giovedì 29 aprile 2010


LA RGINA GUERRIERA

HATSHEPSUT

 
Nomi:    Makara, Hashepsowe Dinastia:  XVIII (1548-1292 a.C.) Anni di regno:  [1479-1457 a.C.] Collocazione storica: Nuovo Regno 1567-1080 a.C. Anche Tuthmosi II ebbe dalla moglie soltanto figlie femmine e un figlio maschio nato da una concubina. Alla sua morte questi fu proclamato re con il nome di Tuthmosi III, ma, essendo ancora molto giovane, fu Hatshepsut a tenere la reggenza. Questa reggenza si trasformò in un vero e proprio regno e Hatshepsut, relegando suo nipote non si sa bene dove, rimase sul trono per ventidue anni.
 


 

Mentre era vivo Tuthmosi II, Hatshepsut portava i titoli di "figlia del re, sorella del re, sposa del dio e grande moglie del re". In quel tempo essa non era che una regina di primo rango come le altre che l'avevano preceduta, e non era neppure immaginabile per lei l'onore di una tomba nella valle solitaria e maestosa che proprio allora incominciava a essere riservata ai faraoni. Una sua tomba con la data di questo periodo, contenente un sarcofago intatto, fu trovata a una vertiginosa altezza su di un dirupo circa due chilometri a sud di Deir el-Bahri. Nei primi anni di governo ella dovette accontentarsi della semplice condizione di regina, ed esiste persino un'iscrizione datata nel secondo anno di regno del nipote, che però potrebbe anche non essere contemporanea. In seguito tutti e due contarono i propri anni di regno indipendentemente iniziando entrambi dal principio della correggenza.


 

Ma l'ambizione della regina non era appagata e dopo non molti anni la spinse all'importante decisione di cingere lei stessa la Doppia Corona. Già due volte nella storia dell'Egitto una regina aveva usurpato il trono, ma era un fatto del tutto nuovo che una donna assumesse vesti e atteggiamenti mascolini. Il cambiamento non avvenne all'improvviso e senza esitazioni, perché esiste per lo meno un bassorilievo in cui ella compare come re dell'Alto e Basso Egitto, ma ancora in abbigliamento femminile. Però, in altri luoghi, particolarmente a Karnak, Hatshepsut è raffigurata in abiti maschili e precede Tuthmosi III, a sua volta, invero, rappresentato come sovrano, ma solo correggente. In molte iscrizioni ella ostenta tutti i titoli faraonici, benché sui suoi monumenti e su quelli dei suoi cortigiani si usino talvolta per lei pronomi femminili o nomi con la terminazione femminile.

Sarebbe interessante sapere quale fu l'atteggiamento del clero del dio Amon durante questo periodo, visto che era stato lui a proclamare re Tuthmosi III, ma è noto che, in seguito, il gran sacerdote di Amon fu un fedele della regina, e lei stessa si dichiarò figlia del dio. Sembra dunque che il clero abbia giocato un ruolo importante. Il regno di Hatshepsut fu tranquillo dal punto di vista militare, o perché la regina non aveva fiducia nell'esercito, o perché non avrebbe comunque potuto comandarlo, e le spedizioni militari furono rimpiazzate da quelle commerciali nei paesi del Punt. Questo periodo è anche molto importante sul piano artistico: il tempio funerario della regina, a Deir-el-Bahri, costruito dal suo architetto favorito, Senmut, è un capolavoro d'audacia e di misura.

A quanto pare, Senmut doveva essere di umile nascita, perché nella tomba dei suoi genitori il padre non porta che il vago epiteto di "il Degno", mentre la madre è semplicemente detta "Signora di una Casa"; tuttavia, nel corso della sua breve carriera, egli si accaparrò non meno di venti cariche diverse, molte delle quali, senza dubbio, altamente remunerative.


 

Il suo titolo principale, "Cerimoniere di Amon", gli dava, probabilmente, il controllo delle vaste ricchezze del tempio di Karnak. Il grande favore goduto presso la regale padrona è attestato dal fatto che gli fu affidata la tutela della principessa Ranofru, seconda erede al trono per il matrimonio della madre con Tuthmosi II, ma pur se Ranofru visse certo ancora a lungo dopo l'inizio della costruzione del magnifico tempio di Hatshepsut a Deir el-Bahri, non si sa più niente di lei a partire dall'anno 11. Il tempio funerario di Hatshepsut a Deir el-Bahri, situato entro il grande anfiteatro di scoscesi dirupi, si ispirò in gran parte all'assai più modesto monumento di Menthotpe I , che si erge al suo fianco verso sud.


 

Le ultime notizie di Senmut sono dell'anno 16, ma Hatshepsut visse certo per altri cinque o sei anni. Una volta proclamatasi "re" niente impediva che anche lei avesse una tomba a Biban el-Muluk, e questa fu infatti ritrovata da Howard Carter negli scavi del 1903. Evidentemente una galleria sotterranea avrebbe dovuto correre sotto la collina in modo che la camera sepolcrale risultasse proprio sotto al tempio, ma la roccia friabile impedì di effettuare il progetto. Furono trovati due sarcofagi, uno dei quali modificato in un secondo tempo allo scopo di accogliere il corpo di Tuthmosi I, che la regina evidentemente voleva togliere dalla sua tomba e trasportare nella propria per poter stare insieme nel Mondo dei Morti.


 

Non si sa se il desiderio di Hatshepsut sia mai stato realizzato, e neppure in che modo ella sia morta, certo non molto tempo prima che Tuthmosi III incominciasse a cancellarne il nome dovunque lo trovasse. Lasciò dietro di sé numerosi monumenti, ma nessuno nell'Egitto settentrionale tranne che nel Sinai. Secondo una lunga iscrizione da lei fatta collocare sulla facciata di un tempietto provinciale, detto Speos Artemidos dai Greci, Hatshepsut si gloriava in special modo di aver restaurato i santuari del Medio Egitto fino allora negletti.

 
 


La donna egizia


 

Posizione sociale della donna

La donna egizia godeva della stessa posizione giuridica dell'uomo. Tuttavia, erano gli uomini a ricoprire quasi tutte le cariche pubbliche. La donna esercitava le sue principali attività nella sfera privata, come "signora della casa". Si può parlare di una certa divisione del lavoro in base al sesso.

L'uguaglianza teorica tra uomini e donne trovava una traduzione pratica solo nelle classi elevate della società egizia. Cinque o sei donne arrivarono a detenere il potere supremo. Alcune regine collaborarono attivamente nella politica seguita dai loro mariti. Anche le figlie dei faraoni godevano di una posizione invidiabile. Nella Bassa Epoca, una di loro arrivò a ricoprire la carica di "Divina Adoratrice": il suo potere divenne maggiore di quello del sommo sacerdote di Amon. Le donne nobili avevano titoli religiosi e civili, disponevano di proprietà, che amministravano da sé e che potevano trasmettere ai loro eredi. Sembra che nell'Antico Regno alcune donne abbiano svolto compiti amministrativi in case private. Durante l'Antico Regno, la donna raggiunse l'apice nella vita istituzionale e pubblica. In seguito, soprattutto durante il Nuovo Regno, la menzione di titoli amministrativi femminili scompare quasi del tutto.

Il tipo di lavoro svolto da una donna dipendeva dalla posizione sociale occupata da lei o dal marito. Le principali attività conosciute attraverso le fonti archeologiche o scritte indicano che nell'Egitto antico esisteva una divisione del lavoro in base al sesso. I servitori maschi si occupavano di solito della cura degli uomini, mentre le domestiche di quella delle signore. Gli impiegati e le impiegate delle grandi tenute dei nobili o dei templi partecipavano insieme alla lavorazione del pane e della birra, mentre nel resto delle attività era evidente una preponderanza maschile, con l'eccezione dell'industria tessile, in cui lavorarono per lo più donne fino al Nuovo Regno. Tra le domestiche sono state distinte, in base ai documenti, le fornaie, le birraie, le mugnaie, le giardiniere, le musiciste, le ballerine e le cantanti, oltre alle tessitrici e alle filatrici. Le donne svolgevano anche compiti molto specializzati, come quello di nutrice; nel caso dei figli del re, soltanto donne appartenenti alla classe nobile potevano esercitare questa funzione). Per quanto riguarda le contadine, pur non partecipando alla maggior parte delle attività agricole e pastorizie, collaboravano nella raccolta del grano. Solo molto più tardi la donna tornò a essere così importante.

La posizione sociale della donna egizia era molto più invidiabile di quella della maggior parte delle sue contemporanee di altre civiltà. I viaggiatori greci, come Erodoto, restavano meravigliati per la libertà di azione di cui godevano le egizie. Dalle fonti, sappiamo che le donne erano proprietarie terriere, che partecipavano a transazioni mercantili senza l'aiuto di uomini e che potevano ereditare e lasciare in eredità a loro piacimento. Quando si sposavano, continuavano a disporre dei loro beni, che riacquistavano in caso di divorzio. La loro uguaglianza davanti alla legge comportava che potessero presentarsi davanti ai tribunali in qualità di querelanti, difensori o testimoni, esattamente come gli uomini. Non avevano bisogno di un tutore per partecipare agli affari pubblici. Erano responsabili delle loro azioni e potevano essere portate in giudizio e punite con la stessa severità prevista per gli uomini. La condizione normale della donna era quella di sposa. La famiglia monogama era dunque il nucleo della società egizia. Le raffigurazioni di coppie, da sole o con i figli, indicano, dall'Antico Regno, l'importanza che la famiglia aveva per gli egizi. Raramente è raffigurata una donna sola sulle stele o sulle pareti delle tombe dell'antico Egitto. In realtà, la donna nubile non rientrava nell'ideale egizio, per cui non sono giunti fino ai nostri giorni molti dati riguardanti questa condizione sociale. Invece, esistono molte informazioni su quella della vedova. Se il marito moriva, la mancanza di entrate poteva causare alla sua vedova gravi contrattempi. Dal Medio Regno, la vedova appare come uno dei personaggi derelitti della società egizia, che riceveva l'aiuto dei funzionari, secondo quanto raccontano le loro stele votive.


