
LA RGINA GUERRIERA
| Alla fine del XIII secolo si assiste ad un incremento della produzione letteraria consacrata all'igiene, letteratura che vantava illustri precedenti a cominciare da quelli della scuola salernitana. Questo particolare fenomeno, che nasce nell’Italia delle corti principesche e dei ricchi mercanti appare legato all'interesse manifestato da queste élites per la conservazione della salute: lusso certamente negato ai ceti di censo inferiore, per i quali l’alimentazione restava ancora un problema puramente quantitativo. In Italia questo genere di letteratura si sviluppa essenzialmente in ambiente pontificio e alla corte di Federico II, anche se agli inizi del XIV secolo, dietro l'impulso dell'Università di Montpellier, i trattati medici su questo tema hanno grande impulso e popolarità. Da allora, il fenomeno va ben al di là dell'Italia, per estendersi a tutto l'occidente medievale. Il genere-tipo di questo tipo di letteratura, centrata quasi esclusivamente sugli aspetti preventivi è quello dei Regimina, comprendente sia i Regimina Sanitatis, raccolta di regole universali per la conservazione della salute attraverso una precettistica imperniata sulla dieta e l'igiene fisica, sia i trattati sulla conservazione della sanità ("De conservanda sanitate" ecc.) personalizzati e dedicati a qualche personaggio illustre, ma finalizzati non tanto a curare una singola affezione o comunque uno stato di malattia, quanto a mantenere il soggetto in buona salute. Nello stesso periodo, accanto alla letteratura dei Regimina compare un nuovo genere di trattatistica a scopo terapeutico: i Consilia, prescrizioni mediche e dietetiche rivolte a pazienti individuati nominalmente, e destinati a curare una precisa malattia. Differisce quindi dal Regimen per essere rivolto ad un destinatario malato a cui si forniscono pareri autorevoli al riguardo del comportamento igienico da tenere per abbreviare o comunque migliorare lo stato di malattia. Tenendo conto delle possibili varianti, la struttura-tipo di un consilium è costituita da tre sezioni. La prima prende in considerazione una situazione presente, effettiva: si descrive il paziente specificandone nome e cognome, età, sesso, posizione sociale, attività, a cui si fa seguire la descrizione della complessione, della malattia di cui soffre e l'identificazione delle sue cause. A questa sezione diciamo così "introduttiva" fa seguito l'indicazione di un regime dietetico che il paziente dovrà osservare, seguita anch'essa da una sezione finale che comprende la prescrizione di farmaci, con le loro ricette e la posologia, accompagnata da eventuali prescrizioni di interventi tecnici (salasso, bagno, cauterizzazione, fumigazione ecc.) dei quali si indicano l'ordine e la frequenza. La frequenza della seconda parte, cioè della parte dietetica è costante e facilmente riconoscibile. Si intende per parte dietetica però non solo la prescrizione di un regime alimentare, ma il suggerimento di una serie di comportamenti, insomma quella che oggi si chiamerebbe "igiene di vita", basata sulle sex res non naturales. L'ordine delle sex res può comunque variare, ed alcune possono essere trattate più ampiamente rispetto ad altre.
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Tradizione e rinnovamento: odissea nella preistoria
"All'alba dell'umanità vissero gli uomini di Neanderthal…
Durante la lunga era glaciale, abitavano nelle caverne in
Europa e nel vicino Oriente. Poi, 35.000 anni fa, apparve un nuovo Popolo, i Cro-Magnon. Per un breve periodo, questi due gruppi si divisero la scena della preistoria.
Che cosa avvenne ai Neanderthal è tuttora un mistero,
ma furono i Cro-Magnon che sopravvissero e iniziarono
la lunga scalata verso il mondo che ora conosciamo.
All'epoca delle grandi montagne di ghiaccio, gli antenati
del nostro Popolo seguivano le mandrie in una nuova terra. C'era una bambina fra loro, si chiamava Ayla e le leggende parlano ancora di lei."
(Dal film " Cro-Magnon: Odissea nella preistoria ")
La protagonista del film, tratto dal libro di Jean M. Auel "Ayla la figlia della terra", la cui storia si snoda lungo l'impervio sentiero dell'evoluzione e della maturazione umana, è una bambina Cro-Magnon che, persi i genitori durante un terremoto, viene ferita da un leone e quindi soccorsa da una tribù di Neanderthal, il Clan dell'Orso delle Caverne, presso il quale vive fino alla sua adolescenza, affrontando varie vicissitudini.
