giovedì 11 febbraio 2010


Pietro Vigo


CAPITOLO III.

Le origini dei Santuario.


La manifestazione della Madonna - Quali testimonianze se ne abbiano - La tradizione e la critica - Antiche testimonianze - Documento del 1347 e sua grande importanza - Documenti del secolo XV - L'Immagine della Madonna di Montenero e la critica dell'arte - Insussistenza della comune tradizione artistica e di quanto è stato scritto sin qui sulla pittura e sul restauro dell'Effigie venerata - Che cosa debba credersi veramente a questo proposito.

Quello che ha dato importanza a Montenero e ne ha diffuso il nome presso le popolazioni cattoliche; che ha popolato di ville eleganti e comode quelle colline, che forse sarebbero rimaste boscose e quasi deserte come sono le pendici settentrionali ed orientali del Monte Livornese, è stata la devozione verso un'Immagine della Madonna che prodigiosamente manifestatasi, come raccontano, infiammò di fede e di speranza le vicine popolazioni letificando


…………………….......d'un vario
tesor di grazie la vallèa serena (1)


 

La pia tradizione riferisce, e il P. Niccola Magri e il P. Moraschi che furon tra i primi a scriver di Montenero dicono averne veduto in quell'Archivio una memoria manoscritta, che l'Immagine di Maria venerata a Montenero, "ritrovandosi prima in Negroponte in levante miracolosamente si partì e pervenne in cristianità in questi nostri lidi, e si posò qui vicino al rivo dello Ardenzo, nell'anno di nostro Signore 1345, ove poi con maestà grandissima si degnò aprirsí ad un pastore che pasceva le pecorelle, quale chiamandolo a sé si degnò comandargli prendesse l'Immagine suddetta e la portasse verso il monte, e poi la posasse ove gli facesse segno con rendersi grave e pesante. Il venturato pastore avendo udito il divino comandamento, niente dubitando della impotenza, essendo di già stroppiato, né per la gravezza del poderoso sasso dove la suddetta Immagine si posava, con pura e candida fede obbedì, e con grandissimo gaudio prese quello e lo condusse al Prescritto luogo, al quale pervenuto ove hora si honora, il suddetto pastore per divina volontà sentì il grandissimo peso, e qui posatolo rese le debite grazie alla Regina degli Angeli e con gran fausto andò a Livorno, pubblicando il gran miracolo a quella Comunità, e concorsero a verificarsi del fatto: dove giornalmente si vede far grazie e miracoli e così colle elemosine s'incominciò la presente fabbrica."
Ho voluto riportare testualmente la breve narrazione, quantunque in forma sgrammaticata ed inelegante, perché essa costituisce pur troppo, almeno sin qui, la più antica fonte della tradizione. La leggenda è poi narrata diffusamente da una storia popolare assai nota, e in succinto con veste nobilmente poetica così esposta dal Can. Prof. Dott. Francesco Polese nel Poemetto della Madonna
(2):

Oltre l'Ardenza un po' più su del ponte,
uno storpio pastor pascea l'armento:
signor del luogo ora allor forse il conte
di Bòlgheri sul mezzo del trecento.

Portami, buon pastor, portami al monte,
disse una voce in sovrumano accento
( lucea maggio su l'acque in ogni fonte
e stormia l'elce ov'or grana il frumento)

L'umil pastore al subito mistero
de la voce, Maria vede: e il piè movo
teco, rispose, a l'ospite dimora.

E parea sotto il peso un cavaliero
sacro, che canti in un trionfo novo
la maggiolata di nostra Signora.

Più toccava del monte e più le spalle
sentìa gravar quel vecchio pastor zoppo,
finchè, cresciuto il peso e al pié l'intoppo,
posò Maria su l'erta della valle.

Corser da le badie per le vassalle
pievi dispersi i pii romiti in groppo;
ed ei già storpio, via, quasi a galoppo,
scese la costa del ripido calle.

 
 