 

Bes, dio protettore della gravidanza

Nell'antico Egitto il dio Bes era rappresentato come un nano deforme e barbuto. Era una divinità del focolare, legata alla protezione della donna incinta e del neonato. La sua figura fu utilizzata in diversi talismani che allontanavano le influenze nefaste e il malocchio. L'ideale egizio era avere molti figli, perciò la fecondità era una delle principali preoccupazioni della donna. I papiri di medicina indicano rimedi per favorire la gravidanza ed evitare il pericolo di aborto spontaneo. Vi erano però anche prescrizioni per abortire e rimedi per favorire la contraccezione, come rivelano le stesse fonti mediche.


 

Il matrimonio

L'ideale di ogni egizio era sposarsi e formare una famiglia. I matrimoni erano di solito monogamici, ma il faraone praticava la poligamia e il "matrimonio incestuoso".
In Egitto il matrimonio apparteneva alla sfera privata. Non veniva sancito dallo Stato e nemmeno dal clero. Aveva anche una funzione economica, poiché fissava diritti e doveri tra le famiglie degli sposi. L'età per contrarre matrimonio era l'inizio della pubertà. Il fatto di vivere sotto lo stesso tetto sembra che fosse sufficiente per considerare una coppia unita in matrimonio. Di solito la donna si trasferiva a casa del marito. Le fonti parlano di un atto formale pubblico, davanti al consiglio locale. Le cause del divorzio invece potevano essere svariate: sterilità della donna, adulterio, reciproco accordo. Se non era lei stessa la causa della separazione, la sposa riceveva dal marito un indennizzo, oltre a recuperare la dote e i propri beni, più un terzo delle proprietà in comune. Sappiamo che il ripudio era più frequente da parte degli uomini che non delle donne. Rotto il matrimonio, il marito non manteneva più la moglie ed entrambi erano liberi di risposarsi. Il matrimonio legittimava tanto la filiazione come i diritti dei figli all'eredità. Questi ultimi, maschi e femmine, ereditavano i beni mobili e immobili in parti uguali. Sia il marito sia la moglie potevano diseredare alcuni figli e beneficiarne altri.
Nell'antico Egitto essa era consentita, ma le testimonianze rimaste indicano che si trattava di matrimoni successivi (per divorzio o morte della sposa) più che di poligamia vera e propria. Il marito aveva diritto a due terzi delle proprietà in comune, mentre la moglie a uno; quelle ricevute in eredità o prima del matrimonio non rientravano nella comunione. La moglie disponeva liberamente della propria parte, mentre il marito l'amministrava. La donna non ne perdeva mai la titolarità. Esistono testimonianze di "contratti matrimoniali" dall'epoca ramesside. Più che contratti di matrimonio sono disposizioni in caso di divorzio e per assicurare l'eredità ai figli. Grazie a essi la sposa poteva recuperare la dote e un terzo dei beni in comune. Lo scriba che redigeva i contratti e i testimoni che firmavano facevano fede.

Il faraone poteva avere molte mogli e concubine. La "sposa principale del re" gli dava, in teoria, l'erede legittimo al trono. Le altre mogli vivevano nei cosiddetti "harem". Questi istituti, che godevano di una propria autonomia, erano presenti in diverse città e ne esisteva un altro itinerante, sempre al seguito della corte del faraone. Per quanto riguarda i matrimoni diplomatici con principesse straniere, bisogna sottolineare la loro funzione politica, consistente nello stabilire e mantenere alleanze con le potenze del Vicino Oriente. La moglie proveniva sempre da paesi stranieri, poiché il faraone si rifiutava di far sposare le proprie figlie fuori della "terra nera". Questi matrimoni non avevano solo un valore di prestigio ma si trasformavano anche in affari commerciali. Il padre della sposa portava una grande dote, ricambiata dal faraone con un generoso "prezzo per la sposa". Questi pagamenti avvenivano anche tra la popolazione comune egiziana. Questo non è l'unico caso conosciuto, e dimostra l'inconsistenza della cosiddetta "teoria dell'erede", secondo la quale il diritto al trono veniva trasmesso in linea femminile all'interno della stessa famiglia reale. Però, di certo, molti re si sposarono con proprie sorelle o sorellastre, forse per evitare l'ascesa al potere di altre famiglie aristocratiche. Come gli dei, anche i faraoni praticavano con naturalezza questo tipo di relazioni, senza significato "incestuoso".


 

Il matrimonio nell'ambito divino
Niente proibiva l'esistenza della poligamia in Egitto, una pratica seguita dagli strati più elevati dell'aristocrazia e dallo stesso faraone. Alcune spose del sovrano erano sue sorelle e persino sue figlie. La consumazione di questo tipo di matrimonio non aveva il significato di "incesto" che possiede nella nostra civiltà occidentale. Infatti nella mitologia egizia sono noti matrimoni tra dei fratelli. Durante il Nuovo Regno (1552-1069 a.C.) fu consueto il matrimonio tra parenti prossimi, allo scopo di non dividere le proprietà della famiglia.


 

La danza

Dall'inizio dell'umanità la danza è servita per esprimere i sentimenti. Nelle cerimonie religiose, nei funerali e nelle feste popolari anche gli antichi egiziani ballavano a tempo di musica per manifestare in tal modo il proprio stato d'animo.

La forma più spettacolare di danza era quella delle ballerine professioniste, costituita da esercizi acrobatici. Le loro gambe muscolose indicano che esse si dedicavano a tale professione; vengono descritte come "ben nutrite e amichevoli". Si ballava in gruppo o a coppie (mai di sesso diverso); in genere danzavano le donne. Durante l'Antico Regno le ballerine indossavano gonne corte. Sulla testa alcune di esse portavano un berretto con una treccia terminante in un disco. Danzavano con le braccia in alto e una di loro teneva il ritmo con le mani. Spesso nelle processioni e nelle feste danzavano delle acrobate. Accompagnate dalla musica, compivano esercizi da contorsionisti, in attesa dell'arrivo della barca sacra.


 

La danza nell'ambito religioso

Hathor e Bes erano i protettori della danza e della musica, e molte ballerine portavano sulla gamba un tatuaggio raffigurante Bes. Le professioniste facevano parte del personale aggiunto al tempio. Nelle feste di Hathor o di Bastet i balli erano molto importanti. Si danzava anche nelle cerimonie di una certa rilevanza, a cui partecipava il faraone.


 

I capelli e le parrucche

Gli egizi, sia uomini sia donne, curavano molto il loro aspetto fisico. Questo faceva sì che si preoccupassero anche dei capelli. Le pettinature e le parrucche aiutavano a mettere in risalto i gioielli e i vestiti, completando l'abbellimento del corpo.

Le bambine portavano di solito i capelli corti, sebbene nel Nuovo Regno appaiano usanze differenti. Le donne seguivano la moda e, sebbene nell'Antico Regno si osservi una predilezione per i capelli corti o di lunghezza media, col passar del tempo aumentarono le chiome lunghe raccolte in treccine sottili. I testi parlano del lavaggio dei capelli come di una pratica essenziale. Sappiamo che venivano usati oli e profumi per la cura dei capelli e tinture per nascondere i capelli bianchi.

Le parrucche

La caduta dei capelli era un male di cui si soffriva anche in Egitto. La parrucca era un elemento basilare sia per le donne sia per gli uomini nei diversi momenti della vita sociale. Le donne dell'Antico Regno usavano frequentemente. Venivano fabbricate da artigiani specializzati o da barbieri che lavoravano in botteghe destinate a questo scopo specifico. Come supporto venivano utilizzate teste di fango. Le parrucche indicavano la posizione sociale di chi le portava. Erano usate durante cerimonie e banchetti, e per proteggere la testa dal sole.


 

La gravidanza e il parto

Gli egiziani adoravano i bambini e fonte di gioia era ogni nascita, specialmente se si trattava di un maschietto. La gravidanza era vissuta dalla donna con grande senso di responsabilità, si preparava seguendo una determinata alimentazione, si ungeva il ventre con olii per mantenere la pelle elastica ed era protetta dalla dea Tuaret insieme al dio Bes. La dea Heqet, rappresentata come una rana, era la protettrice della nuova vita, infatti le donne in gravidanza solevano portare amuleti raffiguranti una rana. Quando iniziava il travaglio, la gestante, si recava in un edificio detto "Mammisi" (Luogo della nascita) che era annesso al tempio dove la partoriente era assistita da donne esperte della sua stessa famiglia e da un'ostetrica. L'ideogramma che rappresenta il verbo partorire (mesi) viene rappresentato da una donna accovacciata con un bambino che nasce.