Diversa, sia fisicamente che psicologicamente, Ayla si scontrerà spesso con la rigidità del Clan, che ne osserva diffidente la corporatura alta e snella, gli occhi azzurri, i capelli biondi e che si ritrae sgomento di fronte alla sua capacità di parlare, di piangere, di ridere.
"Prima che arrivasse il nostro popolo, questa era la terra dei vecchi, il Clan dell'Orso delle Caverne. Quando la terra tremò, molti persero le loro dimore, molti morirono. Ma Brun, il capo, aveva ancora con sé Brud, il figlio della sua compagna, che sarebbe diventato capo dopo di lui. Poi venne Creb, il grande Mog-Ur, lo sciamano storpio, e lza, la guaritrice, sua sorella. Il Clan era debole, senza difese; sapeva che tra poco gli spiriti del vento avrebbero portato la neve e, la neve, la morte...
… La bambina era una di noi, il nuovo popolo, il primo che il Clan dell'Orso delle Caverne avesse mai visto prima. Essa era la prova dell'esistenza degli Altri, gli strani Altri che minacciavano il mondo, che era sempre stato là, dov'era, e alcuni dissero di essersi rivolti agli spiriti, per farsi aiutare, perché avevano paura."
Per gli animisti, tutte le cose sono animate da spiriti, o forze buone o forze cattive.
In una società primitiva, l'animismo, inteso come sistema di pensiero, non dà soltanto spiegazione di un singolo fenomeno, ma permette di comprendere il mondo nella sua globalità, come traente origine da un unico punto.
Gli spiriti sarebbero delle anime divenute autonome, cioè scisse dai corpi ed anche le anime degli animali, delle piante, delle cose si sarebbero formate in modo analogo a quelle degli uomini.
La magia, che è governata dal principio dell'onnipotenza del pensiero, costituisce la parte più primitiva, ma anche la più significativa, della tecnica animistica, in quanto tra i mezzi di cui ci si serve per trattare gli spiriti, figurano i procedimenti magici.
Le premesse della magia sono, pertanto, anteriori alla teoria degli spiriti: essa si pone al servizio delle intenzioni più varie e molteplici, poiché serve a sottomettere alla volontà dell'uomo i processi della natura a proteggere l'individuo dai pericoli, a dargli il potere di nuocere ai nemici.
I riti magici sono fatti di tradizione, capaci di produrre qualcosa di diverso dalle convenzioni, 'creano', e sono molto efficaci, sono antireligiosi, irregolari, privati, segreti, misteriosi e, non facendo parte dei culti, tendono ai riti proibiti.
Il mago è l'agente dei riti magici, cui la magia, in molte società, è riservata.
Per essere un mago non basta volerlo; lo si diventa: per rivelazione, per consacrazione, per tradizione. Ci sono qualità il cui possesso distingue il mago dall'uomo comune e che sono in parte acquisite, in parte a lui attribuite, in parte da lui effettivamente possedute: lo sguardo vivo e penetrante, l'eccitabilità, la destrezza di mano, le conoscenze fuori dei comune, l'eventuale deformità ed anche la femminilità; tali qualità sono dei poteri e conferiscono dei poteri.
Ciò che tocca l'immaginazione è la facilità con cui il mago realizza tutto ciò che vuole. Ha poteri sulle cose, ma anche su se stesso e può sfruttare le paure collettive per esercitare il controllo sociale. L'anima del mago è essenzialmente mobile, separabile dal corpo e si libera dietro suo ordine, cosi, ogni individuo che abbia il potere di esalare la propria anima è un mago. Questa anima è il suo doppio, il che significa che non è una porzione della sua persona, ma la sua persona stessa.
Un esempio di questo aspetto della magia è la figura dello sciamano presso i popoli primitivi. Mediante la sua capacità di riconoscere, nella trance, 'il mondo dietro le cose' e attraverso la sua immaginazione, nei viaggi dell'anima, lo sciamano entra in contatto con gli spiriti, ricerca le forze costruttive e si sforza di tenere in pugno quelle distruttive. Per far fronte alla paura delle potenze sovrumane, gli sciamani possono contare sui loro spiriti protettori, generalmente degli animali: l'animale-totem è il più stretto e fidato compagno dello sciamano. Comparendogli in sogno, per comunicargli la sua vocazione e dotarlo di forze sovrannaturali, l'animale gli dà una certa parola o una melodia, mediante la quale potrà averlo al suo fianco, quando avrà bisogno di aiuto,
Anche i singoli membri del Clan hanno diritto ad un animale-totem, che ha un alto valore simbolico per loro stessi, per la famiglia, per gli amici ed anche per i nemici. Lo sciamano è, dunque, il tramite tra i membri dei Clan, le forze della natura e gli spiriti. La paura dello straniero era molto forte, presso i popoli primitivi, egli rappresentava un presagio di sventura e sovente fungeva da capro espiatorio, nel caso in cui gli spiriti avessero inviato segni nefasti ed anticipatori di calamità.