L'apparizione della Sacra Immagine presso il torrente Ardenza, nel luogo ove sorse poi l'oratorio chiamato della Madonnina
(3) tenuto adesso dalle Suore Calasanziane, sarebbe avvenuta secondo l'Oberhausen, che primo di tutti scrisse sulle fonti una diffusa storia della Madonna di Montenero, il 15 di maggio del 1345, solennità in quell'anno della Pentecoste; sotto il pontificato di Clemente VI in Avignone, ed essendo arcivescovo di Pisa Dino de' Signori di Radicofani. L'Oberhausen stesso, a confermar questa cronologia dell'apparizione cita l'antichissima consuetudine di festeggiare annualmente in Montenero con grandissima solennità il giorno di Pentecoste e i due successivi in memoria del miracoloso passaggio; nei quali giorni, dai vicini e lontani paesi di Toscana e fuori salivano l'erta del sacro monte migliaia e migliaia di persone d'ogni stato (4). Ma la festa della manifestazione dell'Immagine al pastore si celebrava nella prima domenica di settembre.
Senonché invano cercheremmo nell'Archivio di Montenero il documento che il Magri e il Moraschi ebber sottocchio. Esso, secondo l'Oberhausen (5) fu disperso con altri manoscritti quando avvenne la soppressione dei Gesuati, o Ingesuati, prima congregazione religiosa che abbia avuto in custodia il Santuario.Neppur di questa dispersione rimangono però documenti sicuri: tuttavia possiamo ragionevolmente argomentare che sia avvenuta, dal fatto che altre carte furono disperse quando i Teatini, secondi custodi della chiesa, furono mandati via. Il 23 Aprile del 1808 il delegato del Prefetto di Livorno, sequestrati gli oggetti e mobili ritrovati nell'Abbazia di Montenero chiese al P. Abate Don Averardo Bruni se esistessero archivi, strumenti, carte, manoscritti, ma ne ebbe in risposta che non vi se ne trovavano "il loro ordine costì essendo nascente e quanto poteva esservi a tal riguardo fu deportato nelle soppression dei teatini che prima vi abitavano (6)." Può credersi che insieme a queste carte andassero disperse e perdute alcune memorie del non breve periodo dei Gesuati, se pur non ebber la stessa sorte delle memorie teatine, quando nel 1669 la congregazione del B. Giovanni Colombini venne soppressa.
Disperso il manoscritto citato dal P. Moraschi, che del rimanente, per la lingua e per lo stile apparisce proprio fattura del Seicento, non abbiamo, almeno per le ricerche fatte sin qui, alcun documento scritto che possa far testimonianza della tradizione in modo da soddisfare interamente la critica. Il Can. Piombanti, (7) per comunicazione avuta dal Rev. Dott. Stefano Monini, Priore di S. Giuliano presso Pisa, pubblicava le seguenti parole di un manoscritto dei primi del secolo XVIII, esistente nell'Archivio dei Marchesi Malaspina di Pisa e intitolato "La Lunigiana descritta da Bonaventura De Rossi" Anno 1344 Giordano Colonna Romano, arcidiacono tullense, fu creato da Clemente VI vescovo di Luni il 26 Maggio di detto anno. Fu quest'uomo prelato pio e nell'anno seguente 1345 per stimolo di devozione si trasferì a Livorno a venerare l'immagine di nostra Signora di Montenero "giunta miracolosamente in quest'anno al Mar Maggiore presso Livorno". Il De Rossi ha meritato le lodi anche di Lodovico Antonio Muratori per la sua dottrina grandissima, onde fu chiamato il più erudito delle cose di Lunigiana; e per la sua Co11ectanea copiosissima di memorie e notizie storiche appartenenti a Luni ed il suo territorio dai tempi più antichi al 1710 (8), tenne conto di moltissime scritture e storie e documenti d'archivio (9). Vero è che egli difettava nella critica, ed anche nel caso nostro il lettore non si sente molto soddisfatto della testimonianza di lui, che senza altri documenti parla di cosa avvenuta più che tre secoli e mezzo prima. Ma per quanto quello che dice il Rossi si debba prendere, come suol dirsi, con benefizio d'inventario, pur non può credersi che un tale uomo, lodato per la sua diligenza dal Sommo degli Eruditi Italiani, e che, come mi scriveva il carissimo e dotto amico mio cav. Giovanni Sforza, consacrò tutta la sua vita a illustrare la storia della regione natìa, lesse di gran roba, compulsò tutti gli archivi, copiò, consultò vide una quantità strabocchevole di documenti, abbia potuto o voluto inventar questa cosa la quale forse ha riferito senza citare fonti, perché di interesse molto secondario per lui.
Ad ogni modo l'oscurità e la mancanza dei documenti coevi non dà diritto di metter fra le favole il racconto tradizionale; perché il silenzio degli archivi, il difetto delle fonti storiche sono argomenti il cui valore non può esser logicamente assoluto e definitivo né tolgono via la possibilità che o prima o dopo si scuopra qualche documento che ne faccia testimonianza. Quello poi che scrisse G. Cesare Carraresi (10), secondo il quale l'inganno e la mala fede della classe sacerdotale da una parte, e l'ignoranza, la superstizione del popolo dall'altra avrebbero dato origine al Santuario di Montenero non par degno neppur d'esser presa in considerazione, e ci fa meraviglia che un uomo di quell'erudizione e di quella serietà abbia voluto aggiungere a quel suo romanzo storico una pagina degna di qualche scrittorello di giornale anticlericale, e infarcita d'osservazioni contradette dalla storia, smentite dalla logica e dal buon senso (11).
L'Abate Giovanni Lami nelle Novelle Letterarie di Firenze scrisse che la tavola di Nostra Donna presentemente venerata in Montenero appartenne molto probabilmente a Guido Tarlati da Pietra Mala, vescovo e signore di Arezzo che passando a Montenero o nelle vicinanze l'anno 1327 andandosene per la Maremma, poté lasciar quivi questo quadro o mandarlo in ricompensa forse di qualche servigio ricevuto da quegli abitanti, essendo le pitture in quei tempi di stima infinita. Il Lami suppone ancora che il Tarlati potesse aver portato seco questa tavola a Pisa per regalarla all'imperatore Lodovico il Bavaro, a cui non la dette più altrimenti per i disgusti e le amarezze che l'imperatore gli cagionò e che lo indussero ad allontanarsi da Pisa, e incamminarsi per la Maremma. Colto da morte a Montenero di Livorno la tavola di nostra Donna sarebbe rimasta in quel villaggio.
