghiottito e poi rigurgitato dal mostro marino, acquisisce capacità profetiche; non va neanche dimenticato che la figura di Giona nei bassorilievi medievali appare spesso per metà rigurgitata dal pesce, ed il suo corpo sembra continuarsi con quello del mostro, diventando stranamente simile a quello di un Tritone.
Per di più, sempre in epoca medievale, si é anche confuso Oannes con Ioanas, e cioè Giona. Le affinità strutturali e formali che questi miti presentano con quello della Sirena, sono quelle che hanno permesso un parziale passaggio di contenuti. 

La Sirena, cioé, perde la sua caratterizzazione formale ornitomorfa nel passare da essere prevalentemente legato alla morte ad essere portatore di conoscenza (pur sempre mortale); parallelamente viene a formarsi un filone legato alla sapienza, derivante da Oannes, il cui carattere pesciforme è ben evidente.

I due filoni procedono di concerto e costituiscono la base su cui si innesterà, senza traumi, una variante iconografica che è più rispondente simbolicamente ai contenuti che si sono venuti coagulando attorno alla Sirena; la quale, a sua volta, è sempre meno ostacolata dall'aspetto predominante ornitomorfo, che è andato svanendo nel tempo.

Nella concezione moderna della Sirena emerge pure la componente sessuale, del tutto assente nell'antichità, e comincia a perdersi l'aspetto sapienziale, di cui resta solo la pallida eco del canto fascinoso.
Questa ultima trasformazione si opera prevalentemente in ambiente cristiano.

Nella traduzione della Bibbia operata dai Settanta, in sei luoghi troviamo menzionate le Sirene come traduzione (inspiegabile) dei vocaboli tannim, sciacallo, e benot ya 'anah, struzzo femmina.
Per quanto poco motivata, questa traduzione dà, comunque luogo ad una serie di fitti commentari.

Clemente Alessandrino è il primo a fare delle Sirene il simbolo delle lusinghe del mondo e della voluttà carnale; e questa nuova visione ben si accorda con i pericoli legati all'eresia gnostica e al crollo del mondo occidentale.
Ma esistevano precedenti favorevoli a questa interpretazione anche in epoca anteriore all'avvento del cristianesimo, nella letteratura apocrifa dell'Antico Testamento. 
In particolare è interessante l'affermazione fatta nel
Libro di Enoch
, che le donne che sedussero i figli di Dio diventeranno Sirene. E' per la prima volta che la seduzione di tipo erotico viene espressamente riferita alle Sirene. Contemporaneamente, lo stesso testo  fornisce anche un collegamento con gli aspetti sapienziali.
Infatti questi Figli di Dio, dice Enoch, insegnarono agli uomini, esattamente come Oannes, le scienze e le tecniche; rispetto al mito mesopotamico la situazione è speculare, poiché mentre Oannes viene subito dopo il diluvio a dare le sue conoscenze agli uomini redivivi, i Figli di Dio, invece, con i loro insegnamenti provocheranno proprio quella degenerazione dell'umanità che indurrà Dio a provocare il Diluvio, per cancellarla dalla terra.

Concludendo, il mito della Sirena nasce, sia in ambiente greco che ebraico, come simbolo dell'impossibilità, e delle pericolosità, di giungere ad una conoscenza totale, cioè ad una pienezza di vita, se non si è ad essa preparati, iniziati.

Successivamente avviene una traslazione di contenuto, contemporanea a quella di forma. E cioè mentre la forma iniziale, derivata dall'Egitto e fortemente connessa al tema della morte, che diventa collaterale, si adegua ad una nuova prevalenza di contenuto (pesce=conoscenza), il contenuto stesso, in ambito cristiano, si evolve verso un nuovo sfondo erotico, cui peraltro la nuova forma può adeguarsi senza forzature (conoscenza = pesce = sesso).

La Sirena, di concerto con i nuovi risvolti simbolici, che non cancellano tuttavia quelli primitivi, si illeggiadrisce, e finisce per rappresentare, nell'epoca attuale una sorta di complimento per una donna affascinante. 