" I giorni Passavano ed essi non avevano trovato una caverna. Molti nel Clan erano certi che era stato qualche spirito malvagio a fare trovare la piccola Ayla sul loro cammino. Lei era una degli Altri e avrebbero dovuto lasciarla morire. Era questo che la 'memoria' aveva detto loro, erano le 'memorie' che governavano il Clan, l'antica conoscenza con la quale tutti erano nati. Le voci del passato.
... I Membri del Clan vivevano alla luce di una tradizione immutabile. Ogni aspetto della loro vita, dell'epoca in cui nascevano fino a quando venivano chiamati nel mondo degli spiriti, era circoscritto al passato. Erano lenti ad adattarsi. Le invenzioni erano casuali e spesso non utilizzate. Se qualcosa di nuovo accadeva, poteva essere aggiunto al loro patrimonio di informazioni, ma il cambiamento veniva realizzato solo con grande sforzo e, una volta che era loro imposto, seguivano il nuovo corso inflessibilmente. Diveniva troppo arduo modificarlo ancora".
La tradizione della sua cultura prescrive all'uomo 'cosa' e 'come' egli deve apprendere e gli vengono poste rigide limitazioni su ciò che non 'deve' apprendere.
Ogni accumulo di sapere si fonda sulla formazione di strutture rigide, che possono essere ereditate di generazione in generazione, solo se dotate di una invarianza relativamente alta.
Nonostante ogni deviazione da un modulo comportamentale sperimentato, venga percepito come sgradevole ed inquietante, la nascita del sapere umano può progredire solo a patto di demolire, passo dopo passo, elementi già assimilati, già conosciuti, per lasciare il posto a qualcosa di nuovo e superiore.
La paura di essere travolti dal flusso storico delle situazioni è un aspetto della paura dell'ignoto, che pervade l'essere umano da sempre.
Lo scopo di alcune difese, come le stereotipie e il conformismo, è quello di fornire delle nicchie protettive, entro le quali sia possibile scongiurare i rischi del divenire.
Adottando comportamenti stereotipati, ossia ripetendo uno stesso ciclo di atti, come quelli di un gruppo impegnato nei rituali collettivi, si cerca di immobi1izzare il flusso degli eventi, di controllare la realtà, di sopprimere il rischio del nuovo. Ne deriva la delega delle responsabilità dei propri comportamenti agli altri, una riduzione dell'osservazione, dell'apprendimento, dell'immaginazione, la rinuncia ad un rapporto vivo col mondo: una parziale ' pietrificazione '.
Consapevoli che dalla diversità possono scaturire eventi e situazioni straordinarie, sia pure dolorose, solo due persone accolgono Ayla senza riserve: lza, la guaritrice, con sollecitudine ed affetto cura le ferite infertele dal leone e la accetta come sua discendente, insegnandole l'arte della medicina; Creb, lo storpio e potente sciamano, ne intuisce l'acume e le eccezionali potenzialità e la ama come la figlia che la sua deformità gli ha impedito di avere.
" Ayla cercava di essere una bambina del Clan, ma sapeva che per molti costituiva una minaccia per le antiche usanze immutabili... Lei non aveva ancora un animale-totem che la proteggesse e soltanto Creb conosceva la magia per trovargliene uno... Dopo che Creb ebbe annunciato che era il leone delle caverne l'animale-totem di Ayla, lza pensò che un giorno lei e Creb non ci sarebbero più stati e che, senza di loro, Ayla sarebbe rimasta sola e così le insegnò la magia della guarigione, per darle un posto nel Clan, quando fosse giunto quel giorno ".
Col trascorrere delle stagioni, Ayla comincia ad essere accettata dai membri del Clan, fatta eccezione per Brud, il futuro capo:
" Il suo odio era l'odio del vecchio per il nuovo, del tradizionale per l'innovatore, del moribondo per il
vivo e
vitale... "
La sua insaziabile curiosità, l'intelligenza viva e penetrante la inducono a spiare le attività venatorie maschili, a costruirsi una fionda e, infine, dopo mesi di allenamento, a cacciare, sfidando le leggi e violando il tabù.