Come partoriva la donna egizia? Seduta su di una sedia forata, oppure accovacciata con i piedi appoggiati su dei mattoni, mentre l'ostetrica si inginocchiava pronta a prendere il bambino, non erano presenti medici e non venivano usati strumenti chirurgici a parte un coltello di ossidiana per tagliare il cordone ombelicale. Purtroppo c'era un alto rischio di mortalità e per questo il parto veniva accompagnato da formule magiche, riti, invocazioni agli dei affinchè attenuassero i dolori del travaglio e allontanassero possibili complicazioni. Le divinità che presenziavano alla nascita erano molteplici: Iside e Nefti proteggevano la partoriente, Meskhenet si occupava di dare un nome al neonato, Khnum modellava le membra e offriva al corpo la salute. Intorno al culla c'erano anche le sette Hathor che facevano i loro doni, positivi o negativi, al piccolo.

Dopo il parte la donna seguiva per quattordici giorni un rito di purificazione e poi riprendeva la sua vita nella comunità.


 

Il divorzio

La questione del divorzio non è molto conosciuta nelle epoche antiche. Sembra, comunque, che l'adulterio non fosse considerato motivo di divorzio. L'uomo aveva infatti il diritto di condurre nella propria casa delle concubine, ma per la donna non era la stessa cosa.

Tuttavia quando nel Medio regno apparve una forma di proprietà, la preservazione dei beni e dell' eredità spettanti ai figli resero necessario l'intervento della legge negli affari di divorzio. Il diritto legale non interveniva nella regolazione di questo genere di affari privati, che venivano affidati invece al semplice diritto contrattuale. Dunque i tribunali non avevano altro compito che quello di far rispettare le clausole dei liberi contratti che i coniugi stipulavano all'atto del matrimonio.
Dall'epoca saitica sino alla metà del periodo di dominazione del Lagidi, il divorzio non era consentito che al marito e la donna poteva solo salvaguardare i propri diritti mediante contratti che rendevano l'eventualità del divorzio fortemente svantaggiosa per l'uomo; per esempio poteva farsi approntare una dote fittizia che il marito, in caso di divorzio, sarebbe stato tenuto a renderle unitamente ad uno speciale vitalizio previsto dalle norme matrimoniali. Inoltre all'uomo poteva venire inflitta un'ammenda e i suoi beni potevano venire ipotecati per la somma che la donna stabiliva e per l'ammontare dell'ammenda, anch'essa fissata da contratto. Infine il marito era obbligato a disinvestire i suoi beni a favore del figlio maggiore, in modo che si potesse garantire la certezza dell'annuale versamento del vitalizio dovuto alla donna. Anche nell'epoca successiva sono state riscontrate analoghe disposizioni contrattuali, la sola differenza sostanziale è che ora è la donna a riservarsi il diritto al divorzio. Di conseguenza le formule in calce ai contratti cambiano e al posto del superato: " Se io ti disprezzo, se prendo un'altra donna, io ti darò ..." si trova:

"A partire da oggi solo tu potrai andartene. Io ti darò ...".
Dall'eccesso che sembra aver caratterizzato la punizione delle adultere nell'età classica, si è caduti in un eccesso contrario, ma ugualmente deplorevole.


 

La storia di Cleopatra

Cleopatra, nata ad Alessandria nel 69 a.C , era una donna di notevole cultura, ambiziosa, spregiudicata e di grande fascino. Quando il triumviro romano Giulio Cesare giunse ad Alessandria da conquistatore, era incorso un conflitto per il diritto al trono d'Egitto tra Cleopatra e suo fratello-sposo Tolomeo. Cesare, sedotto dalla donna, l'associò al trono insieme al fratello, che si oppose e fu combattuto e vinto triunviro. Cleopatra poi sposò un altro fratello poco più che bambino e divenne di fatto regina d'Egitto. In questa veste accompagnò Cesare a visitare il Regno di Roma, portandosi appresso il figlio che nel frattempo aveva avuto da lui. Alla morte di Cesare dovette rientrare in Egitto e qui iniziò una relazione col triunviro Marco Antonio. Antonio, che aveva dovuto assentarsi per 4 anni dall'Egitto per cercare di sistemare a Roma i difficili rapporti col triunviro Caio Ottavino e aveva fatto ritorno in Oriente dopo una sfortunata campagna contro i Parti, era ormai alla fine della sua avventura. Ottaviano, deciso a sbarazzarsi per sempre del rivale (che nel frattempo aveva sposato e poi ripudiato sua sorella, senza però interrompere la relazione con Cleopatra), approfittò del clima di riprovazione che le vicende dei due amanti suscitavano a Roma e dichiarò guerra all'Egitto. Costretti a una fuga precipitosa e vergognosa, Antonio e Cleopatra tornarono in Egitto e lì preferirono darsi la morte per sottostare alle umilianti pretese del vincitore. La regina scelse di morire facendosi mordere sul seno da un ospite (un serpente velenoso).

mercoledì 28 aprile 2010

Al di là di ogni valutazione storica e politica oggi ,28 aprile ricorre l'anniversario della morte di una donna che ,come disse Pertini,aveva avuto solo la colpa di amare troppo.
come molte altre donne.


Clara Petacci


Clara Petacci detta Claretta (Roma, 28 febbraio 1912 - Giulino di Mezzegra, Como, 28 aprile 1945) - è nota per essere stata a lungo legata sentimentalmente - fino a condividerne la morte - a Benito Mussolini.

Figlia di Giuseppina Persichetti e di Francesco Saverio Petacci (1883-1970), direttore per alcuni anni di una clinica a Roma e introdotto negli ambienti vaticani in qualità di medico archiatra, Clara - detta "Claretta" - pare fosse ammaliata dalla figura di Mussolini sin da giovanissima.

Sua sorella era l'attrice Miria di San Servolo (Roma, 31 maggio 1923 - Roma, 24 maggio 1991) (vero nome Maria Petacci). È conosciuta anche come Miriam Day o Miriam Petacci.

Nel 1932 Clara riuscì a conoscere Mussolini di persona ed a stringere con lui una relazione. La Petacci era allora già sposata con il tenente dell'Aeronautica Militare Italiana Riccardo Federici (dal quale si sarebbe separata ufficialmente nel 1936). All'epoca del suo incontro con Mussolini, Clara aveva vent'anni, trenta di meno del suo amante.

Mussolini era sposato dal 1915 con rito civile e dal 1925 con rito religioso con Rachele Guidi (detta "donna Rachele"), che aveva conosciuto già durante l'infanzia e alla quale era legato sin da prima del 1910. Gli erano inoltre state attribuite numerose amanti, tra le quali Ida Dalser (che gli diede il figlio Benito Albino Mussolini), e aveva da poco concluso una lunga ed importante relazione con Margherita Sarfatti.

Mussolini prese a frequentare la Petacci con regolarità, ricevendone le visite puntuali anche nel suo studio di Capo del governo a Palazzo Venezia. Clara rimase per molti anni fedele all'amato "Ben", come chiamava Mussolini anche nella corrispondenza, suscitando facezie ed amenità tra quanti ne erano informati. Diversi gerarchi del fascismo, d'altra parte, reputavano la relazione tra il duce e la Petacci - per quanto ufficialmente inesistente e tollerata da donna Rachele - molto inappropriata, perché possibile fonte di scandalo e di accuse di corruzione al regime.

Clara era appassionata di pittura e aveva aspirato a divenire attrice cinematografica. Ebbe il ruolo di compagna segreta di Mussolini, di cui condivise i momenti più bui e il destino finale, pare senza mai avanzare la pretesa che l'amante lasciasse per lei la moglie Rachele.

La vicinanza di Clara a Mussolini finì per innalzare il rango della sua famiglia, alimentando voci relative a favoritismi e possibili episodi di corruzione, dei quali veniva prevalentemente ritenuto responsabile il fratello Marcello.

Verso la fine del 1939 i Petacci si trasferirono dala residenza medio-borghese di via Spallanzani nella splendida villa "Camiluccia" (sita nell'omonima via in una zona esclusiva di Roma), progettata dagli architetti Vincenzo Monaco e Ugo Luccichenti, secondo l'allora imperante stile razionalista. Nonostante la ragguardevole ampiezza, la costruzione non comportò spese faraoniche, considerando che del costo totale di 350.000 lire, buona parte (225.000) vennero spese per il solo acquisto del terreno.

La grande casa era divisa in 32 locali distribuiti su due piani sovrastati da una terrazza. Nel sottosuolo, come nella residenza del duce di Villa Torlonia, era ricavato un rifugio antiaereo, mentre nell'ampio parco erano presenti anche una piscina, un campo da tennis, un giardino fiorito, curato da Clara, un orto e un pollaio, curati dalla madre. L'accesso al complesso era sorvegliato da una guardiola per il portiere ed una per la guardia presidenziale assegnata alla proprietà.

Nell'ala destra del piano terreno (probabilmente per ragioni di sicurezza dovute alla necessaria vicinanza con il rifugio) era posizionata l'alcova di Claretta e Benito. Composta da una camera con pareti e soffitto ricoperte da specchi ed arredata con mobili rosa, era servita da una stanza da bagno rivestita in marmo nero e dotata di grande vasca mosaicata, posta a filo del pavimento, che voleva imitare le vasche termali romane. All'indirizzo della residenza Petacci (via della Camilluccia 355/357) erano inviate numerose lettere che richiedevano i buoni uffici di Clara per petizioni rivolte a Mussolini.

Dopo la caduta del fascismo la villa fu confiscata con l'accusa che fosse stata acquistata con fondi sottratti dal bilancio dello Stato ad opera di Mussolini. La famiglia si oppose al provvedimento e ottenne che la villa fosse restituita, dimostrando l'accusa infondata. Più tardi la villa fu venduta, e finì in stato di abbandono, sino ad essere demolita per far posto ad un complesso di edifici che oggi ospita la sedi delle ambasciate dell'Iraq presso l'Italia e il Vaticano.