  

 Adattato dal Dizionario illustrato dei mostri
 Massimo Izzi
Gremese editore

Una iconografia sulle sirena si trova nei seguenti siti:

http://www.mermaid.net/home.htm

http://rubens.anu.edu.au/student.projects/mermaids/artgallery.html

   

martedì 3 agosto 2010


PAROLE

Ci sono parole ,dette per caso,magari per scherzo,parole improvvise ,vivaci,spontanee.Parole che al primo sentire non sono che parole.
Poi capisci:proprio perchè sincere e spontanee,quelle parole sono vere ed allora,in uno scorrere di attimo,il mondo ti si rovescia come nel salto di un acrobata.
E tu capisci.Capisci che tutto quello che avevi pensato non era vero,tutto quello in cui avevi creduto non era vero,e quelle parole semplici allegre sincere spontanee ti aprono un momdo nuovo.Hai solo costruito con testardaggine un sogno,da sola.Forse lo sapevi dall'inizio,ma hai preferito non vedere e come un mulo sei andata avanti.Ma molto si può fare con la testardaggine,non tutto però.
E questo non lo potevi fare,e lo capisci.Avevi pensato che la mancanza di gelosia,di passione ,di quelle follie che fanno parte delle emozioni fossero legate al carattere,forse agli anni.
Non era cosi.L'amore travolge carattere ed età.Ma non volevi capire.

Poi ti chiedi cosa fare e ti rispondi :"niente".Perchè non farai proprio niente,solo che tutti quei piccoli segni si sono come allineati in un perfetto puzzle attraverso quelle parole e ora sai.
E sai anche che si può vivere anche cosi e vivrai anche cosi senza lo stupido inganno che hai cercato per anni.

lunedì 2 agosto 2010


Ondina :il mito

 

)

Le ondine sono creature leggendarie, elencate fra gli elementali dell'acqua nei lavori sull'alchimia di Paracelso.[1] Sono anche parte del folklore europeo, descritte generalmente come creature affini alle fate; il nome può essere usato anche per altri spiriti acquatici simili.[2]

Secondo la tradizione, le ondine sono prive di anima (e quindi non avrebbero accesso al paradiso dopo la morte) ma possono guadagnarsene una sposando un uomo mortale. Le ondine sono presenti anche nel folklore
germanico, dove sono creature misteriose simili alle sirene
greche, che abitano i fiumi e che talvolta attirano gli uomini fino a farli annegare. Sono in genere rappresentate come bellissime donne con la coda di pesce. A seconda delle tradizioni, sono considerate esseri maligni, innocui o addirittura amichevoli.


 


 

Secondo le teorie avanzate da Paracelso, un'ondina è una ninfa od uno spirito acquatico, l'elementale dell'acqua. Le ondine sono comunemente trovate in laghi nelle foreste e nelle cascate. Hanno voci meravigliose, che occasionalmente sono udite sovrapposte allo scrosciare dell'acqua. Secondo alcune leggende, le ondine non possono avere un'anima fino a che non sposano un uomo e non gli danno alla luce un figlio. Questa loro caratteristica le ha portate ad essere molto popolari nella letteratura romantica e tragica.


Il Sonno dell'Ondina

In una storia germanica nota come Sonno dell'Ondina, Ondina è una ninfa acquatica. Era molto bella e, come tutte le ninfe, immortale. Tuttavia, se si fosse innamorata di un mortale e avesse dato alla luce suo figlio, avrebbe perso la sua immortalità.

Ondina alla fine si innamorò di un bel cavaliere, sir Lawrence, e i due si sposarono. Al momento di scambiarsi i voti, Lawrence giurò che l'avrebbe sempre amata e le sarebbe stato fedele. Un anno dopo il loro matrimonio, Ondina partorì suo figlio, e da quel momento cominciò ad invecchiare. Come l'attrattività fisica di Ondina diminuiva, Lawrence perdeva interesse verso di lei.

Un pomeriggio, Ondina sta camminando vicino alle scuderie quando sente il russare familiare di suo marito. Entrata nelle scuderie, trova Lawrence addormentato fra le braccia di un'altra donna. Furiosa, Ondina punta un dito verso di lui, che si sveglia sorpreso come se il gesto l'avesse colpito realmente. Ondina lo maledice, proclamando: "Tu mi hai giurato fedeltà con ogni tuo respiro, ed io ho accettato il tuo voto. Così sia. Finché sarai sveglio, potrai avere il tuo respiro, ma dovessi mai cadere addormentato, allora esso ti sarà tolto e tu morirai!"