Non lui diffonderò a dimostrare senza fondamento questa asserzione del tutto fantastica e che si appoggia sopra un fatto già mostrato insussistente (12), per non ripetere ciò che il Tausch scrisse con buoni argomenti nella sua storia apologetica della Madonna di Montenero, composta appunto col principale intento di confutare quelle asserzioni.
Da persone devote furono fatte ricerche per confermar la provenienza della Immagine di Montenero dall'isola di Negroponte. Il capitano Corpi, ufficiale nelle galere Toscane, scrive il Can. Piombanti (13) che ne ricava la notizia dall'Oberhausen (14), volle incaricarsi nel 1650 d'indagar le tradizioni conservate nell'isola di Negroponte relativamente alla Madonna di Montenero. E andato colà pei propri negozi dopo aver fatto le più accurate investigazioni, trovò presso la città di Saitone, venti miglia distante da Negroponte e dodici dalla marina, un'abbandonata chiesetta, nella quale esisteva sempre un vano, capace di contenere il quadro di detta immagine, avendone già presa esattamente la misura. Alcuni nativi del luogo tenevano accesa una lampada dinanzi a quel vano in onore della Madonna, dicendo di aver sempre udito raccontare, che essa vi era stata in venerazione prima che avvenissero i saccheggi e le devastazioni del paese.
L'anno 1845 Mons. Tausch, per mezzo del console generale austriaco, residente in Atene, indusse il greco archeologo avvocato Giovanni Papamanoli domiciliato a Calcide a voler fare le possibili indagini se quanto aveva riferito due secoli prima il capitano Corpi potevasi o no confermare. Il greco archeologo con relazione del 29 settembre dell'anno medesimo dava le seguenti notizie. La città di Saitone, al presente piccolo villaggio a mezzogiorno di Calcide, ha le distanze indicate dal capitan Corpi ed ora chiamasi Seta onde in antico Saita e Saitone. In quei contorni diligentemente visitati erano alcuni conventi e chiese più o meno rovinate. Fra queste fu notato in un bosco presso il monte Olimpo una chiesa già dedicata alla Madonna in luogo detto Aja, nelle cui pareti vedevansi ben dipinti ma in parte guasti i santi dottori della chiesa greca e nella quale si trovava un vuoto senza il quadro suo. Interrogati i vecchi del luogo rispondevano aver sempre sentito rammentare che in quella chiesa era stata in molta venerazione una immagine della Madonna, la quale ai tempi delle persecuzioni venne portata via da un monaco di cui non ebbesi più notizia. Un tal Demetrio Rubì disse ancora al Papamanoli che in ossequio alla tradizione dell'essere stata in quella chiesa una miracolosa immagine di Maria, il 15 d'agosto d'ogni anno faceva venire da Vathia, due ore distante, un sacerdote a dir la messa in detta chiesa, quantunque mezzo diroccata, ove altre persone convenivano ad ascoltarla. Tutto ciò induce a credere che questa fosse la chiesa visitata dal capitan Corpi sulla quale aveva trovato le medesime tradizioni. Quindi così terminava la sua relazione "scrittura di sorta non esiste; tutto sparì seppellito sotto le tenebre della barbarie che da secoli coperse l'Eubea più che tutta la Grecia. Dal clero non si rileva niente. Un vecchio religioso di 80 anni, stato 60 nel convento di S. Niccolò di Vathia, è quasi imbecillito; onde nulla, ha saputo dirmi, o forse, temendo ch'io fossi un emissario dei Turchi, ha voluto tacere quel poco che sapeva. Però dopo la visita da me fatta ciascuno, appena saputo di che si trattava, mostrò grande premura di farmi credere che quella sia la chiesa ricercata, ed io me ne convinsi. Confrontando queste due relazioni, si vede chiaramente, conclude il Tausch, come l'una sia in gran parte all'altra conforme; e lo stato presente dell'Eubea, dopo secoli di barbarie e di vandalismo cui è stata soggetta, particolarmente per la guerra sanguinosa dell'indipendenza greca, dimostra la verosimiglianza e la probabilità che il capitan Corpi rinvenisse la chiesa di Saita tuttora esistente, ed il vano dell'immagine di Nostra Donna di Montenero." (15)
Non possiamo negare per altro che quanto si dice sulla manifestazione della Madonna non dia campo ad alcune osservazioni che noi stessi crediamo giusto e conveniente ripetere qui, affinché la critica rigorosa o i malevoli non c'abbiano a rimproverar difetto di accuratezza e diligenza nello scriver questo lavoro. Nel documento citato come la fonte più antica che si conservi del racconto meraviglioso, mancano, come notava il Proposto Antonio Riccardi (16) certe cose che le avrebbero dato il suggello dell'autenticità; non vi si legge il nome del pastore avventurato; non vi si cita né un parroco, né un vescovo, né un testimonio di sorta; né si capisce bene perché, sono sempre osservazioni di quel sacerdote, il pastore sia stato obbligato a portare sul monte il poderoso sasso, anziché la sola immagine, che non è già dipinta sul sasso, ma sopra una tavola di noce, onde per ispiegar ciò si è detto più tardi che l'Immagine fosse incastrata nel sasso e poi tolta da quello per esporla alla pubblica venerazione. Considerate poi le miserabili condizioni del Castello di Livorno nel secolo XIV, potrebbe far maraviglia che il pastore, prima che ad ogni altra popolazione, abbia manifestato il prodigio agli abitanti di quel povero castello. Anche la cronologia del racconto non soddisfa interamente la critica. Dal 15 maggio, giorno della prodigiosa manifestazione, alla prima domenica di settembre del 1345 giorno della traslazione, la Santa Immagine sarebbe rimasta sulla spiaggia senza alcun culto, proprio quando il pastore col racconto del prodigio avrebbe richiamato ad essa l'attenzione e la venerazione di tutte le popolazioni del visto piviere del Porto Pisano. (17)
Senza dubbio, sarebbe stato desiderabile che per le origini del Santuario di Montenero i documenti parlassero con quella evidenza che non lascia luogo a dubbi di sorta, e che il racconto avesse quella sicurezza che ha la storia di moltissimi prodigi coi quali Dio ha voluto glorificare la Madre santissima del suo Unigenito, recar conforto perenne a tante anime buone e confonder gli eretici che chiamano insano o idolatra il bel culto a Maria ed alle sue immagini benedette. Ma le incertezze, le oscurità non mi pare che siano bastevoli a farci negare la fede al devoto racconto, perché alla sostanza vera di quello possono essersi aggiunti particolari o immaginati o supposti e neppur mi sembrano sufficienti a farci credere, come qualche critico un po' troppo rigoroso potrebbe pensare, che la leggenda sia nata nel secolo XVII, per dar sempre maggiore importanza al Santuario.