Travolta dagli eventi della seconda guerra mondiale, Clara Petacci fu arrestata il 25 luglio 1943, alla caduta del regime, per essere poi liberata l'8 settembre, quando venne annunciata la firma dell'armistizio di Cassibile.

Tutta la famiglia abbandonò Roma e si trasferì nel nord Italia controllato dalle forze tedesche, ove poi sorse la Repubblica di Salò. Clara si trasferì in una villa a Gardone, non lontano dalla residenza di Mussolini e dalla sede del governo repubblicano a Salò.

Il 27 aprile 1945, durante l'estremo tentativo di Mussolini di sottrarsi alla cattura, fu anch'ella bloccata a Dongo da una formazione della 51° Brigata partigiana, che intercettò la colonna di automezzi tedeschi con i quali il duce viaggiava. Taluni affermano che le sia stata offerta una via di scampo, da lei ricusata decisamente.

Il giorno dopo, 28 aprile, dopo il trasferimento a Giulino di Mezzegra, sul lago di Como, Mussolini e Clara furono entrambi fucilati, sebbene su Clara non pendesse alcuna condanna. La versione ufficiale della morte di Mussolini è stata tuttavia contestata ed esistono diverse versioni sull'andamento dei fatti.

.Nella stessa giornata anche il fratello di Clara, Marcello Petacci, fu giustiziato a Dongo dai partigiani, insieme ad altre quindici persone che accompagnavano la fuga di Mussolini.

Il giorno successivo, il 29 aprile, a piazzale Loreto (Milano), i corpi di Benito Mussolini e Claretta Petacci furono esposti (assieme a quelli delle persone fucilate a Dongo il giorno prima), appesi per i piedi alla pensilina di un distributore di carburanti, dopo essere stati oltraggiati dalla folla. Il luogo venne scelto per vendicare simbolicamente la strage di quindici partigiani e antifascisti, messi a morte per rappresaglia in quello stesso luogo il 10 agosto 1944.

Non appena comprese che c'era l'intenzione di appendere per i piedi anche il cadavere della Petacci alla pensilina, don Pollarolo, cappellano dei partigiani, prese l'iniziativa di chiedere ad una donna presente tra la folla una spilla da balia per fissare la gonna indossata dal corpo di Clara, che non indossava biancheria. Tale soluzione si rivelò però inefficace e così intervennero i pompieri, sopraggiunti con gli idranti a sedare l'ira della folla, a provvedere a mantenere ferma la gonna con una corda.

martedì 27 aprile 2010

Fantasmi nei castelli d'Irlanda 1 / 6

un affascinante video
Nella foto il più antico preservativo conservato.
Si trova nel Museo del Tirolo ed è datato 1640.
Prima di essere usato (poteva essere usato un tempo indefinito)veniva immerso a lungo nel latte tiepido,per sterilizzarlo.

CONTRACCEZIONE, PILLOLE DI STORIA


 


 

Ventotto piccoli confetti, grossi come una lenticchia e verdi come un pisello, confezionati in un argenteo blister di alluminio, così si presentava la pillola per la prima volta 47 anni fa. Secondo il parere di 200 prestigiosi storici né la teoria della relatività di Einstein, né la bomba atomica, né l'avvento dei computer e di Internet hanno avuto un impatto così forte sulla vita degli uomini del XX secolo. Destinata a cambiare il mondo, rappresentava il punto di arrivo di un cammino iniziato tanto tempo prima...


 

V secolo a.C: lo scienziato Ippocrate sembra aver messo a punto una serie di presunti anticoncezionali orali:

  • una miscela di solfato di ferro e rame
  • una preparazione derivata dal croco, dall'alloro, dai semi di ortica e dalle radici di peonia


 

Gli antichi Egizi usavano a scopo anticoncezionale dei piccoli coni composti di semi di melograno triturati e impastati con l'acqua. I semi di melograno contengono un estrogeno naturale ed è possibile che, come una pillola d'antan, questa mistura prevenisse l'ovulazione.


 

II secolo a.C.: compaiono allusioni, anche se di natura mitologica, sull'uso del preservativo maschile.


 

1550 a.C: in un papiro si trova quella che probabilmente rappresenta la prima "ricetta" anticoncezionale scritta. Gli storici ritengono che la sostanza utilizzata fosse sterco di coccodrillo che le antiche Egizie introducevano in vagina prima del coito.


 

Epoca greca e romana: presso Greci e Romani è attestato l'impiego di cappucci fatti con il lino e che, messi sul pene, erano impiegati a mo' di profilattici. In quest'epoca venivano impiegati dei profilattici fatti con l'intestino di animali, la pelle dei pesci o con tessuto di lino. Ma non erano certamente dei sicuri mezzi di contraccezione, visto che le gravidanze non volute erano diffusissime.


 

Cristianesimo: prevale una visione religiosa dell'atto sessuale visto non come fonte di piacere ma esclusivamente come mezzo di concepimento. Il tema della contraccezione vive un momento di oblio.


 

XVII e XVIII secolo: esaurito il fervore religioso e in risposta alle prime problematiche da sovraffollamento, si ricominciò a parlare di contraccezione. Risale a quest'epoca l'introduzione del condom e del bidet, ritenuto strumento di "amore pulito".

Si cominciarono a praticare le abluzioni anticoncezionali. La tendenza a esercitare nuovamente un controllo sulle nascite venne potenziata dalla diffusione delle idee dell'economista Malthus e in particolare del suo testo "Principle of population" che per la prima volta enunciava i pericoli legati alla sovrappopolazione.


 

1901: le ricerche diventano scientificamente valide. Il fisiologo Ludwig Haberlandt, di Innsbruck (1885-1932), dimostra che le mestruazioni sono regolate da un ormone prodotto nel centro del cervello e delle ovaie.


 

1912: nasce il concetto di "controllo delle nascite". Viene inaugurata infatti in Inghilterra la prima clinica di "birth control".


 

1919: Haberlandt, in animali da esperimento, individua il principio della pillola. Riesce a dimostrare, infatti, che le ovaie di coniglie gravide, espiantate e trapiantate in coniglie non gravide, impediscono in queste ultime l'ovulazione.


 

1926: la Camera dei Lord autorizza l'insegnamento delle teorie sul controllo della fertilità. Si parla però di "spaziamento delle nascite", concetto che richiamava a limiti biologici relativi a concepimenti troppo ravvicinati.


 

1928: Schering introduce sul mercato Progynon®, il primo farmaco ormonale estrogeno.


 

1929:
Adolf Butenandt (1903-1995), biochimico, premio Nobel, isola con successo l'estrone.


 

1933: Schering introduce sul mercato Proluton®, la prima preparazione a componente progestinica.


 

1934: nei laboratori Schering AG i chimici Schwenk e Hildebrand mettono a punto la sintesi dell'estradiolo. Questo è l'inizio della moderna terapia ormonale.
Butenandt e altri scienziati isolano l'ormone sessuale progesterone (ormone luteinico) dalle ovaie porcine.


 

1938: Hans Inhoffen e Walter Hohlweg, uomini Schering, scrivono la storia: nel laboratorio principale dell'azienda mettono a punto l'etinilestradiolo, che diverrà - e lo è tuttora - la componente estrogena dei contraccettivi orali. Gli scienziati, inoltre, realizzano la prima preparazione sintetica progestinica.


 

1944:
gli scienziati Bickenbach e Paulkovics, di Gottingen (Gottinga) inibiscono l'ovulazione nella donna, con l'impiego di progesterone.


 

1950:
Margaret Sanger, fondatrice dell'America and Planned Parenthood Federation, incontra il biochimico Gregory Pincus. La 71enne Sanger convince Pincus della necessità della contraccezione orale. La Sanger raccoglie 50.000 dollari. Ha inizio la ricerca.


 

1956:
Gregory Pincus, insieme ai colleghi Min Chuh Chang e John Rock, ginecologo di Harvard, conduce il primo trial su 60 donne volontarie. In questo stesso anno Pincus realizza con successo un trial su 6000 donne di Puerto Rico e Haiti.


 

1960: negli Stati Uniti viene registrato come contraccettivo Enovid®, prodotto dalla Searle.


 

1961: il 10 giugno connota il 1961 come anno fondamentale nella storia dell'umanità: la Schering di Berlino introduce sul mercato Anovlar®, il primo contraccettivo orale disponibile in Europa e, nello stesso anno, anche in Australia.


 

1965-1968: la diffusione della pillola incontra delle difficoltà: il suo impiego diventa argomento di dibattiti e discussioni in tutta Europa. Ne viene raccomandato l'uso solo per regolarizzare i disordini mestruali e solo nelle donne sposate.


 

1968: la rivolta studentesca e la rivoluzione sessuale incidono profondamente sulla realtà mondiale, modificandola. La pillola diventa il simbolo del cambiamento nel mondo Occidentale.


 

1971: la Corte Costituzionale italiana abroga l'art. 533 del codice penale, che proibiva ufficialmente la contraccezione nel nostro Paese.


 

1975: in Italia una legge istituisce i consultori pubblici all'interno dei quali è possibile pubblicizzare e informare liberamente sui contraccettivi.


 

1978: in Italia viene approvata la legge n.194 che legalizza l'interruzione volontaria di gravidanza.


