mercoledì 7 aprile 2010


Cibo, cucina, feste e banchetti nel Medio Evo e nel Rinascimento

di Paul Lacroix, curatore della Biblioteca Imperiale dell'Arsenale, Parigi

traduzione italiana a cura di Francesco Riva

Quale tipo di pane avrebbe mangiato un soldato di Carlo Magno? E una dama del Basso Medio Evo come avrebbe gustato una zuppa? Perché le città sotto assedio facevano grandi scorte di biscotti? Tanto lo scrittore in cerca di conferme per evitare anacronismi nelle proprie opere quanto l'appassionato del periodo medievale e rinascimentale potranno trovare qui risposte a queste e a molte altre domande relative al cibo, la cucina, le feste e i banchetti dalla caduta dell'Impero romano fino alla fine del Rinascimento. Prima parte: il pane, le piante e i vegetali usati in cucina

Cibo e Cucina

"La vita privata del popolo", afferma Legrand d'Aussy, che ha studiato quella dei Francesi unicamente da un punto di vista gastronomico, "dalla fondazione della monarchia fino al XVIII secolo, deve, come quella del genere umano in generale, cominciare con l'ottenere il primo e più pressante dei suoi requisiti. Non soddisfatto dall'aver ottenuto cibo per il sostentamento, l'uomo ha in seguito aggiunto ai pasti altro che soddisfacesse il proprio gusto. Egli non aspetta più di essere affamato, ma anticipa quella sensazione e l'accresce con salse e condimenti. In una frase, la sua ingordigia ha creato in questo campo una scienza complicata e diffusa che, tra le nazioni considerate civilizzate, è divenuta molto importante ed è designata come arte culinaria."

In ogni tempo, gli abitanti di qualsiasi paese hanno sfruttato la natura del suolo sul quale vivevano forzandolo a produrre ciò che sembrava gli avrebbe sempre rifiutato. La volontà di procurarsi il cibo, che l'abilità umana non era in grado di ricavare da un particolare suolo o in un determinato clima, segnò la nascita del commercio col paese che lo produceva. Ciò ha portato Rabelais a dire che la pancia è la madre e padrona dell'industria.

Daremo ora un rapido sguardo ai prodotti alimentari che i nostri progenitori ricavavano dal regno animale e vegetale e poi tracceremo i progressi dell'arte culinaria ed esamineremo le regole delle feste e altri aspetti appartenenti ai costumi epicurei del Medio Evo.

Il pane

I Galli, i quali abitavano principalmente in profonde e folte foreste, si nutrivano di erbe e frutta, in particolare ghiande. E' persino possibile che la venerazione in cui essi tenevano la quercia non avesse altra origine che questa. Tale cibo fu mantenuto in uso, almeno in tempi di carestia, fino all'VIII secolo e troviamo nelle regole di San Crodegando che se, in conseguenza di un anno cattivo, le ghiande o le nocciole fossero divenute scarse, era dovere del vescovo fornire un alimento sostitutivo. Otto secoli più tardi, quando René du Bellay, Vescovo di Mans, riportò a Francesco I la tremenda povertà della sua diocesi, egli informò il re dicendo che gli abitanti in molti luoghi erano ridotti a sopravvivere grazie al pane di ghianda.

In tempi antichi il pane era cucinato sotto la brace. L'uso di forni fu introdotto in Europa dai Romani che li avevano trovati in Egitto. Ma, nonostante questa innovazione, il vecchio sistema di cottura fu lungamente utilizzato, tanto che nel X secolo Raimbold, abate del monastero di St. Thierry, vicino Rheims, ordinò nel suo testamento che nel giorno della sua morte fosse dato ai suoi monaci il pane cucinato sotto le ceneri, "panes subcinericios". Secondo il diritto feudale, il signore era obbligato a cuocere il pane dei suoi vassalli, per il quale essi erano tassati, ma questi ultimi spesso preferivano cucinare la farina in casa, sotto le ceneri dei propri focolari, piuttosto che trasportarlo ai forni pubblici.