Durante una battuta di caccia, una iena attacca uno dei bambini ed Ayla, automaticamente, quasi il fardello del suo segreto fosse troppo gravoso da sopportare, la uccide, battendo in velocità ed abilità Brud, ma offrendogli un valido pretesto per vendicarsi.
Ayla ha osato trasgredire l'atavica legge del Clan: a qualsiasi donna usi un'arma, non può toccare una punizione inferiore della morte.
"…la maledizione di morte, la punizione suprema, che veniva inflitta ai membri del Clan che commettevano un grave crimine. Soltanto un capotribù poteva ordinare ad un Mog-Ur di invocare gli spiriti maligni ed esprimere una maledizione di morte. Un Mog-Ur non poteva rifiutarsi di fatto, benché fosse pericoloso per se stesso e per il Clan. Una volta maledetto, nessun membro del Clan si rivolgeva allo sciagurato, egli non esisteva più, era come morto. .. Qualcuno, abbandonato dal Clan, non era mai stato più rivisto. Ma, per lo più, costui smetteva di mangiare e di bere, facendo così diventare realtà la maledizione, nella quale anch'egli credeva. Di tanto in tanto, questa maledizione poteva essere imposta per un periodo limitato nel tempo, ma anche in quel caso, era spesso fatale poiché il malcapitato rinunciava a vivere per tutta la durata della punizione. Ma, se sopravviveva ad una maledizione limitata, veniva riaccettato nel Clan come membro a pieno titolo, riacquistando il suo rango precedente ".
Il tabù è il più antico codice non scritto dell'umanità; più antico degli dei, precede nei tempo ogni religione, in luogo della quale troviamo il totemismo, un sistema al contempo religioso e sociale.
Le restrizioni che nascono dal tabù sono diverse da quelle di carattere morale o religioso; non sono fatte risalire ad un comandamento divino, si impongono da sole; non hanno alcuna spiegazione e, incomprensibili per noi, appaiono del tutto naturali a coloro che ne sono dominati.
La tribù si sottomette ai divieti in modo spontaneo, perché è convinta che la trasgressione attirerebbe, automaticamente, gravissimi castighi su tutti loro.
La pena per la violazione di un tabù viene lasciata ad una disposizione interiore: il tabù violato si vendica da sé, poiché: 'chi ha calpestato un tabù, diviene egli stesso tabù', in quanto possiede la pericolosa capacità di indurre gli altri a seguire il suo esempio, risvegliando l'invidia, diviene contagioso e deve, pertanto, essere evitato.
Ayla, colpita dalla maledizione di morte temporanea, solo in virtù del fatto che il suo intervento ha salvato la vita di un bambino, è costretta a vivere fuori della caverna, sola, per la durata di un'intera luna.
" Ayla si gettò alla cieca, giù per il pendio e si inoltrò nel
la foresta, scossa da singhiozzi di dolore e di desolazione. Non vedeva dove andava e non gliene importava.
I rami si protendevano ad impedirle il cammino, ma lei vi si tuffava in mezzo, graffiandosi le braccia e le gambe.
Attraversò una gelida pozza d'acqua, ma non si accorse
di avere i piedi fradici, intorpiditi, finché inciampò su un
tronco e cadde per terra. Rimase sul suolo umido e freddo, desiderando che la morte arrivasse presto a liberarla
dalla sua disperazione. Non aveva più nulla. Né famiglia,
né Clan, né ragione di vivere. Era Morta, avevano detto
che era morta.
Mancò poco che il suo desiderio fosse realizzato.
Persa nel suo mondo di desolazione e di paura, non aveva toccato né cibo né acqua, per oltre due giorni, da
quando era tornata dalla caccia. Non aveva nessun indumento caldo addosso, i piedi le dolevano per il freddo..
.. Ma qualcosa in lei, era più forte del suo desiderio di morire, quello stesso impulso che l'aveva spinta a vagare, tanto tempo prima, quando un devastante terremoto
aveva strappato alla bambina di cinque anni amore, sicurezza e famiglia.
Una volontà indomabile di vivere, un irriducibile istinto di
sopravvivenza che non l'avrebbe mai lasciata, finché non
avesse avuto un barlume di vita".