 

domenica 25 aprile 2010

Il pane nel Medioevo


Regimina e Consilia


 



 

Alla fine del XIII secolo si assiste ad un incremento della produzione letteraria consacrata all'igiene, letteratura che vantava illustri precedenti a cominciare da quelli della scuola salernitana. Questo particolare fenomeno, che nasce nell’Italia delle corti principesche e dei ricchi mercanti appare legato all'interesse manifestato da queste élites per la conservazione della salute: lusso certamente negato ai ceti di censo inferiore, per i quali l’alimentazione restava ancora un problema puramente quantitativo. In Italia questo genere di letteratura si sviluppa essenzialmente in ambiente pontificio e alla corte di Federico II, anche se agli inizi del XIV secolo, dietro l'impulso dell'Università di Montpellier, i trattati medici su questo tema hanno grande impulso e popolarità. Da allora, il fenomeno va ben al di là dell'Italia, per estendersi a tutto l'occidente medievale. Il genere-tipo di questo tipo di letteratura, centrata quasi esclusivamente sugli aspetti preventivi è quello dei Regimina, comprendente sia i Regimina Sanitatis, raccolta di regole universali per la conservazione della salute attraverso una precettistica imperniata sulla dieta e l'igiene fisica, sia i trattati sulla conservazione della sanità ("De conservanda sanitate" ecc.) personalizzati e dedicati a qualche personaggio illustre, ma finalizzati non tanto a curare una singola affezione o comunque uno stato di malattia, quanto a mantenere il soggetto in buona salute.

Nello stesso periodo, accanto alla letteratura dei Regimina compare un nuovo genere di trattatistica a scopo terapeutico: i Consilia, prescrizioni mediche e dietetiche rivolte a pazienti individuati nominalmente, e destinati a curare una precisa malattia. Differisce quindi dal Regimen per essere rivolto ad un destinatario malato a cui si forniscono pareri autorevoli al riguardo del comportamento igienico da tenere per abbreviare o comunque migliorare lo stato di malattia.

Tenendo conto delle possibili varianti, la struttura-tipo di un consilium è costituita da tre sezioni. La prima prende in considerazione una situazione presente, effettiva: si descrive il paziente specificandone nome e cognome, età, sesso, posizione sociale, attività, a cui si fa seguire la descrizione della complessione, della malattia di cui soffre e l'identificazione delle sue cause. A questa sezione diciamo così "introduttiva" fa seguito l'indicazione di un regime dietetico che il paziente dovrà osservare, seguita anch'essa da una sezione finale che comprende la prescrizione di farmaci, con le loro ricette e la posologia, accompagnata da eventuali prescrizioni di interventi tecnici (salasso, bagno, cauterizzazione, fumigazione ecc.) dei quali si indicano l'ordine e la frequenza.

La frequenza della seconda parte, cioè della parte dietetica è costante e facilmente riconoscibile. Si intende per parte dietetica però non solo la prescrizione di un regime alimentare, ma il suggerimento di una serie di comportamenti, insomma quella che oggi si chiamerebbe "igiene di vita", basata sulle sex res non naturales. L'ordine delle sex res può comunque variare, ed alcune possono essere trattate più ampiamente rispetto ad altre.

  

venerdì 23 aprile 2010



 


 

Tradizione e rinnovamento: odissea nella preistoria


 

"All'alba dell'umanità vissero gli uomini di Neanderthal…
Durante la lunga era glaciale, abitavano nelle caverne in
Europa e nel vicino Oriente. Poi, 35.000 anni fa, apparve un nuovo Popolo, i Cro-Magnon. Per un breve periodo, questi due gruppi si divisero la scena della preistoria.
Che cosa avvenne ai Neanderthal è tuttora un mistero,
ma furono i Cro-Magnon che sopravvissero e iniziarono
la lunga scalata verso il mondo che ora conosciamo.
All'epoca delle grandi montagne di ghiaccio, gli antenati
del nostro Popolo seguivano le mandrie in una nuova terra. C'era una bambina fra loro, si chiamava Ayla e le leggende parlano ancora di lei."


 

(Dal film " Cro-Magnon: Odissea nella preistoria ")


 

La protagonista del film, tratto dal libro di Jean M. Auel "Ayla la figlia della terra", la cui storia si snoda lungo l'impervio sentiero dell'evoluzione e della maturazione umana, è una bambina Cro-Magnon che, persi i genitori durante un terremoto, viene ferita da un leone e quindi soccorsa da una tribù di Neanderthal, il Clan dell'Orso delle Caverne, presso il quale vive fino alla sua adolescenza, affrontando varie vicissitudini.

Diversa, sia fisicamente che psicologicamente, Ayla si scontrerà spesso con la rigidità del Clan, che ne osserva diffidente la corporatura alta e snella, gli occhi azzurri, i capelli biondi e che si ritrae sgomento di fronte alla sua capacità di parlare, di piangere, di ridere.


 

"Prima che arrivasse il nostro popolo, questa era la terra dei vecchi, il Clan dell'Orso delle Caverne. Quando la terra tremò, molti persero le loro dimore, molti morirono. Ma Brun, il capo, aveva ancora con sé Brud, il figlio della sua compagna, che sarebbe diventato capo dopo di lui. Poi venne Creb, il grande Mog-Ur, lo sciamano storpio, e lza, la guaritrice, sua sorella. Il Clan era debole, senza difese; sapeva che tra poco gli spiriti del vento avrebbero portato la neve e, la neve, la morte...

La bambina era una di noi, il nuovo popolo, il primo che il Clan dell'Orso delle Caverne avesse mai visto prima. Essa era la prova dell'esistenza degli Altri, gli strani Altri che minacciavano il mondo, che era sempre stato là, dov'era, e alcuni dissero di essersi rivolti agli spiriti, per farsi aiutare, perché avevano paura."


 

Per gli animisti, tutte le cose sono animate da spiriti, o forze buone o forze cattive.

In una società primitiva, l'animismo, inteso come sistema di pensiero, non dà soltanto spiegazione di un singolo fenomeno, ma permette di comprendere il mondo nella sua globalità, come traente origine da un unico punto.

Gli spiriti sarebbero delle anime divenute autonome, cioè scisse dai corpi ed anche le anime degli animali, delle piante, delle cose si sarebbero formate in modo analogo a quelle degli uomini.

La magia, che è governata dal principio dell'onnipotenza del pensiero, costituisce la parte più primitiva, ma anche la più significativa, della tecnica animistica, in quanto tra i mezzi di cui ci si serve per trattare gli spiriti, figurano i procedimenti magici.

Le premesse della magia sono, pertanto, anteriori alla teoria degli spiriti: essa si pone al servizio delle intenzioni più varie e molteplici, poiché serve a sottomettere alla volontà dell'uomo i processi della natura a proteggere l'individuo dai pericoli, a dargli il potere di nuocere ai nemici.

I riti magici sono fatti di tradizione, capaci di produrre qualcosa di diverso dalle convenzioni, 'creano', e sono molto efficaci, sono antireligiosi, irregolari, privati, segreti, misteriosi e, non facendo parte dei culti, tendono ai riti proibiti.

Il mago è l'agente dei riti magici, cui la magia, in molte società, è riservata.

Per essere un mago non basta volerlo; lo si diventa: per rivelazione, per consacrazione, per tradizione. Ci sono qualità il cui possesso distingue il mago dall'uomo comune e che sono in parte acquisite, in parte a lui attribuite, in parte da lui effettivamente possedute: lo sguardo vivo e penetrante, l'eccitabilità, la destrezza di mano, le conoscenze fuori dei comune, l'eventuale deformità ed anche la femminilità; tali qualità sono dei poteri e conferiscono dei poteri.

Ciò che tocca l'immaginazione è la facilità con cui il mago realizza tutto ciò che vuole. Ha poteri sulle cose, ma anche su se stesso e può sfruttare le paure collettive per esercitare il controllo sociale. L'anima del mago è essenzialmente mobile, separabile dal corpo e si libera dietro suo ordine, cosi, ogni individuo che abbia il potere di esalare la propria anima è un mago. Questa anima è il suo doppio, il che significa che non è una porzione della sua persona, ma la sua persona stessa.

Un esempio di questo aspetto della magia è la figura dello sciamano presso i popoli primitivi. Mediante la sua capacità di riconoscere, nella trance, 'il mondo dietro le cose' e attraverso la sua immaginazione, nei viaggi dell'anima, lo sciamano entra in contatto con gli spiriti, ricerca le forze costruttive e si sforza di tenere in pugno quelle distruttive. Per far fronte alla paura delle potenze sovrumane, gli sciamani possono contare sui loro spiriti protettori, generalmente degli animali: l'animale-totem è il più stretto e fidato compagno dello sciamano. Comparendogli in sogno, per comunicargli la sua vocazione e dotarlo di forze sovrannaturali, l'animale gli dà una certa parola o una melodia, mediante la quale potrà averlo al suo fianco, quando avrà bisogno di aiuto,

Anche i singoli membri del Clan hanno diritto ad un animale-totem, che ha un alto valore simbolico per loro stessi, per la famiglia, per gli amici ed anche per i nemici. Lo sciamano è, dunque, il tramite tra i membri dei Clan, le forze della natura e gli spiriti. La paura dello straniero era molto forte, presso i popoli primitivi, egli rappresentava un presagio di sventura e sovente fungeva da capro espiatorio, nel caso in cui gli spiriti avessero inviato segni nefasti ed anticipatori di calamità.