Il Sacerdote Riccardi (18) pensa che il quadro della Madonna passando nelle mani di qualche pio eremita di Montenero, a poco a poco sia salito in venerazione; e onorato prima in qualche piccolo oratorio, per grazie ottenute o, per avvenimenti a noi sconosciuti, "arrivasse in fine a cambiare la piccola cappella in un Santuario." Ma è questa un'opinione individuale cui non può esser dato maggior valore di quello che si dà ad una congettura contro la quale sta una tradizione non spiegata chiaramente, è vero, nei suoi particolari, ma non contradetta né smentita dai fatti.
E ci par veramente che i dubbi che il Sac. Riccardi o altri critici possono accampare riguardo alla Immagine della Madonna di Montenero, non debbano menomare la gloria di quel Santuario insigne e venerando per la sua antichità. Anche se il trasporto prodigioso da Negroponte o la manifestazione della Madonna al pastore fossero una leggenda creata dalla fantasia popolare o effetto della mal regolata pietà di qualche eremita o devota persona, è certo che la venerazione che sin dal secolo XIV ebbe la Madonna di Montenero, le grazie e fino i prodigi, di alcuni dei quali parla questo stesso libro, fanno fede non dubbia di speciali favori concessi da Dio per l'intercessione della Vergine invocata nel Colle Santo dinanzi a quell'immagine gloriosa; cui renderà sempre veneranda, a parer mio, anche il mistero del quale la Provvidenza ha voluto che fossero avvolte le origini sue.
Del rimanente, chi crede che nulla è impossibile a Dio, chi pensa alla miracolosa manifestazione di Maria alla pastorella di Lourdes, manifestazione verso la quale ogni persona sincera, di buona fede e avvezza a ragionare non accamperebbe il menomo dubbio; chi riflette ai continui prodigi che Dio opera per mezzo di Maria in quel luogo santo, divenuto sede del trionfo del soprannaturale nei tempi del positivismo e del naturalismo, consentirà pienamente con noi nell'affermare che la mancanza di documenti contemporanei, il difetto di testimonianze autorevoli che possano soddisfare le esigenze della critica non danno diritto a negar fede alla prodigiosa manifestazione di Maria SS. al pastore dell'Ardenza. E a chi, ispirato a quelle dottrine che hanno falsato la filosofia ed hanno fatto perdere al pensiero la buona strada, o pur dicendosi cristiano, ma propendendo ai sofismi degli eretici sorridesse di compassione dinanzi a questo devoto racconto, ci piace di riferire alcuni dei concetti esposti in un pregevolissimo lavoro scritto da un protestante e pubblicato a Londra nell'ultimo anno del secolo XIX (19).
Poiché il cristianesimo si attua e si esplica soltanto, come scrive il Mallock, nella Chiesa romana cattolica, così ripudiarne l'autorità e l'infallibilità del suo supremo magistero è vana illusione. La Chiesa cattolica romana, così scrive proprio quel protestante, è la sola fra le chiese cristiane che si offra a noi come un organismo perennemente vivo ed ordinato che riafferma ogni giorno le sue dottrine con voce indefettibile, in nome ed in virtù del lume soprannaturale e con significato sempre più profondo e più vasto. La Chiesa Romana, come maestra infallibile, (è sempre il Mallock quello che parla), può paragonarsi ad un marinaio che in un naufragio abbia ritenuto presso di sé solo fra tutti i suoi compagni, l'apparecchio di salvataggio del quale tutti erano provveduti; e in quella che tutti lo deridono perché solo si vanta di poter nuotare, egli risponde col mantenersi a galla, mentre tutti uno dopo l'altro vanno a fondo (20). Per ciò tutte le sue dottrine, anche quelle che si riferiscono ai prodigi che Dio opera per mezzo delle Immagini venerate, rispondono perfettamente all'indole della religione cristiana, presentata dalla sola Chiesa cattolica nel suo spirito, nella sua integrità e nella sua essenza. "Vero è, dice il Mallock, che fra i cattolici molto più che fra i protestanti la dottrina cristiana è accompagnata dalla leggenda cristiana, ma la maggior parte di queste leggende o tradizioni non fanno parte della fede propriamente detta, come i vangeli apocrifi non fanno parte del canone cattolico riguardo ai libri della Bibbia. E tali leggende, se possono far sorridere un protestante per alcune loro circostanze, non possono farlo sorridere in considerazione del loro carattere miracoloso e soprannaturale. Non è più arduo per esempio, son sempre parole del Mallock, (21) il credere che la Madonna sia apparsa ad un Santo di quello che sia il credere che un angelo sia apparso alla Vergine Maria per annunziarle di essere stata scelta da Dio per essere strumento e parte di un miracolo, a paragone del quale tutti gli altri miracoli si riducono a nulla. Protestanti e critici informati alla scuola del protestantesimo non riescono mai a comprendere il sistema dottrinale della Chiesa romana, perché il concetto che essi hanno della dottrina cristiana è sempre erroneo e non scientifico; anzi provano essi la massima difficoltà quando si tratta d'intendere che cosa sia una teorica veramente scientifica della dottrina cristiana (22)."
Con questa confessione importantissima noi abbiamo voluto provare con quanta leggerezza molti credenti si affermino contrari allo spirito cristiano e neghino a priori i prodigi che Dio ha operati per intercessione della Madonna. Noi perciò, che più volte riguardo all'origine del Santuario di Montenero ci siano mossi i dubbi suesposti, noi che affermiamo esser poco comprovata e oscura la tradizione, pur tuttavia pieni di reverenza e di affetto ci prostriamo dinanzi a quella devotissima Immagine della Madre di Dio, e riflettendo al titolo di Piena di grazie, o delle grazie, onde è stata singolarmente invocata sino dal secolo XIV, crediamo che non senza qualche singolar prodigio