Attaccamento e perdita sono due poli dell'esperienza che più profondamente agiscono nella formazione dell'individuo. Nell'infanzia, nella vita, fra i bisogni umani fondamentali, oltre all'alimentazione, è essenziale la necessità di stare accanto alla fonte di sostegno e di protezione.
Nelle società primitive, i bambini piccoli trascorrono molto tempo sulle spalle della madre o delle altre donne della tribù dimostrando che l'attaccamento all'adulto e l'angoscia che deriva dal distacco sono forme di comportamento sociale, utili alla specie, che si sono rinforzati attraverso meccanismi evolutivi e la trasmissione culturale.
Poiché l'attaccamento è una pulsione primaria, la separazione e la perdita sono causa di profondo dolore e possono suscitare effetti patologici per una rottura troppo precoce dei legami naturali.
La paura di perdere l'oggetto libidico è la principale forma d'ansia nel primo anno di vita del bambino e può riguardare anche la separazione da persone che hanno stabilito con lui rapporti sociali interattivi e alle quali egli è legato affettivamente. Anche nelle persone adulte l'essere solo suscita sensazioni sgradevoli e dolorose perché rappresenta un forte rischio, sia fisico che psicologico, benché la solitudine 'emotiva' sia ben più penosa di quella 'sociale', ossia dell'isolamento conseguente l'allontanamento dalla comunità.
Ayla trae da se stessa la forza per sopportare l'angoscia della solitudine: attendendo ai suoi stessi bisogni, procurandosi un riparo, del fuoco, del cibo, contando i giorni, incidendo delle tacche su un bastone, come le aveva insegnato Creb. Al suo rientro, i membri dei Clan sono sopraffatti dallo stupore, perché mai hanno conosciuto qualcuno sopravvissuto alla maledizione di morte, e la considerazione delle qualità eccezionali di Ayla spinge Brun, il capo, a chiedere al Mog-Ur una cerimonia che la consacri 'donna-che-caccia'.
La vita sembra riprendere il suo solito ritmo, scandito dalla raccolta delle erbe medicinali, nell'esercizio dal suo antico ruolo di guaritrice, e dalla ricerca della selvaggina, in quello nuovo di cacciatrice. Ma l'odio di Brud ed il suo desiderio di vendetta per quella 'femmina insolente', lo induce alla violenza, come se, possedendola fisicamente, potesse piegare e dominare, non solo la sua volontà, ma anche la sua stessa essenza.
L'esito di quella violenza è un figlio, Durc, che la ragazza accoglie con amore e circonda di tenere cure, vincendo ancora una volta, con coraggio e determinazione, la riluttanza del Clan verso un bambino di 'spiriti misti'.
Purtroppo, quando Brud, nominato capo, ordinerà contro di lei al nuovo Mog-Ur, succeduto all'ormai vecchio Creb, la maledizione di morte permanente, sarà costretta ad abbandonare, e stavolta per sempre, suo figlio ed il Clan dell'Orso delle Caverne, continuando la sua lunga odissea, alla ricerca dei suoi simili, gli Altri, e di qualcosa che dentro di lei ha più volte, oscuramente avvertito, ma che ancora le sfugge.
" Ayla puntò direttamente verso Brud e si erse in tutta la sua altezza davanti a lui…Lei lo stava guardando dall'alto basso, e non rannicchiata ai suoi piedi, come era
tenuta a fare una donna...
…Non sono morta, Brud. Non morirò. Tu non puoi farmi morire Puoi costringermi ad andarmene, puoi portarmi
via mio figlio, ma non puoi farmi morire!
…L'ultima cosa che Ayla udì, mentre scompariva al di
là della cresta spezzata, fu il lungo gemito di Durc ."
Ayla è l'espressione personificata dell'umana ambivalenza fra la paura atavica dell'ignoto e fa curiosità esplorativa, fra la richiesta di protezione e la ricerca del rischio: atteggiamenti opposti, ma universali, archetipi che affiorano dalle profondità dell'inconscio.
Nell'esistenza dell'uomo si avvicendano tante, successive nascite: quando, da bambino, incomincia a camminare, ampliando, per la prima volta,il suo orizzonte; quando, dall'ambiente familiare, si inserisce in quello scolastico; quando, nell'adolescenza, scopre il mondo e si svincola dai legami affettivi della famiglia; quando affronta la vita lavorativa, lasciando per sempre l'ambito scolastico.