 

" I giorni Passavano ed essi non avevano trovato una caverna. Molti nel Clan erano certi che era stato qualche spirito malvagio a fare trovare la piccola Ayla sul loro cammino. Lei era una degli Altri e avrebbero dovuto lasciarla morire. Era questo che la 'memoria' aveva detto loro, erano le 'memorie' che governavano il Clan, l'antica conoscenza con la quale tutti erano nati. Le voci del passato.

... I Membri del Clan vivevano alla luce di una tradizione immutabile. Ogni aspetto della loro vita, dell'epoca in cui nascevano fino a quando venivano chiamati nel mondo degli spiriti, era circoscritto al passato. Erano lenti ad adattarsi. Le invenzioni erano casuali e spesso non utilizzate. Se qualcosa di nuovo accadeva, poteva essere aggiunto al loro patrimonio di informazioni, ma il cambiamento veniva realizzato solo con grande sforzo e, una volta che era loro imposto, seguivano il nuovo corso inflessibilmente. Diveniva troppo arduo modificarlo ancora".


 

La tradizione della sua cultura prescrive all'uomo 'cosa' e 'come' egli deve apprendere e gli vengono poste rigide limitazioni su ciò che non 'deve' apprendere.

Ogni accumulo di sapere si fonda sulla formazione di strutture rigide, che possono essere ereditate di generazione in generazione, solo se dotate di una invarianza relativamente alta.

Nonostante ogni deviazione da un modulo comportamentale sperimentato, venga percepito come sgradevole ed inquietante, la nascita del sapere umano può progredire solo a patto di demolire, passo dopo passo, elementi già assimilati, già conosciuti, per lasciare il posto a qualcosa di nuovo e superiore.

La paura di essere travolti dal flusso storico delle situazioni è un aspetto della paura dell'ignoto, che pervade l'essere umano da sempre.

Lo scopo di alcune difese, come le stereotipie e il conformismo, è quello di fornire delle nicchie protettive, entro le quali sia possibile scongiurare i rischi del divenire.

Adottando comportamenti stereotipati, ossia ripetendo uno stesso ciclo di atti, come quelli di un gruppo impegnato nei rituali collettivi, si cerca di immobi1izzare il flusso degli eventi, di controllare la realtà, di sopprimere il rischio del nuovo. Ne deriva la delega delle responsabilità dei propri comportamenti agli altri, una riduzione dell'osservazione, dell'apprendimento, dell'immaginazione, la rinuncia ad un rapporto vivo col mondo: una parziale ' pietrificazione '.


 

Consapevoli che dalla diversità possono scaturire eventi e situazioni straordinarie, sia pure dolorose, solo due persone accolgono Ayla senza riserve: lza, la guaritrice, con sollecitudine ed affetto cura le ferite infertele dal leone e la accetta come sua discendente, insegnandole l'arte della medicina; Creb, lo storpio e potente sciamano, ne intuisce l'acume e le eccezionali potenzialità e la ama come la figlia che la sua deformità gli ha impedito di avere.


 

" Ayla cercava di essere una bambina del Clan, ma sapeva che per molti costituiva una minaccia per le antiche usanze immutabili... Lei non aveva ancora un animale-totem che la proteggesse e soltanto Creb conosceva la magia per trovargliene uno... Dopo che Creb ebbe annunciato che era il leone delle caverne l'animale-totem di Ayla, lza pensò che un giorno lei e Creb non ci sarebbero più stati e che, senza di loro, Ayla sarebbe rimasta sola e così le insegnò la magia della guarigione, per darle un posto nel Clan, quando fosse giunto quel giorno ".


 

Col trascorrere delle stagioni, Ayla comincia ad essere accettata dai membri del Clan, fatta eccezione per Brud, il futuro capo:


 

" Il suo odio era l'odio del vecchio per il nuovo, del tradizionale per l'innovatore, del moribondo per il
vivo e
vitale... "


 

La sua insaziabile curiosità, l'intelligenza viva e penetrante la inducono a spiare le attività venatorie maschili, a costruirsi una fionda e, infine, dopo mesi di allenamento, a cacciare, sfidando le leggi e violando il tabù.

Durante una battuta di caccia, una iena attacca uno dei bambini ed Ayla, automaticamente, quasi il fardello del suo segreto fosse troppo gravoso da sopportare, la uccide, battendo in velocità ed abilità Brud, ma offrendogli un valido pretesto per vendicarsi.

Ayla ha osato trasgredire l'atavica legge del Clan: a qualsiasi donna usi un'arma, non può toccare una punizione inferiore della morte.


 

"…la maledizione di morte, la punizione suprema, che veniva inflitta ai membri del Clan che commettevano un grave crimine. Soltanto un capotribù poteva ordinare ad un Mog-Ur di invocare gli spiriti maligni ed esprimere una maledizione di morte. Un Mog-Ur non poteva rifiutarsi di fatto, benché fosse pericoloso per se stesso e per il Clan. Una volta maledetto, nessun membro del Clan si rivolgeva allo sciagurato, egli non esisteva più, era come morto. .. Qualcuno, abbandonato dal Clan, non era mai stato più rivisto. Ma, per lo più, costui smetteva di mangiare e di bere, facendo così diventare realtà la maledizione, nella quale anch'egli credeva. Di tanto in tanto, questa maledizione poteva essere imposta per un periodo limitato nel tempo, ma anche in quel caso, era spesso fatale poiché il malcapitato rinunciava a vivere per tutta la durata della punizione. Ma, se sopravviveva ad una maledizione limitata, veniva riaccettato nel Clan come membro a pieno titolo, riacquistando il suo rango precedente ".


 

Il tabù è il più antico codice non scritto dell'umanità; più antico degli dei, precede nei tempo ogni religione, in luogo della quale troviamo il totemismo, un sistema al contempo religioso e sociale.

Le restrizioni che nascono dal tabù sono diverse da quelle di carattere morale o religioso; non sono fatte risalire ad un comandamento divino, si impongono da sole; non hanno alcuna spiegazione e, incomprensibili per noi, appaiono del tutto naturali a coloro che ne sono dominati.

La tribù si sottomette ai divieti in modo spontaneo, perché è convinta che la trasgressione attirerebbe, automaticamente, gravissimi castighi su tutti loro.

La pena per la violazione di un tabù viene lasciata ad una disposizione interiore: il tabù violato si vendica da sé, poiché: 'chi ha calpestato un tabù, diviene egli stesso tabù', in quanto possiede la pericolosa capacità di indurre gli altri a seguire il suo esempio, risvegliando l'invidia, diviene contagioso e deve, pertanto, essere evitato.

Ayla, colpita dalla maledizione di morte temporanea, solo in virtù del fatto che il suo intervento ha salvato la vita di un bambino, è costretta a vivere fuori della caverna, sola, per la durata di un'intera luna.


 

" Ayla si gettò alla cieca, giù per il pendio e si inoltrò nel
la foresta, scossa da singhiozzi di dolore e di desolazione. Non vedeva dove andava e non gliene importava.
I rami si protendevano ad impedirle il cammino, ma lei vi si tuffava in mezzo, graffiandosi le braccia e le gambe.
Attraversò una gelida pozza d'acqua, ma non si accorse
di avere i piedi fradici, intorpiditi, finché inciampò su un
tronco e cadde per terra. Rimase sul suolo umido e freddo, desiderando che la morte arrivasse presto a liberarla
dalla sua disperazione. Non aveva più nulla. Né famiglia,
né Clan, né ragione di vivere. Era Morta, avevano detto
che era morta.

Mancò poco che il suo desiderio fosse realizzato.

Persa nel suo mondo di desolazione e di paura, non aveva toccato né cibo né acqua, per oltre due giorni, da
quando era tornata dalla caccia. Non aveva nessun indumento caldo addosso, i piedi le dolevano per il freddo..

.. Ma qualcosa in lei, era più forte del suo desiderio di morire, quello stesso impulso che l'aveva spinta a vagare, tanto tempo prima, quando un devastante terremoto
aveva strappato alla bambina di cinque anni amore, sicurezza e famiglia.

Una volontà indomabile di vivere, un irriducibile istinto di
sopravvivenza che non l'avrebbe mai lasciata, finché non
avesse avuto un barlume di vita".


 

Attaccamento e perdita sono due poli dell'esperienza che più profondamente agiscono nella formazione dell'individuo. Nell'infanzia, nella vita, fra i bisogni umani fondamentali, oltre all'alimentazione, è essenziale la necessità di stare accanto alla fonte di sostegno e di protezione.

Nelle società primitive, i bambini piccoli trascorrono molto tempo sulle spalle della madre o delle altre donne della tribù dimostrando che l'attaccamento all'adulto e l'angoscia che deriva dal distacco sono forme di comportamento sociale, utili alla specie, che si sono rinforzati attraverso meccanismi evolutivi e la trasmissione culturale.

Poiché l'attaccamento è una pulsione primaria, la separazione e la perdita sono causa di profondo dolore e possono suscitare effetti patologici per una rottura troppo precoce dei legami naturali.

La paura di perdere l'oggetto libidico è la principale forma d'ansia nel primo anno di vita del bambino e può riguardare anche la separazione da persone che hanno stabilito con lui rapporti sociali interattivi e alle quali egli è legato affettivamente. Anche nelle persone adulte l'essere solo suscita sensazioni sgradevoli e dolorose perché rappresenta un forte rischio, sia fisico che psicologico, benché la solitudine 'emotiva' sia ben più penosa di quella 'sociale', ossia dell'isolamento conseguente l'allontanamento dalla comunità.