"La Maledizione di Ondina"

La storia sopra riportata è alla base della "Maledizione di Ondina," il nome storico dell'ipoventilazione alveolare primitiva, una grave forma di apnea del sonno. Questa malattia causa la perdita del controllo automatico del respiro, che significa che ogni singolo respiro dev'essere cominciato volontariamente. Se non curata, i pazienti affetti da questa sindrome moriranno - come l'infedele sposo di Ondina - non appena si addormenteranno, dato che durante il


  • notizie tratte da Wikipedia


 

 
 

La leggenda di Re Artù e del Sacro Graal


 

La tradizione medioevale narra di un grande re dei Britanni che sconfigge i nemici Sassoni, unifica il proprio paese, fonda l'Ordine dei Cavalieri della Tavola Rotonda e costituisce un governo ideale a Camelot (la reggia di Artù è stata identificata da alcuni studiosi con  la fortezza neolitica di Cadbury, ai confini tra il Somerset e il Dorset, da altri con il castello di Greenan, a nord di Glasgow).

 
 

Per alcuni studiosi, Artù è un personaggio ispirato a Cu Chulainn , protagonista di poemi epici irlandesi; per altri un dio del pantheon celtico, forse il simbolo della terra stessa (Art = roccia, da cui Earth ), poi trasformato dalla leggenda in un essere umano. C'è invece chi ritiene che sia esistito veramente: nel VI secolo d.C. fu forse il re o il capo di una tribù britannica impegnata nella resistenza contro gli invasori Sassoni. Purtroppo dell'Artù storico - se mai c'è stato - si conosce ben poco: lo stesso nome "Arthur", in inglese, non fornisce indicazioni sulla sua origine. Potrebbe derivare dal latino Artorius  (in tal caso Artù era forse un Comes Britanniarum , ovvero un rappresentante locale dell'Impero Romano), dal gaelico Arth Gwyr  ("Uomo Orso"), o ancora dal già citato Art  (Roccia  in irlandese). Un principe britanno chiamato "Arturius, figlio di Aedàn mac Gabrain Re di Dalriada" è citato dall'agiografo Adomnan da Iona nella "Vita di San Colombano" (VIII° secolo); nella "Historia brittonum" (IX° secolo) lo storico Nennio racconta che il dux bellorum  Artorius era il comandante dei Britanni durante la battaglia contro i sassoni al Mons Badonis (Bath?); gli "Annales Cambriae" (X° secolo) descrivono la sua morte e quella del traditore Medraut ("Mordred") nella battaglia di Camlann nell' "anno 93" (539 d.C.?); ma altri storici dell'epoca, tra cui Gildas e il Venerabile Beda, non fanno alcun cenno a un condottiero chiamato Artù. All'Artù storico sono stati attribuiti convenzionalmente una data di nascita e di morte (475-542 d.C.), ma c'è chi lo identifica con personaggi più antichi.


Arthur diventa protagonista o comprimario di narrazioni gallesi intorno al 600 d.C.  Nell'XI° secolo era considerato dagli inglesi un eroe nazionale, e le sue imprese - diffuse dalle canzoni dei Bardi - erano note non solo in Gran Bretagna, in Irlanda, nel nord della Francia, ma anche nella lontana Italia: lo dimostra un bassorilievo sulla "Porta della Pescheria" del Duomo di Modena realizzato intorno al 1120 (e cioè con almeno dieci anni di anticipo sul ciclo di narrazioni scritte cui dette l'avvio Chretien de Troyes, il più grande scrittore medioevale di romanzi arturiani, originario della Champagne, attivo tra il 1130 e il 1190).

Ma l'Artù celtico-britannico era un personaggio che i romani avrebbero definito "un barbaro": un re robusto e coraggioso quanto rozzo e incolto. La sua notorietà internazionale impose  quella che oggi definiremmo un'operazione di "rinnovamento dell'immagine" allo scopo di nobilitare la sua figura e farne il signore di Camelot.


Fu l'inglese Geoffrey di Monmouth a dare il via al processo che avrebbe trasformato Re Artù da monarca "barbaro" a simbolo messianico di Re-Sacerdote e i suoi cavalieri in un perfetto modello per le istituzioni cavalleresche medioevali (la Tavola Rotonda). Tra il 1130 e il 1150, nell' "Historia Regum Britanniae", nelle "Prophetiae Merlini" e nella "Vita Merlini", Geoffrey tracciò una precisa quanto fantasiosa genealogia del sovrano, recuperò e interpretò in chiave cristiana (e non più celtica) Merlino e gli altri comprimari, e pose alcuni capisaldi del futuro ciclo, battezzando, per esempio, "Avalon" il sepolcro da cui Artù sarebbe risorto " quando l'Inghilterra avrebbe avuto ancora bisogno di lui ".