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Disserrò Montenero il tutelare
Varco, e levò Maria nel Simulacro
Sul pian d'Ardenza e a specchio d'Antignano;
E vertice fra i due liti ed altare
Chiuse nell'orma d'un triangol sacro
L'isole, il porto, e tutto il mar toscano.

(23)

Certo è poi, e ciò potrebbe in qualche modo avvalorare le tradizioni, che fin dal secolo XIV e XV l'Immagine della Vergine di Montenero trovasi già veneratissima in Livorno, nel piviere del Porto Pisano e anche fuori; ed alla chiesa eretta in suo onore si trovano fatte donazioni sin da quei tempi.
Mons. Pirro Tausch (24) citò un documento importantissimo del 1347 del quale, esaminato da noi diligentemente, potremo fornire al lettore qualche notizia più esatta a comprovar l'antichità della chiesa della Madonna di Montenero (25).
Esso fa parte delle pergame nell'Archivio della Mensa Arcivescovile di Pisa (26) ed è un testamento per mezzo del quale Bonaccorso detto Coscio tabernaio del fu Puccio Villani di Villano di Livorno lascia dieci libbre di danari pisani all'opera della chiesa di S. Maria di Livorno; una libbra di denari pisani alla chiesa di S. Salvatore in Montenero; e soldi dieci della stessa moneta alla chiesa di S. Maria piena di grazia (27). Detto atto rogato da un Barone figlio del fu Marino notaro da Livorno è del 1 Giugno 1348 secondo lo stile pisano, e perciò del 1347 secondo quello comune.
Vero è che dopo la denominazione della chiesa non si trova l'indicazione di Montenero; ma il buon senso non permette di dubitare menomamente che il legato del pio tabernaio livornese così ben disposto verso i luoghi sacri, non si riferisca alla Chiesa della Madonna di Montenero, sia perché la menzione di questa chiesa segue subito a quella dell'altra di S. Salvatore di Montenero, come dicesi chiaramente; sia perché non può intendersi fatto il legato a verun altra chiesa di Livorno, non essendovene altre dedicate alla Madonna, da quella in fuori detta anche di S. Maria e Giulia alla cui Opera Bonaccorso fa una donazione ancor più importante. Non vi si trova tale menzione perché sarebbe stata inutile ed oziosa, dopo la menzione dell'altra chiesa sorta, molto tempo prima, fra i solitari recessi di quelle colline.
E quanto dico, può esser avvalorato altresì dalla denominazione di piena di grazia colla quale è stata sempre designata la veneratissima Immagine di Montenero; e, più che avvalorato, accertato da un confronto. In un documento membranaceo del 1444 (28) si fa parola del dono di un pezzo di terra fatto conventibus Sancte Marie della Sambucha et Sancte Marie plene gratie, e nessun dubiterebbe che non si trattasse qui della Chiesa della Madonna in Montenero sia perché nei registri dell'Archivio di Livorno fra i lasciti e le donazioni fatte alla chiesa di Montenero del pari che a quella della Sambuca è ricordata anche questa (29); sia perché con quella denominazione si è inteso sempre accennare all'Immagine venerata su quel monte. Per la stessa ragione nessuno potrebbe, mi pare, accampar dubbi ragionevoli che il legato del quale si fa menzione nella pergamena pisana del 1347 non si riferisca proprio alla Chiesa della Madonna di Montenero.
La pergamena dell'Archivio Arcivescovile pisano è adunque un documento della più grande importanza per la storia delle origini del Santuario Montenerese, perché si riferisce ad una ragguardevole antichità, e può dar credito alla tradizione la quale, com'è stato detto più volte, riporta la manifestazione della Madonna all'anno 1345. Il testamento di Bonaccorso dà poi luogo a domandarci: era dunque già costruito l'oratorio nel 1347, e così importante da meritare il nome di chiesa; o il testatore fece questo legato, come spesso avviene, all'oratorio stesso che doveva erigersi o che già stava sorgendo? Se non sarebbe possibile soddisfar con certezza a queste domande è tuttavia permesso di asserire che nel legato di Bonaccorso tabernaio, il quale non vuol dimenticata la piccola chiesa di S. Maria delle Grazie ricordata insieme a molte altre maggiori e più antiche e ad ospedali e luoghi pii, oltre a leggersi che già nel 1347 era incominciata fra i livornesi la devozione alla Madonna di Montenero, echeggia forse il ricordo del prodigio avvenuto negli ultimi anni della vita del testatore.