 

Ayla trae da se stessa la forza per sopportare l'angoscia della solitudine: attendendo ai suoi stessi bisogni, procurandosi un riparo, del fuoco, del cibo, contando i giorni, incidendo delle tacche su un bastone, come le aveva insegnato Creb. Al suo rientro, i membri dei Clan sono sopraffatti dallo stupore, perché mai hanno conosciuto qualcuno sopravvissuto alla maledizione di morte, e la considerazione delle qualità eccezionali di Ayla spinge Brun, il capo, a chiedere al Mog-Ur una cerimonia che la consacri 'donna-che-caccia'.

La vita sembra riprendere il suo solito ritmo, scandito dalla raccolta delle erbe medicinali, nell'esercizio dal suo antico ruolo di guaritrice, e dalla ricerca della selvaggina, in quello nuovo di cacciatrice. Ma l'odio di Brud ed il suo desiderio di vendetta per quella 'femmina insolente', lo induce alla violenza, come se, possedendola fisicamente, potesse piegare e dominare, non solo la sua volontà, ma anche la sua stessa essenza.

L'esito di quella violenza è un figlio, Durc, che la ragazza accoglie con amore e circonda di tenere cure, vincendo ancora una volta, con coraggio e determinazione, la riluttanza del Clan verso un bambino di 'spiriti misti'.


 

Purtroppo, quando Brud, nominato capo, ordinerà contro di lei al nuovo Mog-Ur, succeduto all'ormai vecchio Creb, la maledizione di morte permanente, sarà costretta ad abbandonare, e stavolta per sempre, suo figlio ed il Clan dell'Orso delle Caverne, continuando la sua lunga odissea, alla ricerca dei suoi simili, gli Altri, e di qualcosa che dentro di lei ha più volte, oscuramente avvertito, ma che ancora le sfugge.


 

" Ayla puntò direttamente verso Brud e si erse in tutta la sua altezza davanti a lui…Lei lo stava guardando dall'alto basso, e non rannicchiata ai suoi piedi, come era
tenuta a fare una donna...

…Non sono morta, Brud. Non morirò. Tu non puoi farmi morire Puoi costringermi ad andarmene, puoi portarmi
via mio figlio, ma non puoi farmi morire!

…L'ultima cosa che Ayla udì, mentre scompariva al di
là della cresta spezzata, fu il lungo gemito di Durc ."


 

Ayla è l'espressione personificata dell'umana ambivalenza fra la paura atavica dell'ignoto e fa curiosità esplorativa, fra la richiesta di protezione e la ricerca del rischio: atteggiamenti opposti, ma universali, archetipi che affiorano dalle profondità dell'inconscio.

Nell'esistenza dell'uomo si avvicendano tante, successive nascite: quando, da bambino, incomincia a camminare, ampliando, per la prima volta,il suo orizzonte; quando, dall'ambiente familiare, si inserisce in quello scolastico; quando, nell'adolescenza, scopre il mondo e si svincola dai legami affettivi della famiglia; quando affronta la vita lavorativa, lasciando per sempre l'ambito scolastico.

Ognuna di queste situazioni rappresenta una difficoltà, che viene affrontata con inquietudine e, talvolta, con dolorosa pena; ogni volta, l'ignoto si annuncia e l'essere umano inciampa in nuovi ostacoli, costretto ad assolvere a nuovi compiti, ad iniziative e responsabilità personali: solo, privato del sostegno della consuetudine e della protezione affettiva che avevano caratterizzato lo stadio precedente. La titubanza e le reazioni emotive intense sono l'espressione delle difficoltà di tali situazioni, dell'affanno che le caratterizzano, dei tentativi effettuati per sottrarsi a quelle prove che, inevitabilmente, ci costringono ad affrontare.

L'elemento che questi passaggi hanno in comune, al punto da poterli considerare tante nascite successive, è dato dalla perdita improvvisa o dal distacco ineluttabile da un oggetto libidico, da cui il soggetto si attende affetto e protezione, e scaturisce da un evento primordiale: l'angoscia che il lattante subisce, quando vive l'assenza o l'allontanamento dalla madre e che lo precipita in un baratro di sofferenza e di desolante solitudine, in cui avverte dolorosamente la propria incapacità di appagare i suoi bisogni.

In un processo evolutivo normale, si ha un passaggio graduale dallo stato di completa dipendenza dalla madre ad uno di sempre maggiore autonomia, caratterizzato dalla crescente fiducia in se stessi.

Se è vero, dunque, che la dipendenza è totale nelle prime fasi dell'esistenza, è pure vero che essa diminuisce col tempo: l'instaurazione del rapporto oggettuale, che pone fine al regime di 'unità a due', segna il passaggio dalla passività all'attività nell'espressione emotiva.

Anche il gruppo è, o dovrebbe essere, soltanto una soluzione provvisoria. Attraverso gli altri, l'adolescente ha preso coscienza di sé, delle proprie possibilità e del proprio valore: è in se stesso che ricerca, oramai, la propria ragione d'essere.

L'aggregazione ad un gruppo consente, all'inizio, una normale spinta evolutiva, ma può diventare nociva, alienante, uno stratagemma per sfuggire le responsabilità, e la sottomissione all'ideale collettivo può implicare la rinuncia ad ogni iniziativa e riflessione personale.

Attraverso il processo che pone ordine all'ambiente sociale, ('categorizzazione sociale'), le persone si aggregano in modo proficuo e significativo per l'individuo, aiutandolo a strutturare ed a comprendere l'ambiente e, poiché l'identità sociale è anche la consapevolezza di appartenere ad un gruppo, ne consegue che un individuo tende a rimanere membro di quel gruppo fino a quando questo contribuisce a stabilire un'identità sociale positiva: in caso contrario, se gli sarà possibile, tenderà a lasciarlo. L'abbandono momentaneo o definitivo delle antiche identificazioni crea un vuoto e lascia l'adolescente emotivamente disorientato e spaventato. Per scoprire se stesso, egli si mette alla ricerca di nuovi modelli, di nuove identificazioni ed avverte il bisogno di spezzare tutti i legami precedenti, manifestandolo, a volte, anche con gesti aggressivi. L'autonomia intellettuale suscita il desiderio di sfruttare ed esercitare la capacità di analisi critica delle situazioni, che l'adolescente ha appena conseguito, mediante esperienze nuove e personali, di tipo esplorativo, avventuroso, competitivo, effettuate in ambienti diversi.

Benché alcune culture assecondino più di altre l'autonomia, la spinta verso l'emancipazione è universalmente incoraggiata, perché non sarebbe concepibile una società costituita esclusivamente da adulti psicologicamente dipendenti.

L'attaccamento è una forma di dipendenza proficua e favorevole all'emancipazione, ma una forte dipendenza è di ostacolo all'autonomia.

Ecco perché, per realizzarci compiutamente come individui, dobbiamo allentare i legami che ci tengono avvinti alle figure genitoriali interiorizzate.


 

BIBLIOGRAFIA


 

M Mauss - Teoria generale della magia -, Torino 1965, ed. Einaudi

S. Freud - Totem e tabù -, Milano 1975, ed. Garzanti

K. Lorenz - L'altra faccia dello specchio -, Milano 1974, ed. Adelphi

M. Deutsch, R. M. Krauss - La psicologia sociale contemporanea -, Bologna 1972, ed. Il Mulino

B. Reymond Rivier - Lo sviluppo sociale del bambino e dell'adolescente - Firenze 1970, ed. La Nuova Italia

A. Oliviero Ferraris - Psicologia della paura -, Torino 1980, Universal scient, Boringhieri

G. Cramer - Alla ricerca dell'anima perduta -, Rivista 'Psicologia contemporanea' Anno 1987, N- 80

C. Musatti - Trattato di psicologia -, Torino 1977, ed. Boringhieri

J. Bowlby - Attaccamento e perdita -, Torino 1977, ed. Boringhieri

J. M. Auel - Ayla la figlia della terra -, Milano 1988, ed. Longanesi

J. M. Auel - Gli eletti di Mut -, Milano 1987, ed. Longanesi

J. M. Auel - La valle dei cavalli -, Milano 1986, ed. Longanesi

giovedì 22 aprile 2010


La nascita della Dea<
>Un'immagine di donna conservata per circa 20 mila anni in una caverna tempio, ci descrive la mente dei nostri primi antenatiE' molto piccola ed è stata intagliata nella pietra, è una delle cosìdette Veneri trovate un po' ovunque nell'Europa preistorica, dai Balcani al lago Baikal in Siberia, e in occidente da Willendorf, vicino a Vienna, alle Grotte du Pape in Francia. Insieme ai dipinti murali, alle caverne-tempio e ai luoghi di inumazione, queste statuette sono degli importanti documenti psichici delle popolazioni del Paleolitico.Contemporaneamente al primo manifestarsi della coscienza del rapporto tra l'individuo e gli altri esseri umani, gli animali e il resto della natura, deve essere sorta anche la consapevolezza del mistero, e dell'importanza pratica del fatto che la vita abbia origine da un corpo femminile.Sembrerebbe che il punto centrale sia l'associazione della donna con il potere di donare e di sostenere la vita. La più antica rappresentazione delle parti del corpo femminile - seni, glutei, ventre, vulva - risale al tempo in cui i popoli, non avendo ancora capito il processo biologico della riproduzione (l'accopiamento come causa di gravidanza), dovettero darsi una divinità che fosse l'estensione macrocosmica del corpo femminile. Si tratta di una Creatrice cosmica, dispensatrice della vita e della nascita. A queste parti del corpo femminile fu attribuito il potere miracoloso della procreazione. La misteriosa umidità del sesso e i labirintici organi uterini divennero la magica fonte della vita.