Ognuna di queste situazioni rappresenta una difficoltà, che viene affrontata con inquietudine e, talvolta, con dolorosa pena; ogni volta, l'ignoto si annuncia e l'essere umano inciampa in nuovi ostacoli, costretto ad assolvere a nuovi compiti, ad iniziative e responsabilità personali: solo, privato del sostegno della consuetudine e della protezione affettiva che avevano caratterizzato lo stadio precedente. La titubanza e le reazioni emotive intense sono l'espressione delle difficoltà di tali situazioni, dell'affanno che le caratterizzano, dei tentativi effettuati per sottrarsi a quelle prove che, inevitabilmente, ci costringono ad affrontare.
L'elemento che questi passaggi hanno in comune, al punto da poterli considerare tante nascite successive, è dato dalla perdita improvvisa o dal distacco ineluttabile da un oggetto libidico, da cui il soggetto si attende affetto e protezione, e scaturisce da un evento primordiale: l'angoscia che il lattante subisce, quando vive l'assenza o l'allontanamento dalla madre e che lo precipita in un baratro di sofferenza e di desolante solitudine, in cui avverte dolorosamente la propria incapacità di appagare i suoi bisogni.
In un processo evolutivo normale, si ha un passaggio graduale dallo stato di completa dipendenza dalla madre ad uno di sempre maggiore autonomia, caratterizzato dalla crescente fiducia in se stessi.
Se è vero, dunque, che la dipendenza è totale nelle prime fasi dell'esistenza, è pure vero che essa diminuisce col tempo: l'instaurazione del rapporto oggettuale, che pone fine al regime di 'unità a due', segna il passaggio dalla passività all'attività nell'espressione emotiva.
Anche il gruppo è, o dovrebbe essere, soltanto una soluzione provvisoria. Attraverso gli altri, l'adolescente ha preso coscienza di sé, delle proprie possibilità e del proprio valore: è in se stesso che ricerca, oramai, la propria ragione d'essere.
L'aggregazione ad un gruppo consente, all'inizio, una normale spinta evolutiva, ma può diventare nociva, alienante, uno stratagemma per sfuggire le responsabilità, e la sottomissione all'ideale collettivo può implicare la rinuncia ad ogni iniziativa e riflessione personale.
Attraverso il processo che pone ordine all'ambiente sociale, ('categorizzazione sociale'), le persone si aggregano in modo proficuo e significativo per l'individuo, aiutandolo a strutturare ed a comprendere l'ambiente e, poiché l'identità sociale è anche la consapevolezza di appartenere ad un gruppo, ne consegue che un individuo tende a rimanere membro di quel gruppo fino a quando questo contribuisce a stabilire un'identità sociale positiva: in caso contrario, se gli sarà possibile, tenderà a lasciarlo. L'abbandono momentaneo o definitivo delle antiche identificazioni crea un vuoto e lascia l'adolescente emotivamente disorientato e spaventato. Per scoprire se stesso, egli si mette alla ricerca di nuovi modelli, di nuove identificazioni ed avverte il bisogno di spezzare tutti i legami precedenti, manifestandolo, a volte, anche con gesti aggressivi. L'autonomia intellettuale suscita il desiderio di sfruttare ed esercitare la capacità di analisi critica delle situazioni, che l'adolescente ha appena conseguito, mediante esperienze nuove e personali, di tipo esplorativo, avventuroso, competitivo, effettuate in ambienti diversi.
Benché alcune culture assecondino più di altre l'autonomia, la spinta verso l'emancipazione è universalmente incoraggiata, perché non sarebbe concepibile una società costituita esclusivamente da adulti psicologicamente dipendenti.
L'attaccamento è una forma di dipendenza proficua e favorevole all'emancipazione, ma una forte dipendenza è di ostacolo all'autonomia.
Ecco perché, per realizzarci compiutamente come individui, dobbiamo allentare i legami che ci tengono avvinti alle figure genitoriali interiorizzate.