Si deve chiarire che l'uso di far lievitare l'impasto con l'aggiunta di un fermento non era universalmente adottato dagli antichi. Per questa ragione, poiché l'impasto senza lievito poteva produrre solo un pane duro e scarsamente digeribile, essi erano molto attenti ad assicurarsi che i loro pani cuocessero interamente, modellandoli molto sottili. Queste pagnotte servivano anche come piatti su cui tagliare altro cibo e quando divenivano saturi di salsa e sugo, essi erano mangiati come torte. L'uso di tourteaux (piccole pagnotte con crosta), che originariamente erano chiamate tranchoirs e successivamente tailloirs, rimase a lungo di moda persino nei banchetti più sontuosi. Perciò, nel 1336, il Delfino di Vienna, Hubert II, ebbe, oltre a pane bianco, quattro pagnotte da servire a tavola come tranchoirs. Il "Manger de Paris" menziona "des pains de tranchouers mezzo piede in diametro e spessi quattro dita" e lo storico Froissart parla anche di tailloirs.

E' difficile indicare l'esatto periodo in cui il pane lievitato fu adottato in Europa, ma possiamo affermare che nel Medio Evo esso fosse tutt'altro che comune. Lo lievito che, secondo Plinio, era già conosciuto dai Galli, era riservato alla pasticceria e fu solo alla fine del XVI secolo che i panettieri di Parigi lo usarono per il pane.

In principio i mestieri di mugnaio e panettiere erano esercitati dalla stessa persona. L'uomo che si occupava della macinazione del grano aveva dei forni vicino al proprio mulino che permettevano al suo signore di cuocere il pane quando non delegava l'incombenza alle persone che gli mandavano il grano per essere macinato.

In un periodo successivo, i panettieri pubblici non solo cuocevano i pani che erano portati loro già impastati, ma producevano anche pane che poi vendevano a peso. Questo sistema è rimasto in uso fino a tempi recenti in alcune province.

Carlo Magno, nei suoi capitolari (statuti), fissa il numero di panettieri in ogni città in base alla popolazione e San Luigi li esenta, come i mugnai, dai loro turni di guardia cosicché non avrebbero potuto avere pretesti per fermare o trascurare il loro lavoro, considerato di pubblica utilità. Nondimeno, i panettieri come corporazione non divennero mai ricchi o potenti.

Si crede comunemente che il nome di boulanger (panettiere) abbia avuto origine dal fatto che la forma dei pani fatti a quel tempo fosse molto simile a quella di una palla rotonda. Ma i pani variavano molto per forma, qualità e, di conseguenza, nome, tanto che nel suo "Dizionario delle parole oscure" l'erudito Du Cange ne specifica almeno venti tipi fatti durante il XII e XIII secolo e tra loro si possono menzionare il pane di corte, il pane del papa, il pane del cavaliere, il pane dello scudiero, il pane dei pari, il pane del valletto, ecc.

Il pane più famoso era il pane bianco di Chailly o Chilly, un villaggio quattro leghe (n.d.t. circa quindici chilometri) a sud di Parigi, che appariva sulle tavole dell'elite del XIV secolo. Il pain mollet, o pane soffice fatto con latte e burro, sebbene molto in uso prima di questo, divenne di moda solo dopo l'arrivo di Maria dei Medici in Francia (1600), poiché questa principessa toscana lo trovava particolarmente di suo gusto e non avrebbe mangiato altro.

Il pane ordinario di Parigi comprendeva il pane rousset utilizzato per la zuppa; il pane bourgeoisie e il pane chaland o del cliente, dove quest'ultimo indicava un nome generico dato a tutte le tipologie inviate giornalmente dai villaggi vicini alla capitale. Tra le varietà meglio conosciute, menzioneremo solo il pane Corbeil, il pane del cane e il pane di due colori che era composto di strati alternati di grano e segale, ed era usato da persone con pochi mezzi; esisteva anche il pane Gonesse che ha mantenuto la sua reputazione fino ai giorni nostri.

Il pane da tavola, che in provincia era servito alle tavole dei ricchi, era di tali dimensioni che uno di loro sarebbe stato sufficiente per un uomo di appetito ordinario, persino dopo aver rimosso la crosta, che poi era considerato gentile offrire alle signore, le quali la immergevano nella loro zuppa. Per i servi veniva cucinato un pane di qualità inferiore chiamato pane comune.