Molto lontane dall'essere pura espressione dell'erotismo maschile, queste figure rivelano che fin dall'inizio, la volontà di vita dell'essere umano si espresse e trovò conforto in un gran numero di miti e di rituali, che denotano il nesso tra la donna e i poteri che governano la vita e la morte. Sembra che la colocazione rituale di conchiglie a forma di vagina intorno e sopra il morto, quanto la pratica di ricoprirle con pigmento rosso ocra (che simboleggia il potere vivificante del sangue), facessero parte di un rituale funebre inteso a fare ritornare il defunto tramite una rinascita. Esistono anche prove che pare servissero a propiziare la fecondità delle piante e degli animali selvatici che erano il mezzo di sustentamento della gente e, nel rifuggio di roccia di Cogul, in Catalogna, è raffigurata una scena di donne che danzano intorno ad una piccola figura maschile svestita, in quella che sembra essere una cerimonia religiosa.

Compare nel Paleolitico Superiore la rappresentazione della Dea Dispensatrice di Vita, nella posizione di partoriente o dalla vulva come pars pro toto; tali simboli continuarono ad essere presenti nel Neolitico e anche in epoche successiveLa Dea è collegata alle madri molto giovani nelle forme di animali quali l'orso, la cerva, il daino, e, nel Paleolitico Superiore, come bisonte femmina o giumenta. La continuità di tali immagini nella tarda preistoria e perfino in epoca storica si può spiegare non solo con l'indistruttibilità di simboli, collegati alla nascita e alla maternità, fortemente radicati, ma anche come memoria profonda assorbita di un sistema matrilineare, in un'epoca in cui la paternità era difficile da stabilire. Anche i simboli della fertilità e della gestazione affondano le radici nel Paleolitico Superiore, comparendo già allora la Dea Gravida, in origine forse divinità lunare (perchè tonda come la luna piena). Era centrale l'evidente timore reverenziale e la meraviglia per la nascita che s'incarna nel corpo della donna.

Con il passaggio all'economia neolitica si produssero notevoli innovazioni.
La nostra coscienza della preistoria progredì moltissimo grazie alla scoperta delle città Neolitiche di Çatal Huyuk e Hacilar, nella Turchia centrale. Secondo James Mellaart, che diresse gli scavi per conto del British Institute of Archeology di Ankara, "il fatto più interessante è che gli scavi in questi due siti rivelano una stabilità e una continuità dello sviluppo, durato forse diverse migliaia di anni, delle culture sempre più avanzate che adoravano la dea"..." Si può dimostrare una continuità religiosa da Çatal Huyuk e Hacilar fino alle grandi "Dee Madri" di epoca arcaica e classica" e che "l'interpretazione dell'arte del Paleolitico Superiore incentrata sul tema di un complesso simbolismo femminile (sotto forma di animali e simboli), mostra forti somiglianze con le immagini religiose di Çatal Huyuk e Hacilar".

Sebbene si parli molto poco di questo, i numerosi scavi neolitici in cui sono state trovate statuette e simboli della dea coprono una vasta area geografica, che va ben oltre il Vicino e Medio Oriente, come dall'India fino all'Isola di Malta, nel Mediterraneo, per esempio. Insomma, quasi ovunque, i luoghi dove avvennero i grandi progressi sociali e materiali della tecnologia hanno il culto della Dea come caratteristica comune.

Risale probabilmente a questo primissimo periodo neolitico l'origine del concetto della Dea Dispensatrice di Vita e di Nascita come Fato, poichè decide della durata della vita, della felicità e della salute, e come filatrice o tessitrice perfino dell'esistenza umana (il primo animale addomesticato, l'ariete, divenne sacro alla Dea Uccello e la Dea divenne così associata alla tessitura e alla tosatura).

Contemporaneamente, la scoperta della ceramica aprì altri orizzonti verso la creazione di nuove forme scultoree, e verso un nuovo modo di raffigurare i simboli attraverso la pittura su ceramica. Apparvero quindi i vasi antropomorfi a forma di donna-uccello (chiamati askoi) e motivi decorativi come corsi d'acqua, triangoli, bande decorate a rete, spirali, serpenti e spire serpentine divennero predominanti.

Nella nuova economia agricola, la Dea Gravida del Paleolitico fu trasformata in una divinità della Fertilità della Terra diventando simbolo del ciclo vitale della vegetazione (nascita, fioritura, morte). Acquistarono grande importanza gli aspetti legati alla fecondità di uomini e animali, l'abbondanza dei raccolti, la fioritura delle piante e i processi della crescita e dell'ingrassamento (la scrofa divenne sacra a questa Dea per le sue capacità di crescita veloce e di ingrassamento). La rappresentazione del mutamento delle stagioni si intensificò, manifestandosi nei rituali estivi/invernali o primaverili/autunnali e nella comparsa dell'immagine di una madre/sorella e di un Dio maschile, spirito della vegetazione che nasce e muore.
Ora sappiamo che l'agricoltura - non solo l'addosmesticamento degli animali, ma anche delle piante selvatiche - risale ad un'epoca molto più antica di quanto si credeva in precedenza. I primi segni di quella che gli archeologi definiscono la rivoluzione agricola, o del Neolitico, iniziano a manifestarsi tra il 9000 e l'8000 a.C., e ciò significa più di diecimila anni fa.

Nel corso della preistoria le immagini della morte non sono predominanti su quelle della vita, ma sono combinate con i simboli della rigenerazione. Anche la Messaggera e la Reggitrice di Morte sono coinvolte nella rigenerazione. Questo motivo appare molto spesso: teste di avvoltoio sono poste tra i seni; fauci e zanne di feroci cinghiali sono coperte di seni (come nei santuari del VII millennio di Çatal Huyuk); le immagini della Dea Civetta dell'Europa occidentale sulle pareti delle tombe megalitiche e sulle stele hanno i seni oppure il loro corpo interno è un labirinto creatore di vita, con una vulva nel centro. La Dispensatrice di Vita può trasformarsi in una spaventosa immagine di morte oppure essendo rappresentata come un nudo rigido con uno sproporzionato triangolo pubico in cui comincia la trasformazione della morte in vita. Questa raffigurazione del Paleolitico Superiore, è l'antenata dell'antico nudo rigido europeo in marmo, alabastro, pietra di colore chiaro od osso: materiali che hanno il colore della morte.

Durante il Neolitico, tombe e templi presero la forma dell'uovo, della vagina e dell'utero della Dea, o del suo intero corpo. Le tombe a corridoio megalitiche dell'Europa occidentale simboleggiavano con grande probabilità la vagina (corridoio) e il ventre gravido (tholos, camera rotonda) della Dea. La forma di una tomba è simile alla collina naturale con un omphalos (pietra che simboleggia l'ombelico) sulla sommità, simbolo universale del ventre gravido della Dea Madre con il cordone umbelicale, come si riscontra nel folclore europeo.

Serpenti antitetici o teste a spirali riempiono l'antica decorazione europea fatta con argilla con i loro movimenti e torsioni. Vortici, croci e una varietà di segni quadrangolari sono simboli di dinamismo nella natura che assicura la nascita della vita e muove la ruota del tempo ciclico dalla morte alla vita, perchè la vita si perpetui.

La spiegazione tradizionale delle statuete femminili può essere considerata più una proiezione di steriotipi che un'interpretazione logica di un'osservazione.

Come scrive la Eisler, "Sembra del tutto plausibile che l'evidente dimorfismo, cioè la differenza di forma tra le due metà dell'umanità, abbia avuto un profondo effetto sui sistemi di fede del Paleolitico. Sembra altretanto logico che la costatazione che la vita umana e quella animale sono generate dal corpo femminile, e che il corpo della donna, come le stagioni e la luna, segue dei cicli, abbia portato i nostri progenitori a considerare femminili, anziché maschili, i poteri del mondo che danno e mantengono la vita."

La rosa ha anche notevoli proprietà nella cura del viso e nel corpo.
Fino dall'antichità ,le donne hanno usato l'acqua di rose per la bellezza della pelle.

rosa - usi in erboristica e cosmesi

 


 

> Acqua di rose

Fare bollire in mezzo litro di acqua 50 gr. di petali di rosa, coprire, lasciare in infusione 5 minuti filtrare e travasare.
Si può fare anche versando 1 litro di acqua bollente su 30 gr. di petali secchi e lasciare in infusione per un 20 minuti.
Si usano i petali della rosa di macchia (rosa canina l.).
[Dario - 23/05/02]

> Infuso

L'infuso di petali di rosa, se applicato sulla pelle, è astringente, tonico e rinfrescante. Preparatelo nel modo seguente:
Cogliete un 1/4 di litro di petali da rose che stanno sbocciando (calcolate questa misura comprimendo leggermente i petali nel recipiente). Versate sopra di essi 200 ml di acqua bollente, coprite e lasciate raffreddare.
Filtrate attraverso un panno, strizzando bene i petali in modo da recuperare tutto il liquido che essi contengono. Bagnate delle compresse di cotone idrofilo nell'infuso che avete preparato e applicate sulla pelle del viso per qualche minuto; poi togliete le compresse e lasciate asciugare naturalmente.
Potete anche utilizzare questo infuso per realizzare una lozione idratante per la notte: mescolate 2 cucchiai di infuso di petali di rosa con 1 cucchiaio di acqua di rose (quella che viene venduta in profumeria) e 1 cucchiaio di glicerina. Applicate sulla pelle del viso e del collo tamponando con una compressa di ovatta, dopo esservi struccate.
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