Merlino

La denominazione Merlinus  venne utilizzata per la prima volta da Geoffrey di Monmouth, ma il personaggio era già noto nelle tradizioni celtiche come Myrddyn , dal nome della città di Caermyrddyn dove era nato; nella latinizzazione, Geoffrey sostituì la "d" con una "l", altrimenti ne sarebbe uscito un appellativo scatologico.
Il Merlino storico visse probabilmente nel VI secolo; era un Bardo gallese - identificato da alcuni storici con un altro famoso Bardo, Taliesin - specializzato in testi profetici. La sua vita - almeno secondo le incerte cronologie del basso medioevo - fu incredibilmente lunga, tanto che certi commentatori ritengono che siano esistiti due Merlini diversi. Myrddyn era stato infatti consigliere del Re gallese Vortirgern, personaggio storico che regnò intorno alla metà del V secolo, e, più di cent'anni dopo, aveva combattuto a fianco di Re Gwenddolau contro Rhydderch il Generoso nella battaglia (perduta) di Arfderydd (575), dopo la quale, secondo la tradizione, il mago, impazzito dal dolore per la sconfitta, si sarebbe ritirato in una foresta per non mostrarsi più tra gli uomini.
Secondo Geoffrey, i poteri magici di Merlino hanno un'origine diabolica. Un assemblea infernale - racconta la "Vita Merlini" - ordisce un complotto per generare una sorta di Anticristo destinato a diffondere il male nel genere umano. A questo scopo la figlia di un ricco mercante viene posseduta nel sonno da un "Incubo", ma rivela quanto è accaduto al confessore: questi traccia sul suo corpo il segno della croce, così, quando il bimbo nasce, è irsuto come un demone, ma non ha il desiderio di fare del male. Dal padre Satana, Merlino ha ereditato la capacità di conoscere il passato; Dio stesso, attraverso la madre, gli ha conferito il potere di prevedere il futuro. Molti anni più tardi, diventa consigliere di Re Vortingern, che libera da due draghi, poi di Re Uther Pendragon; questi si innamora della virtuosa Ygraine, moglie del Duca di Tintagel, la quale non ricambia le sue attenzioni. Il mago fa allora in modo che il suo protetto assuma magicamente l'aspetto del Duca: così, grazie a questo inganno, Uther concepisce Artù che Merlino prende sotto la sua tutela. Sarebbe con l'aiuto di Merlino che Artù riesce a compiere un prodigio, estrarre una spada misteriosamente conficcata  nella roccia, facendosi così riconoscere quale re dei Britanni. Dopo l'unificazione dell'Inghilterra, Merlino rivela al sovrano la sua missione più importante, la ricerca del Graal. Viene poi imprigionato in una tomba di cristallo da Nimue o Viviana, la "Signora del Lago" (da alcuni "unificata" con Morgana), ma continua a vivere "su un altro piano" dopo la morte di Artù. Secondo Geoffrey, Merlino è anche il responsabile della presenza del complesso megalitico di Stonehenge nella piana di Salisbury, dove l'avrebbe trasportato per mezzo delle sue arti magiche, anche se in realtà il complesso è ritenuto molto più antico rispetto all'epoca in cui dovrebbe essere vissuto il mago.  

Secondo alcune dottrine esoteriche Merlino sarebbe uno dei "Superiori Sconosciuti" di Agharthi (etimologicamente "l'inaccessibile", centro spirituale del pianeta che si troverebbe nelle viscere della terra, popolato da esseri semidivini, governato dal re del Mondo, descritto, per la prima volta da Ferdinand Antoni Ossendowski in "Bestie, Uomini e Dei",1923): ad Artù, il suo discepolo prediletto, avrebbe affidato il compito di portare avanti l'antica tradizione magico-religiosa del leggendario regno sotterraneo. Per l'occultista inglese Dion Fortune (1891-1946), Myrddyn proveniva da Lyonesse, l' insediamento sprofondato al largo della Cornovaglia, da molti ritenuto una delle città di  Atlantide; dal Continente Perduto avrebbe importato culti esoterici e superiori conoscenze tecniche, diffusi poi tra i Celti dal discepolo Artù e dai suoi successori.