In molte contee cospargevano il pane, prima di riporlo nel forno, con linosa polverizzata, un uso che sussiste ancora. Normalmente si aggiungeva il sale alla farina, tranne in alcune località, specialmente a Parigi, dove, a causa del suo prezzo, esso veniva miscelato solo nelle qualità più costose.

Il grano maggiormente stimato per fini culinari era quello di Brie, Champagne e Bassigny, mentre quello del Delfinato era ritenuto di scarso valore perché si diceva contenesse così tante tare e spighe senza valore che il pane fatto con questa varietà provocasse mal di testa e altri disturbi.

Un'antica cronaca dei tempi di Carlo Magno fa menzione di un pane cotto due volte, anche chiamato biscotto. Questo pane era molto duro e perciò più facile da conservare rispetto a ogni altra varietà. Era molto utilizzato per rifornire navi o città minacciate da un assedio, come pure in istituti religiosi. In un periodo successivo, biscotti delicati furono realizzati con un tipo di impasto asciutto e friabile che conservò lo stesso nome. Fin dal XVI secolo, Rheims si era guadagnata una grande reputazione per questo cibo.

Il pane fatto con orzo, avena o miglio fu sempre considerato cibo rozzo al quale il povero faceva ricorso negli anni di bisogno. Il pane d'orzo era, inoltre, utilizzato come metodo di punizione e i monaci che avevano commesso una qualsiasi seria offesa alla disciplina erano condannati a sostentarsi con esso per un determinato periodo.

Anche il pane di segale era considerato di scarsissimo valore, sebbene in certe province, come il Lionese, Forez e Auvergne, fosse generalmente usato dalla popolazione rurale e gli fosse attribuita la qualità, ci dice Bruyerin Champier nel suo trattato De re Cibaria, di "preservare la bellezza e la freschezza delle donne". Successivamente, i dottori di Parigi ordinarono di frequente l'uso di pane fatto per metà di grano e per metà di segale come mezzo "per conservare la salute". Il grano nero, chiamato anche grano saraceno, che era stato introdotto in Europa dai Mori e Saraceni quando avevano conquistato la Spagna, si diffuse velocemente nelle province settentrionali, specialmente nelle Fiandre, dove, grazie alla sua facile coltivazione e quasi certo raccolto, evitò molte sofferenze agli abitanti che erano continuamente minacciati dalla carestia.

Fu solo più tardi che il mais, o granoturco, fu coltivato nel sud e il riso divenne d'uso comune. Tuttavia questi due tipi di cereali, entrambi equamente inutili per il pane, furono impiegati il primo per l'ingrasso del pollame, il secondo per la realizzazione di torte che, comunque, erano poco apprezzate.

Piante e vegetali utilizzati in cucina

Dai più antichi documenti storici scopriamo che, nel periodo iniziale della monarchia francese, i vegetali freschi o essiccati erano il cibo comune del popolo. Plinio attribuisce un'origine gallica a certe radici e tra loro le cipolle e la pastinaca che i Romani coltivavano nei propri giardini per l'uso a tavola.

E' evidente, comunque, che i vegetali non furono mai considerati come capaci di fornire un solido nutrimento, poiché essi furono usati quasi esclusivamente dalle comunità monastiche nel corso di voti di estrema penitenza.

Uno statuto di Carlo Magno, nel quale sono elencate le piante utili desiderate dall'imperatore e coltivate nei suoi domini, ci mostra che in quel periodo la maggior parte dei nostri vegetali commestibili fosse in uso, in quanto vengono menzionati il finocchio, l'aglio, il prezzemolo, lo scalogno, le cipolle, il crescione, l'indivia, la lattuga, la barbabietola, il cavolo, i porri, le carote, i carciofi, oltre a fagioli semplici e lunghi, piselli o veccia italiana e le lenticchie.

Nel XIII secolo, le piante commestibili andavano sotto l'appellativo generale di aigrun e tra loro, in data successiva, erano comprese le arance, i limoni e altri frutti acidi. San Luigi aggiunse a questa categoria persino frutti con guscio duro, come le noci, le nocciole e le castagne. E quando la gilda dei fruttivendoli di Parigi ricevette i suoi statuti nel 1608, essi erano ancora chiamati "venditori di frutta e aigrun".