BIBLIOGRAFIA
M Mauss - Teoria generale della magia -, Torino 1965, ed. Einaudi
S. Freud - Totem e tabù -, Milano 1975, ed. Garzanti
K. Lorenz - L'altra faccia dello specchio -, Milano 1974, ed. Adelphi
M. Deutsch, R. M. Krauss - La psicologia sociale contemporanea -, Bologna 1972, ed. Il Mulino
B. Reymond Rivier - Lo sviluppo sociale del bambino e dell'adolescente - Firenze 1970, ed. La Nuova Italia
A. Oliviero Ferraris - Psicologia della paura -, Torino 1980, Universal scient, Boringhieri
G. Cramer - Alla ricerca dell'anima perduta -, Rivista 'Psicologia contemporanea' Anno 1987, N- 80
C. Musatti - Trattato di psicologia -, Torino 1977, ed. Boringhieri
J. Bowlby - Attaccamento e perdita -, Torino 1977, ed. Boringhieri
J. M. Auel - Ayla la figlia della terra -, Milano 1988, ed. Longanesi
J. M. Auel - Gli eletti di Mut -, Milano 1987, ed. Longanesi
J. M. Auel - La valle dei cavalli -, Milano 1986, ed. Longanesi
Molto lontane dall'essere pura espressione dell'erotismo maschile, queste figure rivelano che fin dall'inizio, la volontà di vita dell'essere umano si espresse e trovò conforto in un gran numero di miti e di rituali, che denotano il nesso tra la donna e i poteri che governano la vita e la morte. Sembra che la colocazione rituale di conchiglie a forma di vagina intorno e sopra il morto, quanto la pratica di ricoprirle con pigmento rosso ocra (che simboleggia il potere vivificante del sangue), facessero parte di un rituale funebre inteso a fare ritornare il defunto tramite una rinascita. Esistono anche prove che pare servissero a propiziare la fecondità delle piante e degli animali selvatici che erano il mezzo di sustentamento della gente e, nel rifuggio di roccia di Cogul, in Catalogna, è raffigurata una scena di donne che danzano intorno ad una piccola figura maschile svestita, in quella che sembra essere una cerimonia religiosa.
Compare nel Paleolitico Superiore la rappresentazione della Dea Dispensatrice di Vita, nella posizione di partoriente o dalla vulva come pars pro toto; tali simboli continuarono ad essere presenti nel Neolitico e anche in epoche successiveLa Dea è collegata alle madri molto giovani nelle forme di animali quali l'orso, la cerva, il daino, e, nel Paleolitico Superiore, come bisonte femmina o giumenta. La continuità di tali immagini nella tarda preistoria e perfino in epoca storica si può spiegare non solo con l'indistruttibilità di simboli, collegati alla nascita e alla maternità, fortemente radicati, ma anche come memoria profonda assorbita di un sistema matrilineare, in un'epoca in cui la paternità era difficile da stabilire. Anche i simboli della fertilità e della gestazione affondano le radici nel Paleolitico Superiore, comparendo già allora la Dea Gravida, in origine forse divinità lunare (perchè tonda come la luna piena). Era centrale l'evidente timore reverenziale e la meraviglia per la nascita che s'incarna nel corpo della donna.
Con il passaggio all'economia neolitica si produssero notevoli innovazioni.
La nostra coscienza della preistoria progredì moltissimo grazie alla scoperta delle città Neolitiche di Çatal Huyuk e Hacilar, nella Turchia centrale. Secondo James Mellaart, che diresse gli scavi per conto del British Institute of Archeology di Ankara, "il fatto più interessante è che gli scavi in questi due siti rivelano una stabilità e una continuità dello sviluppo, durato forse diverse migliaia di anni, delle culture sempre più avanzate che adoravano la dea"..." Si può dimostrare una continuità religiosa da Çatal Huyuk e Hacilar fino alle grandi "Dee Madri" di epoca arcaica e classica" e che "l'interpretazione dell'arte del Paleolitico Superiore incentrata sul tema di un complesso simbolismo femminile (sotto forma di animali e simboli), mostra forti somiglianze con le immagini religiose di Çatal Huyuk e Hacilar".
Sebbene si parli molto poco di questo, i numerosi scavi neolitici in cui sono state trovate statuette e simboli della dea coprono una vasta area geografica, che va ben oltre il Vicino e Medio Oriente, come dall'India fino all'Isola di Malta, nel Mediterraneo, per esempio. Insomma, quasi ovunque, i luoghi dove avvennero i grandi progressi sociali e materiali della tecnologia hanno il culto della Dea come caratteristica comune.
Risale probabilmente a questo primissimo periodo neolitico l'origine del concetto della Dea Dispensatrice di Vita e di Nascita come Fato, poichè decide della durata della vita, della felicità e della salute, e come filatrice o tessitrice perfino dell'esistenza umana (il primo animale addomesticato, l'ariete, divenne sacro alla Dea Uccello e la Dea divenne così associata alla tessitura e alla tosatura).