Morgana 

Morgana è personaggio direttamente derivato dalle divinità Morrighan, Macha  e Modron (la grande madre celtica) e compare per la prima volta nella "Vita Merlini" di Geoffrey; fa parte di un gruppo di nove fate (a loro volta di tradizione celtica) che vivono ad Avalon e aiuta Artù a guarire dalle sue mortali ferite. Nelle narrazioni successive Morgana è la nipote o la sorellastra di Re Artù, con cui concepisce Mordred, e assume connotati sempre più negativi, fino a diventare l'implacabile nemica del sovrano, di Merlino e dei Cavalieri della Tavola Rotonda. Nelle opere tardo medioevali, dimenticate le origini semidivine, viene presentata come una perfida seduttrice, tanto bella quanto malvagia: il prototipo, insomma, della "donna sessuata" - la strega  - aborrita e temuta dalla Chiesa cattolica. 

Escalibur

La spada denominata Escalibur, il cui nome è stato recentemente interpretato da insigni celtisti come una sorta di crasi delle parole latine, ossia ensis caliburnus, cioè la "spada calibica" , cioè forgiata dai Calibi (antica e mitica popolazione della Scizia, di cui si dice, scoprirono il ferro e ne portarono l'uso fra gli uomini).

Massimo Valerio Manfredi, storico del mondo antico e scrittore di successo, nel suo ultimo romanzo "L'ultima legione", che ruota intorno ad un gruppo di soldati romani lealisti che si assumono il compito di far fuggire e portare in salvo in Britannia l'ultimo imperatore romano, Romolo Augusto, deposto nel 476 d.C. da Odoacre, insieme al suo precettore Meridius Ambrosinus, immagina che Romolo Augusto rifugiatosi in Britannia divenga re con il nome di Pendragon e abbia un figlio di nome Artù, mentre in Meridius Ambrosinus adombra Myrdin o Merlino. Quanto a Escalibur il suo significato sarebbe "Cai.Iul.Caes.Ensis Caliburnus", cioè la spada Calibica di Giulio Cesare, che, ritrovata casualmente da Romolo e portata in Britannia sarebbe stata scagliata lontano dallo stesso Romolo (Pendragon) in segno di pace, si sarebbe conficcata in una roccia e qui, esposta alle intemperie, avrebbe finito per lasciar leggere solo alcune lettere dell'iscrizione, e cioè: E S  CALIBUR.

domenica 1 agosto 2010


Chi di noi, quando eravamo piccoli non ha sentito parlare in qualche favola o leggenda di una misteriosa popolazione di piccoli esseri che vive nelle foreste, gli gnomi; ma questi esseri esistono veramente o sono solo il frutto della fantasia dell'uomo ?

L'autore Wil Huygen, ha realizzato un interessante libro illustrato sulla vita di questi esseri incantati, e gli da dei caratteri somatici ben definiti: 15 centimetri di altezza, circa 300 grammi di peso, muscolatura estremamente sviluppata. Si tratta di esseri abbastanza simili all'uomo, tolto che per le dimensioni, abituati da sempre a vivere a stretto contatto con l'ambiente dei boschi, dove riescono a sopravvivere con facilità e in modo estremamente discreto grazie alle loro eccezionali caratteristiche fisiche, alla capacità di relazionarsi con gli animali selvatici, alla innata ingegnosità. I sensi degli gnomi sono decine di volte più sviluppati rispetto a quello degli uomini, la loro forza fisica, in proporzione, enormemente maggiore.

Gli gnomi sono inoltre in grado di costruire utensili e macchinari anche molto complessi, e abitano in abitazioni dotate di un mobilio relativamente raffinato, all'interno di gallerie scavate dalle talpe. Sarebbero diffusi in gran parte d'Europa, Italia compresa, sebbene la loro concentrazione sia maggiore nelle aree del centro-nord. Alcuni studiosi non rassegnandosi al fatto che questi esseri possano essere frutto solo della fantasia, hanno deciso di raccogliendo elementi che possano dimostrare l'esistenza reale di questi uomini in miniatura, la cui natura è tanto schiva e riservata. Alcune di queste prove verrebbero dal Sud America, continente nel quale sono state ritrovate diverse mummie appartenenti a miteriosi umanoidi di dimensioni ridottissime (comprese tra i 35 e i 90 centimetri). Almeno alcune di queste potrebbero appartenere a popolazioni di gnomi vissute migliaia di anni fa. Più recenti sono invece le immagini fotografiche prese in varie parti d'Europa, che immortalano gli gnomi nel loro ambiente naturale. Ma certo, sono immagini poco chiare, anzi, alcune decisamente confuse, e potrebbe benissimo trattarsi di illusioni ottiche o di beffardi trucchi fotografici, per quanto estremamente suggestivi. Fino a quando questi ricercatori non riusciranno a trovare delle prove più convincenti, gli gnomi continueranno a fare parte solo della nostra fantasia.