I vegetali e le piante commestibili menzionati nel "Menagier de Paris", che è databile al XIV secolo, e nel trattato "De Obsoniis" di Platina (il nome adottato dall'italiano Bartolomeo Sacchi), databile al XV secolo, ci inducono a supporre che l'orticoltura alimentare avesse fatto molti progressi dal tempo di Carlo Magno. Inoltre, ci stupisce trovare il cardo elencato tra i piatti scelti; tuttavia non si può trattare del cardo comune, ma piuttosto di un'indicazione generica riferita alla zucca, che si trova ancora sulle tavole delle classi abbienti, oppure, forse, al carciofo sviluppato per coltivazione e in quel tempo appena importato.

All'incirca nello stesso periodo cominciarono ad apparire i meloni, ma l'utilizzo di questi vegetali non è molto conosciuto. Erano così imperfettamente coltivati nelle province settentrionali che, alla metà del XVI secolo, Bruyerin Champier afferma che solo gli abitanti della Linguadoca conoscevano come produrre eccellenti sucrins, "così chiamati" come dichiarano sia Charles Estienne sia Liebault nella "Maison Rustique" "perché i giardinieri li innaffiavano con acqua addolcita o miscelata al miele".

I cavoli, la cui reputazione alimentare è databile ai tempi più antichi, erano già coltivati in molte qualità, la maggior parte delle quali sono arrivate fino a noi, ma l'unico tenuto in massima considerazione era il famoso cavolo di Senlis, le cui foglie, dice un antico autore, quando aperte, emanavano un profumo più gradevole del muschio o dell'ambra. Questa specie cadde senza dubbio in disuso quando l'impiego delle erbe aromatiche in cucina, tenuto molto in considerazione dagli antichi, fu abbandonato. Per una strana coincidenza, nello stesso periodo in cui la maggiorana, il basilico, il coriandolo, la lavanda e il rosmarino erano usati per aggiungere il loro pungente sapore alle salse e agli intingoli, sulle medesime tavole si potevano trovare erbe dei tipi più insipidi, come la malva, certe tipologie di muschi, ecc.

Il cocomero, sebbene piuttosto richiesto, si supponeva fosse un vegetale non salubre, perché si diceva che gli abitanti di Forez, che ne mangiavano molto, fossero soggetti a febbri periodiche, le quali invece potevano essere causate dalle emanazioni nocive degli stagni abbondanti in quella regione. Anche le lenticchie, oggi considerate particolarmente salutari, erano guardate come vegetali dalla dubbia reputazione; secondo Liebault, esse erano difficili da digerire e altrimenti nocive, in quanto infiammavano l'intestino, influenzavano la vista, causavano incubi, ecc. D'altra parte, i fagioli freschi, specialmente quelli venduti alla fiera di Landit, erano usati nella maggior parte degli impasti delicati; i piselli erano fatti passare come piatto reale nel XVI secolo, quando vi era l'uso di mangiarli con carne di maiale salata.

Le rape erano molto gradite ai Parigini. "Questo vegetale è per loro" dice Charles Estienne " ciò che i ravanelli sono per gli abitanti del Limousin." Si supponeva che le migliori provenissero da Maisons, Vaugirard e Aubervilliers. Infine, vi erano quattro specie di lattuga coltivate in Francia, secondo Liebault, nel 1574: la piccola, la comune, la riccia e la Romana: i semi di quest'ultima furono inviati in Francia da Francois Rabelais quando si recò a Roma col Cardinale du Belley nel 1537 e da allora l'insalata fatta con questa verdura non mancò mai. Infatti, i nostri antenati apprezzavano molto le insalate, per cui non vi era banchetto senza almeno tre o quattro tipi differenti.

Testo francese originale in pubblico dominio tratto da "Modi, costumi e abbigliamento durante il Medio Evo e il periodo rinascimentale", di Paul Lacroix, curatore della Biblioteca Imperiale dell'Arsenale, Parigi.

Traduzione italiana copyright 2008 Francesco Riva.


 

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