Antica menzione del Santuario e pur essa anteriore di parecchi anni al possesso che ne presero i Gesuati, è quella di una carta membranacea dell'Archivio arcivescovile pisano (30), ritrovata e citata dal Tausch (31), per la quale un tal Andrea Massei Livornese il 7 Decembre del 1415 lascia all'Eremo di S. Maria delle Grazie in Montenero un appezzamento di terreno posto nei confini della Comunità di Livorno in un luogo Chiamato al Valoneto. E di soli cinque anni è posteriore quel ricordo che abbiamo ritrovato in una pergamena del nostro Archivio storico cittadino; colla quale il 23 decembre del 1420 (stile pisano), Druda del fu Giovanni di Vanni di Livorno e moglie di Ambrogio di Capodistria lascia alla chiesa di S. Maria piena di grazie in Montenero la metà intera pro indiviso di un pezzo di terra boscata posta nei confini di Livorno nel luogo detto Montenero (32).
I documenti del nostro Archivio nei Registri dell'Amministrazione della Sambuca e Montenero contengono altre memorie di lasciti fatti alla chiesa di Montenero nel periodo che potremmo chiamare delle origini del Santuario. Notevolissima mi parve, come documento della devozione dei Castellani livornesi, la donazione che al Cenobio di Montenero, come a quello della Sambuca venne fatta nel 1447, d'un pezzo di terra posta nel Castello di Livorno nel luogo detto Leone; importante perché deliberata e ratificata nel pubblico e general Consiglio del Comune e Castello, radunato nella pieve di S. Maria e Giulia (33).
E nello stesso secolo XV le donazioni si trovano fatte anche da chi stava fuori del territorio di Livorno. Già detti in luce, e riporto di nuovo nell'appendice, perché di qualche importanza, un documento del 2 febbraio 1462 per il quale Jacopo del fu Antonio di Lapo da Pugnano donava alla chiesa di S. Maria di Montenero, per grazia ricevuta da lei quando Lonardo suo figliolo stette in prigione, un pezzo di terra posto nei confini di Pugnano con ogni ragione che si appartenesse a detta terra (34): documento che mostra in qual venerazione fosse la benedetta Immagine della Vergine nel secolo XV anche fuor del piviere di Porto Pisano e del Capitanato Vecchio di Livorno. Né è fuor di luogo ricordare un altro documento, pur esso custodito fra le carte dell'Archivio livornese: è un testamento pel quale donna Faroppa, vedova di Giuliano d'Antonio Cenni, lasciava nel 1480 alla chiesa di S. Maria delle Grazie in Montenero la metà della propria dote (35).
Tutti questi documenti, pochi residui rimasti dalla dispersione delle carte quando i Gesuati furono soppressi, sono testimonianze non dubbie della fama dell'importanza e della venerazione che l'Immagine di Montenero aveva acquistato nel secolo XV e possono perciò considerarsi come argomenti ad avvalorare la tradizione, almeno per quello che riguarda la cronologia, delle origini del Santuario.
Passeremo adesso a qualche cenno artistico intorno all'Immagine venerata sul Colle Sacro dei Livornesi.
Al qual proposito dirò non esser mancato chi ha creduto possibile sia stata dipinta dall'Evangelista san Luca, la qual cosa non merita neppure di essere confutata. (36) Molti l'hanno fatta di greco pennello fors'anche per dar ragione della sua miracolosa provenienza dall'isola di Eubea, non pensando che intorno all'aureola della Madonna sta scritto in caratteri gotici, disdegnati dall'arte greca: Ave Maria Mater Christi, postivi proprio da chi dipinse la tavola, non avendo alcun valore l'affermazione di qualche scrittore che quelle parole vi siano state aggiunte in un posteriore restauro. E ad ogni modo anche quando mancasse quella invocazione, nessuno, un po' esperto della maniera pittorica dei greci o de' loro imitatori, potrebbe far appartenere alla scuola bizantina l'Immagine della Madonna di Montenero.
Quanti hanno trattato un po' più diffusamente del nostro Santuario, sì antichi che moderni, propendono a creder la tavola di nostra Donna delle Grazie opera di Margheritone di Arezzo, pittore assai rinomato a' suoi tempi e che secondo il Cavalcaselle, storico critico della pittura italiana (37), nacque circa il 1236 e passò a miglior vita nel 1293. Ad avvalorare questa asserzione citano il fatto che sulla tavola ove fu dipinta la Madonna si scuoprì essere stata incollata una tela di mezzana grossezza sopra cui era stato dato il gesso a più mani e con differente altezza nelle diverse parti della tavola, il qual sistema, secondo Filippo Baldinucci, fu ritrovato e seguito da Margheritone d'Arezzo. (38)
Ma la storia dell'Arte ha anch'essa la sua critica e deve tenerne conto chi non voglia