Contemporaneamente, la scoperta della ceramica aprì altri orizzonti verso la creazione di nuove forme scultoree, e verso un nuovo modo di raffigurare i simboli attraverso la pittura su ceramica. Apparvero quindi i vasi antropomorfi a forma di donna-uccello (chiamati askoi) e motivi decorativi come corsi d'acqua, triangoli, bande decorate a rete, spirali, serpenti e spire serpentine divennero predominanti.
Nella nuova economia agricola, la Dea Gravida del Paleolitico fu trasformata in una divinità della Fertilità della Terra diventando simbolo del ciclo vitale della vegetazione (nascita, fioritura, morte). Acquistarono grande importanza gli aspetti legati alla fecondità di uomini e animali, l'abbondanza dei raccolti, la fioritura delle piante e i processi della crescita e dell'ingrassamento (la scrofa divenne sacra a questa Dea per le sue capacità di crescita veloce e di ingrassamento). La rappresentazione del mutamento delle stagioni si intensificò, manifestandosi nei rituali estivi/invernali o primaverili/autunnali e nella comparsa dell'immagine di una madre/sorella e di un Dio maschile, spirito della vegetazione che nasce e muore.
Ora sappiamo che l'agricoltura - non solo l'addosmesticamento degli animali, ma anche delle piante selvatiche - risale ad un'epoca molto più antica di quanto si credeva in precedenza. I primi segni di quella che gli archeologi definiscono la rivoluzione agricola, o del Neolitico, iniziano a manifestarsi tra il 9000 e l'8000 a.C., e ciò significa più di diecimila anni fa.
Nel corso della preistoria le immagini della morte non sono predominanti su quelle della vita, ma sono combinate con i simboli della rigenerazione. Anche la Messaggera e la Reggitrice di Morte sono coinvolte nella rigenerazione. Questo motivo appare molto spesso: teste di avvoltoio sono poste tra i seni; fauci e zanne di feroci cinghiali sono coperte di seni (come nei santuari del VII millennio di Çatal Huyuk); le immagini della Dea Civetta dell'Europa occidentale sulle pareti delle tombe megalitiche e sulle stele hanno i seni oppure il loro corpo interno è un labirinto creatore di vita, con una vulva nel centro. La Dispensatrice di Vita può trasformarsi in una spaventosa immagine di morte oppure essendo rappresentata come un nudo rigido con uno sproporzionato triangolo pubico in cui comincia la trasformazione della morte in vita. Questa raffigurazione del Paleolitico Superiore, è l'antenata dell'antico nudo rigido europeo in marmo, alabastro, pietra di colore chiaro od osso: materiali che hanno il colore della morte.
Durante il Neolitico, tombe e templi presero la forma dell'uovo, della vagina e dell'utero della Dea, o del suo intero corpo. Le tombe a corridoio megalitiche dell'Europa occidentale simboleggiavano con grande probabilità la vagina (corridoio) e il ventre gravido (tholos, camera rotonda) della Dea. La forma di una tomba è simile alla collina naturale con un omphalos (pietra che simboleggia l'ombelico) sulla sommità, simbolo universale del ventre gravido della Dea Madre con il cordone umbelicale, come si riscontra nel folclore europeo.
Serpenti antitetici o teste a spirali riempiono l'antica decorazione europea fatta con argilla con i loro movimenti e torsioni. Vortici, croci e una varietà di segni quadrangolari sono simboli di dinamismo nella natura che assicura la nascita della vita e muove la ruota del tempo ciclico dalla morte alla vita, perchè la vita si perpetui.
La spiegazione tradizionale delle statuete femminili può essere considerata più una proiezione di steriotipi che un'interpretazione logica di un'osservazione.
Come scrive la Eisler, "Sembra del tutto plausibile che l'evidente dimorfismo, cioè la differenza di forma tra le due metà dell'umanità, abbia avuto un profondo effetto sui sistemi di fede del Paleolitico. Sembra altretanto logico che la costatazione che la vita umana e quella animale sono generate dal corpo femminile, e che il corpo della donna, come le stagioni e la luna, segue dei cicli, abbia portato i nostri progenitori a considerare femminili, anziché maschili, i poteri del mondo che danno e mantengono la vita."
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> Acqua di rose
Fare bollire in mezzo litro di acqua 50 gr. di petali di rosa, coprire, lasciare in infusione 5 minuti filtrare e travasare. > Infuso
L'infuso di petali di rosa, se applicato sulla pelle, è astringente, tonico e rinfrescante. Preparatelo nel modo seguente: |