a voce più che a ver drizzar li volti.

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L'usanza di preparar le tavole di legno mettendovi sopra una tela di panno lino appiccicata con forte colla fatta con ritagli di carta pecora e bollita al fuoco e poi sopra detta tavola mettendo il gesso, perché le tavole stessero ferme nelle commettiture e non mostrassero aprendosi, dopo dipinte, fessure e squarti, trovasi seguito da pittori e maestri anteriori a Margheritone, come ad esempio dall'ignoto pittore di quel paliotto importantissimo che risale all'anno 1215 e che si vede nella Galleria dell'Accademia di Belle Arti a Siena. Ad ogni modo, anche se la critica storica non avesse fatto manifesta la inesattezza del Baldinucci, e se Margheritone dì Arezzo fosse stato veramente l'inventore di quel metodo, sarebbe questo troppo debole argomento per provare che la Madonna di Montenero è stata dipinta da lui, perché quella maniera di preparare le tavole fu fedelmente imitata da pittori che vennero dopo.
Ma vi sono altri criteri, dirò così, intrinseci e forniti dalla storia della pittura, che provano del tutto insussistente quella asserzione.
Margheritone d'Arezzo, scrisse Gaetano Milanesi (39) fu uomo che par si studiasse di tenere in vita la più rozza maniera bizantina, tanto è vero che, come scrive il Vasari, egli fu tra gli altri vecchi pittori nei quali misero spavento le lodi che dagli uomini meritamente si davano a Cimabue ed a Giotto suo discepolo. Egli fu erede di un'arte assai povera e degenere della quale prolungò soltanto l'agonia (40). Grosse e pesanti, di brutta forma e mani e piedi, brutte e viziate le pieghe delle vesti, difettoso il colorito, rigide le figure.
Or chi guardi la Immagine di Montenero, ed abbia anche diligentemente esaminate le tavole del periodo bizantineggiante, vedrà che l'impronta e le qualità delle pitture di Margheritone vi mancano del tutto. A me è sempre parsa detta Immagine, sebbene cara e veneranda, un mediocre lavoro della scuola fiorentina dei tempi giotteschi, essendomi parso altresì ripugnare alle più elementari nozioni di storia dell'arte il crederla di pennello greco o di Margheritone d'Arezzo. Manifestai questi miei dubbi al Cav. E. Ridolfi direttore delle RR. Gallerie fiorentine, ed egli avvalorò colla sua competenza ed autorità ciò che io aveva da lungo tempo pensato e manifestato anche ad altri, con la lettera che qui riporto fedelmente.
"Ho riveduto nella fotografia inviatomi la tavola di Montenero, di cui nella mia giovinezza ebbi a fare sul posto una piccola copia per un signore francese, ed allora come ora, mi sembrò una delle tante immagini della scuola giottesca, delle quali difficilmente può indicarsi l'autore, essendo tanti gli artefici di quel tempo di cui il nome non ci è pervenuto e che non hanno caratteri singolari. Ed in queste gallerie di Firenze esistono pure moltissime tavole di quel tempo i cui autori ci sono ignoti e che bisogna limitarsi ad indicare con questo titolo di scuola giottesca o con quello di scuola fiorentina del secolo XIV. È una pittura tradizionale più o meno fina od accurata, ma avente gl'istessi tipi, lo stesso sistema di comporre, di atteggiare le figure, di piegare i panni.
Né in questo dipinto di Montenero, che oltre lo stile della pittura anche le lettere dell'aureola della Vergine attestano con la loro forma, essere opera del 1300, saprei vedere caratteri così particolari da assomigliarla ad alcuna delle opere di indole speciale e di artefici conosciuti, come per esempio i Gaddi, Taddeo ed Angelo. Dubito anzi che nei volti della Vergine e del Bambino debbano essere dei restauri che li hanno resi così tondi e così lisci, alterando anche un poco il carattere primitivo; e infatti si mostrano quelle parti conservatissime, insieme colla mano della Madonna e d'altro colore che non sono le mani del Bambino, forse più intatte. E quella troppa conservazione, quella finitezza che ha reso i volti cotonacei, a giudicarne dalla fotografia, darebbe indizio di restauro."
E di un restauro dell'antica Immagine si è in fatto parlato da molti, e la prima notizia ne fu data dal Teatino D. Giorgio Oberhausen che faceva parte della famiglia monastica di Montenero nella prima metà del secolo XVIII. Quel diligente raccoglitore di memorie cui attinsero, anche a proposito della tradizione artistica quanti scrissero poi del Santuario di Montenero, riferì l'opinione di Salvatore Ettore Romano, artista dei suoi tempi, che affermò l'Immagine della Madonna di Montenero essere stata in molte parti corretta ed emendata dal celebre pittore Luca Signorelli da Cortona (41). Ciò fu ripetuto ancora dal Tausch e dal Piombanti.
Ma ad asserir si fa presto; e perché i restauri pare che abbiano piuttosto guastata che accomodata l'immagine, come potremmo crederli di Luca Signorelli il quale fu pittore eccellente e, secondo quello che scrive il Vasari, "nei suoi tempi tenuto in Italia tanto famoso e le opere sue in tanto pregio quanto nessun altro in qual si voglia tempo sia stato giammai ? (42)" Ci sia lecito perciò di dubitare dell'asserzione di Salvatore Romano, non appoggiata ad alcuna autorevole e sicura testimonianza, né convalidata da alcun documento.
Il Cav. Gerolamo Mancini, dottissimo investigatore di memorie cortonesi ed autore della pregevole opera Cortona nel Medio Evo
(43), consultato da me nei miei dubbi ragionevoli, e richiesto se potesse trovarsi qualche documento che avvalorasse quanto si diceva in proposito, mi rispondeva cortesemente che a lui, il quale si occupava di raccoglier notizie per uno studio su Luca Signorelli, era cagione di pena la scarsità dei documenti relativi al grande maestro; del quale restano le pitture e parecchie guastate dai restauri; e se fanno difetto le notizie sopra i quadri originali di lui immaginarsi se possano trovarsene pei restauri di tante altre. Luca Signorelli fu a Volterra e vi dipinse egregie tavole fra il 1490 e il 1491; dopo e' non fu più per queste parti; ignorar davvero se da Volterra si sia recato a Livorno e a Montenero.
Salvatore Ettore Romano disegnò le tavole dell'opera intitolata "Antichità Siciliane" di Giuseppe Pancrazi, teatino (44). Presso questo religioso il Romano visse lungo tempo, e l'Oberhausen che apparteneva alla medesima congregazione del Pancrazi potrebbe aver avuto da questo, come ragionevolmente suppone il Mancini, la notizia del restauro attribuito al pittore cortonese. Ma ad ogni modo l'affermazione di Salvatore Ettore Romano, conchiude il Mancini stesso, mi sembra priva di fondamento ed io la riterrei una congettura.

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NOTE:

(1) Marradi, Nuovi Canti (1895-1890) Milano, Treves 1891, p. 165-174.
(2) Pubblicato nel Montenero, Numero unico dato alla luce in occasione delle solenni feste pel secondo centenario dell'Incoronazione della Madonna. - In Livorno, dalla Tipografia Francesco Vigo - MDCCCXC.
(3) Il piccolo oratorio costruito nel 1603 e ridotto allo stato in cui ora si vede nel 1723, porta due iscrizioni. Una a tergo, posta in un marmo fa ricordo della primitiva costruzione - che si crede, ma non so con quanto fondamento, non sia la più antica - e dice così: D. O. M. Questa cappella ha fatto fare fra Bonifacio Ferrucci da Signa priore di Montenero, ai preghi e devozione di Niccolò Prunai macellaro, quale diede per limosina scudi 14. Pregate Dio per noi, l'anno 1603. L'altra sulla porta accenna e riepiloga la tradizione con queste parole: D. 0. M. Joseph Gerbaut aedem hanc extrui curavit Dei Matri cuius Imago ab Eubaea - mirabiliter huc delata - Anno salutis 1345 - hic pastori apparuit et in Montem Nigrum ab eodem - asportata liburnensem tuetur civitatem. - Die 8 Septembris 1823. Della chiesetta appartiene il diritto al P. Abate di Montenero.
(4) Storia della prodigiosa Immagine della Madonna di Montenero ecc. Lucca, 1745, parte I, §. V.
(5) Op. cit. loc. cit.
(6) Arch. dell'Abbazia di Montenero, D. 4. 9.
(7) Storia della Miracolosa Immagine di Maria SS. di Montenero. Terza edizione - Livorno, Fabbreschi, 1897, pag. 24 nota 2.
(8) Ne esistono manoscritti nella biblioteche di Sarzana, di Lucca, di Genova ed altrove.
(9) Vedi per ampie notizie di lui il libretto del cav. GIOVANNI SFORZA, gli Studi Archeologici sulla Lunigiana ed i suoi scavi, dal 1442 al 1500. Modena, Vincenzi 1895.
(10) Assedio di Livorno, Firenze, Tip. della Gazzetta d'Italia 1869 pag. 91 e segg.
(11) Cfr. PIOMBANTI, Op. cit. pag. 31 e seg.
(12) Vedi a pag. 59 e segg.
(13) Op. cit. pag. 25-27.
(14) Op. cit., ediz. lucchese del 1745, pag. 13 e seg. Il primo a dar notizia di ciò fu il P. Moraschi.
(15) La relazione del Papamanoli che il Piombanti cita (pag. 27 nota 1) come conservata nell'Archivio di Montenero e che il console generale d'Austria in Atene mandò a mons. Tausch, è stata da noi pubblicata fra i documenti dell'appendice. È deplorevole però che il pessimo italiano nel quale è scritta ne renda ingrata la lettura.
(16) Storia dei Santuari piú celebri di Maria SS. sparsi nel mondo cristiano, Milano, presso Francesco Agnelli, in 5 volumi, vol. II, p. 222 e segg.
(17) Cfr. Riccardi, op. cit., loc. cit.
(18) Op. cit. p. 246.
(19) W. H. Mallock, Doctrine and doctrinal dísruption, etc. London 1900.
(20) Vedi la recensione che di questo libro importante fece il professor Enrico Costanzi in Rivista Internazionale di Scienze sociali e Discipline Ausiliarie, Roma - Novembre 1900 - Vol. XXIV, fasc. XIV, p. 471 e segg.
(21) Riportato dal Costanzi - Ibid.
(22) Parole del Mallock tradotte dal Prof. Costanzi, loc. cit. p. 473. Cfr. anche Northcothe, Celebrated Sanctuaries of Madonna, London, Longmans, Green and Co. 1868. Capitolo What is a Sanctuary.
(23) Can. Dott. Franc. Polese, Il Poemetto della Madonna nel Montenero. Numero unico pubblicato in occasione del II centenario dell'Incoronazione della Madonna - Livorno, Francesco Vigo, 1890.
(24) Op. cit. pag. 51 (ediz. del 1845).
(25) Il documento, di grandissima importanza per gli studiosi delle antiche memorie livornesi, potrà il lettore vederlo nell'Appendice.
(26) È segnato col numero 1815; è ben conservato, e di buona scrittura.
(27) Vedasi il documento nell'Appendice.
(28) Arch. Storico Cittadino di Livorno - Diplomatico - 28 Aprile 1444. Vedi il documento nell'Appendice.
(29) Registro dell'Economia della Sambuca e Montenero - F. c. 56 t.
(30) La pergamena 2516. Noi l'abbiamo pubblicata interamente nell'appendice.
(31) Op. cit. pag. 54.
(32) Arch. Storico citt. di Livorno, Diplomatico, R. Subecon. dei Benefizi Vacanti, 23 Dec. 1420 stile pis. - Vedi Appendice.
(33) Arch. Storico citt. di Livorno, Diplomatico, RR. Ospedali Riuniti, 28 Aprile 1447 - V. il Documento in Appendice.
(34) Arch. Storico Cittadino di Livorno, testamenti e donazioni alla Sambuca e Montenero, Registro Q, c. l.
(35) Ibid., Registro F., c. 3 r. e segg.
(36) Così, fra gli altri, il Can. Dott. Felice Astolfi nell'Historia Universale delle Imagini miracolose della Gran Madre di Dio venerata in tutte le parti del mondo, in Venetia, appresso li Sessa, MDCXXXIII, opera senza alcuna critica. Né mancarono le persone di cosi ingenua pietà da creder il volto della Madonna di Montenero dipinto per mano degli Angeli.
(37) Storia della Pittura in Italia dal Secolo IX al XVI per G. B. Cavalcaselle e I. A. Crowe - Vol. I, pag. 236 e segg.
(38) Notizie di professori di Disegno da Cimabue in qua ecc. distinta in secoli e decennali con nuove annotazioni e supplementi per cura di Fed. Ranalli, Firenze, per V. Batelli e compagni, 1845, Vol. I. p. 30.
(39) Nelle note alla Vita di lui scritta da Giorgio Vasari, vol. I dell'edizione Sansoni di Firenze, p. 362.
(40) Milanesi, op. cit. loc. Cit.
(41) Oberhausen, Storia della Madonna di Montenero - ecc., p. 33.
(42) Vasari. Opere, Ediz. Sansoni, Vol. III, p. 683.
(43) Firenze, Carnesecchi, 1897.
(44) Fu stampata a Napoli, dalla tipografia Pellecchia in due volumi, ma è opera rimasta incompiuta.

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